I lefevbriani hanno risposto. E a Roma si discute
Verrà analizzata nelle prossime ore la risposta che Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, ha lasciato alla Congregazione della Dottrina della Fede ieri, dopo l’incontro che è avvenuto lunedì. La risposta arriva alla scadenza del periodo di un mese che era stato dato dalla Santa Sede alla Fraternità per terminare una trattativa che sembrava infinita. Ed è un testo -ha commentato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana – “sostanzialmente diverso dalle altre risposte date in precedenza dalla Fraternità”, anche se ci sono “richieste di chiarimenti e precisazioni”. E questo “è un dato molto incoraggiante”. Ora, si attende la riunione della quarta feria della Congregazione della Dottrina della Fede, che non dovrebbe essere lontana (sono riunioni che avvengono di mercoledì, quindi potrebbe essere già questo pomeriggio). L’ultima parola spetterà comunque al Papa. Poi, si pubblicherà un testo congiunto, una intesa tra la Fraternità e la Santa Sede. Ma – ha spiegato Lombardi – non sarà reso noto il testo originario del preambolo. Un preambolo proposto a settembre dalla Congregazione della Dottrina della Fede come prima condizione perché la Fraternità rientrasse in comunione con la Chiesa, gli incontri si sono susseguiti a più riprese.
Il testo del preambolo è rimato riservato, per evitare condizionamenti, e mai si saprà. Ma in ambiente vaticano si è informalmente sottolineato che nel testo c’è il minimo richiesto. Nel minimo, rientra anche l’accettazione del Concilio Vaticano II. Dal Concilio non si può tornare indietro. Ed è una condizione riguardo la quale la parte più agguerrita della Fraternità di San Pio X sembra non voler sottostare. E’ un comunicato breve e chiaro quello divulgato oggi dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei: “In data 17 aprile 2012 è pervenuto, come richiesto nell’incontro del 16 marzo 2012, svoltosi presso la sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il testo della risposta di Sua Excellenza Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Il suddetto testo sarà esaminato dal Dicastero e successivamente sottoposto al giudizio del Santo Padre”.
L’ultimo incontro è avvenuto lo scorso 16 marzo. Da un lato del tavolo, il prefetto della Congregazione perla Dottrina della Fede William Levada. Dall’altra parte, Bernard Fellay. Due ore di incontro, per discutere la risposta che a Fellay aveva inviato alla Commissione a seguito del consegna del Preambolo dottrinale. Una risposta considerata – recitava il comunicato ufficiale della Santa Sede – “non sufficiente a superare i problemi dottrinali che sono alla base della frattura tra la Santa Sede e detta Fraternità.” Il passo era previsto dagli addetti ai lavori, anche perché quello che trapelava dal dibattito interno alla Fraternità rendeva evidente il problema. Dopo un mese, Fellay si è ripresentato in Congregazione per la Dottrina della Fede con una seconda risposta. La stampa ha anticipato che si trattava di emendamenti “non sostanziali” al preambolo, lasciando così intendere una possibilità di trattativa per il Superiore dei Lefevbriani. Parole che in qualche modo sembrano sminuire lo sforzo di Benedetto XVI, il quale, nonostante le polemiche create da questi gesti anche in seno alla Chiesa di Roma, per il negazionismo di uno dei vescovi della SPPX, Wiliamson, per la preghiere del Venerdì Santo per gli Ebrei, Benedetto XVI ha fatto davvero di tutto per evitare uno scisma, ribadendo però con determinazione che il Concilio Vaticano II non si tocca come non può essere in discussione la obbedienza al Papa e alla Chiesa.
Ora si discute come questa risposta positiva debba essere valutata. Benedetto XVI ha fatto del suo pontificato un pontificato dell’unità, cercando di ricomporre le fratture in seno alla stessa Chiesa. E, già quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cercò in tutti i modi di evitare lo scisma lefevrbiano, di cui segue la parabola fin dagli anni Ottanta. Nel 1988 sembrava che la soluzione fosse vicina e possibile. Dopo un visita ad Ecône del cardinale Gagnon l’8 aprile Giovanni Paolo II, in una lettera al Cardinal Ratzinger, disegnava una proposta che permettesse alla F.S.S.P.X di ottenere una collocazione regolare nella Chiesa: un’intesa – firmata a maggio – riguardo l’utilizzo dei Libri liturgici approvati nel 1962 e la costituzione della F.S.S.P.X in “Società di vita apostolica”. In cambio Lefebvre prometteva di obbedire al Papa e accettare il Vaticano II, riconoscendo anche la validità dei nuovi riti della Messa.
Ma la rottura si creò lo stesso quando Lefebvre, vedendosi rifiutata l’autorizzazione a ordinare un Vescovo che gli succedesse nella Fraternità, ritrattò e decise di ordinare comunque il 29 giugno del 1988 quattro vescovi senza il consenso di Roma. Per scongiurare l’ordinazione illecita, il 24 maggio 1988 Papa Giovanni Paolo II concesse finalmente l’autorizzazione. Non bastò. Lefebvre il 15 agosto rispose per iscritto che necessitava di non uno ma tre Vescovi. La rottura era inevitabile. Iniziò un lungo dibattito, fino alla revoca della scomunica ai vescovi ordinati senza consenso di Roma voluta da Benedetto XVI nel 2009. Era da giugno 2008 che i lefebvriani chiedevano la revoca della scomunica, con l’impegno a rispondere alle proposte presentate per conto di Benedetto XVI dal Cardinal Castrillón Hoyos presidente di Ecclesia Dei, e ritenuto molto vicino alla SPPX. Nel 2007 il Papa aveva anche offerto la possibilità di celebrare la Messa secondo il messale del 1962, e chiarito alcuni punti dottrinale nel testo firmato dal cardinale Levada “Quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa”.