L’idea di riparazione

Papa Francesco e la Vergine di Guadelupe
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.07.2024 – Andrea Gagliarducci] – La decisione di Papa Francesco di cambiare la sede primaziale dell’Argentina non dovrebbe essere vista come una mera scelta locale. In effetti, la decisione e le ragioni della decisione stessa rappresentano, in un certo senso, l’intero modus operandi di Papa Francesco. Ci sono, nella scelta del Papa di spostare la sede primaziale dell’Argentina da Buenos Aires a Santiago del Estero, alcune delle caratteristiche fondamentali del pontificato di Papa Francesco: la volontà di cambiare le cose, la promozione di una specifica narrazione autonoma, la (ri-)lettura della storia secondo criteri specifici e, soprattutto, l’idea di riparazione o rimedio. E quest’ultima è, forse, la caratteristica fondamentale del Papa Francesco il governante.

Francesco ha utilizzato l’ufficio papale, che i cardinali elettori gli hanno affidato, per riparare ciò che considerava veri torti. In ogni Concistoro, ad esempio, Francesco ha creato “cardinali di riparazione” per rimediare i torti percepiti commessi in passato e indicare da che parte stava Francesco nelle controversie passate. Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha sostenuto che il centro si vede meglio dalla periferia. Si è lamentato della mancanza di considerazione da parte di Roma per i punti di vista altrui, il punto di vista che rappresentava quando non era ancora Papa.

Francesco ha affrontato alcuni argomenti – come la misericordia – a modo suo. Ha parlato di come la sua preferenza per parlare di un “Dio di tenerezza” non sia stata accolta molto bene quando ha iniziato a parlare in quel modo, ma può farlo ora che è Papa. Gli piacciono le devozioni popolari e ha profuso grande attenzione sui movimenti popolari all’inizio del suo pontificato (che poi, a dire il vero, con il tempo sono scomparsi). In generale, abbiamo assistito al ritorno di molti temi che erano in qualche modo superati, forse il più grande dei quali è la sua lotta contro i tradizionalisti.

Cosa c’entra il trasferimento di una sede primaziale con tutto questo? Per rispondere a questa domanda, è d’obbligo un po’ di storia. In Argentina, l’arcidiocesi primaziale è a Buenos Aires dal 1936, se non altro perché è stata la prima sede arcivescovile eretta in territorio argentino. Esiste un’altra diocesi più antica, l’Arcidiocesi di Córdoba, e non è un caso che l’antico arcivescovo, il Cardinale Raul Francisco Primatesta, abbia chiesto ripetutamente di trasferire la sede primaziale a Córdoba.

Tuttavia, i gesuiti hanno inviato Papa Francesco anche a Córdoba alla fine del suo mandato di provinciale, praticamente esiliato in sua compagnia. Data l’importanza che Córdoba ha per il Papa, è stato difficile per lui accettare questa richiesta.

Invece, ha accettato l’idea di una riparazione storica. La diocesi originale si chiamava Córdoba del Tucuman. In una dichiarazione congiunta, l’Arcidiocesi di Buenos Aires e la neo-costituita Diocesi di Santiago del Estero sottolineano, che la decisione dovrebbe essere considerata “un momento speciale nella vita delle nostre comunità diocesane” e che è “un’importante riparazione della storia ecclesiastica”. Le due diocesi sottolineano che l’antica Diocesi di Tucuman, fondata da San Pio V nel 1570, aveva una sede in quella che oggi è l’antica città di Santiago del Estero, mentre fin dall’inizio la diocesi di Tucuman comprendeva Cordova, La Rioja, Catamarca, Tucuman, Santiago del Estero, Salta, Jujuy, Tarija e Nueva Oran, mentre la cattedrale era la chiesa di San Pietro e San Paulo, che si trovava nel territorio dell’attuale sede di Santiago del Estero. La sede episcopale della Città di Cordova fu creata nel 1699, mentre la Diocesi di Santiago del Estero fu creata nel 1907. Fu deciso che la diocesi di Santiago del Estero fosse la sede primaziale. Tuttavia, non esisteva all’epoca dei fatti e, sebbene la cattedrale fosse situata solo nel territorio (ora non più presente), era la diocesi più antica. Nemmeno Cordova è considerata e le sedi delle diocesi vengono spesso cambiate senza cambiare il territorio.

La parte finale della dichiarazione ci invita anche a “dare uno sguardo completo al territorio nazionale in una rinnovata finalità federale”.

Cosa dice questa dichiarazione? Innanzitutto, Papa Francesco accetta una lettura della storia almeno parziale. La sede primaziale è sempre la sede episcopale più antica, ma in generale, una nuova sede non viene creata per creare una nuova sede primaziale. Papa Francesco ammette di rileggere la storia; la definisce una riparazione, ma così facendo rischia di piegarsi a una lettura ideologica della storia, lontana dalla realtà dei fatti e, quindi, poco concreta.

C’è poi il riferimento alla finalità “federale”, cioè decentralizzante, presente nel pontificato fin dall’inizio, almeno a parole. La spinta sinodale, così come l’idea di utilizzare i comunicati stampa delle Conferenze Episcopali nei documenti papali, ha dato fin dall’inizio l’impressione di voler puntare a una federazione di Conferenze Episcopali, ciascuna parzialmente indipendente su alcune questioni specifiche e ciascuna con una sua ragion d’essere. Ciò permetterebbe alle periferie di tornare ad essere protagoniste e riparerebbe il fatto che Roma non ha ascoltato le loro grida o compreso la loro situazione. Tuttavia, l’idea di una federazione, più socio-politica che religiosa, va contro l’idea dell’unità della Chiesa garantita dal Papa.

Le Conferenze Episcopali, dopotutto, sono organi amministrativi. Tra le altre cose, il Papa mostra di voler dare autonomia, ma solo l’autonomia che ritiene appropriata. La Conferenza Episcopale Tedesca, ad esempio, è stata bloccata nel suo cammino sinodale dal Papa, che ha avvertito che il processo in corso potesse essere un segno di divisione nella Chiesa. Tutto vero, ma come possiamo giustificare la spinta verso una federazione?

Infine, c’è l’idea di ricostruire la storia e andare oltre il passato. La riparazione, che è il caso anche in America Latina, è la riparazione contro gli abusi della Chiesa. L’idea di riparazione ha portato Papa Francesco, ad esempio, mutatis mutandis, ad accettare l’interpretazione cinese secondo cui il Vangelo è stato portato a Pechino e dintorni con pressioni coloniali e importando e imponendo una cultura occidentale. Questa è una lettura parzialmente vera ma non tiene conto delle buone missioni, delle persecuzioni anticristiane a cui sono stati sottoposti i Cattolici e del lavoro svolto per purificare le missioni da ogni colonialismo.

Così, il concetto di riparazione storica, che è nato nel contesto dell’America Latina (ispirato in gran parte dalla Vergine di Guadalupe, centrale nella mentalità devozionale di Papa Francesco e una chiave per comprendere la sua visione latinoamericana del mondo) diventa un concetto universale per la vita della Chiesa. Un concetto che, tuttavia, non ci consente di vedere la storia della Chiesa, che si lascia andare a letture ideologizzate, che contrappone punti di vista senza consentirci di avere una visione unitaria e onnicomprensiva delle situazioni. L’idea di base può essere sana, ma l’ideologizzazione dell’idea di base si traduce in una sorta di cultura “woke” all’interno della Chiesa stessa.

Papa Francesco è sia motore che vittima di un dibattito che, negli ultimi anni, è diventato sempre più polarizzato. Lo dimostra anche un recente saggio del Cardinale Dominik Duka, O.P., Arcivescovo metropolita emerito di Praga, sulla situazione della diplomazia della Santa Sede, che segue lo schema dell’Ostpolitik rifiutata da San Giovanni Paolo II e poi tornata in auge in questo nuovo sforzo diplomatico [QUI]. La lettura, anche quella polarizzata e polarizzante, testimonia quanto nella Chiesa si debba fare non tanto per purificare la memoria quanto per riconciliarla con la realtà. Papa Francesco è il frutto di una Chiesa che ha imparato ad accusare se stessa senza riaffermare il bene fatto; una Chiesa, in definitiva, un po’ masochistica dal punto di vista storico.

Ma questa è la caratteristica del pontificato, che poi riflette la caratteristica del dibattito in corso. In futuro, sarà necessario che la Chiesa sappia riconciliarsi con la sua storia. Sarà necessario che il Papa che verrà non decida di essere dentro tutte le decisioni, e di approvarne personalmente alcune, che ritiene di particolare importanza per la sua storia personale. Meno personalismo, più Chiesa: questa è la sfida del futuro.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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