Il card. Zuppi ai vescovi: guardare con la speranza di Abramo

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Ieri il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha aperto i lavori del Consiglio Permanente della Cei che terminano mercoledì 25 settembre, affrontando molte tematiche, che hanno spaziato dal Giubileo al Sinodo dei Vescovi, dalla riforma della Cei all’emergenza educativa dei giovani, con un sentimento di vicinanza alle popolazioni della Romagna e delle Marche, colpite dall’alluvione di qualche giorno fa:

“Il nostro pensiero va a quanti sono stati colpiti dall’alluvione e dalle esondazioni in Emilia Romagna e nelle Marche. Ci stringiamo alle comunità locali che, a distanza di poco tempo, si trovano a vivere un altro dramma. Nelle parole dei nostri Fratelli Vescovi abbiamo ascoltato il grido di sofferenza delle persone ferite da questa nuova emergenza”.

Il presidente dei vescovi ha pregato ed ha ringraziato chi è impegnato in questa emergenza: “Preghiamo per quanti sono in angoscia, perché possano continuare a guardare con fiducia al domani, anche quando tutto sembra, ancora una volta, perduto. Insieme al ringraziamento alle Forze dell’Ordine, ai Vigili del Fuoco, alla Protezione Civile e ai volontari impegnati nei soccorsi alla popolazione, chiediamo alle Istituzioni di intervenire, con tempestività ed efficacia, a sostegno delle famiglie e del territorio che ha mostrato, di nuovo, tutta la sua fragilità: le accuse vicendevoli e i proclami lascino il posto a misure adeguate, scelte lungimiranti e azioni concrete”.

Il discorso introduttivo è stato uno sguardo al futuro: “E’ il valore di questi nostri appuntamenti, esercizio di responsabilità che personalmente sento come luogo decisivo di confronto fraterno, pensoso, collegiale. A molti, davanti al futuro, viene da abbassare lo sguardo, perché si presentano situazioni difficili, anzi inestricabili, tra cui tutte le guerre, come in Ucraina e in Terra Santa, delle quali portiamo nel cuore il dramma e il gemito della nuova creazione che solo la pace può permettere.

I nostri contemporanei scrutano inquieti il futuro e, senza speranza, si rifugiano facilmente nell’individualismo, non credono possibile un futuro migliore. Così abbassano lo sguardo per evitare di vedere. E’ un fenomeno di concentrazione su di sé e di estraniazione dai legami sociali”.

Un futuro che non può far a meno del presente, come Abramo: “Siamo chiamati al futuro. Non lo cerchiamo perché abbiamo accumulato garanzie sufficienti per il cammino o per la sicurezza che sarà senza problemi e fatiche. E’ sempre valido il monito di non prendere due tuniche, sapendo che non ci mancherà quanto ci servirà! Abramo si mette in cammino perché accoglie il Signore solo con un’indicazione e una promessa”.

Il futuro che Dio propone non è facile: “Il cammino dell’Amico di Dio non è rettilineo. C’è sofferenza, racchiusa nella drammatica domanda che sgorga dal cuore di Abramo di fronte alla promessa di Dio (‘la tua ricompensa sarà molto grande’). Abramo guarda la sua realtà e non può non esclamare: ‘Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco’.

E’ la domanda di molti (penso anche ai nostri sacerdoti e a quanti hanno a cuore le nostre comunità) di fronte ai frutti del loro servizio e alle difficoltà quotidiane: ‘Un mio domestico sarà mio erede’. Cioè la fatica a generare figli, che vuol dire futuro. La risposta di Dio ad Abramo angosciato, pur partito fiducioso e dopo aver tanto camminato, è la proposta di una visione… E’ il dono di una visione del futuro di un popolo numeroso come le stelle del cielo”.

Questa visione è propria dei martiri: “I martiri sono anche nostri contemporanei. Non hanno seguito l’idolatria dell’individualismo, del proprio io, del salvare sé stessi, delle ideologie totalitarie, pagane. L’8 agosto sono stato a Lucca per ricordare gli ottant’anni dell’uccisione di 28 sacerdoti e monaci per mano dei nazifascisti: colpiti in mezzo al popolo e per il popolo…

Così i martiri missionari per popoli lontani, che non conoscevano. Sono davvero semi di vita, testimonianza di speranza nel futuro. Mostrano che la Chiesa è comunità, famiglia di Dio, per cui vivere e dare la vita. Queste sono le vere radici delle nostre Chiese e ci indicano un atteggiamento forte, generoso, mite, per affrontare con fiducia le avversità.

Nella prolusione non è mancato un riferimento all’imminente viaggio papale in Lussemburgo ed in Belgio; “I viaggi del Papa ci spingono a mantenere uno sguardo ecclesiale anche al di là dei confini nazionali. In questi giorni si è parlato d’innovazione e d’investimenti per una economia europea moderna e sostenibile, con riferimenti anche al lavoro e alla demografia, lasciando intravvedere un nuovo ‘piano Marshall’, più ambizioso di quello del secondo Dopoguerra, rappresentando l’UE come destinata altrimenti a una lenta agonia. Nel frattempo, si sono definiti squadra e programma della nuova Commissione europea che, fra l’altro, prevede alcune nuove deleghe alla difesa, al Mediterraneo e alla questione abitativa. L’auspicio è che l’Europa resti fedele alla sua vocazione al dialogo e alla pace”.

E’ stato un invito a dare vita alla ‘Camaldoli per l’Europa: “Mentre si affrontano i problemi contingenti, mi piacerebbe che si aprisse una discussione più ampia: una ‘Camaldoli per l’Europa’ per parlare di democrazia ed Europa. Potrebbe essere anche l’occasione per riflettere sul contributo che oggi può provenire dai cattolici in primis, come anche dai cristiani di tutte le Confessioni, dai credenti delle diverse Comunità religiose oggi presenti in Europa, dagli umanisti che hanno a cuore la cultura del nostro Continente, per uno sviluppo di una coscienza comune, che allarghi i confini dei cuori e delle menti e non ceda al nichilismo della persona, con tutte le conseguenze che questo comporta, e a sovranismi egoistici. Un’Europa nel segno della ‘Fratelli tutti’, coesa e solidale al suo interno e aperta al mondo”.

Ecco una particolare attenzione all’emergenza educativa: “Come Chiesa ci sentiamo pienamente coinvolti e non smetteremo di mantenere alta l’attenzione, perché sono in gioco le persone, la loro realizzazione, la possibilità di vivere l’esistenza in pienezza… Sono necessari luoghi, fisici e non virtuali, in cui tornare a fare esperienza di gratuità e libertà personale e comunitaria. Penso, in modo particolare, al prezioso servizio degli Oratori, del dopo-scuola e di tante altre attività formative, che conservano intatta la loro attualità e chiedono un rilancio di progettualità e creatività”.

E’ stato un invito alle Istituzioni per un lavoro comunitario: “Dobbiamo lavorare, tutti insieme, per sradicare i semi dell’individualismo che soffoca la dimensione umana e disconosce la presenza degli altri. Non ci sono ricette facili, né risposte preconfezionate a buon mercato, ma non per questo dobbiamo cedere al pessimismo o al disfattismo che paralizza ogni tentativo di azione. L’orizzonte è quello della speranza, che non è un palliativo, una pacca sulle spalle, ma è consapevolezza che Dio illumina il cammino da compiere, perché Egli ama di amore eterno ed è sempre presente nella storia di ogni vivente. Non è ingenuità, è concretezza”.

Ed uno sguardo educativo è anche quello che guarda i poveri: “Nei percorsi educativi delle nostre comunità ed istituzioni il tratto distintivo deve essere la familiarità e il servizio ai poveri. Senza fare catechesi a nessuno, sono loro infatti a introdurre alle profondità della fede e dell’incontro con Gesù. Le nostre opere, iniziative, istituzioni, le nostre imprese in favore degli emarginati sono importanti. Ma tutte dovrebbero verificarsi nel confronto evangelico con la realtà del povero, dando valore al contatto personale con la sua persona. I poveri sono i fratelli più piccoli di Gesù, ma anche i nostri fratelli, i fratelli dei cristiani, segno eloquente della presenza del Signore”.

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