Enzo Romeo: sinodalità e vita camminano insieme

“La sinodalità è come la bicicletta. Solo se si pedala si resta in equilibrio e si fa strada. Se invece si resta fermi, si cade per terra”: è la metafora che Enzo Romeo, vaticanista del Tg2, adotta come filo conduttore del suo libro, ‘Camminare insieme, sinodalità e vita’, in cui cerca di spiegare che cos’è, dal suo punto di vista di giornalista credente, questa modalità di essere Chiesa. Nell’introduzione Enzo Romeo sottolinea che il camminare insieme ‘non è un esercizio facile’: “Soprattutto se ci è richiesto di condividere la strada con coloro che sentiamo estranei, o magari col me stesso che non accetto… Fare sinodo non è stare in un cerchio chiuso, ma esporsi al cambiamento della vita, uscire, andare incontro, accettando che le cose si modifichino per fare spazio all’altro. Sperando alla fine di riscoprire Dio, il grande desaparecido del nostro tempo”.
Ma ciò che più interessa ad Enzo Romeo è mettere in evidenza che la vita di fede, il cammino verso il Regno che la sinodalità richiama, si compie nella vita quotidiana, scegliendo una citazione, tratta dagli scritti di Madeleine Delbrél: “Questa donna, innamorata del Vangelo, assistente sociale che scelse di vivere in un sobborgo operaio di Parigi, affermava che la nostra vita, se ci affidiamo alla forza divina ‘la vedremo splendere mentre camminiamo per la strada, mentre accudiamo al nostro lavoro, sbucciamo i legumi, attendiamo una telefonata, spazziamo i pavimenti; la vedremo splendere tra due frasi del nostro prossimo, tra due lettere da scrivere, quando ci svegliamo e quando ci addormentiamo’… L’importante è non restare fermi”.
Allora, perché è necessario camminare insieme?
“Perché nessun uomo è un’isola, come diceva John Donne. Ognuno di noi è in relazione con gli altri, che piaccia o no. Tanto più nell’era della globalizzazione e delle interconnessioni. Il cristianesimo e la Chiesa danno, inoltre, un valore morale a questa dinamica: la presenza di Dio passa attraverso i miei fratelli e le mie sorelle, quindi non si può che procedere insieme sul cammino della Salvezza”.
Quale rapporto esiste tra vita e sinodalità?
“Se sinodalità significa camminare insieme, la declinazione di questo verbo (camminare) è innanzi tutto esistenziale. Va bene la riflessione teorica, gli ‘instrumenta laboris’, il confronto sinodale e via dicendo. Ma poi tutto va sperimentato. Il credente deve provare nel concreto ciò che significa sinodalità, per gustarne la bellezza oltre che la complessità”.
In quale modo fare sinodo nella vita quotidiana?
“Per cominciare bisogna, secondo me, cominciare dal proprio io interiore. Spesso facciamo fatica a camminare con noi stessi perché non ci accettiamo o perché non abbiamo messo bene a fuoco chi siamo, cosa vogliamo, quale è il nostro ruolo e quale senso dare alla nostra vita. Poi il cerchio si allarga: la famiglia, la comunità dei credenti (parrocchia, gruppi, associazioni…). Anche in questo ambito siamo chiamati a uno sforzo di accettazione, perché è facile camminare insieme a chi ci sta simpatico o a chi stimiamo, ma la sinodalità non la si realizza con i circoli chiusi o con le lobbies.
Ciò che ci viene chiesto è di camminare con tutti, con coloro che la Provvidenza ci pone a fianco e che magari sono le persone che non ci stanno a genio, quelle con le quali abbiamo avuto uno screzio, che sentiamo lontane o perfino nemiche. Se facciamo questi passi, allora potremo arrivare al pieno senso universale e quindi “cattolico” della sinodalità”.
Quale sfida attende i cattolici?
“Quella di ridare cittadinanza a Dio, che provocatoriamente nel libro chiamo ‘il grande desaparecido del nostro tempo’. Ovviamente Dio, che è l’Eterno, non sparisce mai e mai si stanca di aspettarci, come dice papa Francesco. Siamo noi che abbiamo provato a eliminarlo come facevano le dittature latinoamericane coi dissidenti, caricandoli su un aereo e lanciandoli nell’oceano. Ma Dio non può morire. Più siamo schiacciati dalla materialità delle cose, in questa società edonistica del mordi e fuggi e dell’usa e getta, più cresce dentro di noi la nostalgia dell’Assoluto, invisibile ma potente. La sfida è dunque questa: il ritorno della rilevanza divina nella vita delle donne e degli uomini di oggi”.
Quindi anche Dio è sinodale?
“Sì, possiamo dire così. Siamo monoteisti, ma il nostro è un Dio trinitario, non solitario. Dio ha un Figlio, Gesù, che si fa uomo e che comunica ininterrottamente col Padre per mezzo di una terza persona, lo Spirito Santo, capace di soffiare dove vuole. Per me non c’è esempio più grande di sinodalità”.
Quali antenne sono necessarie per comprendere il mondo?
“Nell’era del progresso scientifico e dell’intelligenza artificiale siamo portati a ritenere che tutto dipenda dai mezzi tecnici a nostra disposizione. Ma non è così. Se emettiamo note stonate non basteranno i più moderni strumenti a rimediare alla nostra cacofonia. Se invece abbiamo una buona novella da annunciare, allora basteranno le antenne del cuore per metterci in perfetta sintonia con gli altri. Come scrivo, se apriamo lo sguardo al cielo diverremo noi stessi delle antenne paraboliche e il nostro segnale sarà captato su qualunque frequenza d’onda”.