Aperte le Porte Sante nelle diocesi: vivere il Giubileo da figli di Dio

Al termine della recita del l’Angelus papa Francesco ha preso lo spunto dal Vangelo odierno per raccontare le esperienze familiari, invitando al reciproco ascolto: “Oggi festeggiamo la Santa Famiglia di Nazaret. Il Vangelo racconta di quando Gesù dodicenne, al termine del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, fu smarrito da Maria e Giuseppe, che lo ritrovarono dopo nel Tempio a discutere con i dottori”.
Infatti è quotidiana vita familiare il confronto tra genitori e figli, che può essere superato attraverso il dialogo: “E’ una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo. Fermiamoci a guardare questa famiglia. Sapete perché la Famiglia di Nazaret è un modello? Perché è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice”.
E la Madre di Dio non ‘rimprovera’ Gesù, anche se mostra la propria preoccupazione: “E’ bello quando una madre non inizia con il rimprovero, ma con una domanda. Maria non accusa e non giudica, ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe ‘non compresero ciò che aveva detto loro’, a dimostrazione che nella famiglia è più importante ascoltare che capire. Ascoltare è dare importanza all’altro, riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente. I figli hanno bisogno di questo. Pensate bene, voi genitori, ascoltate i figli hanno bisogno!”
Per questo il papa ha ‘sollecitato’ il dialogo in famiglia allo stesso modo della Santa famiglia: “Parlare, ascoltarsi, questo è il dialogo che fa bene e che fa crescere! La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe è santa. Eppure abbiamo visto che anche i genitori di Gesù non sempre capivano. Possiamo riflettere su questo, e non meravigliamoci se qualche volta in famiglia ci succede di non capirci… Quello che oggi possiamo imparare dalla Santa Famiglia è l’ascolto reciproco”.
Ma oggi in tutte le diocesi del mondo sono state aperte le ‘porte sante’ giubilari; a Roma la Porta Santa di San Giovanni in Laterano è stata aperta dal vicario generale della diocesi, card. Baldassarre Reina: “Con grande gioia abbiamo vissuto il gesto dell’apertura della Porta Santa nella nostra Cattedrale; con esso abbiamo voluto rinnovare la professione di fede in Cristo, Porta della nostra salvezza, confermando il nostro impegno a essere per ogni fratello e sorella segno concreto di speranza, aprendo la porta del nostro cuore attraverso sentimenti di misericordia, bontà e giustizia”.
Nella domenica dedicata alla Santa Famiglia il vicario generale ha rivolto un invito ad essere una ‘comunità domestica specchio della comunione trinitaria’: “L’invito che si leva da questa celebrazione è quello di riconoscerci come famiglia di Dio, chiamata a crescere nell’unità e nella carità reciproca e di sostenere con la preghiera tutte le famiglie, in particolare quelle provate da difficoltà e sofferenze. Il gesto simbolico di alcune famiglie che hanno varcato la Porta Santa accanto ai concelebranti rappresenta un’eloquente testimonianza di questa missione, che avvertiamo particolarmente urgente nel nostro tempo”.
Ed ha sottolineato l’importanza di essere ‘figli di Dio’: “Essere figli di Dio è una realtà fondativa che ci introduce in una relazione viva e trasformante con il Padre. La fede si configura come un’esperienza profonda di relazione, che ci inserisce nella dinamica della figliolanza divina. Questa verità esige una continua riscoperta, un ritorno incessante alla sorgente dell’amore paterno di Dio, che illumina il senso autentico del nostro essere e del nostro agire. In questa luce, la parabola del Padre misericordioso si offre come uno specchio nel quale siamo invitati a riconoscerci”.
Questo è il significato di essere ‘pellegrini di speranza’: “Vogliamo diventare pellegrini di speranza, di questa speranza, di un amore che non si stanca, di una salvezza ritrovata, di una famiglia ricostituita. Da quelle braccia aperte impariamo a essere chiesa, a divenirne il sacramento, famiglia del Dio che libera la nostra libertà verso il bene. Non esitiamo a varcare la Porta che conduce al cuore di Dio, immagine viva delle sue braccia spalancate per accoglierci. Entriamo con fiducia, gustiamo e contempliamo quanto è buono il Signore; e una volta sperimentata la gioia di questa appartenenza filiale, diventiamo instancabili seminatori di speranza e costruttori di fraternità”.
Quindi la Porta Santa è un invito a vivere da ‘figli di Dio’, che accoglie tutti: “E’ un invito a rispondere alla grazia di Dio con un cuore aperto, lasciandoci riconciliare dal suo abbraccio che ci restituisce dignità e ci rende capaci di costruire relazioni di fraternità autentica…
Pensiamo ai malati, ai carcerati, a chi è segnato dal dolore, dalla solitudine, dalla povertà o dal fallimento; a chi si è lasciato cadere le braccia per sconforto o mancanza di senso; a chi ha smesso di cercare le braccia del Padre perché chiuso in se stesso o nella sicurezza delle cose del mondo. In questo mondo lacerato da guerre, discordie e disuguaglianze tendiamo le braccia a tutti; facciamo in modo che attraverso le nostre braccia spalancate arrivi un riflesso dell’amore di Dio”.
Anche a Milano mons. Mario Delpini ha aperto la porta santa, riprendendo un versetto del vangelo dell’apostolo Giovanni con l’invito ai fedeli di riflettere sulla promessa della luce che splende nelle tenebre: “Il Giubileo è l’anno di grazia per dire che le tenebre possono essere vinte, che i peccati possono essere perdonati”.
Con un chiaro riferimento ai tanti conflitti in corso nel mondo, mons. Delpini ha riflettuto sul valore della sapienza: “La sapienza visita la terra, cioè il Verbo di Dio si è fatto carne e ha offerto la sua gioia. La sapienza che giocava al cospetto dell’Altissimo è la rivelazione della gioia nel far risplendere la gloria di Dio che riempie la terra. Il Verbo di Dio rivela il senso di tutte le cose, perché tutto è stato fatto in lui e rivela che ogni libertà è destinata alla gloria, cioè all’amore che rende capaci di amare.
Perché non ti lasci convincere dalla promessa della gioia? L’anno del Giubileo può essere, infatti l’anno della gioia, nella contemplazione del mistero di Dio rivelato da Gesù, nello stupore per le grandi opere che il Signore ha compiuto, nel cantico che magnifica il Signore”.
Infine il Giubileo è un auspicio per la pace: “Professiamo di credere nella promessa della pace che realizza una nuova alleanza e perciò ci mettiamo incammino come pellegrini di speranza, per sanare i conflitti che ci vedono coinvolti, per un’opera di riconciliazione che offre e chiede perdono, che si propone percorsi di riparazione per rimediare al male compiuto e alle divisioni create dall’avidità, dalla prepotenza, dalla stupidità”.
A Torino il card. Roberto Repole ha sottolineato la vita familiare di Gesù: “Una bellissima occasione per continuare a scendere in profondità nel mistero del Natale. Gesù non è soltanto nato, ma ha avuto bisogno di un contesto familiare per ricevere tutto ciò che è necessario ricevere dalla consuetudine e dalla tradizione. Per ricevere quella grammatica della lingua, degli affetti, della religione che gli ha permesso di sbocciare e di vivere la sua missione. E noi ci specchiamo un po’ nella famiglia di Nazareth per cogliere come sia importante anche oggi nella crescita di qualunque fanciullo, di qualunque ragazzo, di qualunque giovane, che ci sia ancora un contesto familiare che consegna delle consuetudini e delle tradizioni, senza le quali non si può diventare adulti, autonomi, non si può sbocciare.
E per consegnare delle consuetudini e delle tradizioni, per consegnare una grammatica affinché i più giovani possano imparare a parlare in modo autonomo, ci va tutta la tenacia che occorre per vivere dei legami familiari. Un conto è innamorarsi, un altro conto è amare. Per amare e rimanere nell’amore ci va molta pazienza, ci va molta tenacia”.
Questo passo evangelico è un brano importante per vivere la speranza del giubileo: “Forse non c’era Vangelo migliore di questo per introdurci nell’Anno giubilare della speranza. La speranza non è né l’ottimismo né il pessimismo; non è né l’illusione e neppure la delusione. La speranza è ciò che scaturisce nella vita quando si abita e si sta con Cristo nelle cose del Padre.
Ed allora si percepisce che, comunque vadano le cose, sia che vadano secondo i nostri bisogni o i nostri desideri sia che vadano in maniera inversa rispetto ai nostri bisogni e ai nostri desideri, possiamo sperare. Possiamo sperare perché la nostra vita è saldamente ancorata con Cristo nelle cose del Padre, perché noi siamo con Cristo lì, collocati nelle cose del Padre, nel cuore del Padre. Ha ragione papa Francesco, indicendo questo Anno della speranza: ci ha invitati a coltivarla sapendo che niente e nessuno ci potrà mai separare dall’amore di Dio”.
(Foto: Diocesi di Roma)