A San Paolo fuori le Mura la Comunità di Sant’Egidio ha festeggiato 57 anni
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Nella basilica di San Paolo fuori le Mura la Comunità di Sant’Egidio ha ‘festeggiato’ 57 anni di ‘vita’, nata nel 1968, a conclusione del Concilio Vaticano II, per iniziativa di Andrea Riccardi, in un liceo del centro di Roma. Con gli anni è divenuta una rete di comunità che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie e ai periferici, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell’ascolto del Vangelo e nell’impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace.
Per questa occasione il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, è stato ricevuto da papa Francesco, che ha ringraziato per l’impegno negli anni a favore dei poveri e, in particolare, in questo tempo difficile, per l’accoglienza e l’integrazione offerta ai migranti attraverso i corridoi umanitari, rallegrandosi, in modo particolare, per l’ultimo arrivo, in salvezza, di circa 140 profughi dalla Libia.
Nell’omelia della celebrazione eucaristica il card. Baldassarre Reina, vicario generale della diocesi di Roma, commentando le letture della liturgia, ha affermato: “In un tempo in cui sperimentiamo una solitudine, che è fonte di angoscia e sofferenza per tanti, è importante ribadire che non è bene che l’uomo sia solo, non è bene lasciare nessuno indietro: non possiamo accettare che nessuno sia schiacciato dalla povertà, dalla sofferenza, dalla malattia o da qualsiasi forma di disagio”.
Commentando il capitolo della Genesi sulla creazione il vicario generale ha riletto l’impegno della Comunità: “E rileggo in questa espressione l’impegno, il cammino, lo sforzo, la profezia della Comunità di Sant’Egidio, che ha creduto fortemente, e crede, nelle relazioni. Che vive nel promuovere queste relazioni, a tutti i livelli. E diventano relazioni di pace laddove ci sono i conflitti, purtroppo ancora oggi assai presenti e sanguinanti. Diventano relazioni diplomatiche, diventano relazioni tra le diverse fedi, tra le diverse sensibilità, tra le diverse religioni”.
Quindi è necessario ‘sentire’ la carne: “Sentire nostra la carne di tutta l’umanità, sentire nostra la fatica e la gioia di ogni essere che è sulla faccia della terra. Poter dire: questa è carne della mia carne. Non lo dice soltanto il marito alla moglie, l’uomo alla donna, ma lo dice ogni persona ritrovandosi davanti una creatura che gli è simile. Ed è il comandamento simile al primo: ama il prossimo tuo perché è come te stesso, perché è te stesso. Non è bene che l’uomo sia solo. Finalmente questa è carne della mia carne”.
Ed affrontando il tema giubilare ha citato don Tonino Bello: “Diceva don Tonino Bello: la speranza va organizzata. Ci vuole pazienza nel saper organizzare la speranza. Perché servono decisioni ferme, delle risposte puntuali, ma serve anche la pazienza di saper costruire futuro. Questo è un tempo che ha bisogno di persone, di uomini e donne che costruiscono futuro. Quella donna ha saputo aspettare.
Avrebbe potuto dire a se stessa: non ce la faccio, anche il Messia, anche il Signore mi ha girato le spalle, me ne vado. Ha saputo aspettare con pazienza, sotto la tavola. Ed è stata premiata: Per questa tua parola la tua figlioletta è guarita. Ed è, la parola di questa donna, una parola di fede e di pazienza, una parola coraggiosa, una parola umile, una parola forte”.
Infine un ringraziamento ma anche un invito a ‘guardare avanti’: “Ma l’anniversario nella logica cristiana è sempre l’occasione per guardare avanti. Perché la nostra non è una fede del passato, ma semmai una esperienza che getta lo sguardo sul futuro. Allora vogliamo chiedere al Signore, in questa celebrazione eucaristica, che continui ad accompagnare i passi della Comunità di Sant’Egidio, che continui a benedire questa Comunità così come ha fatto in questi 57 anni.
A tutti voi la gratitudine della nostra Chiesa, della Chiesa di Roma e, attraverso le mie parole, la gratitudine del Santo Padre. Ed è una gratitudine che vi responsabilizza, che vi chiede un impegno ancora maggiore”.
Al termine della celebrazione eucaristica il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha sottolineato la ‘responsabilità’ della speranza, fondata sull’ascolto della Parola di Dio: “Sentiamo la responsabilità di portare ‘la speranza che non delude’ e siamo consapevoli che solo con la forza dell’amicizia e del sostegno di tutti voi potremo essere all’altezza di questo compito. In questi anni abbiamo sempre cercato, in ascolto della Parola di Dio, ‘lampada ai nostri passi’, di non coltivare visioni di parte o ideologiche della vita e della vicenda storica”.
E la Parola di Dio si associa alla parola della libertà: “Abbiamo cercato di essere liberi dal guardare le situazioni in modo binario e contrapposto (come capita spesso nelle vicende dei conflitti) e dalla cultura del nemico, che vede tutto il male nell’altro. E di scoprire così risorse ed energie insospettate, liberandoci da un pessimismo scontato, nella riscoperta dei legami tra uomo e donna, tra i popoli, tra gente diversa. Con la convinzione di dover costruire giorno dopo giorno un destino comune da cui nessuno si senta escluso”.
Al termine della celebrazione è iniziata la festa con tutti i partecipanti: anziani in difficoltà, a cui Sant’Egidio è particolarmente vicino, persone senza dimora, alcuni dei quali usciti dalla strada grazie al sostegno della Comunità, persone con disabilità, molte delle quali inserite in percorsi artistici e lavorativi, i ‘nuovi italiani’ oggi integrati nel nostro paese e i rifugiati venuti con i corridoi umanitari. Ma anche un gruppo di profughi ucraini, toccati da un conflitto che proprio in questo mese sta arrivando dolorosamente ai suoi tre anni. La festa di Roma è stata la prima di tante altre che ci saranno negli oltre 70 Paesi in cui è presente Sant’Egidio, dall’Europa all’Africa, dall’Asia all’America Latina.
(Foto: Comunità di Sant’Egidio)