I problemi finanziari parte dell’eredità
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.03.2025 – Andrea Gagliarducci] – Al momento in cui scrivo, Papa Francesco è ancora in ospedale. Ha avuto alti e bassi e la sua prognosi è riservata, ma i resoconti ufficiali affermano che è al lavoro quando e come può, e la scorsa settimana il Vaticano ha persino prodotto le ricezioni [1].
Mentre Papa Francesco è in ospedale, la Santa Sede ha pubblicato il documento – un “chirografo” per le persone che lo seguono da casa, un termine che in origine si riferiva a un documento legale scritto a mano – con cui il Papa ha istituito la Commissio de donationibus pro Sancta Sede Commissione [QUI], commissione permanente dedicata alla raccolta di donazioni e offerte per la Sede Apostolica, che è più o meno esattamente ciò che il nome suggerisce. Composta da un presidente e quattro membri, la commissione ha il suo mandato all’interno dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, “il cui compito specifico sarà quello di incentivare le donazioni con apposite campagne presso i fedeli, le Conferenze Episcopali e altri potenziali benefattori, sottolineandone l’importanza per la Missione e per le opere caritative della Sede Apostolica, nonché reperire finanziamenti da volenterosi donatori per specifici progetti presentati dalle Istituzioni della Curia Romana e dal Governatorato dello Stato Città del Vaticano, ferme restando l’autonomia e le competenze proprie di ciascun Ente, secondo la normativa vigente”.
L’istituzione della commissione è un’ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, di una grave crisi strutturale delle finanze della Santa Sede.
Negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli interventi del Papa, chiedendo persino ai cardinali di reperire personalmente le donazioni necessarie [QUI], stabilendo che non ci sarebbero più stati appartamenti a prezzi calmierati nemmeno per i responsabili dei dicasteri e appaltando molte delle competenze finanziarie della Santa Sede a società di consulenza esterne [QUI]. Ma lo stato di crisi racconta anche un’altra storia. La promozione della Chiesa come “ospedale da campo” da parte di Papa Francesco non può funzionare. Al contrario, la risposta della Chiesa alle emergenze con le emergenze la lascia sempre più senza fiato.
Metaforicamente parlando, Papa Francesco era stato eletto – lo ha detto lui stesso, in diverse occasioni – con il mandato di riformare la Curia. Uno degli ambiti della riforma era proprio il settore finanziario, il primo in cui è intervenuto. Papa Francesco ha prima istituito due commissioni (la COSEA sull’amministrazione [2] e la CRIOR sullo IOR [3]). Poi ha avviato una grande riforma dell’economia della Santa Sede, che è stata messa nelle mani del Cardinale George Pell, all’epoca nominato Prefetto della Segreteria per l’Economia.
Questa riforma, tuttavia, ha gettato in crisi l’intero sistema finanziario della Santa Sede, che si basava su alcuni equilibri specifici. La Santa Sede è uno Stato peculiare, senza un vero mercato proprio né una bilancia commerciale che le consentisse di rafforzare l’economia. Le uniche entrate liquide provengono dai Musei Vaticani e dagli affitti degli immobili di proprietà dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e del Dicastero per l’Evangelizzazione. Altre entrate provengono dagli investimenti finanziari, concentrati dagli anni Trenta principalmente in immobili, attraverso quattro fondazioni collegate all’APSA e costituite in Francia, Svizzera e Inghilterra. La Segreteria di Stato ha visto la sua amministrazione chiamata a investire e creare patrimoni, con l’autonomia data agli enti governativi. Lo IOR, un piccolo istituto con 4,4 miliardi di euro di patrimonio e poco altro, aveva investimenti finanziari che creavano un profitto sicuro. Ogni dicastero riceveva alcune donazioni specifiche.
Il sistema funzionava, principalmente perché i bilanci funzionavano su un principio di mutuo soccorso. Nel 2015, i bilanci della Curia romana e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano sono stati pubblicati insieme per l’ultima volta. Il bilancio del Governatorato, che conteggiava le entrate dei Musei Vaticani, è stato utilizzato per coprire il deficit di bilancio della Curia romana, che non ha entrate ed è quasi interamente destinata agli stipendi dei dipendenti.
Non solo. L’Obolo di San Pietro, nato nel Medioevo come sostegno alla Sede Apostolica e dal XIX secolo il modo per i fedeli di tutto il mondo di sostenere l’attività del Papa, continua a subire le conseguenze di una cattiva gestione e di un marketing poco chiaro. Sostenere l’attività del Papa significa, in effetti, mantenere la macchina della Curia. Per decenni, tuttavia, l’Obolo di San Pietro ha sollecitato direttamente e indirettamente donazioni in tutto il mondo, pubblicizzando l’opportunità che offriva ai fedeli di contribuire all’opera caritatevole del Papa.
È, infatti, attraverso il governo della Chiesa che il Papa può distribuire aiuti e svolgere la sua missione. La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano non sono i fini del governo del Papa. Tuttavia, una cosa è che un padre di famiglia in difficoltà faccia una donazione con l’intesa che il Papa avrebbe trasferito la donazione ai più bisognosi del mondo, un’altra è che il Papa utilizzi le donazioni per tappare buchi nel bilancio operativo o addirittura investire le donazioni e utilizzare i proventi con discrezione.
La realtà è un po’ più complicata. Sono il mezzo del Papa, garantendo alla Chiesa una certa libertà. L’autonomia finanziaria ha permesso alla Chiesa di non dipendere da aiuti esterni, ma di poter provvedere autonomamente alle proprie necessità attraverso le proprie attività.
Come detto, il sistema prevedeva il mutuo soccorso e l’“aggiustamento” dei bilanci. Lo IOR, ad esempio, dava ogni anno un contributo volontario alla Curia romana per far quadrare i bilanci. Le donazioni venivano raccolte, certo, ed erano ben accette. Ma la Santa Sede era fatta per vivere da sola. Certo, c’erano delle difficoltà da risolvere. Come sempre accade nelle organizzazioni guidate da uomini, c’erano corruzione e ingenuità.
Ma bisognava anche considerare che la campagna mediatica contro le finanze della Santa Sede, scatenatasi in particolare negli ultimi anni del pontificato di Papa Benedetto XVI, era dovuta proprio al fatto che la Santa Sede aveva, passo dopo passo, creato un sistema finanziario autonomo, funzionale e internazionalmente riconosciuto. In realtà, Papa Benedetto XVI aveva avviato processi di riforma che avevano anche sganciato la Santa Sede dal privilegiato rapporto bilaterale con l’Italia [QUI], proiettandola invece tra le nazioni virtuose d’Europa.
Basterebbe leggere i resoconti del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa di quegli anni, per rendersi conto del lavoro svolto dalla Santa Sede e di quanto fosse notevolmente all’avanguardia. Perché allora questo lavoro di costruzione è stato attaccato?
Innanzitutto, sembra che l’influenza dell’opinione pubblica sia stata fondamentale e poi sia ricaduta sul desiderio un po’ propagandistico di Papa Francesco di avere una Chiesa “povera per i poveri”. Questo slogan funziona solo quando non si sa davvero come funziona una macchina complessa come la Chiesa e la sua carità. La Chiesa è povera perché non tiene nulla per sé. Ma non può essere povera nella struttura, nell’organizzazione o nella professionalità.
Come risultato di questa influenza, sono state create commissioni con membri esterni alla Santa Sede e sono state raccolte consulenze da entità che trattavano la Santa Sede non come uno Stato ma come un’istituzione finanziaria. Sono stati quindi applicati i controlli e gli equilibri delle istituzioni finanziarie, ma tutti i bilanci sono stati separati per una pulizia contabile che ha causato sofferenze finanziarie.
La Santa Sede ha disinvestito da alcuni investimenti che sollevano alcune questioni etiche. Il disinvestimento e il reinvestimento, però, hanno coinvolto anche investimenti etici con buoni redditi che sono stati sostituiti da altri che non garantivano gli stessi redditi. Inoltre, il disinvestimento comporta perdite finanziarie perché si pagano penali per il disinvestimento.
Ci troviamo quindi di fronte a un patrimonio che perde valore e che è difficile da gestire, mentre le riforme finanziarie sono andate avanti e indietro frequentemente in questi dieci anni. Basti pensare che l’APSA è stata spogliata dei suoi poteri, che poi sono stati restituiti, cosa che era già all’inizio della riforma [QUI] (con il Motu proprio I beni temporali del 2016). Anche un contratto di revisione contabile ha dovuto essere modificato, perché dava accesso ai conti dello Stato che nessuno Stato avrebbe mai accettato [QUI].
Ma tutto questo è successo perché il Papa ha lasciato che due mondi si scontrassero, non ha dato un indirizzo preciso al governo, e poi ha scelto la strategia più dettata dall’opinione pubblica. Cioè, quella della speculazione finanziaria, dei professionisti esterni, del taglio dei rami istituzionali. Da qui nasce la grande stagione dei processi vaticani, che dimostra – tra le altre cose – un Papa che interviene con forza nella microgestione, indicando addirittura alla Segreteria di Stato, ad esempio, come chiudere l’affare del palazzo di lusso nel centro di Londra, salvo poi accettare che tutti i protagonisti di quella vicenda vadano a processo, anche quelli che avevano agito secondo le sue direttive.
Tuttavia, la distruzione del sistema non ha portato a una Santa Sede più trasparente, nonostante i bilanci che ormai vengono pubblicati ogni anno da IOR, APSA e Santa Sede, in cui vengono certificati gli alti e bassi della gestione. Lo IOR, ad esempio, non ha mai ripetuto l’utile record di 86,6 milioni che aveva avuto nel 2012, l’ultimo anno prima della gestione dell’attuale pontificato.
Il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato nasce proprio dal rifiuto del vecchio sistema di mutuo soccorso tra dicasteri e istituti finanziari. La denuncia arriva dallo IOR, che prima accetta e poi improvvisamente rifiuta di erogare un prestito alla Segreteria di Stato che, tra l’altro, sarebbe stato restituito con gli interessi.
Tutto questo sistema è stato smantellato da una cattiva gestione e da un’idea finanziaria che non considera le peculiarità della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Così, siamo tornati al Medioevo: la Santa Sede deve mantenersi con donazioni esterne, e serve persino una commissione ad hoc. Tuttavia, l’Obolo di San Pietro aveva già quel compito – e comunque dava parte del ricavato a persone in povertà.
Non solo. Il bilancio del Fondo Pensioni Vaticano, l’unico in attivo perché composto da soldi versati dai dipendenti (che restano soldi dei dipendenti) [QUI], non è mai stato pubblicato, e questo apre al rischio che il Fondo possa essere utilizzato anche per colmare buchi di bilancio.
E ancora: si stanno dismettendo gli immobili storici della Santa Sede, molti edifici delle Nunziature Apostoliche sono state vendute o sono in vendita, le rappresentanze diplomatiche della Santa Sede stanno perdendo le loro sedi e sono costrette, invece, a ricorrere a soluzioni che, non essendo di proprietà, possono essere solo temporanee. Si cancella così anche l’opera di Papa Pio XI, che ha utilizzato i primi soldi della Conciliazione proprio per ristrutturare e dare nuova forza alle rappresentanze pontificie [QUI].
Di fatto, si è eroso un pezzo di storia, come si è eroso l’indipendenza della Santa Sede. Essa resta uno Stato sovrano con gravi carenze strutturali. Dipende dalle donazioni dei fedeli, tornando a una situazione simile a quella con la fine dello Stato Pontificio nel XIX secolo.
Ricostruire il sistema sarà difficile, come sarà difficile vedere le responsabilità di chi ha accettato e promosso questo cambio di mentalità. Nel frattempo, il patrimonio verrà venduto, pezzo per pezzo, per coprire i buchi di bilancio. Il reddito che derivava da ogni pezzo andrà perso, portando ad una sempre maggiore esposizione per la Santa Sede.
[1] La cronistoria dei Comunicati della Sala Stampa della Santa Sede viene aggiornato in fondo dell’articolo [QUI]
[2] La Pontificia Commissione Referente di Studio e di Indirizzo sull’Organizzazione della Struttura Economico-amministrativa (COSEA) venne istituita da Papa Francesco il 18 luglio 2013, al fine di raccogliere informazioni, in cooperazione con il Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, con lo scopo di preparare le riforme delle istituzioni curiali, finalizzate “ad una semplificazione e razionalizzazione degli Organismi esistenti e ad una più attenta programmazione delle attività economiche di tutte le amministrazioni vaticane”.
[3] La Pontificia Commissione Referente sullo IOR (CRIOR) venne istituita da Papa Francesco Il 24 giugno 2013, allo scopo di conoscere in modo più approfondito la posizione giuridica dell’Istituto per le Opere di Religione e permettere una sua migliore “armonizzazione” con “la missione universale della Sede Apostolica. Era un organismo che avevo come obiettivo di studiare la situazione nel quadro delle riforme utili alla Santa Sede.