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Papa Francesco: impariamo ad adorare Dio nella ‘piccolezza’

“…nei Vangeli dell’infanzia di Gesù c’è un episodio che è proprio della narrazione di Matteo: la visita dei Magi. Attratti dalla comparsa di una stella, che in molte culture è presagio della nascita di persone eccezionali, alcuni sapienti si mettono in viaggio dall’oriente, senza conoscere esattamente la meta del loro andare. Si tratta dei Magi, persone che non appartengono al popolo dell’alleanza. La volta scorsa abbiamo parlato dei pastori di Betlemme, emarginati nella società ebraica perché ritenuti ‘impuri’; oggi incontriamo un’altra categoria, gli stranieri, che arrivano subito a rendere omaggio al Figlio di Dio entrato nella storia con una regalità del tutto inedita. I Vangeli ci dicono dunque chiaramente che i poveri e gli stranieri sono invitati tra i primi a incontrare il Dio fatto bambino, il Salvatore del mondo”.

Questo è l’inizio della catechesi dell’udienza generale sul tema giubilare ‘Gesù Cristo nostra speranza… La visita dei Magi al Re neonato’, che papa Francesco avrebbe dovuto tenere oggi ed annullata a causa del ricovero al Policlinico Gemelli. Nel testo il papa ha sviluppato la riflessione sui Magi: “I Magi sono stati considerati come rappresentanti sia delle razze primigenie, generate dai tre figli di Noè, sia dei tre continenti noti nell’antichità: Asia, Africa ed Europa, sia delle tre fasi della vita umana: giovinezza, maturità e vecchiaia. Al di là di ogni possibile interpretazione, essi sono uomini che non restano fermi ma, come i grandi chiamati della storia biblica, sentono l’invito a muoversi, a mettersi in cammino. Sono uomini che sanno guardare oltre sé stessi, sanno guardare in alto”.

Però questa attrazione verso l’alto si scontra con la ‘scaltrezza’ terrena: “L’attrazione per la stella sorta nel cielo li mette in marcia verso la terra di Giuda, fino a Gerusalemme, dove incontrano il re Erode. La loro ingenuità e la loro fiducia nel chiedere informazioni circa il neonato re dei Giudei si scontra con la scaltrezza di Erode, il quale, agitato dalla paura di perdere il trono, subito cerca di vederci chiaro, contattando gli scribi e chiedendo a loro di investigare”.

Però il potere mostra la debolezza nella visione della realtà: “Il potere del regnante terreno mostra in tal modo tutta la sua debolezza. Gli esperti conoscono le Scritture e riferiscono al re il luogo dove, secondo la profezia di Michea, sarebbe nato il capo e pastore del popolo d’Israele: la piccola Betlemme e non la grande Gerusalemme!”

L’azione dei Magi è un invito alla ricerca di Dio: “Tuttavia gli scribi, che sanno individuare esattamente il luogo di nascita del Messia, indicano la strada agli altri ma loro stessi non si muovono! Non basta, infatti, conoscere i testi profetici per sintonizzarsi con le frequenze divine, bisogna lasciarsi scavare dentro e permettere che la Parola di Dio ravvivi l’anelito alla ricerca, accenda il desiderio di vedere Dio”.

In tutto ciò il pensiero di Erode diventa ‘diabolico’: “A questo punto Erode, di nascosto, come agiscono gli ingannatori e i violenti, chiede ai Magi il momento preciso della comparsa della stella e li incita a proseguire il viaggio e a tornare poi a dargli notizie, perché anche lui possa andare ad adorare il neonato. Per chi è attaccato al potere, Gesù non è la speranza da accogliere, ma una minaccia da eliminare!”

Inoltre il racconto evangelico è anche un invito a porre attenzione ai segni del creato: “Quando i Magi ripartono, la stella riappare e li conduce fino a Gesù, segno che il creato e la parola profetica rappresentano l’alfabeto con cui Dio parla e si lascia trovare. La vista della stella suscita in quegli uomini una gioia incontenibile, perché lo Spirito Santo, che muove il cuore di chiunque cerca Dio con sincerità, lo colma pure di gioia”.

Attenzione che si trasforma in adorazione: “Entrati in casa, i Magi si prostrano, adorano Gesù e gli offrono doni preziosi, degni di un re, degni di Dio… Perché? Cosa vedono? I Magi diventano così i primi credenti tra tutti i pagani, immagine della Chiesa adunata da ogni lingua e nazione”.

In conclusione il papa ha invitato ad adorare Dio nella ‘piccolezza’: “Cari fratelli e sorelle, mettiamoci anche noi alla scuola dei Magi, di questi ‘pellegrini di speranza’ che, con grande coraggio, hanno rivolto i loro passi, i loro cuori e i loro beni verso Colui che è la speranza non solo d’Israele ma di tutte le genti. Impariamo ad adorare Dio nella sua piccolezza, nella sua regalità che non schiaccia ma rende liberi e capaci di servire con dignità. E offriamogli i doni più belli, per esprimergli la nostra fede e il nostro amore”.

Mentre dalla Sala Stampa vaticana si è precisato che anche questa notte è stata tranquilla per il papa: “Nei prossimi giorni potrebbe essere organizzata una conferenza stampa sulle condizioni di salute del Pontefice”, nonostante una situazione complessa.

(Foto: immagine di repertorio)

A San Paolo fuori le Mura la Comunità di Sant’Egidio ha festeggiato 57 anni

Nella basilica di San Paolo fuori le Mura la Comunità di Sant’Egidio ha ‘festeggiato’ 57 anni di ‘vita’, nata nel 1968, a conclusione del Concilio Vaticano II, per iniziativa di Andrea Riccardi, in un liceo del centro di Roma. Con gli anni è divenuta una rete di comunità che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie e ai periferici, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell’ascolto del Vangelo e nell’impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace.

Per questa occasione il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, è stato ricevuto da papa Francesco, che ha ringraziato per l’impegno negli anni a favore dei poveri e, in particolare, in questo tempo difficile, per l’accoglienza e l’integrazione offerta ai migranti attraverso i corridoi umanitari, rallegrandosi, in modo particolare, per l’ultimo arrivo, in salvezza, di circa 140 profughi dalla Libia.

Nell’omelia della celebrazione eucaristica il card. Baldassarre Reina, vicario generale della diocesi di Roma, commentando le letture della liturgia, ha affermato: “In un tempo in cui sperimentiamo una solitudine, che è fonte di angoscia e sofferenza per tanti, è importante ribadire che non è bene che l’uomo sia solo, non è bene lasciare nessuno indietro: non possiamo accettare che nessuno sia schiacciato dalla povertà, dalla sofferenza, dalla malattia o da qualsiasi forma di disagio”.

Commentando il capitolo della Genesi sulla creazione il vicario generale ha riletto l’impegno della Comunità: “E rileggo in questa espressione l’impegno, il cammino, lo sforzo, la profezia della Comunità di Sant’Egidio, che ha creduto fortemente, e crede, nelle relazioni. Che vive nel promuovere queste relazioni, a tutti i livelli. E diventano relazioni di pace laddove ci sono i conflitti, purtroppo ancora oggi assai presenti e sanguinanti. Diventano relazioni diplomatiche, diventano relazioni tra le diverse fedi, tra le diverse sensibilità, tra le diverse religioni”.

Quindi è necessario ‘sentire’ la carne: “Sentire nostra la carne di tutta l’umanità, sentire nostra la fatica e la gioia di ogni essere che è sulla faccia della terra. Poter dire: questa è carne della mia carne. Non lo dice soltanto il marito alla moglie, l’uomo alla donna, ma lo dice ogni persona ritrovandosi davanti una creatura che gli è simile. Ed è il comandamento simile al primo: ama il prossimo tuo perché è come te stesso, perché è te stesso. Non è bene che l’uomo sia solo. Finalmente questa è carne della mia carne”.

Ed affrontando il tema giubilare ha citato don Tonino Bello: “Diceva don Tonino Bello: la speranza va organizzata. Ci vuole pazienza nel saper organizzare la speranza. Perché servono decisioni ferme, delle risposte puntuali, ma serve anche la pazienza di saper costruire futuro. Questo è un tempo che ha bisogno di persone, di uomini e donne che costruiscono futuro. Quella donna ha saputo aspettare.

Avrebbe potuto dire a se stessa: non ce la faccio, anche il Messia, anche il Signore mi ha girato le spalle, me ne vado. Ha saputo aspettare con pazienza, sotto la tavola. Ed è stata premiata: Per questa tua parola la tua figlioletta è guarita. Ed è, la parola di questa donna, una parola di fede e di pazienza, una parola coraggiosa, una parola umile, una parola forte”.

Infine un ringraziamento ma anche un invito a ‘guardare avanti’: “Ma l’anniversario nella logica cristiana è sempre l’occasione per guardare avanti. Perché la nostra non è una fede del passato, ma semmai una esperienza che getta lo sguardo sul futuro. Allora vogliamo chiedere al Signore, in questa celebrazione eucaristica, che continui ad accompagnare i passi della Comunità di Sant’Egidio, che continui a benedire questa Comunità così come ha fatto in questi 57 anni.

A tutti voi la gratitudine della nostra Chiesa, della Chiesa di Roma e, attraverso le mie parole, la gratitudine del Santo Padre. Ed è una gratitudine che vi responsabilizza, che vi chiede un impegno ancora maggiore”.

Al termine della celebrazione eucaristica il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha sottolineato la ‘responsabilità’ della speranza, fondata sull’ascolto della Parola di Dio: “Sentiamo la responsabilità di portare ‘la speranza che non delude’ e siamo consapevoli che solo con la forza dell’amicizia e del sostegno di tutti voi potremo essere all’altezza di questo compito. In questi anni abbiamo sempre cercato, in ascolto della Parola di Dio, ‘lampada ai nostri passi’, di non coltivare visioni di parte o ideologiche della vita e della vicenda storica”.

E la Parola di Dio si associa alla parola della libertà: “Abbiamo cercato di essere liberi dal guardare le situazioni in modo binario e contrapposto (come capita spesso nelle vicende dei conflitti) e dalla cultura del nemico, che vede tutto il male nell’altro. E di scoprire così risorse ed energie insospettate, liberandoci da un pessimismo scontato, nella riscoperta dei legami tra uomo e donna, tra i popoli, tra gente diversa. Con la convinzione di dover costruire giorno dopo giorno un destino comune da cui nessuno si senta escluso”.

Al termine della celebrazione è iniziata la festa con tutti i partecipanti: anziani in difficoltà, a cui Sant’Egidio è particolarmente vicino, persone senza dimora, alcuni dei quali usciti dalla strada grazie al sostegno della Comunità, persone con disabilità, molte delle quali inserite in percorsi artistici e lavorativi, i ‘nuovi italiani’ oggi integrati nel nostro paese e i rifugiati venuti con i corridoi umanitari. Ma anche un gruppo di profughi ucraini, toccati da un conflitto che proprio in questo mese sta arrivando dolorosamente ai suoi tre anni. La festa di Roma è stata la prima di tante altre che ci saranno negli oltre 70 Paesi in cui è presente Sant’Egidio, dall’Europa all’Africa, dall’Asia all’America Latina.

(Foto: Comunità di Sant’Egidio)

I Missionari Scalabriniani al fianco della Conferenza episcopale USA: No alle deportazioni

La Direzione Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo – Scalabriniani esprime piena solidarietà alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti e al suo presidente, Mons. Timothy Broglio, per la loro chiara posizione in difesa della dignità e dei diritti dei migranti.

In una lettera indirizzata a Mons. Broglio, Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale della Congregazione, insieme a Padre Horecio Carlos Anklan, Superiore Provinciale della Provincia di San Carlo Borromeo e a Padre Giovanni Battista Bizzotto, Superiore Provinciale della Provincia di San Giovanni Battista, hanno manifestato forte preoccupazione per le recenti misure restrittive, che colpiscono chi cerca rifugio e nuove opportunità di vita.

“Abbiamo seguito con profonda apprensione la decisione dell’amministrazione Trump di intensificare le deportazioni di massa, autorizzando persino le forze dell’ordine a eseguire retate in chiese, ospedali e scuole, luoghi che la tradizione umana e cristiana riconosce come rifugi sacri per i bisognosi. In questo contesto, ci uniamo alla vostra voce per ribadire che la protezione dei migranti e dei rifugiati non è un’opzione, ma un dovere morale”, ha affermato Padre Leonir Chiarello.

Da 138 anni, i Missionari Scalabriniani operano al fianco dei migranti negli Stati Uniti e in altri 35 Paesi, accompagnandoli nei percorsi di integrazione attraverso parrocchie, centri di accoglienza e assistenza legale e pastorale. “Conosciamo i volti di questi uomini, donne e bambini. Sappiamo delle loro notti insonni, delle paure per il domani, delle lacrime versate per le famiglie divise. Ma sappiamo anche della loro forza, della loro voglia di lavorare, del loro desiderio di contribuire al bene comune”, ha continuato Padre Leonir Chiarello.

Accogliere e governare i flussi migratori con giustizia e umanità è una necessità imprescindibile. “La Chiesa riconosce il diritto e il dovere degli Stati di regolamentare le migrazioni, ma filtrare non significa respingere indiscriminatamente. Un’affluenza incontrollata può creare instabilità sociale, ma una chiusura cieca alimenta solo sofferenza e ingiustizia. Le politiche attuali rischiano di trasformare le famiglie in bersagli, di marginalizzare ulteriormente i più deboli e di minare la coesione della società americana”, ha sottolineato Padre Leonir Chiarello.

Da decenni, i Missionari Scalabriniani partecipano attivamente al dibattito sulle politiche migratorie statunitensi, attraverso il Center for Migration Studies di New York (CMS) e lo Scalabrini International Migration Network (SIMN), promuovendo una governance che tenga insieme legalità, diritti e inclusione.

Richiamando il passo biblico della Genesi, Padre Leonir Chiarello ha ricordato che la domanda di Dio a Caino – “Dov’è tuo fratello?” – interpella le coscienze di oggi. “Oggi la voce dei migranti respinti, perseguitati, deportati, risuona nelle nostre coscienze. Non possiamo restare indifferenti e chiudere i nostri cuori alla sofferenza di chi bussa alle nostre porte”.

In tutto il mondo i Missionari Scalabriniani portano avanti l’insegnamento di San Giovanni Battista Scalabrini, che vedeva in ogni migrante un fratello e una sorella da accogliere, proteggere e accompagnare. Con questo spirito, la Congregazione intende rafforzare la collaborazione con la Chiesa americana, lavorando insieme alla Conferenza Episcopale e alle diocesi in cui è presente per costruire percorsi di integrazione che garantiscano dignità e diritti, offrendo alternative concrete alle politiche di chiusura.

Nel rinnovare la propria vicinanza alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, la Direzione Generale dei Missionari Scalabriniani ribadisce il proprio impegno concreto e sinodale per una società più giusta e solidale, con la certezza che il Signore non abbandona chi opera per la giustizia.

Il monastero Santa Rita da Cascia ha una nuova vicaria: suor Maria Giacomina Stuani

E’ suor Maria Giacomina Stuani la nuova Vicaria delle agostiniane di Santa Rita da Cascia, nominata per volere delle sue consorelle, impegnate nel Capitolo elettivo per l’intera settimana, alla presenza del Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino, Padre Alejandro Moral Anton.

Classe 1960, arriva dall’Alto Montovano nel monastero ritiano, dove vive da 26 anni. Chiamata dal Signore, proprio partecipando a un corso vocazionale delle monache di Cascia e parlando della sua inquietudine con la monaca da cui oggi eredita il ruolo di Vicaria, ha le risposte e pronuncia il suo sì.

In questi ultimi otto anni è stata l’economa della Comunità, occupandosi anche dell’accoglienza vocazionale e di quella nei parlatori per devoti e pellegrini. Inoltre è direttrice editoriale della Rivista di Santa Rita “Dalle Api alle Rose”, il bimestrale che da oltre 100 anni unisce la famiglia di devoti ritiani in tutto il mondo, essendo oggi diffusa in 7 lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, polacco e portoghese) e spedita dalle agostiniane in 250.000 copie.

Dal Capitolo delle monache, che prosegue per l’intera settimana al fine di definire il consiglio e tutti i ruoli, arrivano anche i ringraziamenti colmi di gratitudine per suor Maria Rosa Bernardinis, priora uscente per i suoi otto anni di ufficio continuativo, e suor Maria Natalina Todeschini, vicaria uscente che, in diversi mandati, da oltre 20 anni è punto di riferimento per il monastero.  

Fabio Rocchi: a Roma tutto pronto per accogliere i pellegrini del Giubileo

Tra i tanti primati l’Italia conserva saldamente anche quello della ricettività religiosa e no-profit, in un settore dell’accoglienza dedicato a spiritualità, turismo, lavoro e studio: una potenzialità unica al mondo che, secondo il ‘Rapporto 2024’ dell’Associazione ‘Ospitalità Religiosa Italiana’, è rappresentato da quasi 3.000 strutture ricettive che mettono a disposizione ogni giorno 200.000 posti letto. Il 45% è gestito direttamente da religiosi/e, mentre il 38%, pur di proprietà religiosa, è di fatto gestito da laici impegnati.

Iniziato da pochi giorni il Giubileo abbiamo incontrato il presidente dell’associazione ‘Ospitalità Religiosa Italiana’, Fabio Rocchi, per comprendere se è tutto pronto per l’accoglienza dei pellegrini: “In Italia, si sa, tutto è pronto anche quando non è pronto. Certamente la città di Roma si troverà con lavori che si protrarranno anche dopo l’inizio del Giubileo, ma almeno per il settore religioso dell’ospitalità possiamo dire che tutto è pronto. D’altronde già negli ultimi anni l’afflusso è particolarmente vivace in queste strutture, per cui c’è una certa abitudine ad affrontare grossi numeri”.

Come sarà l’accoglienza durante il Giubileo?

 “Le strutture religiose già abitualmente dedite all’ospitalità, non faranno nulla di diverso da come già operano tutti i giorni: aprire le porte all’accoglienza è la loro missione. Quello che probabilmente rappresenterà la singolarità sarà il tipo di pellegrino che si troveranno ad ospitare. Normalmente si tratta di un ospite che coniuga fede e lavoro o fede e turismo, già edotto nel viaggiare, abituato ad adattarsi ad ogni situazione. Per il Giubileo prevediamo che gran parte degli arrivi riguarderà fedeli che non sarebbero mai giunti da noi se non vi fosse stato questo evento a stimolare la loro presenza.

Ci sarà una costanza del tutto esaurito durante l’anno. Si tratterà quindi di mantenere degli standard organizzativi per lungo tempo, anche se le comunità religiose non vi sono abituate. L’aiuto dei laici e dei volontari in questo caso sarà fondamentale per sostenere le attività di accoglienza, sempre finalizzate, bisogna dirlo, al reperimento di risorse per le attività caritatevoli, assistenziali, sociali e missionarie gestite da ordini, congregazioni, diocesi e parrocchie”.

I ‘numeri’ sono soddisfacenti?

“L’ospitalità religiosa conta a Roma circa 25.000 posti letto suddivisi in 350 strutture. Sono i primi posti ad essere richiesti dai pellegrini, perché molto più abbordabili di un albergo. Nel nostro circuito una camera doppia con colazione costa mediamente € 80 contro € 180 della media alberghiera (dato Italia Hotel Monitor). E’ quindi facile intuire che ad oggi i numeri siano molto ampi, ma la gioia sta nel comprendere come questo approccio porti a Roma quei pellegrini che altrimenti non si sarebbero potuti permettere il viaggio.

I numeri più in ‘bilico’ sono invece quelli per il Giubileo dei Giovani, quando la massa di arrivi sarà difficilmente governabile. Per questo avevamo chiesto a Regione Lazio se fosse possibile adibire per qualche giorno a dormitori le molte sale-riunioni presenti nelle strutture religiose, ma le condizioni poste sono state talmente restrittive che si è dovuto rinunciare”.

Quale opportunità offre il portale dell’associazione ‘Ospitalità religiosa italiana?

“Il nostro scopo non è commerciale ma solo di incentivare l’uso di queste strutture ricettive. Per facilitare il compito agli utenti, è possibile inserire i più svariati filtri di ricerca, così da individuare e contattare direttamente i gestori delle strutture con le caratteristiche più adatte alle proprie necessità. Il portale non percepisce commissioni e quindi il pellegrino gode di un ulteriore vantaggio economico. Se poi si tratta di un gruppo che necessita di un’assistenza nella ricerca, abbiamo anche questa possibilità”.

‘Per venire incontro alle esigenze di quanti arriveranno a Roma, ha pubblicato un Vademecum in 10 lingue con le istruzioni per l’uso per i pellegrini, in modo che prenotazioni, attività e permanenza siano le più agevoli possibile’. Perchè un vademecum per i pellegrini?

Nei contatti di questi mesi è emersa la spasmodica ricerca di soluzioni di soggiorno, soprattutto per i gruppi provenienti dall’estero. Questo può aprire la strada a scelte avventate o -peggio- correre il rischio di mettersi nelle mani di avventurieri dell’ultimo minuto. Ci siamo chiesti come potevamo aiutare questi pellegrini nella gestione del soggiorno, per dare loro la massima serenità. Così è nato il nostro Vademecum per il Giubileo.

Quali consigli per vivere ‘bene’ il Giubileo?

“Essere pragmatici nell’organizzazione è certamente il viatico per un pellegrinaggio sereno. Viaggio, trasferimenti, soggiorno, pasti, ingressi, sono tutte voci che vanno studiate attentamente molto prima di partire. Difficoltà e imprevisti emergono sempre quando qualche dettaglio è stato lasciato al caso. E spesso una distrazione si paga a caro prezzo. Quindi il consiglio è di affidarsi ad organizzatori competenti, conosciuti e che abbiamo la giusta dose di esperienza su Roma”.

(Tratto da Aci Stampa)

‘Includiamoci – Giustizia con Misericordia’: incontro ad Ugento

La Diocesi Ugento – S. Maria di Leuca attraverso la Caritas diocesana, comunica che oggi alle ore 18.30, presso la Cattedrale di Ugento, si svolgerà l’incontro pubblico: ‘PROGETTO IncludiAMOci – GIUSTIZIA CON MISERICORDIA’.

L’evento si inserisce in preparazione della festa di San Vincenzo, il 22 gennaio, patrono della Diocesi, considerato il più insigne dei martiri spagnoli, martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano, tra il 304 e il 306. Vincenzo, subì il duro carcere e il martirio, nella città di Valencia, nelle parole del poeta, Aurelio Prudenzio Clemente, canta della presenza del Signore nel duro carcere ……  ”Il carcere .si illumina; strani profumi sostituiscono i fetidi vapori; il suolo si ricopre di fiori; si spezzano i ceppi e le catene; si ode il battito di ali angeliche e il martire riceve le liete ambasciate dei beati”. (dal Peristephanon )

Papa Francesco nella bolla “Spes non confundit” di annuncio del Giubileo ha espresso la volontà di aprire la Porta Santa in un carcere, come è poi avvenuto (è stata la seconda) nel carcere di Rebibbia a Roma: “Come segno di speranza per recuperare fiducia in sé stessi e ritrovare la stima e la solidarietà della società”.

L’incontro, moderato da Don Lucio CIARDO – Direttore della Caritas diocesana,  è l’ occasione per  illustrare i risultati raggiunti nell’attuazione del progetto, sostenuto da Caritas Italiana e Intesa San Paolo per il Sociale, inizia con  il saluto istituzionale di Salvatore CHIGA, Sindaco di Ugento, proseguirà con gli interventi di Rocco PEZZULLO, Caritas Italiana, Paolo BONASSI, Intesa Sanpaolo Chief Social Impact Officer, Antonella ATTANASIO, Referente ambito Giustizia Caritas Ugento – S. Maria di Leuca – “Sportello VI Opera”, Giuseppe SANTORO, Dirigente Penitenziario UDEPE, Padre Angelo DE PADOVA, Cappellano Casa Circondariale Borgo San Nicola a Lecce, Luogotente Alessandro BORGIA, Comandante Stazione Carabinieri Ugento e con le conclusioni di Mons. Vito ANGIULI, Vescovo di Ugento – S. Maria di Leuca.

Dal 2020, la Caritas Diocesana ha stilato una Convenzione con il Tribunale di Lecce, alla luce del protocollo tra Caritas Italiana e Ministero di Grazia e Giustizia, per l’accoglienza di persone coinvolte in misure di esecuzione penale esterna. Negli anni alcune parrocchie della Diocesi, hanno accolto queste persone senza un coordinamento che tenesse traccia delle accoglienze e dei risultati raggiunti alla fine di ogni percorso e, soprattutto, senza interazioni tra i vari attori. Grazie al progetto, è stato avviato lo “sportello VI Opera” che sta svolgendo la funzione di creare un coordinamento funzionale alle prese in carico, dando vita a percorsi di accompagnamento educativo rivolti alle persone più vulnerabili, come quelle colpite da procedimenti penali, ad uscire dalla loro situazione, anche attraverso l’attenzione alle loro famiglie.

Inoltre è stato realizzato un programma con l’obiettivo di formare dei volontari, in grado di supportare le comunità in queste azioni di accoglienza ed inclusività. Lo sportello è diventato un importante riferimento degli Uffici dell’UDEPE e degli avvocati, ma soprattutto dei beneficiari; ciò ha portato ad un aumento non previsto delle richieste, infatti si è passati dall’accoglienza di 15 Affidati in Prova e di 12 LPU all’attuale numero: 49 Volontari in Affidamento in Prova e 28 LPU, in più sta supportando una comunità parrocchiale nell’accoglienza di un ragazzo agli arresti domiciliari. Inoltre, le varie azioni sono state portate avanti insieme agli enti gestori di Caritas diocesana: l’Associazione Form.Ami APS-ETS e la Cooperativa Sociale I.P.A.D. Mediterranean.

Nonostante l’assenza di un Istituto penitenziario all’interno della nostra Diocesi, l’attenzione alle persone che hanno avuto o che hanno problemi con la giustizia è cresciuta nell’ultimo periodo e grazie a questo progetto la nostra Caritas ha fatto emergere il valore pedagogico di percorsi che sono sì delle condanne, ma che possono essere per le persone occasioni di redenzione e riscatto. Si è consapevoli che la dignità è il più alto valore di ogni persona, che deve essere rispettata nonostante gli errori. Promuovere relazioni positive e responsabilizzare la comunità è l’impegno da assumersi come atto d’amore verso tutti coloro che soffrono. “Non vogliamo perdere nessuno” è il motto che abbiamo scelto e che ci accompagna in ogni agire.

L’evento potrà essere seguito in diretta streaming su: www.radiodelcapo.it.

Papa Francesco: la carità aiuta a cambiare il mondo

“Venticinque anni fa, durante il Grande Giubileo del 2000, fu istituita la Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia. Ora è appena iniziato un altro Anno Giubilare, che coincide felicemente con la celebrazione del vostro 25^ anniversario. E’ molto bello che lo facciate con un pellegrinaggio a Roma, dove potete rinnovare la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, presso le tombe degli Apostoli. A me piace pensare che tutta questa costruzione vaticana è sopra le tombe dei martiri. Sono stati sepolti qui, qui sotto”: oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i rappresentanti della Fondazione che da 25 anni sostiene gli appartenenti al corpo pontificio e le loro famiglie sia negli anni di servizio in Vaticano sia dopo il rientro nei luoghi di provenienza.

Ed è un ‘lavoro’ che chiede molta pazienza: “Il vostro prezioso impegno, infatti, deve essere sempre animato da uno spirito di fede e di carità, perché aiutare la Guardia Svizzera Pontificia significa sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero nella Chiesa universale; anch’io personalmente sono molto grato per il servizio fedele delle guardie.

Nei tempi il lavoro della Guardia Svizzera è molto cambiato, ma la sua finalità rimane sempre quella di proteggere il papa. Questo comporta anche di contribuire all’accoglienza di tanti pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo che desiderano incontrarlo. Per questo ci vuole pazienza, e le guardie ne hanno! Questa è una cosa bella di loro: ripetono le cose, spiegano… Una pazienza molto grande”.

Ed ha ringraziato la Fondazione per il supporto dato alle guardie ed alle loro famiglie: “La vostra Fondazione supporta le guardie in diversi modi e ambiti: in primo luogo si adopera in favore delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei figli negli istituti scolastici appropriati. A me piace che le guardie si sposino; a me piace che abbiano dei figli, che abbiano una famiglia. Questo è molto importante, molto importante. Questo aspetto è diventato tanto più rilevante, in quanto le guardie sposate con figli sono aumentate e il bene delle famiglie è di fondamentale importanza per la Chiesa e la società”.

Inoltre ha evidenziato la collaborazione ed il sostegno che essa mette a disposizione: “ Inoltre, la Fondazione fornisce i mezzi per garantire, migliorare e aggiornare la professionalità e i metodi di lavoro, delle attrezzature e delle infrastrutture. Infine, offrite una valida assistenza per tutti coloro che, dopo il loro servizio in Vaticano, rientrano in patria. Io sono in contatto con alcuni di questi, che rimangono molto, molto uniti al Vaticano, alla Chiesa. A volte chiamano al telefono, inviano qualcosa; quando passano da Roma mi fanno visita. E’ un bel contatto che ho.

E tutto questo è necessario perché le guardie possano svolgere il loro prezioso servizio nel modo più efficace e per il bene di tutti. La cooperazione tra la vostra Fondazione e la Guardia Svizzera Pontificia è esemplare, perché dimostra che nessuna realtà può andare avanti da sola. E’ importante collaborare. Tutti dobbiamo aiutarci e sostenerci a vicenda e questo vale per voi, per le singole comunità, ma anche per la Chiesa intera”.

E’ stato un ringraziamento per questo supporto: “Perciò vorrei cogliere l’occasione di questo incontro con voi per esprimervi la mia viva gratitudine per il generoso sostegno che avete elargito a favore della Guardia Svizzera Pontificia durante questi venticinque anni. Grazie, grazie tante! E auspico che anche in futuro possiate proseguire il vostro apprezzato lavoro”.

In seguito il papa ha ricevuto una sessantina di membri della ‘Fondazione Cattolica’ di Verona, incoraggiandoli a disporre delle risorse economiche a ‘vantaggio del prossimo’: “Sono lieto di incontrarvi all’inizio di quest’anno, nel quale celebriamo il Giubileo della speranza. Insieme, peregrinantes in spem: camminare come pellegrini nel mondo ci ricorda che non ne siamo padroni, bensì custodi. Questo ci riguarda tutti: siamo chiamati a prenderci cura della casa comune che il Signore ci ha affidato, cioè a coltivarla e custodirla secondo una regola sapiente e rispettosa; custodire la nostra casa comune”.

Ricordando il significato di ‘economia’ il papa ha incoraggiato a proseguire nelle azioni a favore del bene comune: “A tale proposito, la vostra Fondazione è attiva in molti ambiti sociali. Ho appreso con piacere le iniziative di solidarietà, di sostegno al volontariato, di formazione culturale e professionale a cui vi dedicate. Lodo soprattutto quelle a sostegno delle famiglie e dei giovani, in collaborazione con la diocesi di Verona.

L’intraprendenza e la generosità del vostro operato è coerente col nome della Fondazione che rappresentate: Cattolica. Vi incoraggio perciò ad andare avanti facendo del bene sempre e a tutti. Facendo non stiamo fermi; fare del bene, e a tutti, fare del bene a tutti. Un bel programma di vita!”

Inoltre ha sottolineato che il denaro rende meglio se investito in opere a favore del prossimo: “Non dimentichiamo che il denaro rende di più quando è investito a vantaggio del prossimo. Questo è importante. C’è una situazione molto brutta, adesso, sugli investimenti. In alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi: investire per uccidere. Sono pazzi!”

Per questo il papa ha evidenziato che investire in armamenti è contro le persone: “Questo non è a vantaggio della gente. E quando si fa così, contro o fuori rispetto al vantaggio della gente, il denaro invecchia e appesantisce il cuore, rendendolo duro e sordo alla voce dei poveri. La prima cosa da scartare per l’egoismo sono i poveri, è curioso questo”.

Infine li ha esortati a promuovere il bene comune: “Quando mettiamo la ricchezza a servizio della dignità dell’uomo, non possiamo che averne guadagno, sempre: promuovendo il bene comune, infatti, si migliorano i legami della società cui tutti partecipiamo.

Davanti alle emergenze educative e lavorative, vi esorto a rinnovare di continuo la vostra fiducia nella Provvidenza di Dio, che guida con amore la storia chiamandoci a costruire un futuro secondo giustizia”.

(Foto: Santa Sede)

Marcia della pace a Pesaro per perdonare i debiti

Si svolge oggi a Pesaro la 57ª marcia nazionale per la pace, organizzata dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la Caritas Italiana, l’Azione Cattolica, Pax Christi Italia, il Movimento dei Focolari, l’Agesci, le Acli, Libera con l’Arcidiocesi di Pesaro e di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado.

La marcia inizia alle ore 15.30 all’Anfiteatro del Parco Miralfiore ed arriva alla Cattedrale di Pesaro, dove alle ore 21 sarà celebrata la Santa Messa, presieduta da Mons. Sandro Salvucci, Arcivescovo di Pesaro e di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, e trasmessa in diretta da Tv2000. Lungo il percorso si alterneranno testimonianze e letture di brani che richiamano il messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace sul tema: ‘Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace’ con le testimonianze di alcune esperienze di accoglienza, dialogo e nonviolenza presenti sul territorio nazionale.

Senza dimenticare i diversi contesti di conflitto, in particolare la Terra Santa, la Siria e l’Ucraina, hanno spiegato i promotori: “In questa stagione segnata da guerre insensate vogliamo sintonizzarci con lo stile giubilare invocato da Papa Francesco: per costruire la pace occorre generare perdono e saper rimettere i debiti. Senza giustizia sociale non c’è pace. Senza riconoscimento dell’altro non c’è futuro. Marceremo a Pesaro, città della cultura 2024, per ricordare a tutti la necessità di educare a una cultura della pace, fatta di incontro, di amicizia sociale e di relazioni rinnovate. Il Giubileo ci converta per trasformare l’arma del credito in debito di riconciliazione e di giustizia sociale e ambientale”.

Quest’anno c’è anche la Fiaccola della pace, portata da una delegazione del pellegrinaggio Macerata-Loreto. Il percorso si snoda su un tracciato cittadino di oltre 5 km con tre tappe di riflessione. Si inizia con il tema del perdono, presso il monumento alla Resistenza, a ottant’anni dallo sfondamento della linea gotica che passava proprio da Pesaro. Interverrà Giorgio Pieri, del progetto CEC (Comunità educanti con i carcerati) della Comunità Papa Giovanni XXIII. Poi sarà la volta del racconto di Lassina Doumbia, un migrante che permetterà di pensare alle nostre responsabilità nei confronti delle popolazioni sfruttate.

La seconda tappa, presso la chiesa di Santa Maria del Porto, metterà al centro il tema del debito, con l’intervento di Gabriele Guzzi, economista dell’Università di Cassino, e la testimonianza di EJohn Mpaliza, attivista congolese e fondatore di ‘Peace Walking Man Foundation’. L’ultima tappa si terrà presso la sfera grande di Pomodoro e toccherà il tema del disarmo, con don Fabio Corazzina e Elio Pagani di Pax Christi. Durante la marcia ci saranno altri momenti di ascolto come la testimonianza di Alberto Capannini, volontario dell’operazione ‘Colomba’ in Ucraina.

Infatti nel messaggio per tale giornata della pace papa Francesco ha richiamato ciascuno alla responsabilità: “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità”.

A tutti il papa propone un ‘cammino di speranza’ fatto di “tre azioni possibili, che possano ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza, affinché si superi la crisi del debito e tutti possano ritornare a riconoscersi debitori perdonati”. Infine l’appello ad utilizzare “almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico”.

(Foto: Caritas)

Per le feste natalizie giovani ucraini ospiti della Caritas e del comitato del presepe vivente di Tricase

Santa Maria di Leuca attraverso la Caritas diocesana ed in collaborazione con  il Comitato Presepe Vivente di Tricase sono impegnati, dal 22 dicembre 2024 al 7 gennaio 2025, ad accogliere 6 bambini e 2 accompagnatrici provenienti dalla città di Nikopol in Ucraina, a 4 chilometri dalla centrale nucleare Zaporizhzhia, zona sotto attacco giornalmente, per fargli trascorrere nella serenità le festività natalizie nel Capo di Leuca.

In sintonia con l’appello di papa Francesco, che nella messa finale della sua visita in Corsica, ha ricordato il triste vissuto dei bambini ucraini che, a causa del conflitto, hanno perso il sorriso sui loro volti e, come egli stesso ha affermato: “Tante volte vengono nelle udienze dei bambini ucraini. questi bambini non sorridono, hanno dimenticato il sorriso. Per favore, pensiamo a questi bambini, nelle terre di guerra, di dolore”.

Queste parole di Papa Francesco hanno profondamente colpito e, grazie al sostegno del Presepe Vivente di Tricase, è stata organizzata una vacanza per un piccolo gruppo di bambini della città di Nikopol, con l’auspicio di allietare la loro permanenza e di far loro ritornare il sorriso perduto.

L’iniziativa ha preso avvio domenica 22 dicembre a Tricase con la presentazione alla comunità dei ragazzi durante la S. Messa e l’accoglienza della Luce di Betlemme, presso la Chiesa nuova di S. Antonio da Padova. Al termine della celebrazione  il presidente del Comitato del Presepe, Ing Andrea Morciano, ha consegnato al gruppo ucraino la chiave segno di ospitalità. Ogni giorno, i ragazzi, saranno coinvolti in varie attività sia nelle famiglie e sia negli oratori, quali tombolate, attività di oratorio, una giornata sulla neve, una giornata a Lecce, inoltre saranno coinvolti in alcuni presepi in modo particolare in quello di Tricase.

Si può leggere il programma visitando il sito: https://www.caritasugentoleuca.it/2024/12/18/insieme-e-piu-bello-christmas-edition. Il 7 gennaio rientreranno in Ucraina a Nikopol. Un grazie in modo particolare al Comitato del Presepe Vivente di Tricase che, insieme al CIHEAM, hanno accolto con gioia l’impegno di condividere l’accoglienza di questi bambini. Un grazie a tutte le comunità e alle famiglie che attraverso varie attività trascorreranno del tempo con i piccoli ospiti ucraini.

Con lo slogan ‘Doniamo un sorriso ai ragazzi di Nikopol’, la Caritas diocesana è convinta che saranno giorni in cui i ragazzi ucraini respireranno aria di pace e coglieranno messaggi di speranza su questa terra calpestata e amata dal messaggero di lieti messaggi, il venerabile don Tonino Bello.

Da Gaza un appello alla pace

Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha concluso questa mattina la sua visita di solidarietà alla comunità cristiana di Gaza rientrando a mezzogiorno a Gerusalemme; durante la visita, fa sapere il Patriarcato latino, “il cardinale ha presieduto la celebrazione eucaristica della Natività del Signore presso la Chiesa della Sacra Famiglia, pregando con i fedeli e portando un messaggio di speranza e resilienza alla comunità parrocchiale. Sua Beatitudine ha anche incontrato l’arcivescovo Alexios nella parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio, sottolineando lo spirito di fraternità e di unità tra le comunità cristiane di Gaza”.

Il patriarca, spiegano dal Patriarcato, ha anche visionato “le iniziative di aiuto umanitario in corso organizzate dal Patriarcato latino e dal Sovrano Ordine di Malta. Ha verificato i risultati delle consegne di aiuti e ha valutato i bisogni urgenti della comunità locale. Insieme alla parrocchia locale, ha confermato le prossime tappe degli aiuti umanitari e ha approvato i piani e le iniziative per l’apertura della scuola”. Infine il patriarca “prega affinché questo Natale porti una rinnovata speranza per la fine della tragedia in corso a Gaza e nella regi regione in generale, segnando l’inizio di un futuro più luminoso e pacifico per tutti”.

In tale visita ieri il patriarca di Gerusalemme ha officiato a Gaza la celebrazione eucaristica di Natale alla chiesa della Santa Famiglia, esprimendo la propria gioia: “Innanzitutto esprimo la mia grande gioia di essere oggi in mezzo a voi e vi porgo i saluti di tutti coloro che vi trasmettono il loro amore, le loro preghiere e la loro solidarietà. Tutti volevano venire a stare con voi e portare doni, ma non abbiamo potuto portare molto. Siete diventati la luce della nostra Chiesa nel mondo intero”.

Il card. Pizzaballa a Gaza ha parlato di luce: “A Natale celebriamo la luce e ci chiediamo: dov’è questa luce? La luce è qui, in questa chiesa. L’inizio della luce è Gesù Cristo, che è la fonte della nostra vita. Se siamo una luce per il mondo, è solo grazie a Lui. A Natale, prego che Gesù ci conceda questa luce”.

Una luce che sappia squarciare le tenebre ordite dagli uomini: “Viviamo in un tempo pieno di tenebre, e non c’è bisogno di approfondire perché lo sapete bene. In questi momenti, dobbiamo innanzitutto guardare a Gesù, perché Lui ci dà la forza di sopportare questo periodo buio. Nell’ultimo anno abbiamo imparato che non possiamo fare affidamento sugli uomini.

Quante promesse sono state fatte e mai mantenute? E quanta violenza e odio sono nati a causa delle persone? Per rimanere saldi nella speranza, dobbiamo essere profondamente radicati in Gesù. Se siamo legati a Lui, possiamo guardarci l’un l’altro in modo diverso”.

Nell’omelia ha parlato chiaramente di una speranza che la guerra terminerà con la Chiesa che sarà a fianco di questo popolo che abita Gaza: “Non so quando o come finirà questa guerra, e ogni volta che ci avviciniamo alla fine, sembra di ricominciare da capo. Ma prima o poi la guerra finirà e non dobbiamo perdere la speranza. Quando la guerra finirà, ricostruiremo tutto: le nostre scuole, i nostri ospedali e le nostre case.

Dobbiamo rimanere resilienti e pieni di forza. E ripeto: non vi abbandoneremo mai e faremo tutto il possibile per sostenervi e assistervi. Ma soprattutto non dobbiamo permettere all’odio di infiltrarsi nei nostri cuori. Se vogliamo rimanere una luce, dobbiamo mettere i nostri cuori a disposizione solo di Gesù”.

Tale situazione è una ‘sfida’ per la fede, ribadendo che Dio è l’Emmanuele: “Quest’anno è stato una sfida significativa per la nostra fede, per tutti noi e soprattutto per voi… Dobbiamo rimanere saldi nella nostra fede, pregare per la fine di questa guerra e confidare completamente nel fatto che, con Cristo, nulla può vincerci”.

Ma nelle tenebre è sorta una Luce: “Nonostante la violenza di cui siamo stati testimoni lo scorso anno, abbiamo assistito anche a molti miracoli. In mezzo alle tenebre, c’erano persone che volevano aiutare e non si sono fatte ostacolare da nulla. Il mondo intero, non solo i cristiani, ha voluto sostenervi e stare al vostro fianco. La guerra finirà e ricostruiremo di nuovo, ma dobbiamo custodire i nostri cuori per essere capaci di ricostruire. Vi amiamo, quindi non temete e non arrendetevi mai”.

E’ stato un appello a non scoraggiarsi, ma a mantenere ‘viva’ la Luce: “Dobbiamo preservare la nostra unità per mantenere la luce di Cristo qui a Gaza, nella nostra regione e nel mondo. Abbiamo una missione e anche voi dovete dare qualcosa, non solo ricevere. Il mondo che vi guarda deve vedere a chi appartenete, se alla luce o alle tenebre? Appartenete a Gesù, che dà la sua vita, o a un altro?”

Ed ha ringraziato loro per questa testimonianza: “Quando il mondo vi guarda, deve notare che noi siamo diversi… Grazie per tutto quello che fate. Forse non ve ne accorgete nella vostra difficile vita quotidiana, ma il mondo intero lo fa. Siamo tutti orgogliosi di voi, non solo per quello che fate, ma perché avete conservato la vostra identità di cristiani appartenenti a Gesù.

L’appartenenza a Gesù rende tutti amici, e la nostra vita diventa una vita di donazione a tutti. Concludo dicendo: Grazie. Che il Natale porti luce a ciascuno di noi. Non abbiate paura, perché nessuno può toglierci la luce di Cristo. Continuate a dare una buona testimonianza della fede cristiana”.

Mentre nel messaggio natalizio il card. Pizzaballa ha sottolineato che per Gesù non c’è stato un alloggio disponibile: ““Il Vangelo, inoltre ci dice che per questo evento importante della storia, la nascita del Salvatore, non c’è posto: ‘lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio’. Gesù entra nella storia così, come uno che non trova posto, che non si impone, che non esige, che non fa la guerra per trovarsi un posto.

Accetta di non avere posto, e va a cercare tutti coloro che, come Lui non hanno un posto nella storia, come i pastori. Gesù viene per loro, il segno è per loro, è il segno che il Salvatore vuole salvarci dalla sventura di non avere posto. Lui stesso, la sua vita, diventa la casa, lo spazio di tutti coloro che non hanno posto”.

Quindi il suo pensiero è andato a chi vive in Terra Santa: “Come non pensare ai tanti ultimi, per i quali sembra non esserci posto nel mondo, come pure ai tanti nostri fratelli e sorelle in questa nostra martoriata Terra Santa, per i quali non sembra esserci un posto, dignità e speranza?  

All’annuncio dell’angelo, deve seguire una risposta. Una decisione: accogliere oppure no l’invito dell’angelo ad andare a vedere il Salvatore. La risposta, infatti, non è scontata. Non si muove Erode, non si muovono gli anziani di Gerusalemme. Gesù viene, ma non impone a nessuno di mettersi in cammino per andare a Lui. Non fa come Cesare Augusto, che obbliga tutti ad andare a censirsi”.

Però questa è la libertà di Dio fatto uomo, richiamando la responsabilità di ciascuno: “Gesù lascia liberi. Ci indica un segno, ma poi si rimette alla nostra libertà. Il Natale è il tempo della scelta, se mettersi in cammino verso Colui che viene, oppure no. Anche in questo Natale una possibilità ci è data, di far posto a Colui che non trova posto, per scoprire, poi, che Lui stesso è la nostra strada, la nostra casa, il nostro pane buono, la nostra speranza. E, lungo il cammino, scopriremo tanti fratelli e sorelle, bisognosi di casa e di pane, come noi, e per i quali fare posto e dare speranza”.

Mentre i vescovi italiani nell’augurio natalizio riprendono i messaggi del nunzio apostolico a Damasco, card. Mario Zenari, e di fr. Francesco Patton, custode di Terra Santa: “Conosciamo la situazione che diversi Paesi del Medio Oriente stanno vivendo ormai da diverso tempo, al pari di altri luoghi del mondo spesso dimenticati. Mentre accogliamo il Signore che viene tra noi e contempliamo il mistero del Dio fatto carne, il nostro pensiero e la nostra preghiera vanno proprio al dolore profondo che sta dilaniando intere nazioni”.

(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)

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