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Papa Francesco invita il Movimento per la Vita a difendere la dignità della maternità

“Conosco il valore del servizio che rendete alla Chiesa e alla società. Insieme alla solidarietà concreta, vissuta con lo stile della vicinanza e della prossimità alle mamme in difficoltà per una gravidanza difficile o inattesa, voi promuovete la cultura della vita in senso ampio. E cercate di farlo con franchezza, amore e tenacia, tenendo strettamente unita la verità alla carità verso tutti. Vi guidano in questo gli esempi e gli insegnamenti di Carlo Casini, che aveva fatto del servizio alla vita il centro del suo apostolato laicale e del suo impegno politico”: dal Policlinico ‘Gemelli’ papa Francesco ha inviato un messaggio, letto dal segretario di Stato, card. Pietro Parolin, in occasione del 50^ anniversario di fondazione del Movimento per la Vita, 50°, esortando a continuare il servizio alla vita umana più fragile ed emarginata.
Ed ha ripercorso questa storia di tutela della maternità: “L’occasione che vi ha radunati a Roma è importante: il cinquantesimo anniversario del Movimento per la Vita, il cui primo germoglio è stato il Centro di Aiuto alla Vita nato a Firenze nel 1975. Da allora, in tutta Italia, i Centri di Aiuto alla Vita si sono moltiplicati. E ad essi si sono aggiunti le Case di Accoglienza, i servizi SOS Vita, il Progetto Gemma e le Culle per la vita. Innumerevoli iniziative sono state intraprese per promuovere a tutti i livelli della società la cultura dell’accoglienza e dei diritti dell’uomo. Perciò vi incoraggio a portare avanti la tutela sociale della maternità e l’accoglienza della vita umana in ogni sua fase”.
Nel messaggio papa Francesco ha ribadito la necessità di ‘combattere’ la cultura dello scarto: “In questo mezzo secolo, mentre sono diminuiti alcuni pregiudizi ideologici ed è cresciuta tra i giovani la sensibilità per la cura del creato, purtroppo si è diffusa la cultura dello scarto. Pertanto, c’è ancora e più che mai bisogno di persone di ogni età che si spendano concretamente al servizio della vita umana, soprattutto quando è più fragile e vulnerabile; perché essa è sacra, creata da Dio per un destino grande e bello; e perché una società giusta non si costruisce eliminando i nascituri indesiderati, gli anziani non più autonomi o i malati incurabili”.
Per questo ha ricordato l’importanza della civiltà dell’amore: “Care sorelle e cari fratelli, siete venuti da tante parti d’Italia per rinnovare ancora una volta il vostro ‘sì’ alla civiltà dell’amore, consapevoli che liberare le donne dai condizionamenti che le spingono a non dare alla luce il proprio figlio è un principio di rinnovamento della società civile. E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, come oggi la società sia strutturata sulle categorie del possedere, del fare, del produrre, dell’apparire”.
E’ stato un ‘elogio’ all’impegno per la dignità della persona: “Il vostro impegno, in armonia con quello di tutta la Chiesa, indica una progettualità diversa, che pone al centro la dignità della persona e privilegia chi è più debole. Il concepito rappresenta, per eccellenza, ogni uomo e donna che non conta, che non ha voce. Mettersi dalla sua parte significa farsi solidali con tutti gli scartati del mondo. E lo sguardo del cuore che lo riconosce come uno o una di noi è la leva che muove questa progettualità”.
Infine ha raccomandato di scommettere sulle donne: “Continuate a scommettere sulle donne, sulla loro capacità di accoglienza, di generosità e di coraggio. Le donne devono poter contare sul sostegno dell’intera comunità civile ed ecclesiale, e i Centri di Aiuto alla Vita possono diventare un punto di riferimento per tutti. Vi ringrazio per le pagine di speranza e di tenerezza che aiutate a scrivere nel libro della storia e che rimangono incancellabili: portano e porteranno tanti frutti”.
Un arcobaleno di solidarietà tra Italia e Africa: le storie di rinascita di Guido, Annie e João Charles

In Africa, nei luoghi dove è riemerso un conflitto lungo e sanguinoso, ci sono persone, che riescono ad avere una vita grazie a un aiuto che arriva da migliaia di chilometri di distanza. Un sostegno che a volte nasce da condizioni inaspettate. Una storia di sofferenza diventata motore di solidarietà. Guido ha deciso di fare qualcosa per gli altri in memoria del figlio scomparso: ‘Ho scoperto che tendere la mano verso chi è più fragile riempie l’anima di pace’ racconta Guido, 85 anni, di Bolzano.
Un anno fa ha scelto di superare il semplice piacere che nasce dallo scambio e ha abbracciato una verità più profonda, radicata in un passo del Nuovo Testamento: ‘C’è più gioia nel dare che nel ricevere!’ (Atti 20,34-35). Queste parole, ormai parte integrante della sua vita, lo hanno trasformato. Lo hanno aiutato a vedere l’altro con occhi di sincerità, riconoscendone i bisogni autentici: “Mi chiedevo cosa avrei potuto fare, confida Guido. Dopo la morte di mio figlio Roberto, avvenuta nel 2023, il dolore e la sofferenza mi accompagnarono per lungo tempo. Non riuscivo a trovare pace fino a quando non presi una decisione: fare una donazione”, racconta.
“Mio figlio aveva messo da parte i suoi risparmi e pensando a quanto amasse l’altro e fosse capace di farlo incondizionatamente – abbiamo vissuto insieme 56 anni, lui era affetto dalla sindrome di down – ho deciso di donare il suo gruzzoletto alla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV attraverso il Settore Solidarietà e Gemellaggi”.
Un gesto di gratuita carità che ha reso possibile la costruzione di un pozzo d’acqua a Gashaki, in Rwanda, un territorio nel cuore dell’Africa stretto tra Congo, Uganda e Burundi, dove ancora si muore per mancanza di acqua pulita: “Sapere di aver dato la possibilità a tante persone di dissetarsi, senza limiti di tempo, ha dato compimento al sacrificio di mio figlio che per anni ha conservato i suoi risparmi, senza mai tentennare.
Quasi come se prevedesse…”, afferma ed aggiunge: “Alla mia età posso dirle di essere soddisfatto perché quest’opera, non solo mi ha dato pace, ma elevato il senso della mia esistenza…”. Si ferma qualche minuto, come a tirare le somme della sua vita, e conclude: “Ho fatto qualcosa di buono!”. Vicino al pozzo è stata apposta una targa in memoria di Roberto Origoni. Un gesto d’amore che continuerà a dare vita.
Capita spesso che le mozioni dell’animo diventino gesti in grado di cambiare la vita di qualcuno meno fortunato. Sono moti che conducono l’uomo a cercare chi si trova nel bisogno, a fare qualcosa per lui. Caratterizzano la vita del benefattore, colui che per amore del prossimo esce dalla zona comfort del ‘proprio orticello’ e dà compimento ad azioni di solidarietà, di vicinanza, di sostengo che si possono raggiungere attraverso vie diverse.
Ognuno sceglie la sua ma un proposito le accomuna tutte: fare del bene. Come ogni azione che si svolge e strada che si persegue si avranno delle conseguenze. Dei frutti di bene, non solo per chi dà, come mostra la storia di Guido, ma anche per chi riceve.
In Repubblica Democratica del Congo e in Mozambico vivono Annie e Charles. Entrambi hanno potuto cambiare la propria vita grazie al Sostegno a Distanza promosso dalla Società di San Vincenzo De Paoli. Un gesto di solidarietà che permette a tanti bambini di poter accedere alla scolarizzazione, formarsi e diventare adulti in un ambiente protetto. Un aiuto che si estende nel tempo attraverso la condivisione di un cammino fatto di sforzi, gioie, sofferenze, successi. Annie è stata curata e ha potuto proseguire gli studi.
Nata il 14 ottobre 2004 è cresciuta in una baracca fatiscente a Kingasani, una zona malsana e poverissima di Kinshasa. La madre era sarta e non riusciva a sostenere economicamente i suoi figli. Le conseguenze per la salute della piccola sono state gravi: era malnutrita e spesso ammalata. La sua vita è cambiata quando ha ricevuto il sostegno medico necessario e soddisfatto il fabbisogno alimentare giornaliero. Questo grazie a chi ha deciso di prendersi cura di lei.
Mikuma Annie oggi frequenta il corso triennale in Scienze Biologiche a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo. Ha scelto questa facoltà perché dice che un giorno vuole fare qualcosa per i bambini del suo paese che rischiano di non avere un futuro, come rischiava di non averlo lei – a causa della malattia non riusciva a frequentare tutte le lezioni scolastiche.
La forza d’animo non l’ha mai abbandonata, né il sogno di diventare medico che, finalmente potrà diventare realtà. Intanto il desiderio di sua madre si è già concretizzato: grazie al dono di una macchina da cucire ha potuto avviare una piccola attività di sartoria. Più a Sud, nel cuore del Mozambico, a Mafambisse, vive un bambino di sei anni, Fernando João Charles. Joao Charles ha perso la madre poco dopo la sua nascita. Rimasto orfano, nonno Anselmo si è occupato di lui, nonostante le grandi difficoltà economiche.
L’unica fonte di sostentamento era un piccolo orto e quel che fruttava doveva bastare a sfamarli. La vita di João Charles è cambiata grazie all’incontro con Don Piergiorgio Paoletto, parroco di Mfambisse. Attraverso il Settore Solidarietà e Gemellaggi della Società di San Vincenzo De Paoli arriva anche per lui il sostegno a distanza che oggi gli permette di andare a scuola e di imparare a leggere e a scrivere.
Oltre all’attività didattica frequenta il doposcuola voluto e organizzato da don Piergiorgio Paoletto. Qui, ogni giorno, coltiva il suo talento: disegnare. Don Paoletto l’ha scoperto e lo guida e incoraggia offrendogli tutto l’occorrente per mettere a frutto il suo dono. E così insieme, grazie all’impegno e alla generosità di molti, la vita di Joao Charles si arricchisce di svariati colori e degli strumenti necessari per la costruzione di un domani migliore.
Oggi sono ancora milioni i bambini e le bambine che continuano a vivere in estrema povertà. Non riescono a raggiungere un grado di istruzione adeguato e sono costretti a lavorare. Subiscono abusi e violenze. Vivono in condizioni igieniche e sanitarie pessime e non hanno accesso a strutture mediche dove essere curati.
Il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo è la struttura della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV che si occupa non solo di adozioni e sostegno a distanza (più di 2.500 in 40 Paesi) ma anche di sviluppare progetti con partner locali come costruzione di pozzi, aule scolastiche e ospedali, nonché di intervenire nei luoghi colpiti da calamità naturali o guerre e di promuovere la creazione di gemellaggi tra le Conferenze italiane e altre all’estero. Il Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo opera al servizio dei Vincenziani e di chi, nel mondo, ha bisogno, offrendo la propria struttura, le proprie competenze, la capacità di costruire quella rete di carità con la quale il Beato Federico Ozanam desiderava ricoprire il mondo.
(Foto: San Vincenzo de’ Paoli)
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7^ domenica del Tempo Ordinario: camminiamo in novità di vita!

Il brano del Vangelo non si ferma oggi con il dire ‘Non odiate i vostri nemici’ ma va oltre: ‘Ama i tuoi nemici … fai del bene a quelli che vi odiano!’ La morale cristiana non è un moralismo esagerato ma la conseguenza naturale dell’essere cristiani, cioè figli di Dio e perciò fratelli tra di noi, tanto da pregare: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’. L’etica è la conseguenza dell’essere: con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo da costituire con Gesù un unico corpo: il corpo mistico della Chiesa dove Cristo è il capo, noi le membra.
Il livello ontologico deve precedere sempre quello etico; il nostro comportamento deve essere adeguato ed in sintonia con la realtà acquisita con il Battesimo. Da qui le parole di Gesù: ‘Rimanete nel mio amore ed osservate i miei comandamenti’; come vedi abbiamo due livelli: 1° sei cristiano se rimani nel mio amore; 2° se sei cristiano, discepolo di Cristo, ‘osserva i miei comandamenti’. Dio è amore, siamo allora chiamati ad amare; Gesù è morto in croce per tutti (amici ed avversari), allora ama tutti senza alcuna distinzione. L’amore o è altruismo o non è amore; vuoi sapere se qualcuno ti ama sul serio? Non fidarti delle sue parole, ma mettilo alla prova con il sacrificio: se non è capace di sacrificarsi per te, non ama te ma se stesso.
L’amore non è un divertimento; è una cosa seria perchè è qualcosa di divino. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana, va contro le logiche umane, rende vana la morale comune, polverizza le strategie del mondo. Non dimenticare: solo l’amore del nemico salverà l’umanità. Ti sembra cosa difficile? Un giorno anche l’apostolo Paolo, pieno di paura, elevò a Dio la sua preghiera; il Padre rispose: ‘Non temere, Paolo, ti basta la mia grazia; la mia potenza, dice il Signore, si manifesta pienamente nella debolezza’.
L’apostolo scriverà: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte!’ Beato l’uomo che confida nel Signore, maledetto l’uomo che confida nell’uomo. Il Vangelo oggi ci propone l’insegnamento di Cristo: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano: chi ti percuote la guancia destra, porgi anche la sinistra. Ecco l’ideale della carità evangelica; potrebbe sembrare un paradosso, ma basta riflettere; secondo i parametri umani appare inconcepibile: amare i nemici, fare del bene a chi fa del male, ma Gesù non è venuto cento per collaudare il mondo egoista ed individualista, superbo ed orgoglioso.
Gesù conosce bene il comportamento umano: ‘Se amate quelli che vi amano, se fate del bene a chi vi ha fatto del bene … cosa avete fatto di straordinario? non fanno così anche i pagani?’ Tu sei figlio di Dio, Gesù è morto in croce per tutti e per ciascuno di noi e la sua preghiera è stata in favore dei suoi crocifissori: ‘Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno!’ Tutto quanto Gesù ci ha insegnato non è un optional, è un comando. Gesù conosce anche la nostra debolezza, per questo si è fatto uomo, è morto in croce e risorto è rimasto presente nell’Eucaristia: cibo, forza e nutrimento alla nostra debolezza.
La logica dell’amore è il distintivo della fede cristiana e ci spinge ad incontrare tutti con cuore di fratelli. Gesù ci ha dato l’esempio: oltraggiato, non risponde; ingiuriato perdona e prega: ‘Padre, perdona loro!’ Gli Apostoli, a partire dalla Pentecoste, saranno i primi testimoni dell’amore misericordioso di Dio; i nostri fratelli e sorelle, che chiamiamo ‘santi’, sono persone che hanno amato sino all’estremo sacrificio: ieri come oggi, vedi ad es. il beato Pino Puglisi, madre Teresa di Calcutta, san Pio di Pietralcina e quanti sanno amare e perdonare.
Diceva san Francesco: nessun fratello, che ha peccato, deve vedere i tuoi occhi e partirsene senza la certezza di essere stato perdonato. Amico, getta via allora l’aceto dal cuore e riempilo di miele: il miele del perdono, di dimenticare le offese ricevute, di benedire e mai maledire: la più bella vendetta è l’amore e il perdono. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana.
‘Codice cuore’: libro per adolescenti, per conoscere valore del corpo e della sessualità

Sei un genitore, un educatore, un professore di religione e stai cercando uno strumento per parlare ai ragazzi della dignità del corpo, di come amarsi in modo autentico e di come riconoscere una relazione tossica? Tra i tanti strumenti che potrai trovare, oggi voglio proporti un libro che ho scritto pensando soprattutto ai giovani: “Codice cuore. Trovare sé stessi per stare con qualcun altro” (Mimep Docete, 2025).
Il libro, suddiviso in dieci capitoli, affronta varie tematiche connesse all’affettività. A fare da sfondo, la Teologia del corpo, con cui Giovanni Paolo ha messo in luce la bellezza della sessualità e della coppia umana nel piano di Dio. Per invitare alla lettura, vorrei proporre un breve riassunto dei capitoli, oggi parlerò dei primi cinque, in un prossimo articolo vi presenterò gli altri cinque.
Capitolo 1: Per amare bisogna amarsi
In questa prima tappa del libro, si mette in luce la necessità di amare sé stessi, di nutrire la propria autostima, di scoprire i propri talenti. Solo se si è capaci di stare in piedi da soli (e di vivere in modo costruttivo anche i periodi di vita in cui non si ha un partner), è possibile camminare in modo sano accanto a qualcun altro. In caso contrario, è molto facile accontentarsi di “quello che capita” e finire in relazioni tossiche, caratterizzate da dipendenza emotiva. In questo capitolo trovi la testimonianza, recuperata da altre fonti, della cantante Debora Vezzani.
Capitolo 2: Io abito il mio corpo
In questa sezione si cerca di mettere in guardia da una visione materialistica del corpo, che spesso viene visto come qualcosa che possediamo, un oggetto di poco valore, in fondo, che si può anche vendere o svendere. Noi abitiamo un corpo nel senso che ‘siamo un corpo’, il corpo ha una dimensione personale; siamo un’unica realtà di mente, corpo ed anima. In questo capitolo trovi la testimonianza dello scrittore Giorgio Ponte, ripresa da un’intervista rilasciata a Punto Famiglia.
Capitolo 3: Il disegno di Dio sull’amore non includeva farsi male
La sessualità può fare male quando svuotata di ogni significato e se vissuta in modo compulsivo, alla ricerca di un mero piacere che, come arriva, svanisce, lasciandoci un vuoto. La sessualità fa male quando ci porta a consumarci a vicenda. In questo capitolo trovi una catechesi di Don Alberto Ravagnani sulla sofferenza che la sessualità causa ai ragazzi quando la vivono con disimpegno solo per “sperimentarsi”.
Capitolo 4: Cosa non ci permette di vivere in modo sano la sessualità?
Dio c’entra col sesso, ce lo ha donato Lui. Lo ricordano con forza alcuni percorsi sull’affettività improntati sulla chiamata evangelica all’amore e sulla vocazione sponsale promossa dalla Chiesa. Una di queste opere di evangelizzazione, ad esempio, è stata realizzata da Alessandra e Francesco di 5pani2pesci, di cui si parla in questo capitolo. Eppure, c’è una ferita, noi cristiani la chiamiamo ‘peccato originale’.
La comunione tra un uomo e una donna – che si verifica nella donazione dei corpi – può essere compromessa dall’egoismo, dal possesso, dalla concupiscenza. Gesù, però, ha redento i nostri corpi e anche la sessualità: quanto ne siamo consapevoli? In questo capitolo trovi la testimonianza di un attore che ha vissuto secondo i dettami mondani la sfera della sessualità, per poi recuperare la purezza.
Capitolo 5: L’intimità fisica secondo la teologia del corpo
Diventare una sola carne significa “fare l’amore a 360 gradi”: cioè, coinvolgendo mente, anima, fisicità. Attraverso l’atto sessuale, infatti, abbiamo la possibilità non solo di provare piacere (che è assolutamente sano, in una relazione sana!), ma anche di comunicare, esprimere, incarnare, affermare e testimoniare tutto l’amore che desideriamo trasmetterci l’un l’altra.
Attraverso il dono totale del nostro corpo diciamo: “Desidero che tu accolga tutto di me ciò che mi caratterizza e delinea la mia unicità: ti do i lati più belli e quelli meno belli della mia personalità, ti affido i misi sogni e le mie paure. Ti do tutto, mi metto a nudo con te, mi affido a te”.
E, al tempo stesso, rassicuriamo l’altro che Io amiamo nel medesimo modo in cui desideriamo essere amati noi: “Mi faccio custode della tua persona. Accolgo, facendoli diventare una parte di me, il tuo corpo unico e irripetibile, la tua mente, la tua anima, il tuo cuore, le tue difficoltà e i tuoi successi”. In questo capitolo trovi la testimonianza di una coppia di sposi che ha compreso il valore sacro della sessualità.
Da Modena mons. Castellucci invita a vivere con speranza la morte

“Dopo il ritorno, il forte paga il debito con la morte. L’asciutta scritta latina dell’ultima scena del bassorilievo di Wiligelmo, nell’architrave della Porta dei Principi del Duomo di Modena, commenta così la morte di San Geminiano, avvenuta il 31 gennaio del 397, al ritorno dal suo viaggio a Costantinopoli, dove ‘il forte’ aveva guarito la figlia dell’imperatore. Il vescovo, secondo la tradizione, aveva 84 anni, all’epoca un’età molto avanzata: di qui deriva quella scritta, che fa pensare ad un passaggio dovuto (‘debito’), ma ormai atteso e naturale, senza la drammaticità da cui spesso è segnato l’ultimo respiro”.
Così inizia la lettera alla città (‘Più forte della morte è l’amore. La speranza non delude’) del vescovo di Modena-Nonantola, mons. Erio Castellucci, in occasione della festa del patrono san Geminiano, diacono del vescovo Antonio al quale successe per scelta dei suoi concittadini. Nel 390 (o, secondo altre datazioni nel 393) fu presente al concilio dei vescovi dell’Italia settentrionale, presieduto da sant’Ambrogio per condannare l’eretico Gioviniano. Per questo fu molto impegnato, insieme con altri vescovi della Romagna (san Mercuriale di Forlì, san Rufillo di Forlimpopoli, san Leo di Montefeltro e san Gaudenzio di Rimini), a combattere l’eresia ariana, molto diffusa in quella zona.
Nella lettera mons. Castellucci ha sottolineato che nel giorno della sua morte i concittadini non avevano un volto ‘triste’, in quanto era considerato come una nascita: “I personaggi che attorniano Geminiano, nella scena, mostrano infatti volti tristi ma non disperati e sono intenti a compiere i riti funebri in modo pacato. D’altronde il giorno della morte di un martire o, come nel caso del nostro patrono, di un cristiano con la fama di santità, veniva chiamato il ‘dies natalis’, il giorno della nascita”.
Appunto, la lettera prende spunto dal significato della morte: “Nella nostra cultura occidentale, piuttosto efficientista, vige una sorta di censura della morte e del morire. Siamo certo convinti della fragilità della condizione umana, così come la dipinge la Bibbia: ‘come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce’;
eppure i meccanismi di difesa che si attivano di fronte all’ultima soglia sono parecchi: alcuni reagiscono al pensiero della morte cercando di scacciarlo, di distrarsi e magari anche di stordirsi; c’è chi cade nel cinismo, maturando un’indifferenza di tipo stoico che vorrebbe raggiungere l’insensibilità, così da evitare la sofferenza; e c’è chi rimanda la questione a tempi peggiori, auspicando di doverla affrontare il più tardi possibile, quando sarà purtroppo inevitabile, o affidandosi eventualmente alla scaramanzia o alle pratiche magiche e superstiziose”.
E’ un invito a vivere la morte senza angoscia, come ha fatto san Francesco o sant’Alfonso de’ Liguori: “Pochissimi, è vero, arriverebbero a definire la morte con l’affettuoso appellativo di ‘sorella’, come fece san Francesco d’Assisi otto secoli fa nel ‘Cantico delle creature’; e tuttavia molte persone la sostengono con dignità, senza cadere nella disperazione e, quando possibile, cercando di prepararsi. Uno dei libri più diffusi e letti per due secoli, da quando lo pubblicò nel 1758, è appunto ‘Apparecchio alla morte’ di sant’Alfonso Maria de’ Liguori: un manuale corposo, che offre tanti suggerimenti su come ci si possa avvicinare nella maniera più adeguata a questa soglia”.
Per questo il cristianesimo invita a vivere la morte come segno di speranza: “La fede cristiana, da parte sua, offre una prospettiva di grande speranza: la morte non è un muro contro cui vanno ad infrangersi sogni, sacrifici, desideri, sofferenze e gioie, progetti e speranze; è piuttosto un ponte, alto e vertiginoso, che conduce a un’altra sponda, dove troverà pienezza ciò che è stato costruito giorno per giorno nella vita terrena. Tutti i germi di amore e di bene, tutti i gesti di solidarietà e di giustizia, avranno compimento. Cristo arriva a dire che nemmeno il dono di un bicchiere di acqua fresca resterà senza ricompensa”.
La morte si trasforma nella resurrezione: “Per chi crede nel Signore morto e risorto, la morte è ormai parola penultima: inquietante e tuttavia penultima. L’ultima parola è la vita, la risurrezione, l’amore che vince. La speranza nella vita eterna sostiene i credenti e apre prospettive per tutti, anche per le moltitudini che in questa vicenda terrena sono emarginate e scartate, subiscono angherie e ingiustizie, nascono e vivono in situazioni svantaggiate e degradate. Se la morte fosse davvero la fine di tutto, non ci sarebbe riscatto per loro e trionferebbero per sempre coloro che operano il male. Questa è la ‘grande speranza’ cristiana: non solo per se stessi e per i propri cari, ma per tutti gli esseri umani”.
Anche la diffusione delle cure palliative offre una visione più aperta ed il vescovo ha invitato a potenziare queste esperienze per sconfiggere la cultura di morte: “Queste esperienze devono essere potenziate: oggi il sostegno economico è insufficiente ed è ripartito in modo diseguale sul territorio italiano. Coloro che vi operano, attestano che l’accompagnamento alla morte, sia del malato sia dei familiari, dei volontari e degli stessi operatori sanitari, può assumere una qualità e una profondità impensabili.
Più si creano reti di relazione autentiche ed intense attorno alla persona che si sta avvicinando alla morte e nei suoi cari, meno si creano le condizioni per chiedere l’eutanasia o il suicidio assistito. Senza negare che certe sofferenze siano di per sé devastanti e difficilissime da sopportare (quindi senza mai cadere nei facili giudizi sulle scelte altrui) ciascuno di noi ha sperimentato come un dolore, anche forte, si possa attraversare evitando la disperazione, quando si è sostenuti da una mano amica”.
E’ stato un invito a creare reti di ‘prossimità’ in grado di formare i ‘pellegrini di speranza’: “Il nostro territorio modenese è ricchissimo di esperienze di prossimità, anche nell’ambito dell’accompagnamento di coloro che percorrono l’ultimo tratto di vita e dei loro cari.
Sono migliaia le case nelle quali un familiare è sostenuto premurosamente, sono centinaia le strutture di assistenza e di cura, non si contano le collaboratrici domestiche impegnate nell’aiuto agli anziani e agli ammalati ed è stupefacente la dedizione di tantissimi volontari, anche nelle nostre comunità cristiane, religiose e civili.
Non sarà mai sufficiente l’espressione della nostra gratitudine. In particolare desidero ricordare un’attività poco conosciuta delle parrocchie: la cura degli ammalati, delle persone sole e dei familiari di chi subisce lutti”.
Terni festeggia san Valentino: è un esempio di speranza

Celebrata stamattina nella basilica di san Valentino a Terni da mons. Francesco Antonio Soddu la solennità del patrono di Terni e degli innamorati e copatrono della diocesi di Terni-Narni-Amelia, concelebrata dal vicario generale della diocesi mons. Salvatore Ferdinandi e dal padre Provinciale dei Carmelitani Scalzi padre Gabriele Biccai, dal parroco della basilica padre Josline Peediakkel, dai sacerdoti della diocesi e dai padri carmelitani: “La festa liturgica del nostro santo patrono in quest’anno santo ci offre una serie di spunti sui quali meditare e altrettante vie da percorrere per rendere sempre migliore, più bella la nostra vita e quella di coloro con i quali ci troviamo a condividere l’esistenza”.
Il vescovo ha sottolineato che l’amore di Dio è sempre presente: “Il nostro san Valentino, come del resto tutti i santi, con la sua vita ci insegna che proprio entro le esperienze terribili del mondo, segnato dall’egoismo umano, si inserisce sempre il germe bello e buono dell’amore di Dio il quale non soffoca né muore mai nonostante gli infiniti venti contrari e gli pseudo amori, quelli tossici che inquinano il nostro tempo. E questo avviene perché Dio stesso, con il dono del proprio Figlio, si è spinto oltre ogni limite dell’amore”.
Una sottolineatura importante è stata messa sulla fede: “La fede cristiana è un qualcosa di più, anzi direi che è qualcosa di altro, di veramente unico: essa è anzitutto un dono, il dono che Dio fa di sé stesso. E attraverso questo dono ci viene data una vita rinnovata dall’amore che proviene da lui che è per essenza amore. Ed è attraverso l’accoglienza di questo dono che saremo resi capaci di percorrere pure sentieri ardui e di raggiungere vette umanamente impossibili”.
Il tema giubilare si collega alla festa di san Valentino: “Il tema del Giubileo ‘pellegrini di speranza’ unito alla figura di san Valentino si arricchisce per noi di una esperienza di vita, anzi di un respiro di vita, che si identifica con lo stesso amore di Dio. La speranza infatti non delude perché lo Spirito di Dio è stato riversato nei nostri cuori”.
In questo senso il santo ternano è un ‘esempio’ di speranza: “San Valentino ci insegna come considerare il nostro cuore in relazione alla speranza. Egli incarna quanto papa Francesco, parlando del cuore di Gesù nell’enciclica Dilexit nos dice in riferimento a quanto debba essere il nostro cuore…
Chi è ripieno di questo spirito, chi cioè si mette nelle mani di Dio e rimane inondato del suo amore; chi vive l’esperienza dell’amore non può tenere nascosta questa sorta di energia, che in sé stessa tende ad esondare al di là di ogni possibile limite, arrivando tuttavia a non perdersi, quanto piuttosto a fecondare o rianimare le aree più desertiche o inaridite a causa della mancanza dello stesso amore”.
Dio dona amore per la salvezza di tutti: “Il nostro san Valentino, come del resto tutti i santi, con la sua vita ci insegna che proprio entro le esperienze terribili del mondo, segnato dall’egoismo umano, si inserisce sempre il germe bello e buono dell’amore di Dio il quale non soffoca né muore mai nonostante gli infiniti venti contrari e gli pseudo amori, quelli tossici che inquinano il nostro tempo.
E questo avviene perché Dio stesso, con il dono del proprio Figlio, si è spinto oltre ogni limite dell’amore. La donazione del Figlio Gesù Cristo per la nostra salvezza è il miracolo più grande che si possa immaginare e desiderare”.
Ed ai giovani ha rivolto l’esortazione ad essere protagonisti dell’amore: “La giovinezza porta con sé in modo naturale l’entusiasmo, lo slancio, la freschezza, ma anche i tentennamenti e le incertezze. Ma è proprio nel fiore della giovinezza che Dio chiama a collaborare, chiama ad essere profeti. Non dire sono giovane, quindi incapace, perché non si potrà mai fallire se si accoglie e trasmette genuinamente la fede data in dono. Se ami veramente non puoi aver timore. In tutto questo san Valentino è stato ottimo discepolo, maestro e pastore”.
Ha terminato l’omelia con l’invito ad essere ‘scaldati’ dal patrono ternano: “Come Dio nel suo Figlio ha raggiunto l’eccesso dell’amore, Valentino con l’intera sua vita ha trasmesso i palpiti di un cuore sano a favore dei più bisognosi, dei giovani e di quanti qui a Terni lo accoglievano come il Pastore buono. Voglia S. Valentino scaldare i sentimenti dei nostri cuori, affinché lo Spirito Santo che vi è stato riversato sia sempre collocato dalla nostra volontà al posto d’onore che gli spetta e produca continuamente germi di speranza attraverso il contributo delle nostre buone opere”.
Mentre nel pontificale mons. Soddu aveva invitato a non avere paura: “In questo anno santo san Valentino ci esorta a non avere paura del fuoco purificatore di Dio; ci esorta ad accogliere la sua misericordia e a farla diventare operativa nella nostra vita, trasformata dal fuoco del suo amore. Ciascuno di noi, mediante il battesimo, è stato toccato e completamente inondato di questo amore, siamo stati rivestiti di Cristo perché possiamo essere suoi testimoni nel mondo e quindi costruttori di pace. Si prenda dunque il largo in compagnia degli apostoli e di san Valentino, successore degli apostoli e nostro celeste patrono”.
E san Valentino non ha mai abbandonato il suo popolo: “San Valentino seguendo questa onda benefica di amore ne è il testimone. Egli prende le nostre vicende umane e le alloggia sulla barca di Simone affinché da lì ed insieme con loro possiamo apprendere i segreti del Regno, ossia la vita buona e bella del Vangelo. Interceda san Valentino per la nostra città, per l’intera nostra Diocesi e regione affinché seguendo lo Spirito d’amore del Padre sappiamo convergere nell’unità della famiglia dei figli di Dio”.
Al termine della celebrazione è stato inaugurato il pannello audio guida sulla Basilica e sulla figura di san Valentino, un pannello sensoriale che consentirà a tutti, anche a coloro che hanno difficoltà sensoriali, di conoscere le bellezze architettoniche e storiche della basilica e di conoscere la vita di San Valentino, attraverso le varie sezioni dedicate alla pianta della basilica e la sua facciata, il tutto stampato in adduzione, un inchiostro particolare che consente di percepire anche con il tatto, oltre a dei Qrcode con una guida e con tutte le spiegazioni fornite con il linguaggio dei segni.
(Foto: diocesi di Terni)
La legge che ci salva dai nostri egoismi: quella dell’amore

A volte si invoca l’esistenza di una legge come garanzia di un bene pressoché assoluto. ‘C’è una legge che tutela questa azione, quindi è giusta’: a molti basta per acquietare la coscienza su tematiche che restano controverse. Eppure, se non abbiamo una ‘stella polare’, ovvero la ‘legge dell’amore’, che indichi il bene e ci metta in guardia dal male, senza compromessi, le legislazioni umane possono, talvolta, essere realizzate ad immagine e somiglianza della nostra ‘durezza di cuore’.
Pensiamo alle leggi raziali. Erano, a tutti gli effetti, delle norme, che rendevano legale l’esclusione sociale e persino la persecuzione (fino all’uccisione)- di determinate categorie di persone: chissà che, al tempo, molti, non abbiano visto legittimato il proprio odio verso gli ebrei proprio in virtù di queste leggi. Pensiamo alla legge mosaica. Ha preceduto l’insegnamento di Gesù e rendeva ‘legale’ lapidare una donna se colta in adulterio; lo stesso, però, non valeva per l’uomo.
C’era una legge. Quindi era giusto? Pensiamo alla legge islamica. Oggi (per fare un esempio tristemente attuale) ha fatto sì che la nostra connazionale e giornalista, Cecilia Sala, fosse detenuta in un carcere iraniano senza che (dal suo e nostro punto di vista) avesse alcuna colpa!
Le leggi non sono buone automaticamente, ‘ipso facto’. Piuttosto, dal momento che le stabiliamo noi, altro non sono che lo specchio del nostro grado di civiltà, come popoli e come nazioni. E le leggi di noi occidentali, europei, italiani del 2025… salvaguardano e rispettano la vita di tutte e di tutti?
Non intendo qui dare una risposta, mi interessa di più lasciarvi la domanda, ricordando che per noi cristiani, la legge umana deve essere conforme alla legge dell’amore. Gesù ci insegna che una legge è eticamente buona se non cade nel tranello del compromesso utilitaristico. In Lui comprendiamo che una legge è veramente equa e sana se rispetta ogni vita, se nessuno è sacrificato sull’altare del presunto ‘male minore’, se al più forte non è permesso di schiacciare il più debole.
Eppure, non ci è chiesto di fare sommosse, Gesù non l’ha fatto. Possiamo, però, anzi dobbiamo dare testimonianza della speranza che è in noi, cercando il bene autentico nella nostra quotidianità e rinunciando ad essere automi; i quali, di solito, sono ingranaggi perfetti dei sistemi di morte.
Teresio Olivelli: un giovane meraviglioso, la persona forse più intelligente che io abbia mai conosciuto

Il 25 dicembre 1944, giorno di Natale, nel lager di Hersbruck non si lavora. Vitto abbondante: ben cinque piccole patate, che Teresio divide tra i compagni. Proprio il giorno di Natale, come racconta un compagno di prigionia: ‘Teresio venne in infermeria ad augurarci buone feste, sollevando il nostro spirito depresso con parole di vivissima fede. Per noi fu una visione del cielo. Ma egli era entrato in infermeria arbitrariamente allo scopo di sollevare le nostre anime. Era proibito a tutti entrare. Ma a Teresio importava consolare i compagni di sventura. Nell’uscire fu picchiato, schiaffeggiato, preso a calci’.
Questo episodio ci illustra bene come Teresio Olivelli nel lager sia stato pienamente un ‘uomo per gli altri’, per usare un’immagine cara al grande martire di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer. Il Dio di Gesù Cristo, nel lager è pienamente anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, è il Dio dell’essere ‘per gli altri’, che cammina sulle strade degli uomini, che aiuta e serve, che condivide, che si schiera con i più svantaggiati e oltraggiati. Il Dio dunque che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime.
Il 31 dicembre 1944, mentre tenta di difendere un giovane picchiato ferocemente da un kapò, Olivelli riceve un bestiale calcio allo stomaco. Su suo corpo martoriato, questa ennesima violenza produce un effetto devastante. Trasportato in infermeria, vi trascorre due settimane in agonia. Muore il 17 gennaio 1945. Aveva solo 29 anni.
Il corpo di Teresio Olivelli finisce nel forno crematorio, poi le sue ceneri sono disperse. Di lui non c’è dunque nessuna tomba, nessuna stele che indichi il luogo del suo martirio, nessuna pietra sepolcrale, nessuna scritta che ricordi il suo sacrificio. Lo stesso destino di milioni di altre persone.
Il lager di Hersbruck è stato la tappa finale di un cammino di maturazione e di crescita: cresciuto in Azione cattolica, nella Fuci e nella San Vincenzo, il giovane Olivelli abbracciò il fascismo, nell’ingenua convinzione che fosse possibile una sua coniugazione con il cristianesimo, e partecipò alla seconda guerra mondiale sul fronte russo con gli alpini, dove comprese la follia della politica del regime.
Tornato in Italia, nella frequentazione dell’Oratorio della Pace di Brescia maturò la sua definitiva fuoriuscita dal fascismo e dopo l’8 settembre 1943 divenne esponente di primo piano della Resistenza nelle file delle Fiamme Verdi, con il compito di tenere i contatti fra i vari gruppi e di contribuire alla realizzazione e diffusione della stampa clandestina, soprattutto del foglio ‘Il Ribelle’.
Arrestato a Milano il 27 aprile 1944 a seguito di una soffiata, Olivelli nei lager in cui si trovò detenuto giunse alla completa offerta di sé, vittima sacrificale della barbarie nazista, agnello immolato per i propri compagni di prigionia e, più in generale, per tutti coloro che si trovavano coinvolti nel dramma della guerra.
Teresio Olivelli, indicato da padre David Maria Turoldo come ‘una persona meravigliosa, uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto’, il 3 febbraio 2018 a Vigevano è stato beatificato. La Chiesa lo indica così come modello da imitare, come persona che nel sacrificio supremo ha compiuto il senso della sua vita, immolandosi per gli altri. La testimonianza di Teresio Olivelli è dunque quanto mai preziosa anche oggi, in un tempo in cui pare risuonare solamente il rumore assordante delle armi.
Epifania in Marocco

‘I miracoli sono sempre compiuti dagli uomini uniti’. Ecco, uno dei ‘Proverbi del mondo’ che i Re Magi distribuivano a piene mani al termine della celebrazione dell’Epifania. La saggezza delle nazioni. I fedeli della parrocchia Saint Augustin di Settat (Marocco), in terra d’Islam, mostravano tutta la loro curiosità e il loro stupore. Era, infatti, la prima volta di un’esperienza così. Già all’inizio della celebrazione non mancava la sorpresa.
I Magi, come per miracolo, avevano preceduto tutti davanti alle porte della chiesa, arrivati per primi. Ad ognuno, poi, mettevano nelle mani una stella… pardon, un lumino e una preghiera. Iniziava la messa, i canti della corale dei giovani universitari subsahariani trasformavano la nostra cappella in una vera cattedrale. D’ora in poi i miracoli, come le stelle, non si contavano più… Nell’omelia si seguivano passo dopo passo le sette tappe del cammino di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre: fede, audacia, curiosità, umiltà, condivisione, incontro e gioia.
Tappe ricordate perfino nei Proverbi dei Magi, vere pillole di saggezza: ‘Vola solo chi osa farlo…’, oppure ‘Viaggiare non è scoprire nuove terre, ma aprire nuovi occhi’… Così, tutti, al seguito dei Magi, durante l’offertorio portavano la loro stella sull’altare. Miracolo! Un’infinità, decine e decine di piccoli lumi, allora, scintillavano come stelle, dando un tocco di magia alla celebrazione dei tre pellegrini provenienti dall’Oriente, appassionati della luce.
Sì, la grotta di Betlemme, invasa dalla luminosità degli angeli, forse era più oscura… Ai piedi dell’altare, l’incenso fumava come un vulcano in piena attività. Sulle labbra dei fedeli sembrava di leggere un’unica, corale invocazione: ‘Salga a te, Signore, la mia preghiera come questo incenso!’ E come davanti alla grotta, ciascuno nella preghiera di intercessione nominava ad alta voce i nomi e i volti di coloro che portava nel cuore… Mistero della fede.
Sì, incontro con Dio nel silenzio e nella preghiera di una comunità. Sapore intimo dell’Epifania. Alla fine, all’uscita della chiesa, invece, torte e succhi di frutta aspettavano con impazienza… Ma soprattutto vi era l’attesa tombola di sardine. Le sardine fresche, qui, dalle rive dell’Atlantico è una vera golosità, un dono di Dio, preziose più dell’oro di Melchiorre.
Così, l’allegria e il buon umore raggiungevano il loro apice, mentre fioccavano i flash insieme ai re Magi, ovviamente sulla via del ritorno… per portare alle case dei vicini musulmani il loro originale saluto. Sì, come una eco, in fondo, risuonava in ognuno un ultimo messaggio di Betlemme: ‘Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore’.
‘Tutto procede come imprevisto’: senza imporre nulla, spianiamo la strada alla vita

Nel 2020, l’anno che tutti ricordiamo per il covid, usciva uno dei libri in cui ho messo più passione: ‘Tutto procede come imprevisto. Il tunnel diventato ponte grazie a Gianna Beretta Molla’ (Mimep Docete): mentre lo scrivevo, nel 2019, non avevo idea che di lì a poco la realtà dell’aborto (tema principale del libro) mi avrebbe riguardato molto da vicino.
Dal 2020 al 2023, infatti, ho vissuto tre aborti spontanei, che, oltre a generarmi grande dolore, mi hanno portato ad amare ancora di più la vita: ho capito quanto fragile e preziosa sia. E, mentre soffrivo nel lasciare andare il terzo figlio (con un parto indotto, con cui lo avrei dato alla luce morto), mi sono detta: nessuna donna deve essere costretta a vivere questo. Nessuna donna deve pensare di non avere alternativa a questo.
Da quel momento, il romanzo, dedicato alla santa mamma Gianna Beretta Molla ha assunto ancora più valore ai miei occhi. Quando tutto in te dice ‘vita’, e poi la vita si spegne, quando da casa accogliente il tuo utero si trasforma in una tomba, qualcosa si rompe, nell’anima: e questa ferita, mi sono detta, devo fare di tutto per evitarla ad altre donne.
A volte, come società, invece di spianare la strada la vita mettiamo ostacoli, muri, barricate. È quello che succede alla mia protagonista, Gaia, che, come si vede nei primi capitoli del romanzo, scoprendosi inaspettatamente incinta, viene ricattata dai genitori, abbandonata dal padre del bambino, ignorata dalle amiche di sempre (d’altronde, è solo una scelta sua, quindi anche un problema esclusivamente suo… e poi ‘quanti problemi ti fai per un grumo di cellule! Pensa a te stessa, al tuo futuro’).
Gaia ha 21 anni e tutto intorno a lei grida ‘aborto’. Coscienziosa e diligente, studentessa di medicina, pro-life sulla base della biologia (non della religione) ha due obiettivi: diventare una brava dottoressa e formare una famiglia. Quella gravidanza, arrivata in quel momento e con quell’uomo, sembra rovinare tutto.
Gaia non vuole abortire, ma al tempo stesso vuole che quella gravidanza non sia mai iniziata: è così combattuta da avere attacchi di panico… da piangere giorno e notte. Finché non compare qualcuno nella sua vita che, senza imporre nulla, tende una mano. Scopre una possibilità, è l’inizio della rinascita. Gaia potrà vedere in modo nuovo la sua situazione.
Figura centrale del libro è, come si diceva all’inizio, Santa Gianna Beretta Molla (la prima santa mamma dei tempi moderni, canonizzata nel 2004), la quale, per non interrompere la vita della sua quarta bambina (oggi una splendida persona, che si chiama Gianna Emanuela Molla), ha scelto di non curare un fibroma all’utero, morendo di parto.
Gianna, sposata con l’ingegnere Pietro Molla, era medica, aveva una vita piena e appagante, aveva già altri tre figli. Sapeva che avrebbe potuto lasciare orfani i suoi bambini, ma diceva anche che non poteva non prendersi cura della figlia che aveva in grembo, la quale poteva contare solo su di lei per sopravvivere.
Negli ultimi giorni della gravidanza, si mostra pronta a dare la vita, tanto da affermare: “Se dovete decidere fra me e il bimbo (non sapeva il sesso ndr), nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”. Il mattino del 21 aprile 1962, nasce in ospedale Gianna Emanuela, ma il 28 aprile, nonostante l’impegno dei medici per salvare entrambe, Gianna muore.
Pietro, straziato dalla perdita, ma fiducioso della bontà di Dio, non ha mai smesso di credere. Ha assunto su di sé tutto il carico della famiglia, sapendo che la moglie c’era ancora, in modo nuovo.
Ha vissuto ben 50 anni da vedovo, ma non ha mai dimenticato gli anni con la sua amata, definendoli i più belli della vita. Diceva che la moglie lo aveva introdotto ad una ‘vita nuova’.
La storia di Gianna Beretta Molla mi ha toccata moltissimo fin da giovanissima, me ne parlava mia madre, ora in Cielo anche lei. La considerava un esempio. Poco dopo la morte di mia madre iniziai a scrivere ‘Tutto procede come imprevisto. Il tunnel diventato ponte grazie a Gianna Beretta Molla’ (Mimep Docete, 2020) e lo dedicai a mamma.
Un libro con cui volevo dare speranza e dire che con amore possiamo (dobbiamo!) interessarci alla vita degli altri, perché il male più grande della nostra società è l’indifferenza. Gianna è un segno di altruismo e di benevolenza, di fede e di speranza. Ci insegna a fare tutto in funzione di una vita che non finirà in eterno. Per maggiori informazioni sul libro: Tutto procede come imprevisto | Casa Editrice Mimep Docete