Tag Archives: Artigiani
‘Piazza dei Mestieri’ per realizzare i sogni dei giovani

“In questi 20 anni di attività ‘Piazza dei Mestieri’ ha seguito ed avviato al lavoro migliaia di giovani, coinvolgendo docenti, istituzioni locali, imprenditori e famiglie, creando una formula innovativa ed efficiente. Dalla città di Torino la ‘Piazza dei Mestieri’ si è allargata anche a Catania e Milano, dimostrando così l’efficacia di un modello. Il lavoro costituisce un cardine del patto di cittadinanza su cui si fonda la nostra Costituzione. E’, insieme, realizzazione personale e partecipazione al destino comune della Repubblica.
Senza occupazione non c’è dignità. Senza lavoro si piomba nella marginalità e nella solitudine. L riscoperta dei ‘mestieri’, in questo senso, rappresenta un tassello importante per dare prospettive certe ai giovani, rimuovendo le cause economiche e sociali che ne impediscono una piena partecipazione alla vita civile”: con questa lettera del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha voluto raggiungere la Piazza dei Mestieri e tutti i partecipanti, si era conclusa a settembre la festa per il ventennale della fondazione.
Sono state oltre 2.500 le presenze al dialogo che si è dipanato attraverso 12 incontri in un dialogo in cui i giovani sono stati protagonisti interloquendo con le loro domande con gli autorevoli ospiti della settimana. Non sono mancati poi momenti di festa con serate dedicate alla musica (Jazz e Cabaret) e con eventi dedicati agli ex allievi per i quali in questi giorni è stata fondata un’associazione.
Un punto del modello ‘Piazza dei Mestieri’, che i relatori hanno sottolineato, è la sua capacità di essere stato capace di far emergere i talenti dei giovani accompagnandoli nel loro percorso educativo e di inserimento lavorativo, ma anche offrendo proposte per il loro tempo libero come, ad esempio, quelle del ricco cartellone di eventi culturali. Non basta vietare l’eccesso di uso del cellulare, ci vuole qualcosa cha attrae di più, servono luoghi che rispondano al desiderio di felicità dei giovani partendo da un abbraccio capace di accoglierli e di fargli sentire il loro valore, come ha concluso Dario Odifreddi, presidente del consorzio ‘Scuole Lavoro’ e fondatore di ‘Piazza dei Mestieri’:
“Creare un ponte tra formazione e lavoro per dar vita ai nuovi artigiani del futuro. E’ con questo obiettivo che nasceva a Torino ‘Piazza dei Mestieri’, un’esperienza purtroppo unica in Italia. Ogni anno ‘Piazza dei Mestieri’ prepara per il mondo del lavoro cuochi, parrucchieri, maitre di sala, tecnici Ict e grafici, con un occhio attento anche alla prevenzione del disagio giovanile e alla lotta alla dispersione scolastica, perché il lavoro serve per l’educazione… Occorre trasmettere la passione al lavoro, perché esso educa alla libertà ed insegnare un lavoro forma ad essere uomo”.
Era il 26 ottobre 2004 quando a Torino si inaugurava la ‘Piazza dei Mestieri’. In questi vent’anni la ‘Piazza’ è diventata non solo un luogo di educazione e di crescita dei più giovani, ma anche un luogo di incontro per le famiglie e per gli adulti del territorio, un luogo di accoglienza per stranieri e persone in difficoltà, un luogo di cultura e di buon cibo, riproducendo così il modello di piazza dei comuni della tradizione italiana.
Ogni anno la Piazza dei Mestieri, nelle sedi di Torino (2004), Catania (2012) e Milano (2022), accoglie migliaia di giovani italiani e stranieri, che vogliono imparare un mestiere e trovare un lavoro. Nascono così i panettieri, i cioccolatieri e i birrai, i cuochi e i camerieri, i grafici e gli informatici, le acconciatrici ed i barber del futuro:
“Per raggiungere questi risultati sono stati necessari la passione, la dedizione, il lavoro e la gratuità delle tante persone che ogni giorno lavorano fianco a fianco con i ragazzi, veri e propri ‘Maestri’ che si implicano totalmente con la loro vita e con le loro problematiche. Altrettanto decisiva è stata, e sarà, l’alleanza con gli imprenditori e le istituzioni del territorio con cui si è costruita una grande alleanza affinché educazione e lavoro diventino parte di un unico processo educativo”.
Negli anni ‘Piazza dei Mestieri’ ha creato sia un ristorante, finito sulla guida Michelin, che un pub, premiato per le sue birre; poi anche un centro di acconciatura ed estetica; inoltre con ‘Piazza dei Mestieri’ è nato un Istituto Tecnico Superiore, premiato dal Ministero dell’Istruzione. E per favorire l’inserimento lavorativo degli allievi, è nato un Job Center, che segue i ragazzi nei due anni successivi al diploma:
“C’è un’enorme domanda di mestieri tradizionali… La differenza oggi è che vanno rivisti in chiave innovativa, moderna e tecnologica. Fare il maitre o lo chef non può essere uguale a 20 anni fa. I mestieri servono tantissimo, ma non serve riprodurre una cosa vecchia, in quanto oggi un cuoco deve conoscere anche le lingue e le intolleranze alimentari ed un idraulico i materiali più innovativi sul mercato”.
A lui chiediamo di raccontarci la responsabilità educativa degli adulti nei confronti dei ragazzi: “Sfidare la loro libertà, incoraggiarli a scoprire i loro talenti, aiutarli a percepirsi protagonisti della loro vita e di quella del tempo a cui appartengono. Dobbiamo stare nudi davanti a loro, senza uno sguardo moralista e scettico. Per questo la prima responsabilità di noi adulti non è quella verso i nostri giovani, ma quella verso noi stessi, perché siamo noi per primi che dobbiamo riscoprire la positività della vita e del reale”.
I giovani soffrono il ‘male di vivere’?
“Si, hanno molta paura del loro futuro, temono di restare delusi e di deludere le persone a cui vogliono bene. Così tante volte si ritirano dalle sfide che la realtà pone loro di fronte. E’ come se il naturale slancio della gioventù, desideroso di costruire, di scoprire cosa si sta a fare al mondo, di porsi le grandi domande sul senso della vita, fosse imbrigliato da una nebbia che oscura l’orizzonte”.
In quale modo è possibile non mortificare i ‘sogni’ dei giovani?
“Innanzitutto, noi adulti dobbiamo smetterla di lanciare segnali negativi, di dirgli che saranno una generazione che vivrà peggio di noi, che li aspetta un mondo di precarietà, che saranno sopraffatti dalle grandi transizioni in atto. Smettiamo di compiangerli, mettiamoci al loro fianco per aiutarli a scoprire che la vita è un dono destinato a una grande avventura e che nessuna contraddizione ci può togliere il gusto del vivere e di scoprire il nostro destino”.
Perché ‘Piazza dei Mestieri’?
“Venti anni fa ci accorgevamo che tanti adolescenti si perdevano per strada, bisticciavano con la scuola, entravano nel loop dell’abbandono scolastico, perdevano la fiducia nella vita e in molti casi finivano per vivere ai margini della società, talvolta scivolando verso le diverse forme di devianza e di dipendenza. Invece di fare analisi abbiamo deciso di mettere le mani in pasta e di farci compagni del loro cammino”.
Quali sono le origini di ‘Piazza dei Mestieri’?
“Risalgono a molo tempo fa quando con un gruppo di amici universitari che condividevano l’esperienza cristiana ci siamo trovati di fronte alla contraddizione. Nel 1986, in una gita in montagna con più di 300 universitari, il nostro amico più caro, Marco Andreoni, per il distacco di una grossa pietra su cui si trovava, precipitava e moriva. Dopo la rabbia ed il dolore si è fatto strada in noi il desiderio di spendere la vita per qualcosa che valesse la pena. Così il gruppo degli amici più cari ha sempre conservato nel cuore di fare qualcosa di utile da dedicare a Marco. Dopo la laurea siamo andati a lavorare in posti diversi e dopo diversi anni è nata l’occasione per costruire una realtà educativa. E’ nata così la Piazza dei mestieri Marco Andreoni”.
Dopo 20 anni, come si può descrivere ‘Piazza dei Mestieri’?
“Un luogo, a Torino a Catania e a Milano, per i giovani adolescenti, soprattutto per quelli più in difficoltà; un luogo in cui si sviluppano percorsi formativi incentrati sui Mestieri (panettieri, pasticceri, cioccolatieri, birrai, cuochi, camerieri, acconciatori, grafici, informatici) e in cui si può fare un’esperienza reale di lavoro grazie al fatto che abbiamo aperto un ristorante, un pub, un salone di acconciatura, e poi produciamo birra, pane, cioccolato, etc. Tutte attività aperte al pubblico. Un modello innovativo in cui educazione e lavoro vanno a braccetto. Questo è fondamentale per permettere un reale inserimento nel mondo del lavoro.
Un luogo di accoglienza per gli stranieri, di sostegno alla rete di scuole del territorio, un luogo dove si fa anche cultura (facciamo più di 70 eventi culturali ogni anno) e ci si diverte. Nel 2023 abbiamo accolto e accompagnato oltre 11.000 giovani. Ma soprattutto è una casa a cui si può sempre tornare (c’è anche l’associazione ex allievi). Perché ognuno dei nostri ragazzi è come una stella che incontra tante difficoltà nel suo cammino e che ha sempre bisogno di un luogo che la aiuta a riaccendersi a ripartire. Un luogo che ti aspetta e che ti abbraccia qualunque cosa tu abbia fatto o vissuto”.
(Foto: Piazza dei Mestieri)
Papa Francesco rivolge gli auguri di Natale: la salvezza è costruita da artigiani

“Sono felice che possiamo scambiarci gli auguri di Natale. Esprimo prima di tutto la mia gratitudine a ciascuno di voi per il lavoro che fate, sia a beneficio della Città del Vaticano che della Chiesa universale. Come ogni anno, siete venuti con le vostre famiglie e per questo vorrei riflettere un momento, brevemente, con voi proprio su questi due valori: lavoro e famiglia”: giornata di auguri natalizi per papa Francesco con i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e con la Curia romana.
Ai dipendenti vaticani papa Francesco incentra il messaggio augurale sulla famiglia e sul lavoro: “Quello che fate è certamente tanto. Passando per le strade e nei cortili della Città del Vaticano, nei corridoi e negli uffici dei vari Dicasteri e nei diversi luoghi di servizio, la sensazione è di trovarsi come in un grande alveare. E anche adesso c’è chi sta lavorando per rendere possibile questo incontro e non è potuto venire: diciamo loro grazie!”
E’ un lavoro ‘nascosto’ come lo è stato quello di Gesù: “Gesù stesso ce l’ha mostrata: Lui, il Figlio di Dio, che per amore nostro si è fatto umilmente apprendista falegname alla scuola di Giuseppe. A Nazaret pochi lo sapevano, quasi nessuno, ma nella bottega del carpentiere, assieme e attraverso tante altre cose, si costruiva, da artigiani, la salvezza del mondo! Avete pensato a questo: che la salvezza è stata costruita ‘da artigiani’? E lo stesso, in senso analogo, vale per voi, che col vostro lavoro quotidiano, nelle Nazaret nascoste delle vostre particolari mansioni, contribuite a portare a Cristo l’intera umanità e a diffondere in tutto il mondo il suo Regno”.
L’altro punto sottolineato è quello della famiglia, che invita ad amare, riprendendo la ‘lezione’ di san Giovanni Paolo II: “Amate la famiglia, per favore! Ed è vero: la famiglia, infatti, fondata e radicata nel matrimonio, è il luogo in cui si genera la vita (e quanto è importante, oggi, accogliere la vita!) Poi è la prima comunità in cui, fin dall’infanzia, si incontrano la fede, la Parola di Dio e i Sacramenti, in cui si impara a prendersi cura gli uni degli altri e a crescere nell’amore, a tutte le età…
Nella famiglia è stata trasmessa la fede. Vi incoraggio perciò (genitori, figli, nonni e nipoti, i nonni hanno una grande importanza vi incoraggio a restare sempre uniti, stretti tra voi e attorno al Signore: nel rispetto, nell’ascolto, nella premura reciproca”.
Eppoi un invito alla preghiera insieme: “Sempre uniti, mi raccomando, anche nella preghiera fatta insieme, perché senza preghiera non si va avanti, neanche in famiglia. Insegnate a pregare ai bambini! Ed in proposito, in questi giorni, vi suggerisco di trovare qualche momento in cui raccogliervi, assieme, attorno al Presepe, per rendere grazie a Dio dei suoi doni, per chiedergli aiuto per il futuro e per rinnovarvi a vicenda il vostro affetto davanti al Bambino Gesù”.
Mentre nell’augurio alla curia romana l’invito del papa è quello della benedizione: “Questo atteggiamento, il parlare bene e non parlare male, è un’espressione dell’umiltà, e l’umiltà è il tratto essenziale dell’Incarnazione, in particolare del mistero del Natale del Signore, che ci apprestiamo a celebrare. Una comunità ecclesiale vive in gioiosa e fraterna armonia nella misura in cui i suoi membri camminano nella via dell’umiltà, rinunciando a pensare male e parlare male degli altri”.
E lo ha fatto con un insegnamento di Doroteo di Gaza: “Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri. Doroteo è uno di questi. Nella scia di grandi Padri come Basilio ed Evagrio, egli ha edificato la Chiesa con istruzioni e lettere piene di linfa evangelica. Oggi anche noi, mettendoci alla sua scuola, possiamo imparare l’umiltà di accusare sé stessi per non dire male del prossimo”.
Infatti l’invito di Doroteo di Gaza consiste nella trasformazione del male in bene: “Accusare sé stessi è un mezzo, ma è indispensabile: è l’atteggiamento di fondo in cui può mettere radici la scelta di dire ‘no’ all’individualismo e ‘sì’ allo spirito comunitario, ecclesiale. Infatti, chi si esercita nella virtù di accusare sé stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio, il solo che crea l’unione dei cuori.
E così, se ciascuno progredisce su questa strada, può nascere e crescere una comunità in cui tutti sono custodi l’uno dell’altro e camminano insieme nell’umiltà e nella carità. Quando uno vede un difetto in una persona, può parlarne soltanto con tre persone: con Dio, con la persona stessa e, se non può con questa, con chi nella comunità può prendersene cura. E niente di più”.
E’ stato un invito ad essere ‘artigiani’ della benedizione: “Possiamo immaginare la Chiesa come un grande fiume che si dirama in mille e mille ruscelli, torrenti, rivoli (un po’ come il bacino amazzonico), per irrigare tutto il mondo con la benedizione di Dio, che scaturisce dal Mistero pasquale di Cristo”.
E’ la realizzazione del ‘disegno’ di Dio promesso ad Abramo: “Questo disegno presiede a tutta l’economia dell’alleanza di Dio con il suo popolo, che è ‘eletto’ non in senso escludente, ma al contrario nel senso che cattolicamente diremmo ‘sacramentale’: cioè facendo arrivare il dono a tutti attraverso una singolarità esemplare, meglio, testimoniale, martiriale”.
Infine ha rivolto un augurio ai ‘minutanti’, prendendo spunto da una frase di uno di loro apposto sulla porta (‘Il mio lavoro è umile, umiliato, umiliante’): “Direi che esprime lo stile tipico dell’artigianato della Curia, da intendere però in senso positivo: l’umiltà come via del bene-dire. La strada di Dio che in Gesù si abbassa e viene ad abitare la nostra condizione umana, e così ci benedice. E questo posso testimoniarlo: nell’ultima Enciclica, sul Sacro Cuore, che ha menzionato il cardinale Re, quanti hanno lavorato! Quanti! Le bozze andavano, tornavano… Tanti, tanti, con piccole cose”.
La mattinata di papa Francesco si è conclusa con l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione del re del Belgio Baldovino: “Volendo dare seguito a quanto disposto, il Dicastero ha iniziato il previsto iter costituendo in data 17 dicembre 2024 la regolare Commissione storica, composta da illustri esperti nella ricerca archivistica e nella storia del Belgio, per raccogliere e valutare la documentazione riguardante il Re Baldovino”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ai giovani: la speranza non delude mai

“Sono felice di incontrarvi in occasione del ventesimo anniversario di questo organismo: un traguardo che diventa occasione per continuare a impegnarsi con fiducia, prima che la gioventù se ne vada”: con queste parole oggi papa Francesco ha incontrato i membri del Consiglio Nazionale dei giovani, invitandoli a non perdere la capacità di sognare, in occasione del ventennale della fondazione.
In occasione della prossima Giornata mondiale della Gioventù diocesana il papa ha sottolineato che le parole con le quali ha indetto il Giubileo aderiscono alle rilevazioni del Consiglio, in quanto la speranza non delude: “Sentite bene questo: la speranza non delude. Mai. Con queste parole ho indetto il Giubileo Ordinario del 2025. Mi ha fatto piacere leggere dalla vostra ‘Quarta Rilevazione dell’Indice di Fiducia’ che la speranza è l’atteggiamento interiore in cui i giovani italiani oggi si riconoscono di più. Incontriamo spesso persone sfiduciate perché guardano al futuro con scetticismo e pessimismo”.
E’ stato un invito ad essere artigiani di speranza e non ‘pessimisti’: “Quelle persone dalla faccia lunga, così… il pessimismo. E’ importante dunque sapere che i giovani italiani sanno essere artigiani di speranza perché sono capaci di sognare. Per favore, non perdere la capacità di sognare: quando un giovane perde questa capacità, non dico che diventa vecchio, no, perché i vecchi sognano. Diventa un ‘pensionato della vita’. E’ molto brutto. Per favore, giovani, non siate ‘pensionati della vita’, e non lasciatevi rubare la speranza! Mai! La speranza non delude mai!”
E’ stato un invito ad affrontare le sfide della vita senza smettere di sognare: “Come sappiamo (anche dalla cronaca di questi giorni) le sfide che vi riguardano sono tante: la dignità del lavoro, la famiglia, l’istruzione, l’impegno civico, la cura del creato e le nuove tecnologie. L’aumento di atti di violenza e di autolesionismo, fino al gesto più estremo di togliersi la vita, sono segni di un disagio preoccupante e complesso. Voi sapete che, nel mondo, i suicidi giovanili non si pubblicano tutti, si nascondono. E’ un cambiamento d’epoca, una metamorfosi non solo culturale ma anche antropologica. Per questo è fondamentale un cammino educativo che coinvolga tutti”.
Ecco l’invito ad essere testimoni della vita: “C’è una bellezza che va al di là dell’apparenza: è quella di ogni uomo e ogni donna che vivono con amore la loro vocazione personale, nel servizio disinteressato alla comunità, nel lavoro generoso per la felicità della famiglia, nell’impegno gratuito per far crescere l’amicizia sociale.
Scoprire, mostrare e mettere in risalto questa bellezza significa porre le basi della solidarietà sociale e della cultura dell’incontro. Il vostro servizio disinteressato per la verità e la libertà, per la giustizia e la pace, per la famiglia e la politica è il contributo più bello e più necessario che potete offrire alle istituzioni per la costruzione di una società nuova”.
Infine il papa ha invitato loro a non temere le difficoltà della vita: “Di fronte alle sfide e alle difficoltà che potrete incontrare nel vostro lavoro, non temete! Non abbiate paura di attraversare anche i conflitti. I conflitti ci fanno crescere. Ma non dimenticate che il conflitto è come un labirinto: dal labirinto non si può uscire da soli, si esce in compagnia di un altro che ci aiuti. Primo. E dal labirinto si esce dall’alto. Lasciatevi aiutare dagli altri”.
Quindi per il papa occorre guardare in alto: “E sempre guardare in alto perché la vita non sia un giro labirintico, che uccide la gioventù. Invecchiare in un labirinto è invecchiare nei valori superficiali. E’ triste vedere un uomo o una donna, giovane, che vive la sua vita nella superficialità… Serve, nella vostra vita (anche per attraversare i conflitti) serve la pazienza di trasformarli in capacità di ascolto, di riconoscimento dell’altro, di crescita reciproca.
Provare a superare i conflitti è il segno che abbiamo puntato più in alto, più in alto dei nostri interessi particolari, per uscire dalle sabbie mobili dell’inimicizia sociale. Andate avanti nel vostro servizio: cercare, custodire e portare la voce e la speranza dei giovani italiani nelle sedi istituzionali per partecipare insieme al bene comune”.
E li ha affidati al beato Pier Giorgio Frassati: “Vi affido al Beato Pier Giorgio Frassati. Lo conoscete? Io da bambino avevo sentito parlare di lui, perché il mio papà era membro dell’Azione Cattolica. E’ un giovane come voi, che ha testimoniato con la vita la gioia del Vangelo. Vi invito a conoscerlo e imitare la sua coerenza e il suo coraggio, la sua gioia”.
Mentre ai rappresentanti delle principali istituzioni di settore nel mondo, che partecipano ad un incontro internazionale promosso dalla Biblioteca Apostolica Vaticana papa Francesco ha chiesto la cura della cultura: “Molte istituzioni culturali si trovano così indifese davanti alla violenza delle guerre e della depredazione. Quante volte è già successo in passato! Impegniamoci perché non succeda più: allo scontro di civiltà, al colonialismo ideologico e alla cancellazione della memoria rispondiamo con la cura della cultura.
Sarebbe grave che, oltre alle tante barriere tra gli Stati, si innalzassero anche muri virtuali. A tale riguardo, voi bibliotecari avete un ruolo importante, oltre che per la difesa del patrimonio storico, anche per la promozione della conoscenza. Vi incoraggio a continuare a lavorare affinché le vostre istituzioni siano luoghi di pace, oasi di incontro e di libera discussione”.
Ed ecco i quattro criteri consegnati dal papa: “Il primo criterio: che il tempo sia superiore allo spazio. Voi custodite giacimenti immensi di sapere: possano diventare luoghi in cui sia dato il tempo di riflettere, aprendosi alla dimensione spirituale e trascendente. E così possiate favorire studi a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati, favorendo nel silenzio e nella meditazione la crescita di un nuovo umanesimo.
Secondo criterio: l’unità prevalga sul conflitto. La ricerca accademica suscita inevitabilmente momenti di controversia, che vanno svolti all’interno di un dibattito serio, per non giungere alla prevaricazione. Le biblioteche devono essere aperte a tutti gli ambiti di conoscenza, testimoniando una comunione d’intenti tra differenti prospettive.
Terzo criterio: che la realtà sia più importante dell’idea. E’ bene che la concretezza delle scelte e l’attenzione alla realtà crescano a stretto contatto con l’approccio critico e speculativo, per evitare ogni falsa opposizione tra pensiero ed esperienza, tra fatti e principi, tra prassi e teoria. C’è un primato della realtà che la riflessione deve sempre onorare, se vuole cercare sinceramente la verità.
E quarto criterio: che il tutto sia superiore alla parte. Siamo chiamati ad armonizzare la tensione tra locale e globale, ricordando che nessuno è un individuo isolato, ma ognuno è una persona che vive di legami e reti sociali, cui partecipare con responsabilità”.
Mentre nell’incontro con i seminaristi di Pamplona e San Sebastian il papa ha sottolineato che “il seminario non è una prigione, è un luogo dove imparare che un sacerdote è un uomo, un essere umano che vuole redimere, come il vostro arcivescovo mercedario, un redentore di prigionieri; perché un sacerdote non può essere altro che un’immagine viva di Gesù, il Redentore con la R maiuscola”.
E’ stato un invito ad andare nelle carceri: “Questo significa molte cose, ma una molto precisa è che dobbiamo scendere nelle carceri; certamente nelle carceri governative, per offrire a quanti vi sono reclusi l’olio della consolazione e il vino della speranza, ma anche in tutte quelle carceri che rinchiudono uomini e donne della nostra società: le prigioni ideologiche, quelle morali, quelle che creano lo sfruttamento, lo sconforto, l’ignoranza e la dimenticanza di Dio”.
(Foto: Santa Sede)
Giornata mondiale contro le droghe: occorre prevenire

Essere presenti con le risposte giuste prima che nascano le domande, questa è la sfida che oggi come operatori sociali, ma prima di tutto come uomini e donne, dobbiamo scegliere di intraprendere. Altrimenti arriveremo sempre troppo tardi. In occasione di questa giornata che si propone di alzare gli occhi ‘contro l’abuso e il traffico illecito di droga’, sentiamo fondamentale spostare lo sguardo su una dimensione che troppo spesso è ignorata e passata sotto silenzio.
Il problema oggi non è vietare, interdire, bloccare, condannare l’uso, l’abuso o il traffico di sostanze. Sarebbe come pensare di tappare con un dito il foro di una diga che sta rischiando di spaccarsi sotto lo stimolo di un’onda anomala. La logica della rincorsa alla soluzione non è mai quella vincente, specialmente se si tratta di presa in carico della fragilità umana e delle pericolose conseguenze ad essa legate.
Oggi i giovani, e le loro famiglie, hanno bisogno di scelte politiche e sociali diverse, che decidano di investire e scommettere sul loro potenziale, non di limitarsi a raccogliere i cocci e provare ad incollare situazioni ormai logore e fortemente compromesse. L’età media dei ragazzi che arriva a bussare alla nostra porta è sempre più bassa, abbiamo giovanissimi che arrivano in comunità già a 14 anni, mentre si alza vertiginosamente il loro livello di compromissione fisica, giuridica, sociale e sanitaria.
Tutto questo sotto gli occhi di un sistema che, cieco davanti alla situazione e sordo ai suoi continui richiami, si limita ad accorgersi di loro solo quando il dramma appare sulle colonne della cronaca nera o di qualche reportage scandalistico. Mancano precisi disegni e intenti preventivi che traccino linee di intervento chiare e veramente incisive.
E’ però terminata l’ora delle parole e dei proclami fini a sé stessi, dei progettifici e delle offerte a tempo costruite esclusivamente per riempire spazi e servizi ormai desolatamente vuoti e desueti. Bisogna agire prima: restituire alle nuove generazioni la capacità di inventare e inventarsi, di sentirsi protagonisti di un progetto di vita realistico e appetibile, di desiderare un futuro in cui la fatica non sia solo un ostacolo da aggirare, ma una strada verso soddisfazioni importanti.
Come adulti non possiamo accontentarci di essere ‘restauratori’ di situazioni cresciute da sole senza una progettualità reale, bisogna diventare artigiani di adolescenze proattive, accompagnatori in percorsi che possano non essere spaventosi nonostante le salite e gli strapiombi che inevitabilmente ne fanno parte. Questo richiede però presenza vera, intenzionalità educativa costante e, soprattutto, alternative credibili verso le quali dirigere i nostri ragazzi.
Mi ha molto colpito la storia di Samuele, (https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/la-maturita-sul-campo-di-samuele-io-volontario-al-bosco-di-rogoredo-oltre-lo-studio-ce-di-piu-gli-altri-de434ac8) giovane che ho incontrato quest’anno al presidio che ogni mercoledì viene gestito presso il bosco di Rogoredo da giovani studenti desiderosi di rendersi utili verso i loro coetanei che attraversano sentieri di forte difficoltà.
Lui, giovane maturando, ha scelto di essere presente anche il giorno della sua prima prova d’esame, testimoniando così l’importanza e la bellezza dell’impegno verso gli altri che riempie di significato la propria esistenza.
Situazioni e valori che appaiono oggi forse in controtendenza rispetto a quanto viene costantemente proposto all’interno della società di oggi, ma che nei giovani risuonano come la vera e profonda rivoluzione che può portare un vero cambiamento all’intera comunità.
Spesso incontro ragazzi impegnati e desiderosi di fare qualcosa per dare un senso alle loro esistenze e rispondere a quella ricerca di senso che costantemente provano. La stessa ricerca che purtroppo spesso porta i più fragili a cercare nelle sostanze una risposta che non riescono a trovare nell’anestetizzante routine in cui sono troppo spesso inseriti: una quotidianità priva di proposte interessanti e di sguardi mirati alla promozione delle loro potenzialità.
Dobbiamo avere il coraggio delle grandi proposte, degli azzardi stimolanti, delle avventure condivise che possano colmare le istanze di crescita e di emancipazione dei nostri giovani. Solo così non saranno più necessarie giornate contro, ma potremo finalmente istituire giornate ‘a favore di’, che possano ricordare quanta ricchezza e propositività ci circondano!
Card. Zuppi: Chiesa segno di pace

Aprendo ieri il Consiglio permanente della Cei, il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha posto al centro del discorso la pace e la fraternità, parole fondamentali per papa Francesco: “I conflitti di cui l’umanità si sta rendendo protagonista in questo primo quarto del XXI secolo ci mostrano la fatica di essere fratelli, abitanti della casa comune. Vediamo anche le conseguenze di ‘non scelte’, di rimandi colpevoli, di occasioni perdute”.
Infatti la guerra mette in difficoltà la fraternità: “E’ la fraternità stessa a essere messa in dubbio, la possibilità di convivere senza dover competere o addirittura eliminare l’altro per poter vivere. E se è messa in discussione la fraternità, lo è sempre anche l’individuo! Possiamo ancora accettare che solo la guerra sia la soluzione dei conflitti? Ripudiarla non significa arrestarne la progressione o dobbiamo aspettare l’irreparabile per capire e scegliere?”
Il card. Zuppi ha insistito sul bisogno di essere ‘artigiani di pace’: “L’impegno personale e di tutte le nostre comunità resta quello di essere ‘artigiani di pace’, tessitori di unione in ogni contesto, pacifici nelle parole e nei comportamenti, ammoniti anche a dire ‘pazzo’ al prossimo, per imparare ad amare il nemico e renderlo di nuovo quello che è: fratello.
Ascoltiamo la voce di quanti soffrono, delle vittime, di quanti hanno visto violati i diritti elementari e rischiano che le loro grida si perdano nell’indifferenza o nell’abitudine. In modo concreto e possibile a tutti vorremmo che questa scelta di essere operatori di pace sia anzitutto nella preghiera incessante e commossa, ma che diventi anche solidarietà”.
Ed ha ricordato alcune azioni che gli ‘artigiani di pace’ possono compiere: “Ad esempio, con l’Ucraina, mediante la diffusa accoglienza per le vacanze estive ai bambini orfani o vittime (lo sono tutti) di quella catastrofe che è la guerra. In questa stessa prospettiva vivremo durante la prossima Assemblea Generale una giornata di preghiera, digiuno e solidarietà.
Invitiamo le nostre comunità ad accompagnare già dalle prossime settimane questo nuovo momento di unione e vicinanza verso quanti stanno soffrendo per i conflitti in corso. Allo stesso tempo, rinnoviamo l’appello alla partecipazione alla ‘Colletta per la Terra Santa’ che si raccoglie il Venerdì Santo”.
Ha sottolineato che le parole di pace pronunciate in questi mesi non sono ingenue, come non sono state ingenue quelle dei papi precedenti sulla pace: “In realtà sono le sole ragioni che possono portare alla composizione dei conflitti, a risolverne le cause, facendo trionfare il diritto e il senso di responsabilità sovranazionale. La storia esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura”.
Ed ha offerto la storia biblica di Giuseppe ed i suoi fratelli: “Le vicende che seguono dipendono da questa premessa: tutti i protagonisti, oltre e prima che fratelli tra di loro, sono figli di un unico patriarca. Dimenticare questa verità rischia di compromettere le relazioni tra pari. Cosa può voler dire questo oggi? In primo luogo, significa ricordare a noi stessi quella dimensione antropologica che ci accomuna come esseri umani. Fratelli tutti lo siamo già.
Dobbiamo esserne consapevoli e imparare ad esserlo! In epoca di diffuso e smemorato individualismo non è poco! Siamo tutti bisognosi di essere riconosciuti nella nostra singolarità, unica e irripetibile. Ma perché questo avvenga c’è bisogno del noi, della comunità, di luoghi di relazione vera tra le persone, di quell’alleanza che diventa amicizia. Tutte le nostre realtà si devono misurare proprio con questo e devono diventare luoghi concreti di fraternità, esperienza di paternità e fratellanza”.
Quindi il card. Zuppi ha tratteggiato una Chiesa non paurosa del dialogo: “Il dibattito non ci fa paura. Anzi, abbiamo più volte invitato, anche nel Cammino sinodale, a interrogarsi in maniera larga e consapevole sulla missione della Chiesa oggi in Italia, di fronte al futuro complesso e incerto del nostro mondo. E a farlo nel dialogo, tra tanti cristiani, in maniera popolare come è avvenuto e non nelle polemiche digitali, sterili, polarizzate, di convenienza.
Non si può gestire il presente con una cultura del declino, quasi si trattasse solo di mettere insieme forze diminuite, di ridurre spazi e impegno o di agoniche chiamate al combattimento. Riandare nostalgicamente al passato non è fare storia, perché questa ha una robusta connessione con il senso del futuro. Guardare al passato è una tentazione facile con l’avanzare dell’età, forse facile in un Paese anziano come l’Italia o in una Chiesa dove non poche persone sono avanti negli anni”.
E’ una visione della vita, aperta al mondo giovanile: “Nella stessa misura ci interpellano i segnali che giungono, in modo inedito, dal mondo giovanile. Non dimentichiamo che ha sofferto più di altre generazioni le conseguenze psicologiche e sociali della pandemia e mostra ora diversi sintomi di un disagio esistenziale segnato da un futuro avvolto nell’incertezza e da un presente avaro di punti di riferimento.
La Chiesa in Italia avverte questa fatica dei ragazzi e dei giovani e desidera farsi carico della loro attesa di sentirsi ascoltati e capiti nelle istanze, nei sogni e nelle sofferenze che esprimono in forme non sempre lineari ma che vanno accolte come segnali per ritrovare il filo di un dialogo. La loro è una presenza in continuo cambiamento che esprime domande profonde e una ricerca di autenticità e di spiritualità cui occorre offrire una risposta credibile, non vittimista ma vicina, non precaria ma stabile, sapendo andare oltre incomprensioni, pregiudizi e schemi interpretativi non più attuali”.
E non si dimentica degli anziani: “L’Italia è tra i Paesi più longevi al mondo e questo ha diverse conseguenze: l’avanzare dell’età è spesso inversamente proporzionale alla capacità di svolgere le attività quotidiane in autonomia, tanto da rendersi necessario un supporto esterno. Per gli anziani e le loro famiglie questo significa iniziare un iter faticoso e complesso per capire a quali servizi si può accedere e a chi ci si debba rivolgere per ricevere risposte a tanti interrogativi.
La pandemia ha portato alla luce la situazione di scarsa assistenza e di solitudine in cui vivono milioni di anziani. Serve un nuovo welfare, che sostenga questa grande fascia della popolazione, soprattutto quella non autosufficiente”.
Infine ha affrontato il tema del ‘fine vita’: “Ogni sofferente, che sia in condizioni di cronicità o al termine della sua esistenza terrena, deve sempre essere accompagnato da cure, farmacologiche e di prossimità umana, che possano alleviare il suo dolore fisico e interiore.
Le cure palliative, disciplinate da una buona legge ma ancora disattesa, devono essere incrementate e rese nella disponibilità di tutti senza alcuna discrezionalità di approccio su base regionale, perché rappresentano un modo concreto per assicurare dignità fino alla fine oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo. La piena applicazione della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, inoltre, è ulteriore garanzia di dignità e di alleanza per proteggere la persona nella sua sofferenza e fragilità”.
(Foto: Cei)
In Italia la pace cammina con i piedi di molti artigiani di pace

“I miei auguri sono in particolare per voi, cari romani e pellegrini che oggi siete qui in Piazza San Pietro. Saluto i partecipanti alla manifestazione ‘Pace in tutte le terre’, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, anche in altre città del mondo; come pure il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta. E ricordo con gratitudine le innumerevoli iniziative di preghiera e di impegno per la pace che in questa Giornata si svolgono in tutti i continenti, promosse dalle comunità ecclesiali; in particolare menziono quella a livello nazionale che ieri sera ha avuto luogo a Gorizia”.
A Milano mons. Delpini invita gli amministratori ad essere sentinelle del bene

Mentre lunedì pomeriggio a Roma si apriva la sessione autunnale del consiglio episcopale permanente della Cei a Milano mons. Mario Delpini condivideva una riflessione sul bene comune nel consiglio comunale della città a conclusione della visita pastorale, mettendo in evidenza il ruolo e la missione degli amministratori pubblici e dei banchieri, ‘sentinelle’ del bene comune:
Papa Francesco invita il personale del Vaticano a scoprire la bellezza del Vangelo
Papa Francesco agli istituti religiosi: siate artigiani di pace

‘Fratelli Tutti: chiamati a essere artigiani di pace’ è stato il tema della 98ª assemblea dell’Unione superiori generali (Usg) tenutasi fino a sabato 26 25 novembre alla ‘Fraterna Domus’ a Roma, prendendo le mosse dall’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’, che, al punto 225, scrive: “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia”.