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Papa Francesco ai volontari: segno di speranza

“Mercoledì scorso, con il rito delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, l’itinerario penitenziale di quaranta giorni che ci chiama alla conversione del cuore e ci conduce alla gioia della Pasqua. Impegniamoci perché sia un tempo di purificazione e di rinnovamento spirituale, un cammino di crescita nella fede, nella speranza e nella carità”: anche oggi il testo di papa Francesco dopo la recita dell’Angelus è stato solo consegnato,ricordando l’inizio del tempo quaresimale.
Ed ha ricordato il prezioso contributo nella società del volontariato, che oggi ha celebrato il giubileo: “Questa mattina, in Piazza San Pietro, è stata celebrata la santa Messa per il mondo del volontariato, che sta vivendo il proprio Giubileo. Nelle nostre società troppo asservite alle logiche del mercato, dove tutto rischia di essere soggetto al criterio dell’interesse e alla ricerca del profitto, il volontariato è profezia e segno di speranza, perché testimonia il primato della gratuità, della solidarietà e del servizio ai più bisognosi. A quanti si impegnano in questo campo esprimo la mia gratitudine: grazie per l’offerta del vostro tempo e delle vostre capacità; grazie per la vicinanza e la tenerezza con cui vi prendete cura degli altri, risvegliando in loro la speranza!”
Il suo è stato un ringraziamento a chi accudisce con cura coloro che necessitano di aiuto: “Fratelli e sorelle, nel mio prolungato ricovero qui in Ospedale, anch’io sperimento la premura del servizio e la tenerezza della cura, in particolare da parte dei medici e degli operatori sanitari, che ringrazio di cuore. E mentre sono qui, penso a tante persone che in diversi modi stanno vicino agli ammalati e sono per loro un segno della presenza del Signore. Abbiamo bisogno di questo, del ‘miracolo della tenerezza’, che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore”.
Il messaggio si è concluso con la richiesta di pregare per la pace per i popoli martoriati dalla guerra: “Insieme continuiamo a invocare il dono della pace, in particolare nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Libano e nel Myanmar, in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo. In particolare, ho appreso con preoccupazione della ripresa di violenze in alcune zone della Siria: auspico che cessino definitivamente, nel pieno rispetto di tutte le componenti etniche e religiose della società, specialmente dei civili”.
Mentre nell’omelia della celebrazione eucaristica, celebrata dal card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il papa aveva sottolineato il significato di deserto come cambiamento di vita: “Ogni anno, il nostro cammino di Quaresima inizia seguendo il Signore in questo spazio, che Egli attraversa e trasforma per noi. Quando Gesù entra nel deserto, infatti, accade un cambiamento decisivo: il luogo del silenzio diventa ambiente dell’ascolto.
Un ascolto messo alla prova, perché occorre scegliere a chi dare retta tra due voci del tutto contrarie. Proponendoci questo esercizio, il Vangelo attesta che il cammino di Gesù inizia con un atto di obbedienza: è lo Spirito Santo, la stessa forza di Dio, che lo conduce dove nulla di buono cresce dalla terra né piove dal cielo. Nel deserto, l’uomo sperimenta la propria indigenza materiale e spirituale, il bisogno di pane e di parola”.
Ed ha messo in evidenza le tre caratteristiche della tentazione a cui Gesù è sottoposto: “Anzitutto, nel suo inizio la tentazione di Gesù è voluta: il Signore va nel deserto non per spavalderia, per dimostrare quanto è forte, ma per la sua filiale disponibilità verso lo Spirito del Padre, alla cui guida corrisponde con prontezza. La nostra tentazione, invece, è subita: il male precede la nostra libertà, la corrompe intimamente come un’ombra interiore e un’insidia costante”.
Quindi anche a noi Dio mostra la sua vicinanza: “Il Signore ci è vicino e si prende cura di noi soprattutto nel luogo della prova e del sospetto, cioè quando alza la voce il tentatore. Costui è padre della menzogna, corrotto e corruttore, perché conosce la parola di Dio, ma non la capisce. Anzi, la distorce: come dai tempi di Adamo, nel giardino dell’Eden, così fa ora contro il nuovo Adamo, Gesù, nel deserto”.
Poi ha sottolineato il modo con cui il diavolo tenta: “Cogliamo qui il singolare modo col quale Cristo viene tentato, cioè nella relazione con Dio, il Padre suo. Il diavolo è colui che separa, il divisore, mentre Gesù è colui che unisce Dio e uomo, il mediatore. Nella sua perversione, il demonio vuole distruggere questo legame, facendo di Gesù un privilegiato: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’… Davanti a queste tentazioni Gesù, il Figlio di Dio, decide in che modo essere figlio. Nello Spirito che lo guida, la sua scelta rivela come vuole vivere la propria relazione filiale col Padre”.
Ma Dio non abbandona: “Anche noi veniamo tentati nella relazione con Dio, ma all’opposto. Il diavolo, infatti, sibila alle nostre orecchie che Dio non è davvero nostro Padre; che in realtà ci ha abbandonati. Satana mira a convincerci che per gli affamati non c’è pane, tanto meno dalle pietre, né gli angeli ci soccorrono nelle disgrazie.
PSemmai, il mondo sta in mano a potenze malvagie, che schiacciano i popoli con l’arroganza dei loro calcoli e la violenza della guerra. Proprio mentre il demonio vorrebbe far credere che il Signore è lontano da noi, portandoci alla disperazione, Dio viene ancora più vicino a noi, dando la sua vita per la redenzione del mondo”.
Proprio da questa consapevolezza della filiazione a Dio Gesù ‘vince’ le tentazioni: “Gesù, il Cristo di Dio, vince il male. Egli respinge il diavolo, che tuttavia tornerà a tentarlo ‘al momento fissato’… Nel deserto il tentatore viene sconfitto, ma la vittoria di Cristo non è ancora definitiva: lo sarà nella sua Pasqua di morte e risurrezione”.
Così davanti alla tentazione anche noi siamo redenti nella Pasqua: “La nostra prova non finisce dunque con un fallimento, perché in Cristo veniamo redenti dal male. Attraversando con Lui il deserto, percorriamo una via dove non ne era tracciata alcuna: Gesù stesso apre per noi questa strada nuova, di liberazione e di riscatto. Seguendo con fede il Signore, da vagabondi diventiamo pellegrini”.
Ciò è reso possibile anche dall’opera dei volontari: “Vi ringrazio molto, carissimi, perché sull’esempio di Gesù voi servite il prossimo senza servirvi del prossimo. Per strada e tra le case, accanto ai malati, ai sofferenti, ai carcerati, coi giovani e con gli anziani, la vostra dedizione infonde speranza a tutta la società. Nei deserti della povertà e della solitudine, tanti piccoli gesti di servizio gratuito fanno fiorire germogli di umanità nuova: quel giardino che Dio ha sognato e continua a sognare per tutti noi”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco invita ad essere pellegrini di speranza

“Mosso dallo Spirito, (Simeone) si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola”: anche oggi è stata pubblicata la catechesi dell’udienza generale che papa Francesco avrebbe dovuto tenere nell’Aula Paolo VI, annullata per il protrarsi del suo ricovero al Policlinico Gemelli.
Nel testo il papa ha sviluppato una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio con l’invito ad essere come i genitori di Gesù, obbedienti alla legge di Dio: “Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore ed ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa”.
Era un atto di affidamento a Dio: “Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore. Luca dunque racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi, andando incontro al compimento della sua missione”.
Però Maria e Giuseppe non affidano il proprio Figlio a Dio, ma Lo educano ed al contempo anche loro si educano: “Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga”.
Fecero ugualmente Anna e Simeone: “Nel Tempio, che è ‘casa di preghiera’, lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti.
Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi ‘nelle tenebre’ e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, ‘è nato per noi’, è il figlio che ‘ci è stato dato’, il ‘Principe della pace’, secondo la profezia di Isaia”.
In tal modo Simeone può ‘abbandonarsi’ nelle braccia di Dio attraverso la preghiera di lode: “Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata”.
Questo può avvenire perché egli è testimone della fede: “Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. E’ testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo.
Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come ‘sorella’ che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede”.
Lo stesso avviene per Anna: “Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo”.
Quindi il papa ha concluso il testo con l’invito ad essere ‘pellegrini di speranza’: “Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza. Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi ‘pellegrini di speranza’ che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno ‘fiutare’ la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle”.
Intanto oggi, con un chirografo firmato lo scorso 11 febbraio, il papa ha istituito la ‘Commissio de donationibus pro Sancta Sede’, una nuova commissione “il cui compito specifico è quello di incentivare le donazioni con apposite campagne presso i fedeli, le Conferenze episcopali e altri potenziali benefattori, sottolineandone l’importanza per la missione e per le opere caritative della Sede Apostolica, nonché reperire finanziamenti da volenterosi donatori per specifici progetti presentati dalle Istituzioni della Curia romana e dal Governatorato dello Stato Città del Vaticano, ferme restando l’autonomia e le competenze proprie di ciascun Ente, secondo la normativa vigente”.
Nell’adempiere le sue funzioni la Commissione, avrà la funzione di “strumento di coordinamento di altre modalità di raccolta di fondi, istituzionalizzate o meno, come i contributi ai sensi del can. 1271 oppure l’Obolo di San Pietro, rispettando la natura e la finalità dei singoli Istituti”.
Giovani naviganti per il Mediterraneo

Presentata l’iniziativa ‘MED 25 – Le Bel Espoir’ con 200 tra ragazzi e ragazze che da marzo a ottobre si alterneranno in navigazione per toccare trenta diversi porti nei quali si svolgeranno sessioni di formazione, conferenze e festival, provenienti da Nord Africa, Medio Oriente, Mar Nero ed Egeo, Balcani ed Europa con un unico sogno condiviso: costruire pace e giustizia in tutte quelle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo sconvolte da conflitti etnici, politici e religiosi, dilaniate da una povertà che ogni anno costringe centinaia di migliaia di persone a fuggire in cerca di una vita migliore e messe in crisi dai cambiamenti climatici che sottraggono terra e risorse al loro possibile e naturale sviluppo.
L’iniziativa nasce dopo gli ‘Incontri del Mediterraneo’ che si sono svolti negli anni scorsi a Bari, Firenze, Marsiglia e Tirana, come hanno riferito gli organizzatori: “Non ci rassegniamo a lasciare che il Mediterraneo diventi un campo di battaglia o un cimitero. Ci rifiutiamo di lasciare che le argomentazioni politiche e i concetti di globalizzazione prevalgano sull’incontro tra le persone, che sono sempre singolari e uniche. Le nostre paure non devono prevalere sulle nostre speranze… La sua storia di convivialità e di scambio, ricca di molte tradizioni filosofiche e spirituali, racchiude la chiave della riconciliazione tra popoli, culture e religioni”.
Il veliero, lungo 29 metri e composto da 3 alberi, salperà dal porto di Barcellona e avrà un programma intenso: le prime tappe, ad esempio, saranno quella di Malta, dove si discuterà di donne e Mediterraneo, quella di Cipro, nella quale si affronterà il tema del dialogo tra le varie fedi, e quella della Turchia, dove si cercherà di approfondire il rapporto tra lo sviluppo e la difesa dell’ambiente. Durante la navigazione, inoltre, i giovani potranno fare altre tappe in scali intermedi e a bordo vivranno momenti di condivisione e fraternità in grado di rafforzare una rete di solidarietà e di amicizia che potrà essere messa a disposizione davvero di tutti.
L’AJD è un’associazione partner e proprietaria del Bel Espoir, che trasforma l’esperienza del mare in pedagogia della fratellanza, come ha spiegato p. Alexis Leproux: “Formare i marinai significa formare alla solidarietà, all’ascolto, alla fiducia. Una parabola di ciò che si vuole nel Mediterraneo”.
Nel suo intervento, il cardinale Jean-Marc Aveline, ha spiegato come questo progetto si componga di quattro importanti azioni: “Ascoltare le ferite e le risorse delle cinque sponde, suscitare e condividere progetti con altri partner con i quali collaborare, vivere la sinodalità e la fraternità, costruire una cultura di dialogo e di pace”.
(Foto: Bel Espoir)
Ad Arezzo festeggiata la Madonna del Conforto: è un invito ad elevare una preghiera

“Dopo un cammino sinodale di un anno e mezzo, in vista di un più efficace annuncio del Vangelo e di presenza della Chiesa nel territorio, con il desiderio di promuovere la partecipazione di tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose e laici, alla vita della Chiesa, viene ristrutturata la suddivisione del nostro territorio chiudendo la realtà delle sette zone pastorali che confluiscono in otto vicariati che sostituiscono gli attuali ventuno.
Nei prossimi giorni verranno nominati anche i nuovi vicari foranei. Il cammino di revisione proseguirà ora con una rivisitazione delle unità pastorali. Si avvia anche un cammino di ripensamento della struttura della curia diocesana perché sia sempre più al servizio della diocesi, e possa essere strumento al servizio dell’annuncio del Vangelo, favorendo l’incontro con tutti”.
Così ha comunicato al termine della celebrazione eucaristica, che ha concluso la festa della Madonna del Conforto, il vescovo di Arezzo–Cortona- SanSepolcro, mons. Andrea Migliavacca, che nell’omelia ha immaginato di sentire le voci di supplica di un popolo in esilio: “Immagino la preghiera, l’invocazione, il grido magari del popolo Israele in esilio, rivolto al suo Dio, chiedendo di tornare, di ritrovare la libertà, di avere salva la vita propria e delle proprie famiglie… In fondo è così il Dio che Israele ha imparato a scoprire e di cui fidarsi e così ci ha rivelato il volto di Dio Gesù”.
E così ecco emergere le parole che scaturiscono dallo sguardo alla Madonna del Conforto verso Dio, che ascolta le suppliche di un popolo: “E questa pagina di vangelo ci porta a guardare a Maria, alla Madonna del conforto e scopriamo, anzi lo sappiamo bene, che lei ascolta, che lei ci ha accolti come figli, che lei sta con noi…, come ci dice questo vangelo.
Dio ascolta, Dio accoglie le nostre preghiere, Dio consola e dona speranza…, questo ci raccontano le Scritture questa sera e rinnova, rende vivo per noi questo ascolto e questa accoglienza grazie a Maria, la madre di Gesù, la Madonna del conforto che tutti noi ascolta e accoglie”.
Così ha immaginato, di nascosto, sentire le suppliche alla Madonna del Conforto da parte dei fedeli: “Sento la preghiera di una mamma che alla Madonna chiede di proteggere i propri figli che stanno diventando grandi e le affida le sue preoccupazioni. Ascolto anche la preghiera di un giovane che miracolosamente si è salvato da un incidente e viene qui a ringraziare Maria, da lei si è sentito protetto. Ma quante preghiere! Sono commosso da quella madre che affida alla Madre Maria il figlio prematuramente e dolorosamente scomparso.
Mi colpisce la preghiera di un imprenditore, mi pare di capire che sia del settore orafo, che confida a Maria le sue preoccupazioni per il lavoro che si è fatto più duro ed incerto, con il timore di non farcela a mantenere tutti i dipendenti e quindi la garanzia di sicurezza per le loro famiglie e chiede alla Madonna non un guadagno facile, ma un lavoro giusto per tutti”.
Davanti agli occhi del vescovo anche un bambini ed una coppia di fidanzati: E poi si fa avanti un bambino, simpatico… la sua preghiera è bellissima: Mamma di Gesù ti affido i miei genitori, mamma e babbo; fa che stiano bene, che si vogliano e bene e che abbiano tempo per stare un po’ con me e per giocare insieme.
Mano nella mano ci sono anche due fidanzatini, una coppia… e si vede che si vogliono bene. Passano davanti alla Madonna del conforto in silenzio, ma i loro occhi sono tutti un luccichio di preghiera e di affetto per lei, la Madre e tra di loro. Chissà che sogni portano nel cuore per il loro futuro”
Nel ‘sogno’ compaiono anche alcuni fedeli stranieri che invocano la pace: “Alcuni vengono dall’Ucraina, altri sono di Betlemme, di Hebron, anche da Gaza. Hanno tutti una preghiera comune: la pace. Non si fidano dei grandi della terra, di quelli che vogliono fare i loro sporchi affari sulla loro pelle. Chiedono a Maria, che quella è anche la sua terra, di proteggerli dal male, dalle persone cattive, dalla violenza della guerra, dalle ferite e dalla morte. Pregano per la pace e sembra che vogliano coinvolgere tutti noi, tutti quelli che sono qui dentro a pregare con forza, con loro, per la pace”.
Al termine del sogno mons. Migliavacca ha invitato tutti ad esprimere la propria preghiera: “E poi vorrei raccogliere le preghiere di tutti quelli che sono entrati qui per passare davanti alla Madonna del conforto e consegnargliele io, voglio chiedere a Maria che ascolti davvero tutte le preghiere che le sono state rivolte qui in questi giorni e oggi.
Ma manca ancora una preghiera… la tua. Anche tu che sei qui ora puoi entrare in quella cappella in cui veneriamo l’immagine più bella di Arezzo, Maria. E prega. Porta a lei la tua preghiera, la tua invocazione, il tuo ringraziamento e la tua lode. Ci stai anche tu. E ci ascolti Maria, ascolti noi e il nostro mondo, lei che è la Madonna del Conforto”.
Nella celebrazione eucaristica mattutina mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo metropolita di Firenze, ha suggerito tre immagini, di cui la prima è l’abbraccio,come è raccontato dal profeta Isaia: “Nell’ultima parte del libro di Isaia il Signore invita il popolo di Israele a sperare presentandosi come un madre che allatta e accarezza il figlio tenendolo sulle ginocchia…
Leggendo questo testo del profeta alla luce del Nuovo Testamento il verbo ‘consolare’ ci fa pensare all’azione dello Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore che viene in aiuto alla nostra debolezza e che ci aiuta a riconoscere Dio come un padre con cuore di madre”.
Mentre l’ultima parola riguarda l’abbondanza: “Il Signore ama chi dona con gioia, ma potremmo aggiungere anche che Egli dona la gioia a chi ama. C’era una volta un beduino che possedeva 11 cammelli. Aveva tre figli. Alla sua morte i figli aprono il testamento e trovano queste disposizioni: ‘Lascio la metà dei miei cammelli al primo figlio; un quarto al secondo; un sesto al terzo’. Ma 11 non è divisibile per 2, così il primo figlio chiede di avere 6 cammelli. Ovviamente gli altri non sono d’accordo. Ed inizia una lite furibonda. Già stanno per tirare fuori i coltelli.
In quel momento passa di lì un beduino, sente le urla, si ferma, chiede spiegazioni. Sentiti i problemi decide di donare il suo cammello. Così 11+1 fa 12; 12 diviso 2 fa 6; 12 diviso 4 fa 3; 12 diviso 6 fa 2. 6+3+2 fa 11. Tutti sono soddisfatti. Il beduino si riprende il suo cammello e prosegue il viaggio. Il racconto ci insegna due cose: chi dona non ci perde e, soprattutto, ci vuole un dono perché la giustizia avvenga”.
(Foto: Diocesi di Arezzo-Cortona-SanSepolcro)
Dal Giubileo della comunicazione un invito a sanare le divisioni

“Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!.. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”: con queste brevi parole papa Francesco ha accolto i giornalisti ed i comunicatori in occasione del Giubileo della Comunicazione, che ha visto la partecipazione della giornalista filippina, che è stato Premio Nobel per la pace, Maria Ress, e dello scrittore americano Colum McCann, autore di ‘Apeirogon’, che ha sottolineato che ‘il mondo è fatto dalle storie degli altri’, raccontato attraverso l’epistolario tra Sigmund Freud ed Albert Einstein:
“Stiamo vivendo un’epoca straordinariamente umana e al contempo profondamente disumana. Da un lato, abbiamo raggiunto traguardi spettacolari nella scienza, nella medicina, nell’arte e nella tecnologia. Siamo in grado di connetterci istantaneamente gli uni con gli altri, di cogliere le sfumature delle vite altrui anche a grandi distanze. I nostri telefoni funzionano, i nostri interruttori rispondono, dai nostri rubinetti scorre l’acqua. I nostri satelliti orbitano. Le nostre medicine curano. Le macchine della nostra esistenza pulsano a un ritmo ininterrotto”.
A distanza di 100 anni da questo epistolario le domande fondamentali restano le stesse: “Come possiamo prevenire le guerre che minacciano di annientarci? Come possiamo contrastare gli effetti devastanti del cambiamento climatico? Come possiamo gestire le immense pressioni geografiche e sociali legate alla migrazione? Come possiamo affrontare le complesse questioni di identità e appartenenza? Come possiamo imparare a riconoscerci e comprenderci l’un l’altro, nonostante le crescenti divisioni? E, soprattutto, come possiamo mettere al servizio della comunicazione e della comprensione reciproca la nostra indiscutibile genialità: la tecnologia, la medicina, l’intelligenza artificiale, la fede?”
A tali domande lo scrittore ha invitato a rispondere con le storie: “Se il mondo è fatto di molecole e atomi, è anche fatto di storie. La distanza più breve tra noi non si misura in millimetri né in centimetri: è una storia. E’ attraverso le storie che ci connettiamo davvero. Le nostre vite si intrecciano. Le nostre idee risuonano. Ci alimentiamo reciprocamente. Creiamo nuova energia. I quark delle nostre esperienze si combinano fra loro per formare nuovi mattoni della realtà. Lanciamo una rete che abbraccia una comprensione molto più ampia, dando al mondo una struttura più profonda”.
Quindi le storie possono salvare solo se siamo in grado di narrarle e di ascoltarle: “La triste e brutale verità è che, nel mondo di oggi, un numero sempre maggiore di noi può farlo. L’essenza del nostro attuale dilemma non risiede tanto nel silenzio, quanto nell’atto di zittire. Quando ci rifiutiamo di ascoltare le storie degli altri o, più dolorosamente, quando impediamo loro di raccontarle, o ancora peggio, quando cancelliamo del tutto quelle loro storie, il mondo si riduce a uno spettacolo di meschinità. Il nostro rifiuto di andare oltre noi stessi ̶o almeno oltre chi non ci somiglia, chi non parla come noi, chi non vota come noi ̶è il nucleo della nostra possibile rovina”.
La chiusura alla narrazione è pericolosa: “Questa chiusura pericolosa ha il potere di annientarci. Come un’arteria ostruita, blocca il flusso vitale della nostra umanità. Il cuore si ferma. Non ci resta che confinarci nella prigione del nostro ego. Non riusciamo più ad amare il prossimo, perché abbiamo ridotto il concetto di ‘prossimo’ alla nostra immagine riflessa. E quando non vediamo altro prossimo che noi stessi, perdiamo ogni significato che vada oltre il nostro sguardo solipsistico”.
Ecco il punto centrale della narrazione, per cui senza essa gli altri si dissolvono: “Senza una storia, la presenza e persino l’esistenza degli altri si dissolvono. Questo accade in modo evidente in molti luoghi: Ucraina, Gaza, Sudan. Ma accade anche vicino a noi, nel profondo dei nostri cuori. L’annientamento delle storie di coloro che percepiamo come nemici (che in realtà non sono altro che il nostro prossimo) rappresenta una delle armi più insidiose al mondo. La nostra incapacità di accedere alle storie degli altri, ricche di sfumature e di significato, unita al rifiuto di creare spazi di ascolto e di dialogo, costituisce uno dei pericoli più gravi della nostra epoca”.
Il racconto è un modo di salvezza: “Anche il racconto di storie possiede qualità emergenti e, in questi tempi turbolenti, condividere le nostre storie e ascoltare quelle degli altri, potrebbe essere una delle poche cose in grado di salvarci. Raccontare storie è un invito all’azione. Ascoltare storie è una forma di preghiera”.
E’ l’esempio di ‘Narrative4’, network in cui si raccontano i cambiamenti: “In Narrative 4, un’organizzazione globale no-profit che dà ai giovani il potere di creare cambiamenti attraverso il racconto e l’ascolto delle storie, abbiamo scoperto una formula semplice ma potente per avviare una trasformazione. Tu racconti la mia storia, io racconto la tua. In prima persona. Faccia a faccia.
Non una storia didattica, ma una storia profondamente personale. Non qualcosa per dominare in una discussione, ma qualcosa capace di scuotere l’anima. Una parabola, se volete. Qualcosa che accede alla verità senza bisogno di fare dichiarazioni. Qualcosa che è umile. Qualcosa che abbassa la testa”.
Partendo dal suo racconto, ‘Apeirogon’, in cui narra la storia di amicizia tra un padre israeliano ed un padre palestinese, l’autore sprona a raccontare storie: “Viviamo tempi pericolosi. Non possiamo permetterci di ignorare le esperienze degli altri. Raccontare e ascoltare storie salverà il mondo? Forse sì, forse no… ma sicuramente offrirà, se non altro, uno spiraglio di luce e di comprensione. E dove c’è uno spiraglio di luce, c’è la possibilità che se ne presentino molti altri, agendo e collaborando insieme, fino a quando almeno una parte delle tenebre non verrà squarciata”.
Tali racconti offrono spunti per la reciproca comprensione: “Alla base, anche il solo fatto di essere interessati gli uni agli altri è già un trionfo. Immaginate quanti trionfi si verificano quando impariamo a comprenderci, a piacerci o, magari, anche ad amarci. Persone ordinarie, con le nostre storie straordinarie, e la nostra capacità di entrare in connessione. La distanza più breve tra il nemico e il prossimo è una storia”.
Attraverso il racconto di storie è possibile riconnettere il mondo e ciò non è sentimentalismo: “La distanza più breve tra il nemico e il prossimo è una storia. I cinici diranno che stiamo sbagliando. Che siamo degli ingenui sentimentali. Ma è davvero ingenuo e sentimentale rifiutare la speranza? I cinici sono intrappolati nelle loro convinzioni. Non sono disposti a intraprendere un cammino altrove. Restano immobili. Chiudono le tende. Spengono il GPS della loro immaginazione”.
Per un vero cambiamento il compito consiste nell’ascoltare le loro storie per approfondire la conoscenza: “Significa forse che dovremmo isolare i cinici e lasciarli dove sono? No, certamente no. Al contrario: dobbiamo abbracciarli con fiducia, ascoltarli, chinare la testa. Condividere le nostre storie e ascoltare le loro. Trovare un terreno comune. E poi andare avanti, con la speranza di aver lasciato dietro di noi un’impronta di guarigione.
In questa era esponenziale, mentre la frattura continua ad ampliarsi, l’essenza stessa della riparazione risiede nella necessità di imparare a conoscerci. E per conoscerci davvero, dobbiamo ascoltarci e comunicare. E dopo aver ascoltato, dobbiamo cercare di comprendere. Solo allora, con rispetto, gioia e coraggio, potremo cominciare a innescare il cambiamento”.
Mentre il Premio Nobel, Maria Ress, ha affermato l’importanza di tale momento giubilare: “Questo arriva proprio al momento giusto, mentre stiamo vivendo una profonda trasformazione del nostro mondo. L’ultima volta che è successo qualcosa di simile a ciò che stiamo vivendo oggi, quando le nuove tecnologie hanno permesso l’ascesa del fascismo, è stato 80 anni fa.
E’ stato più o meno l’ultima volta che un giornalista ha ricevuto il premio Nobel per la pace, tranne per il fatto che Carl von Ossietzky non è stato fortunato come me. Languiva in una prigione nazista e non poteva accettare il premio. Da molti anni ormai, ho lanciato l’allarme: proprio come a Hiroshima, una bomba atomica è esplosa nel nostro ecosistema informativo”.
Ed ha raccontato la sua storia: “Sono stato arrestato e per la prima volta ho pagato la cauzione, non posso dimenticarlo, perché è stato il regalo che il mio governo mi ha fatto per San Valentino nel 2019. In poco più di un anno, il mio governo ha presentato 10 mandati di arresto contro di me. Ho iniziato a fare un flusso di lavoro per pagare la cauzione. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma Rappler e io abbiamo solo cercato di fare ciò che era giusto.
Ed ora 8 anni, quasi un decennio dopo, quelle 10 accuse penali sono scese a 2. Due, ancora due. Per essere qui di fronte a voi oggi, devo chiedere alla Corte Suprema delle Filippine l’autorizzazione a viaggiare. Quindi, perdi i tuoi diritti. La parte triste? Scherzo sempre dicendo che le Filippine sono passate dall’inferno al purgatorio, ma la parte triste è che vedo quello che è successo a noi nelle Filippine accadere in paesi molto più sviluppati in tutto il mondo”.
Per questo ha parlato di un ‘capitalismo della sorveglianza’, che consiste in un progetto per creare profitto: “Il capitalismo della sorveglianza, quel modello di business, è costruito su un tradimento fondamentale della dignità umana, dove la privacy dei dati è diventata un mito e l’intelligenza artificiale e gli algoritmi ci hanno clonato e manipolato.
Tre cose: ha creato camere di risonanza che esacerbano i pregiudizi esistenti; ha dato priorità al conflitto rispetto alla comprensione; ha monetizzato l’attenzione umana, ognuno di noi, a scapito della coesione sociale. Questo non è un incidente. E’ un progetto deliberato, un’architettura per il profitto che porta centinaia di miliardi di dollari all’anno a queste aziende”.
E’ una denuncia contro questa guerra dell’informazione: “A livello globale, ci sono due principali linee di frattura della società aperte, indipendentemente dal paese o dalla cultura. Sono genere e razza, e gli attacchi sono spesso alimentati dalla religione. Il sessismo che si trasforma in misoginia; e il razzismo che trova la sua strada in costituzioni come quella ungherese, dove è chiamato ‘teoria della sostituzione bianca’. Lo senti nelle notizie come immigrazione o inflazione, ma se scavi più a fondo vedrai genere e razza.
Ed ha sottolineato che la tecnologia alimenta le fake news: “Poiché siamo in Vaticano, voglio sottolineare tre cose: primo, la tecnologia premia le bugie. Pensateci. La prima volta che ho incontrato papa Francesco, gli ho detto: questo è contro i Dieci Comandamenti; gli uomini che controllano questa tecnologia trasformativa esercitano un potere divino, ma non sono Dio. Sono solo uomini, la cui arroganza, mancanza di saggezza e umiltà sta portando il mondo su un sentiero oscuro. Sempre più spesso, secondo le loro stesse definizioni e parole, il loro potere incontrollato e incontrollabile assomiglia a una setta”.
Ha concluso l’intervento con una frase di Thomas Stearns Eliot, affermando che è possibile rimarginare le divisioni: “C’è questa citazione di T. S. Eliot che adoro sul ‘momento presente del passato’. Questo momento in cui viviamo. Dico sempre ai Rappler: questo momento, vogliamo fare la cosa giusta, perché tra un decennio, quando guarderemo indietro, vorremo dire di aver fatto tutto il possibile…
In questo momento presente del nostro passato condiviso, abbiamo una scelta, e creerà il nostro futuro tanto quanto cambierà il modo in cui guardiamo al nostro passato. Possiamo permettere alle linee di frattura nella nostra società di rompersi. Oppure possiamo lavorare per sanare queste crescenti divisioni. Perché è questo. Questo momento è importante. Ciò che scegli di fare è importante… Immaginate se lavorassimo tutti insieme. Potremmo semplicemente arginare la marea, impedire che la diga crolli e guarire il nostro mondo”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la speranza di Cristo va annunciata

“Vi do il benvenuto e sono felice che siate riusciti a organizzare questo vostro pellegrinaggio in questo Anno Giubilare, incentrato sulla speranza. E’ un Anno in cui Dio vuole concederci grazie speciali”: con questo saluto papa Francesco ha accolto i bambini ospiti della Clinica di Oncologia Pediatrica di Wrocław in Polonia.
Il papa ha espresso loro la gioia per questo incontro: “Mentre venivo a incontrarvi, sentivo una gioia nel cuore perché abbiamo la possibilità di donarci speranza e amore a vicenda, gli uni agli altri. E c’è anche un altro motivo: voi, cari bambini e ragazzi, per me siete segni di speranza. E perché? Perché sono sicuro che in voi è presente Gesù. E dove c’è Lui, c’è la speranza che non delude! Gesù ha preso su di sé le nostre sofferenze, per amore, e allora anche noi, attraverso il suo amore, possiamo unirci a Lui quando soffriamo”.
Questa è l’amicizia offerta da Gesù: “E questa è una prova di amicizia. Voi lo sapete: quando si è veramente amici, la gioia dell’altro è anche la mia gioia, e il dolore dell’altro è anche il mio dolore. Una volta Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici’. Anche voi siete amici, voi siete i suoi amici, e potete condividere con Lui gioie e dolori”.
Un’altra prova dell’amicizia di Gesù sono i genitori: “E un’altra prova dell’amicizia di Gesù verso di voi è l’amore e la presenza costante dei vostri genitori, è il sorriso gentile e tenero dei medici, degli infermieri, dei fisioterapisti, che vi curano e lavorano per migliorare la vostra salute, perché non perdiate i vostri sogni e le vostre speranze.
Anch’io vi chiamo amici: voi siete amici! E vorrei chiedervi di aiutarmi a servire la Chiesa. E come? Offrendo, qualche volta, le vostre preghiere, le vostre sofferenze per le intenzioni del Papa”.
Infine ha invitato a pregare per quei bambini che non hanno l’opportunità di curarsi: “E poi vi invito a pregare insieme a me per quei bambini – sono tanti purtroppo! – che non hanno la possibilità di curarsi: sono malati, oppure feriti, e non ci sono medicine, non c’è ospedale, non ci sono medici né infermieri. Ricordiamoci di loro, siamo loro vicini! Cari ragazzi, grazie di essere venuti, siete coraggiosi! E così siete testimoni di speranza per noi adulti e per i vostri coetanei”.
In prima mattinata il papa ha ricevuto i promotori del progetto ‘Écoles de Vie(s)’: “Ogni vita umana ha una dignità inalienabile. Con il vostro impegno, voi proclamate che nessuno è inutile, nessuno è indegno, che ogni esistenza è un dono di Dio da accogliere con amore e rispetto”.
Nel suo ministero Gesù ha sempre accolto gli esclusi: “Questo è ciò che Gesù stesso ci insegna con il suo esempio. Nel suo ministero è sempre andato incontro ai malati, ai rifiutati, a coloro che erano esclusi dalla società del suo tempo. E ha toccato i lebbrosi, ha parlato con gli emarginati e ha accolto con amore coloro che sembravano non avere un posto nella società… Questo è importante: il rapporto con Dio sempre fa rifiorire le persone, sempre!”
Per questo il papa ha elogiato l’azione di questo progetto: “Accogliendo tutti con le loro fragilità e mettendo in relazione un gran numero di attori, voi incarnate quella Chiesa in uscita che ho spesso auspicato, una Chiesa aperta, una Chiesa accogliente, capace di farsi vicina ad ognuno e di curare le ferite di chi soffre, di accarezzare con tenerezza chi è privo di affetto e di rialzare chi è caduto a terra. Pensate che in una sola situazione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a sollevarsi. I giovani in particolare, malgrado i loro limiti, sono ricchi di potenzialità insospettate”.
E’ una questione educativa: “Sono lieto che il vostro progetto si collochi decisamente nella visione dell’educazione proposta nel Patto Educativo Globale: un’educazione integrale che non si limita a trasmettere conoscenze, ma cerca di formare uomini e donne capaci di compassione e amore fraterno”.
Solo in questo modo è possibile la costruzione di una società giusta: “In questo anno giubilare della speranza, vi incoraggio a perseverare con determinazione, perché solo restituendo centralità alla persona umana, integrando le sue dimensioni spirituali, potremo costruire una società veramente giusta e solidale. La vostra iniziativa è una risposta concreta a questa aspirazione: restituisce alle persone, a tutte le persone, emarginate dalla disabilità o dalla fragilità il loro posto all’interno di una comunità fraterna e gioiosa”.
Ed ai responsabili ai responsabili di ‘Congrès Mission’ ha sottolineato che Cristo è ‘nostra speranza’; “La gioia, cari amici, è inseparabile dalla speranza ed è anche inseparabile dalla missione; una gioia che non si riduce all’entusiasmo del momento, ma che nasce dall’incontro con Cristo e ci orienta verso i fratelli. Essere pellegrini significa camminare insieme nella Chiesa, ma anche avere il coraggio di uscire, di andare incontro agli altri. E portare la speranza significa offrire al mondo una parola viva, una parola radicata nel Vangelo, che consola e apre strade nuove”.
E’ stato un invito a ‘portare’ ovunque la speranza cristiana: “Questo significa andare dove gli uomini e le donne vivono le loro gioie e i loro dolori. E’ così che voi portate la speranza, sia nelle vostre comunità sia nei luoghi in cui la Chiesa sembra a volte stanca o ritirata. Grazie per tutto quello che fate, grazie per il vostro dinamismo e il vostro entusiasmo, per la fraternità missionaria che tessete con pazienza e con fede attraverso la Francia…
Ma noi cristiani portiamo una certezza: Cristo è la nostra speranza. Lui è la porta della speranza, sempre. Egli è la buona notizia per questo mondo! E questa speranza (è curioso) non ci appartiene: la speranza non è un possesso da mettere in tasca. No, non ci appartiene. E’ un dono da condividere, una luce da trasmettere. E se la speranza non si condivide, cade”.
E’, quindi, stato un invito ad incoraggiare i giovani: “I giovani sono i primi pellegrini della speranza! Hanno sete di significato, di autenticità e di incontri veri. Ma state attenti, cercate che i giovani si incontrino con gli anziani, perché anche gli anziani sono testimoni della speranza. I giovani, quando vanno dagli anziani, ricevano qualche missione speciale. Fate questo lavoro, che è molto importante. Aiutate i giovani a scoprire Cristo, perché Cristo è la risposta.
Aiutateli a crescere nella fede, a osare scelte coraggiose e a diventare anch’essi discepoli missionari di Gesù, testimoni viventi del Vangelo. Trasmettete loro l’audacia di sognare un mondo più fraterno e accompagnateli, affinché diventino artigiani di speranza nelle loro famiglie, nelle scuole e nei luoghi di lavoro”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: la fraternità attraverso un sorriso

In mattinata papa Francesco ha ricevuto un gruppo di volontari e persone senza fissa dimora, provenienti da Vienna, a cui ha chiesto di salutare il card. Schönborn, arcivescovo di Vienna, sottolineando il tema della fraternità, anche se con storie diverse:
“Provenite da Paesi molto diversi, appartenete a confessioni religiose differenti, e ciascuno di voi ha fatto le proprie esperienze di vita, a volte anche gravi vicissitudini. Ma una cosa ci unisce tutti: siamo fratelli e sorelle, siamo figli di un unico Padre. Questo ci unisce tutti. E mi fa molto piacere che questa realtà si faccia concreta nella vostra comunità quando vi aiutate l’un l’altro e, nelle vostre riunioni, condividete quello che ognuno può offrire. Infatti, non è vero che alcuni danno e altri solo ricevono: tutti siamo donatori e riceventi, tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri e siamo chiamati ad arricchirci a vicenda”.
Evidenziando che la fraternità si manifesta anche attraverso ‘un semplice sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito’ il papa ha concluso il breve incontro con l’invito ad essere un ‘dono’ per gli altri:
“Allora, in quel momento, facciamo quello che il Signore ci ha detto di fare, cioè amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato. Ringraziamo Dio per il dono del suo amore, che ci arriva anche attraverso le persone buone che ci circondano. Il Signore ci ama al di là di ogni limite e difficoltà. Ognuno di noi è unico ai suoi occhi e Lui non si dimentica mai di noi. Cerchiamo sempre, come fratelli e sorelle, di fare della nostra vita un dono per gli altri”.
Inoltre domani, sabato 9 novembre, Papa Francesco e Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, celebreranno insieme il trentesimo anniversario della Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira e il quarantesimo della prima visita a Roma di un Patriarca assiro. Ne ha dato comunicazione il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Il Catholicos sarà accompagnato dai membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell’Oriente che, istituita trent’anni fa, ha recentemente avviato una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa. La Dichiarazione venne firmata nella basilica di San Pietro l’11 novembre 1994 da papa Giovanni Paolo II e dal patriarca assiro Mar Dinkha IV.
(Foto: Santa Sede)
Card. Zuppi invita ad essere amici della vita

Domenica 3 novembre nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, in occasione della Celebrazione Eucaristica per i 70 anni della televisione, i 100 anni della radio ed i 70 anni della trasmissione della Santa Messa, partendo dal brano del Vangelo, che era un invito all’ascolto: “È una domanda molto vera, forse all’inizio fatta senza tanta convinzione, solo per discutere. Gesù E’ maestro. E’ il maestro e ci fa trovare il vero, quello che cerchiamo e di cui abbiamo bisogno non per collezionare tante risposte che alla fine non ci fanno credere più a niente”.
Ed ha sottolineato l’importanza di ascoltare Dio: “Ascoltare Dio libera da tanti idoli che si impadroniscono del cuore, a cominciare da quello così enfatizzato dalla nostra generazione che qualcuno chiama “egolatria” e che tanti sacrifici impone, rovinando proprio il nostro io. Gesù parla di amore, non un amore qualsiasi, un surrogato o un elisir di benessere, ma amore, con tutto il cuore, la mente e la forza. Mente e cuore insieme e con tutta la forza, perché l’amore vero, quello che cerchiamo non è consolatorio, un entusiasmo che finisce, ma è forte, vince le paure, cambia il mondo, si misura con il male e lo sconfigge. Gesù per primo ama con tutto sé stesso”.
L’amore coinvolge la mente ed il corpo: “Mente e cuore insieme e con tutta la forza, perché l’amore vero, quello che cerchiamo non è consolatorio, un entusiasmo che finisce, ma è forte, vince le paure, cambia il mondo, si misura con il male e lo sconfigge. Gesù per primo ama con tutto sé stesso. Ama tutti, perché sente tutti suoi e amandoli trova la bellezza nascosta in ognuno e si accorge quanto tutti hanno bisogno di amore, anche quando essi stessi non lo capiscono e si nascondono. Solo amare il prossimo fa amare sé stessi, fa capire chi siamo e il nostro valore più di qualunque interpretazione e prestazione, che non bastano mai. Amore per Dio e per il prossimo. Insieme”.
Ed ha invitato a rileggere la storia della Rai: “Questa pagina del Vangelo è il miglior piano editoriale, il palinsesto più efficace per pianificare il lavoro e renderlo sempre sorprendete e nuovo, ma anche per rileggere le azioni compiute. Oggi, in questa Basilica (che è un vero spettacolo e che con la bellezza del mosaico ci aiuta a vedere le cose del cielo, a contemplare il mistero luminoso dell’amore di Dio che si riflette su di noi e accende la luce che portiamo dentro di noi) ricordiamo e ringraziamo per i 70 anni della Televisione e per i 100 anni della Radio”.
E’ stato un ringraziamento alla Rai per il servizio che svolge: “Ringraziamo la RAI per il suo prezioso servizio. Quanto è importante presentare il mondo, la vita vera, non banalizzarla, farla conoscere, aiutare a capire e sconfiggere l’ignoranza con una conoscenza vera, profonda dell’umano e dell’umanità, del creato e delle creature e quindi, sempre, anche del creatore. Farlo richiede e esprime professionalità, creatività, rigore, servizio per fare conoscere e capire.
L’ethos nazionale non sarebbe lo stesso, il nostro paese non sarebbe lo stesso e noi tutti non saremmo gli stessi, senza questi 70 anni di televisione. Un’intera generazione non sarebbe uscita dall’analfabetismo senza la televisione e l’Italia sarebbe stata meno unita senza questo immaginario comune che crea anche quel tanto che ci unisce. Guai a dividerlo o indebolirlo, a fare qualcosa di parte quello che è di tutti!”
Ed ha richiamato le parole di papa Francesco: “Papa Francesco, proprio alla RAI, ha detto che la vostra presenza nelle case degli italiani è come ‘un gruppo di amici che bussano alla porta per fare una sorpresa, per offrire compagnia, per condividere gioie e dolori, per promuovere in famiglia e nella società unità e riconciliazione, ascolto e dialogo, per informare e anche per mettersi in ascolto, con rispetto e umiltà’.
Continuate a esserlo, siate davvero amici della vita con sapienza e tanta umanità vera e non finta, per regalare prossimità e vicinanza, unione e appartenenza, specialmente a chi vive situazioni di isolamento o di vera e propria solitudine. Ecco il nostro augurio e sono certo sarà il vostro impegno per onorare un compito così importante e delicato. Desidero ricordare anche tutti quei colleghi che hanno offerto la loro vita per la comunicazione e l’informazione: alcuni sono diventati volti familiari, tra i più amati e conosciuti, tutti importanti”.
Ha concluso l’omelia con l’invito a raccontare la vita: “Chiediamo al Signore che lo straordinario e affascinante, a volte tragico spettacolo della vita, la scena di questo mondo, lo sappiamo raccontare e comunicare cercando sempre di amarlo, perché chi ama Dio ama il prossimo e non smette di scoprire l’incanto e la benedizione che è la vita, che a tutti chiede sempre e solo amore”.
Il papa ai penitenzieri: far riscoprire Gesù

Oggi nella Sala del Concistoro papa Francesco ha incontrato i componenti del Collegio dei Penitenzieri Vaticani in occasione del 250° anniversario dell’affidamento ai Frati Minori Conventuali del ministero delle Confessioni nella Basilica di San Pietro, istituito da papa Clemente XIV nel 1774, ricordandone sia la storia che la fede del luogo:
“Ogni giorno la Basilica di San Pietro è visitata da più di quarantamila persone, ogni giorno! Molte arrivano da lontano e affrontano viaggi, spese e lunghe code per potervi giungere; altri vengono per turismo, la maggioranza. Ma tra loro tantissimi vengono a pregare sulla tomba del Primo degli Apostoli, per confermare la loro fede e la loro comunione con la Chiesa e affidare al Signore intenzioni care, o per sciogliere voti che hanno fatto.
Altri, anche di fedi diverse, vi entrano ‘da turisti’, attratti dalla bellezza, dalla storia, dal fascino dell’arte. Ma in tutti c’è, consapevole o inconsapevole, un’unica grande ricerca: la ricerca di Dio, Bellezza e Bontà eterna, il cui desiderio vive e pulsa in ogni cuore d’uomo e di donna che vive in questo mondo. Il desiderio di Dio”.
Per questo è importante la presenza dei confessori: “Per i fedeli e i pellegrini, perché permette loro di incontrare il Signore della misericordia nel Sacramento della Riconciliazione. Carissimi, perdonare tutto, tutto, tutto. Fatelo sempre: perdonare tutto! Noi siamo per perdonare, qualcun altro sarà per litigare! E per tutti gli altri, perché testimonia loro che la Chiesa li accoglie prima di tutto come comunità di salvati, di perdonati, che credono, sperano e amano nella luce e con la forza della tenerezza di Dio. Fermiamoci perciò un momento a riflettere sul ministero che svolgete, sottolineandone tre aspetti particolari: l’umiltà, l’ascolto e la misericordia”.
Il primo aspetto importante è l’umiltà: “Ce la insegna l’Apostolo Pietro, discepolo perdonato, che arriva a versare il suo sangue nel martirio solo dopo aver pianto umilmente per i propri peccati. Egli ci ricorda che ogni Apostolo, ed ogni Penitenziere, porta il tesoro di grazia che dispensa in un vaso di creta, ‘affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi’. Perciò, cari fratelli, per essere buoni confessori, facciamoci ‘noi per primi penitenti in cerca di perdono’, diffondendo sotto le volte imponenti della Basilica Vaticana il profumo di una preghiera umile, che implora e impetra pietà”.
Il secondo aspetto da non trascurare è l’ascolto: “E’ la testimonianza di Pietro pastore, che cammina in mezzo al suo gregge e che cresce nell’ascolto dello Spirito attraverso la voce dei fratelli. Ascoltare non è infatti solo stare a sentire ciò che le persone dicono, ma prima di tutto accogliere le loro parole come dono di Dio per la propria conversione, docilmente, come argilla nelle mani del vasaio”.
Quindi il papa ha chiesto un ascolto per la riscoperta di un ‘contatto’ con Gesù: “Ascoltare, non tanto domandare; non fare lo psichiatra, per favore: ascoltare, ascoltare sempre, con mitezza. E quando vedi che c’è un penitente che comincia ad avere un po’ di difficoltà, perché si vergogna, dire ‘ho capito’; non ho capito nulla, ma ho capito; Dio ha capito e quello è importante. Questo me lo ha insegnato un grande Cardinale penitenziere: ‘Ho capito’, il Signore ha capito. Ma per favore non fare lo psichiatra, quanto meno parli meglio è: ascolta, consola e perdona. Tu stai lì per perdonare!”
Ed infine ha chiesto di essere pieni di misericordia, secondo l’insegnamento di san Leopoldo Mandic: “Come dispensatori del perdono di Dio, è importante essere ‘uomini di misericordia’, uomini solari, generosi, pronti a comprendere e a consolare, nelle parole e negli atteggiamenti. Anche qui Pietro ci è di esempio, con i suoi discorsi intrisi di perdono. Il confessore (vaso di argilla, come abbiamo detto) ha un’unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli: la misericordia di Dio. Quei tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione. Il confessore deve essere vicino, misericordioso e compassionevole. Quando un confessore comincia a chiedere… No, stai facendo lo psichiatra, fermati, per favore”.
(Foto: Santa Sede)
Dal Sinodo un invito a non vivere di rendita

“…siamo giunti all’ultimo tratto di strada dei lavori della nostra Assemblea sinodale, che raccoglie i frutti di un lungo cammino iniziato nell’ottobre 2021. Proprio ora il brano del Vangelo ci indica la strada per come ‘raccogliere’ e Gesù ci invita a guardarci da ogni cupidigia, e questa può riguardare non solo i beni materiali, ma il bene e la bellezza che Gesù ci sta affidando in questo Sinodo”: con queste parole introduttive dell’omelia della celebrazione eucaristica il segretario generale del Sinodo, card. Mario Gtech, ha aperto le discussioni dell’ultima settimana, che produrranno il documento finale.
Nell’omelia il card. Grech ha preso spunto dal brano evangelico per un cammino sinodale: “Gesù rifiuta di dividere, ma invita a cercare la comunione, poiché individua nella cupidigia e nella ricerca del possesso la radice della divisione. Gesù rifiuta ogni logica di parte e di divisione nella ricerca della comunione tra fratelli. Per questo racconta poi la parabola, perché ognuno possa accorgersi della ‘stoltezza’ che si nasconde dietro il desiderio di ammassare nei granai. La parabola ci indica come disporci in questi giorni a raccogliere i frutti del nostro percorso sinodale e della nostra assemblea, senza dividerci, ma cercando la comunione”.
Insomma il vangelo è un invito a fare buon uso dei beni, senza vivere di rendita: “Non pensa ad investire, ad allargare il suo sguardo, a far fruttare i suoi beni, ma semplicemente a vivere di rendita. Si compiace della sua completezza! Anche noi potremmo correre il rischio di fare come quest’uomo, di ammassare ciò che abbiamo raccolto, i doni di Dio che abbiamo scoperto, senza reinvestirli, senza viverli come doni ricevuti che dobbiamo ora ridonare alla Chiesa ed al mondo, di sentirci arrivati!”
Il Vangelo è un invito ad esplorare strade nuove: “Anche noi potremmo accontentarci, senza cercare strade nuove perché il nostro raccolto possa moltiplicarsi ulteriormente; anche noi potremmo rischiare di rimanere chiusi nei nostri confini conosciuti, senza continuare ad allargare lo spazio della nostra tenda, come ci ha invitato a fare il profeta Isaia… Anche noi possiamo correre il rischio di vivere di rendita. Ma la comprensione delle verità e le scelte pastorali vanno avanti, si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età”.
L’omelia del card. Grech è stato un invito ad ascoltare lo Spirito Santo: “Piano piano quello che abbiamo raccolto comincerà a sparire, senza essere sostituito dalle novità che il Signore continuerà a mandarci… Se ascolteremo la voce dello Spirito, la conclusione di questa assemblea sinodale non sarà la fine di qualcosa, ma un nuovo inizio, perché ‘la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata’.
Cari fratelli e sorelle, con Maria, alla quale abbiamo affidato fin dall’inizio i lavori della nostra Assemblea, se sapremo ascoltare la voce dello Spirito Santo e vivere nella libertà dello Spirito, potremo cantare al Signore l’inno di lode che ci indica il profeta Isaia”.
Mentre nella meditazione il teologo domenicano Timothy Radclife ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di ‘predicare e incarnare’ una doppia libertà, “la doppia elica del Dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri”. Cioè ‘la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia’; ma anche la ‘libertà più profonda, la libertà interiore dei nostri cuori’ di accettare anche le decisioni che possa deludere, e che alcuni potrebbero ritenere ‘sconsiderate o addirittura sbagliate’.
Dunque, siamo abitati dalla libertà di “pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio… Se abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza e “finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra”.
D’altro canto, “se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai… Invece la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra”.
Nella stessa giornata il card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha proposto un incontro sulla questione del diaconato permanente per le donne: “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.
Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo”.
Ed ha dichiarato la disponibilità all’ascolto delle proposte: “Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro. Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi.
I membri del Sinodo che lo vogliono (sia individualmente che come gruppi) possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati”.