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I Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: a colloquio con Marina Casini

Oggi i volontari del Movimento per la Vita hanno festeggiato la loro festa con un messaggio di papa Francesco letto dal card. Pietro Parolin, segretario di stato, in occasione dei 50 anni dalla nascita del primo Centro aiuto alla vita, a Firenze: lo ha annunciato la presidente nazionale del Movimento per la vita, dott.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma, nello scorso novembre al convegno nazionale di Mogliano Veneto:
“Ci sono momenti e ricorrenze che hanno una forza espansiva tale da non coinvolgere soltanto i diretti interessati, ma (come in questo caso) un intero popolo: il popolo della vita. Mezzo secolo fa fu gettato il primo seme a Firenze, e da lì è partita un’avventura straordinaria (un vero e proprio movimento per la vita!) che in questi dieci lustri ha scritto pagine di luce nel libro della storia attraversato dalle oscurità di una cultura generatrice di morte”.
Quindi i Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: quale aiuto offrono e come operano?
“Tutto quello di cui c’è bisogno. Accoglienza, ascolto, condivisione, sostegno, amicizia sono le parole chiave dell’attività dei CAV i cui programma sin dal 1975 è: ‘le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà’. E’ stato scritto dal sociologo Giuliano Guzzo che ‘il servizio alla vita nascente offerto dal Movimento per la Vita tramite i Centri, le Case d’Accoglienza Sos Vita e progetto Gemma è qualcosa di semplicemente grandioso, senza pari per bellezza e valore e, soprattutto, fondamentale per salvare, nel vero autentico e non retorico della parola, decine di migliaia di vite’.
E papa Francesco ricevendo il Direttivo del Movimento per la Vita Italiano, il 2 febbraio 2019, disse: ‘dinanzi a varie forme di minacce alla vita umana, vi siete accostati alle fragilità del prossimo, vi siete dati da fare affinché nella società non siano esclusi e scartati quanti vivono in condizioni di precarietà. Mediante l’opera capillare dei Centri di Aiuto alla Vita, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone’.
Questo solo per dare una idea dell’importanza e della bellezza di questo volontariato appassionato e non appariscente come è stato detto. In sostanza si tratta di stare accanto alle donne che si trovano di fronte a una gravidanza problematica o inattesa, offrendo una reale prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto. Questa prevenzione si realizza mediante la condivisione delle difficoltà, la rimozione delle cause, l’offerta di alternative, la liberazione dai condizionamenti che spingono la donna a non far nascere il figlio. E purtroppo i condizionamenti e le pressioni che soffocano la libertà di accogliere il figlio. Quante donne parlano di ‘costrizione’ all’aborto! E quanta libertà viene conquistata dalla donna quando lei stessa (accolta, mai giudicata, sostenuta ed accompagnata) dice ‘sì’ al suo bambino o alla sua bambina!”
In quale modo il CAV può offrire ‘libertà’ alla madre?
“Ci sono testimonianze bellissime a riguardo. Il motore di questo volontariato è questo abbraccio che viene rivolto contemporaneamente alla mamma ed al bambino che porta in grembo. Lo sguardo del cuore non è rivolto soltanto al figlio, ma anche alla madre. L’inabitazione dell’uno nell’altra determina una situazione del tutto irripetibile, per cui la vita del figlio è di fatto affidata, come mai in altri momenti, alla madre. Nessuno può difenderlo più di sua madre, ma è quasi impossibile salvarlo se la madre non vuole. La difficoltà della ‘prevenzione’ sta proprio in questo: che bisogna necessariamente passare attraverso la sua mente e il suo cuore. Nella mente e nel cuore di lei la nuova vita induce per lo più pensieri di gioia. Ma a volte essa pesa con l’ingombro insostenibile di problemi che sconvolgono programmi, ingigantiti dalla fantasia, resi angosciosi dal carattere improvviso dell’evento sopraggiunto, dalla scarsità del tempo a disposizione per riflettere, molto spesso nella solitudine.
Non esistono difficoltà materiali specie economico-sociali, che non possono essere vinte, ma la pressione dell’ambiente è talora così soverchiante che sembra impossibile per una donna già gravata da reali problemi resistervi. E’ appunto per restituire a lei la libertà insieme al coraggio dell’accoglienza che lo sguardo del cuore dei servizi alla vita deve riconoscere la donna come donna e la madre come madre penetrando così nella sua mente e nel suo cuore. Il rapporto non è di giudizio, ma di amicizia. Si tratta di salvare il figlio non contro di lei, ma con lei e per lei. La rete dei CAV protegge la vita nascente con il metodo della condivisione e del sostegno. Non ‘contro’, ma ‘per’; non in ‘antagonismo’, ma in ‘alleanza’; non accompagnamento generico, ma personalizzato.
Uno specifico stile di mitezza e discrezione, di rifiuto del giudizio sulle persone, di ottimismo, di empatia e di dialogo, di disponibilità e di fiducia, di valorizzazione di tutto ciò che è positivo anche nelle situazioni più complicate, caratterizza l’attività dei CAV. Per questo nei CAV si realizzano storie di amicizia che continuano dopo la nascita del bambino. Quello dei CAV è un volontariato culturalmente preparato, collegato ai servizi SOS Vita e Progetto Gemma, che vuole essere espressione di una intera comunità che accoglie rendendo un grande servizio alla società. Perché, infatti, non considerare questa esperienza un modello ripetibile su più larga scala come esperienza che tutta la società deve seguire”.
Suo padre fu fondatore del primo Centro Aiuto alla Vita: quanto è stato importante Carlo Casini per la trasmissione della cultura della vita?
“Direi che il suo contributo è stato senza dubbio fondamentale e lo è ancora. Anche su questo potremmo soffermarci a lungo. Il suo non è stato un impegno come un altro, un’attività tra le tante, ma una vera e propria vocazione, una missione, che si è sviluppata in più ambiti: giuridico, sociale, culturale, politico. Una vocazione profondamente animata da una forte spinta spirituale vissuta in comunione con santi come papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. Basta conoscere la sua storia, leggere quanto lui ha scritto e le tante testimonianze che sono state scritte su di lui e che continuano ad arrivare; basta ripercorrere le tappe del suo totalizzante impegno, chiamare a raccolta le numerose iniziative che per decenni ha promosso in Italia e in Europa. Il tutto sempre con positività, propositività, fiducia e speranza.
Sono in molti a ravvisare il carattere profetico del suo pensiero e delle sue opere. In effetti è evidente l’attualità dei suoi scritti, anche di quelli più datati. Tra e tante cose che si potrebbero dire, sottolineo per esempio la sua convinzione che la questione del diritto alla vita non sia una questione periferica e di retroguardia ma centrale, fondamentale e di avanzamento per costruire un umanesimo sempre più pieno e più vero, come è spiegato molto bene nel suo libro intitolato ‘Vita nascente prima pietra del nuovo umanesimo’ (San Paolo 2016), tradotto in spagnolo lo scorso anno, che in qualche modo va a completare un altro suo basilare testo intitolato ‘Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. Alle radici della bioetica e della biopolitica’ (Edizioni San Paolo, 2010), tradotto in inglese un paio di anni fa.
Scriveva già nel 1979: ‘Ci occupiamo specificamente dell’aborto perché è in gioco la vita dell’uomo; ce ne occupiamo specificamente non per ignorare gli altri problemi umani ma, al contrario, perché non vogliamo annacquare la gravità del problema creandoci degli alibi con più vasti impegni puramente verbali. Tutto l’uomo, in tutto l’arco del suo sviluppo, però ci interessa, ma oggi la ricostruzione di una cultura che ponga al suo centro l’uomo trova sul tema dell’aborto il banco di prova, il luogo di verifica’. ‘Uno di noi, ha scritto molti anni dopo, non deve essere soltanto il nome di eventi esauriti, ma l’affermazione costante ed inesauribile della dignità umana proiettata verso il futuro’.
Ha vissuto tutta la sua totalizzante vocazione a difendere e promuovere la vita umana, amando ogni persona che incontrava ‘non si può essere per la vita, e quindi contro l’aborto, per amore dell’uomo, se non si ama ogni uomo’, diceva. Il 23 marzo 2025 saranno trascorsi 7 anni dalla sua nascita al Cielo. In questi anni gli sono state dedicate alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, sono stati pubblicati numerosissimi interventi sparsi sui giornali e riviste e diversi libri che lo riguardano. In particolare, ricordo la newsletter di Avvenire”.
Ci indica alcuni libri per favorire la conoscenza di questo testimone di impegno a favore della vita?
“Parto da quelli pubblicati dopo la sua nascita al Cielo, ricordando che il suo ultimo libro, bellissimo, recentemente tradotto in inglese, si intitola ‘La dimensione contemplativa nella difesa della vita umana’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2019). Ecco, dunque, in ordine cronologico dal 2020 le varie pubblicazioni: il numero speciale di ‘Sì alla vita’ con moltissime testimonianze e fotografie (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Paola Binetti, Carlo Casini, amico e maestro (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Anna e Alberto Friso (a cura di), ‘Ecce homo… lo avete fatto a me’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Renzo Agasso (a cura di), ‘Sperare contro ogni speranza’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2021); Marina Casini-Domenico Mugnaini (a cura di), ‘Il pensiero e l’azione di Carlo Casini nelle pagine di Toscana Oggi dal 1979 al 2016: articoli, interviste, riflessioni’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021), Stefano Stimamiglio (a cura di), ‘Guardando con fiducia al futuro. In preghiera con Carlo Casini’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021); Carlo Casini, ‘Per ritrovare speranza. La Giornata per la vita: il concepito è uno di noi, Vol. 1 e Vol. 2’, a cura di Marina Casini, Elisabetta Pittino, Giovanna Sedda (Edizioni Movimento per la Vita 2022); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2022); Unione Giuristi Cattolici Italiani-Prato (a cura di), ‘Il pensiero giuridico di Carlo Casini. Il diritto alla vita, il diritto per la vita’ (Edizioni Toscana Oggi, 2023); Stefano Stimamiglio intervista Marina Casini, ‘Carlo Casini. Storia privata di un testimone del nostro tempo’ (Edizioni San Paolo, 2023); Francesco Ognibene (a cura di), ‘Di un Amore Infinito possiamo fidarci. Carlo Casini testimone profeta padre’ (Edizioni Cantagalli, 2023); Aldo Bova-Marina Casini, ‘Carlo Casini, testimone di misericordia’ (Organizzazione e Assistenza Editoriale Center Comunicazione e Congressi, 2023); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo, Introduzioni e meditazioni per il Rosario del 23 – marzo 2022-febbraio 2023’, (Edizioni Movimento per la Vita, 2023); ‘Carlo Casini, La cultura della vita. Quarant’anni di pensiero per il rinnovamento della società’, a cura di Marina Casini (Edizioni Ares, 2023); ‘Carlo Casini, Lettere al popolo della vita, vol. 1’, a cura di Elisabetta Pittino e Soemia Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024); Anna e Alberto Friso, ‘Percorsi in sintonia. Carlo Casini e il Movimento dei Focolari’ (Cantagalli, 2024); Carlo Casini, ‘Uno di noi. La persona al centro dell’Europa’, a cura di M. Casini, G. Grande, E. Pittino, S. Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024). Altre pubblicazioni sono in cantiere”.
Quali altre iniziative legate a Carlo Casini sono in corso?
“A parte qualche iniziativa locale o qualche convegno, sono ad oggi principalmente due le iniziative principali. Dal 2021 ogni 23 del mese un nutrito gruppo di persone si ritrova a pregare online il ‘Rosario del 23 con e per Carlo Casini’. Il coordinatore è Marco Caponi che tutti i mesi organizza e prepara con cura questo momento di preghiera. Chi desidera partecipare può inviare una mail a: rosariodel23concarlo@gmail.com. Giorgio Medici con tanta dedizione segue gli aspetti tecnici del collegamento. Nel 2023 è nata la rete ‘Amici di Carlo Casini’, coordinata da Anna e Alberto Friso, una coppia di coniugi in gamba, motivati e pieni di entusiasmo, che ha conosciuto il babbo fin dagli anni Ottanta e che fa parte del Movimento dei Focolari. La porta è aperta e chi è interessato può scrivere a: amicidicarlocasini@gmail.com.
Il card. Giovanni Battista Re, incoraggiando la Rete ad andare avanti, ha scritto: ‘Quanto egli ha fatto in questo campo è un messaggio che non può cadere nell’oblio ed è una eredità che sprona all’impegno per l’accoglienza e la cura del bambino nella fase prenatale e della sua mamma. Il coraggio e la coerenza di Carlo Casini devono restare una guida. Il patrimonio intellettuale e spirituale che egli ha lasciato è prezioso’. Il 2 marzo 2024 la ‘Rete Amici di Carlo Casini’, in collaborazione con il Movimento per la Vita Italiano ha organizzato a Firenze una bellissima giornata di spiritualità dal tema: ‘In cammino con Carlo Casini. Giornata di spiritualità alla luce della sua testimonianza’ e quest’anno la giornata di spiritualità di svolgerà il 22 marzo a Roma presso l’Università Cattolica. Per iscriversi il rinvio è alla mail amicidicarlocasini@gmail.com alla quale fa riferimento anche l’associazione ‘Amici di Carlo Casini’, costituita il 9 luglio 2024”.
(Tratto da Aci Stampa)
Volontariato e solidarietà: la Società di San Vincenzo De Paoli a Venezia

Esserci sempre!’. Sono le parole di Martina Siebezzi, Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia. Racchiudono e danno il senso di ciò che significhi fare volontariato all’interno dell’Associazione. Una realtà che oggi, solo nel Capoluogo veneto, conta di 5 Conferenze, per un totale di 60 soci, 258 persone supportate e 82 famiglie assistite.
Numeri importanti frutto di un lavoro costante, un impegno certosino distribuito nel tempo che oggi consente anche di affrontare nuove sfide sociali come “La salute mentale dei giovani o le difficoltà collegate a depressione e Alzheimer”, afferma la Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia e aggiunge: “Questo ci chiama a rinnovare le nostre modalità di contatto rispetto al passato. Proprio per questo a novembre scorso abbiamo organizzato un incontro formativo per i volontari e ne prevediamo un altro a fine marzo”.
Il fine primario è fare tutto ciò che serve per stare accanto all’uomo e rispondere alle sue innumerevoli necessità perché la carità va ben oltre l’aiuto istantaneo e onora solo se, insegnava il Beato Federico Antonio Ozanam: “Unisce al pane che nutre, la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che ravviva il coraggio abbattuto, quando tratta il povero con rispetto” (da “L’assistenza che umilia e quella che onora”, L’Ere Nouvelle, 1848).
Ascolto, formazione, supporto socio-economico, distribuzione di alimenti e vestiti. Finanziamento di borse di studio e aiuto nel cercare un lavoro. L’Associazione ogni giorno cerca di rispondere alle innumerevoli fragilità della società odierna che “Sono in crescita” – evidenzia Martina Siebezzi e continua -: “L’incremento dei prezzi, oltre a quello delle bollette, ha portato ad un ulteriore impoverimento della popolazione. Dal punto di vista alimentare crescono le richieste di aiuto, anche da parte di famiglie giovani che si trovano in difficoltà non lavorando nell’ambito turistico”.
La maggior parte delle Conferenze che si occupano della distribuzione sono associate al Banco alimentare europeo. “Il passaparola e l’aiuto garantito dalle comunità parrocchiali, anche in termini economici, gioca un ruolo fondamentale. Personalmente mi occupo anche di interfacciarmi con Ulss 3 o con il Comune per quelle situazioni particolarmente complesse” ha dichiarato la Siebezzi.
Nasce così un lavoro in rete che consente di riscoprire la bellezza di essere parte attiva e integrante della società. Lo stato di precarietà investe anche molte madri sole, con figli. “Si tratta di donne abbandonate dai propri uomini ma anche immigrate che, seppur siano sposate e, abbiano accanto un marito, devono occuparsi totalmente della famiglia” – dichiara la Presidente.
Si cerca di raggiungere ogni persona. “Sono parte della nostra vita e quindi il bello è esserci, in ogni momento”, specifica Martina Siebezzi mentre un’imbarcazione viene riempita di beni di prima necessità pronti per essere distribuiti. Il vincenziano rappresenta, per chi gli si affida, un punto di riferimento, un confidente, un amico, una guida saggia e non soltanto una persona che eroga servizi. Le famiglie sono seguite attraverso un percorso di crescita personale che diventa anche stimolo a migliorarsi.
La sollecitudine ardente ha condotto l’Associazione a raggiungere anche il mondo delle carceri. Per contribuire a riempire di senso la vita di chi è privato della libertà, i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli lavorano a stretto contatto con il Direttore Enrico Farina e con il nuovo cappellano don Massimo Cadamuro: “Siamo riusciti a fare da ponte tra il carcere e il Convento di San Francesco della Vigna, dove abbiamo un nostro punto di distribuzione: sono stati assunti dai frati tre ristretti in regime di semi-libertà. Uno lavora in cucina, un altro è impiegato nella Guardiania della chiesa del Convento e un ristretto è stato assunto dalla Ditta che cura i vigneti dell’edificio religioso”, continua la Presidente Siebezzi.
Negli anni è stato realizzato un punto verde nel cortile della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Rientra nel progetto “Il cortile ri-creato”. “Si tratta di uno spazio che i detenuti curano per riacquisire quel senso di utilità che li aiuta a sentirsi parte del mondo. Inoltre – aggiunge la Presidente – per accompagnare le persone private della libertà a esprimere il proprio io, conoscersi più a fondo attraverso i propri talenti, abbiamo organizzato un corso di arte”.
“Fare arte insieme: imparare a disegnare per riscrivere la nostra quotidianità” è il nome del progetto curato dalla Coordinatrice Anna Gigoli. Un appuntamento settimanale, della durata di due ore. “Sono due anni che me ne occupo con una decina i ragazzi, alcuni dei quali sono in carcere da tanti anni” – racconta la Coordinatrice Anna Gigoli. E attraverso questo corso c’è chi esprimere il suo mondo interiore. Chi rispolvera ricordi, come l’immagine della sua Venezia, e chi ne approfitta per lasciarsi andare a confidenze che manifestano tanta sofferenza e disperazione.
“Il carcerato matura la consapevolezza del reato e l’impossibilità di poter rimediare al danno compiuto. Questo genera un profondo senso di angoscia che sfocia nella disperazione. Infondere un po’ di speranza diventa fondamentale. E, in piccolo, attraverso le nostre iniziative cerchiamo di farlo” – confida la Gigoli- “Auspichiamo per la primavera, o al massimo l’estate, di far realizzare ai ristretti dei murales nello spazio esterno”.
Intanto in vista del prossimo appuntamento con la XVIII Edizione del Premio letterario Carlo Castelli, quest’anno nella Casa circondariale ‘Canton Mombello’ di Brescia, “Due detenuti sono pronti a partecipare con i loro scritti”, conclude Anna Gigoli. Il Premio letterario Carlo Castelli è un concorso riservato ai detenuti di tutte le carceri italiane e di tutti gli Istituti per minori. La partecipazione è aperta a cittadini italiani e stranieri, senza limiti di età, condannati almeno con sentenza di primo grado.
L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, quest’anno rifletterà intorno a un tema potente e attuale: “Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato”.
Rispetto agli altri impegni futuri dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia la Presidente ricorda le cose da consolidare, come l’interazione con il carcere, con l’Ospedale Civile e spera: “Se arriveranno i fondi previsti, di mettere in campo un investimento dedicato ai campi estivi. Un’occasione per riunire bambini di qualsiasi etnia e religione: un’attività inclusiva!” – sorride e conclude – mentre la piccola imbarcazione è già pronta ad attraversare nuovamente la laguna carica di beni di primaria necessità. Pronti per essere distribuiti.
La Società di San Vincenzo De Paoli da 191 anni è accanto agli ultimi, ai vulnerabili, agli invisibili. Ogni giorno la Società di San Vincenzo De Paoli si fa prossima all’umanità ferita grazie al sostegno di oltre 11.300 soci e volontari che, in tutta Italia, supportano 30.000 famiglie – più di 100.000 persone -. I volontari della Società di San Vincenzo De Paoli incontrano i più fragili visitandoli nelle loro case, negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strade e perfino nelle carceri.
(Foto: Società San Vincenzo de Paoli)
Papa Francesco al mondo artistico: raccontate la bellezza del Vangelo

“Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra. Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari.”: oggi è stato letto il testo preparato da papa Francesco, che di consueto viene detto prima della recita dell’Angelus, in occasione del Giubileo degli artisti, a cui non ha potuto partecipare a causa di una bronchite, per cui è stato ricoverato al Policlinico Gemelli.
Però nel breve testo ha ringraziato i fedeli ed ha invitato a pregare per la pace: “Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra”.
Mentre nell’omelia per la celebrazione eucaristica de Giubileo degli Artisti, letta dal card. Josè Tolentino de Mendonça, il papa ha riflettuto sul loro ruolo di ‘custodi della bellezza’, capaci di ‘chinarsi sulle ferite del mondo’, come è scritto nel brano evangelico odierno: “Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama le Beatitudini davanti ai suoi discepoli e a una moltitudine di gente. Le abbiamo ascoltate tante volte eppure non cessano di stupirci…
Queste parole ribaltano la logica del mondo e ci invitano a guardare la realtà con occhi nuovi, con lo sguardo di Dio, che vede oltre le apparenze e riconosce la bellezza, persino nella fragilità e nella sofferenza… Il contrasto tra ‘beati voi’ e ‘guai a voi’ ci richiama all’importanza di discernere dove riponiamo la nostra sicurezza”.
Rivolgendosi direttamente agli artisti li ha invitati a ‘trasformare il dolore in speranza’ “Voi, artisti e persone di cultura, siete chiamati a essere testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini. La vostra missione è non solo di creare bellezza, ma di rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza”.
Il loro compito consiste di ‘aiutare l’umanità’: “Viviamo un tempo di crisi complessa, che è economica e sociale e, prima di tutto, è crisi dell’anima, crisi di significato. Ci poniamo la questione del tempo e quella della rotta. Siamo pellegrini o erranti? Camminiamo con una meta o siamo dispersi nel vagare? L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza”.
In questo compito l’arte diventa un incontro: “Ma attenzione: non una speranza facile, superficiale, disincarnata. No! La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio. Per questo l’arte autentica è sempre un incontro con il mistero, con la bellezza che ci supera, con il dolore che ci interroga, con la verità che ci chiama. Altrimenti, ‘guai’! Il Signore è severo nel suo appello”.
Infatti la missione dell’artista consiste nel raccontare la ‘grandezza’ di Dio: “Questa è la missione dell’artista: scoprire e rivelare quella grandezza nascosta, farla percepire ai nostri occhi e ai nostri cuori… L’artista è sensibile a queste risonanze e, con la sua opera, compie un discernimento e aiuta gli altri a discernere tra i differenti echi delle vicende di questo mondo.
E gli uomini e le donne di cultura sono chiamati a valutare questi echi, a spiegarceli e a illuminare la strada su cui ci conducono: se sono canti di sirene che seducono oppure richiami della nostra umanità più vera. Vi è chiesta una sapienza per distinguere ciò che è come ‘pula che il vento disperde’ da ciò che è solido ‘come albero piantato lungo corsi d’acqua’ ed è capace di dare frutto”.
In questo senso gli artisti sono i ‘custodi’ della bellezza: “Cari artisti, vedo in voi dei custodi della bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo, che sa ascoltare il grido dei poveri, dei sofferenti, dei feriti, dei carcerati, dei perseguitati, dei rifugiati. Vedo in voi dei custodi delle Beatitudini! Viviamo in un’epoca in cui nuovi muri si alzano, in cui le differenze diventano pretesto per la divisione anziché occasione di arricchimento reciproco. Ma voi, uomini e donne di cultura, siete chiamati a costruire ponti, a creare spazi di incontro e dialogo, a illuminare le menti e a scaldare i cuori”.
Per questo ha sottolineato che l’arte è necessaria per il mondo: “L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza. E la speranza non è mai scissa dal dramma dell’esistenza: attraversa la lotta quotidiana, le fatiche del vivere, le sfide di questo nostro tempo”.
E’ stato un invito agli artisti a partecipare alla ‘rivoluzione’ delle Beatitudini: “Nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, Gesù proclama beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati. È una logica capovolta, una rivoluzione della prospettiva. L’arte è chiamata a partecipare a questa rivoluzione. Il mondo ha bisogno di artisti profetici, di intellettuali coraggiosi, di creatori di cultura”.
Quest’omelia letta si è conclusa con l’appello ad annunciare ‘un mondo nuovo’: “Lasciatevi guidare dal Vangelo delle Beatitudini, e la vostra arte sia annuncio di un mondo nuovo. La vostra poesia ce lo faccia vedere! Non smettete mai di cercare, di interrogare, di rischiare. Perché la vera arte non è mai comoda, offre la pace dell’inquietudine. E ricordate: la speranza non è un’illusione; la bellezza non è un’utopia; il vostro dono non è un caso, è una chiamata. Rispondete con generosità, con passione, con amore”.
(Foto: Santa Sede)
Ravenna ha presentato il progetto ‘Giubileo for All’

Un Giubileo per tutti, con una guida che accompagna i pellegrini alla scoperta di quel ‘Vangelo visivo’ che sono i nostri mosaici e dei piccoli e grandi tesori della fede e della devozione ravennati: ‘Il volto della Speranza risplende nei mosaici di Ravenna. Itinerari giubilari per tutti tra Arte e Fede’ è la guida con proposte di itinerari giubilari tra arte e fede che l’Opera di religione ha realizzato per l’Anno Santo disponibile per pellegrini e turisti.
La guida parla di speranza, il tema dell’Anno Santo, che ha il volto, in copertina, del Cristo in trono di Sant’Apollinare Nuovo. Accanto ai famosi cinque monumenti Unesco gestiti dall’Opera di Religione, sono proposti vari itinerari: uno che contempla il volto di Maria in varie rappresentazioni e opere d’arte nelle chiese della città, oppure un percorso nella spiritualità di Dante o ancora alla scoperta delle immagini di Sant’Apollinare di Ravenna.
Nel volume c’è anche un capitolo sull’iconografia del santo patrono, la storia di Ravenna come tappa sull’antica via Romea Germanica e uno sul progetto ‘Giubileo for All’, che ha dotato i monumenti Unesco della Diocesi di pannelli e strumenti rendendoli accessibili a tutti. La stessa guida, in ogni sua pagina, rispetta criteri di alta leggibilità per chi è dislessico o ipovedente, ha la copertina tattile e un Qr code che dà accesso al libro parlato e quindi il contenuto del libro diventa accessibile anche per le persone cieche.
Grazie a ‘Giubileo for all’ i mosaici si potranno ‘toccare’, sentire i profili dei volti di Cristo e dei santi e le architetture delle basiliche, seguire i contorni delle tessere, percepire materiali e luci. Lo potranno fare tutti, a prescindere dalle capacità e abilità grazie all’apparato di mappe tattili e parlanti e alle guide audio-video accessibili in lingua dei segni italiana (Lis) e internazionale, con un semplice smartphone, a partire dal Qr code presente sul pannello.
Una commissione della diocesi di Ravenna-Cervia ha studiato quattro percorsi tra i tesori di fede della nostra città. La novità è che saranno percorsi ‘per tutti’ grazie a una serie di pannelli tattili e multisensoriali di cui verranno dotati i monumenti diocesani Unesco. Insomma, oltre al percorso nei monumenti Unesco, ce n’è uno alla scoperta dei volti di Maria sul territorio; uno che segue le tracce di Dante Alighieri in città; infine un percorso alla ricerca delle rappresentazioni del santo patrono.
Per comprendere meglio il progetto abbiamo contattato il dott. Christian D’Angiò, responsabile dell’Ufficio Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali Diocesani, per farci raccontare il progetto ‘Giubileo for All’: “l valore aggiunto delle varie proposte è stato il pensare per tutti. Il ‘Design for All’ migliora la qualità del servizio per tutti gli utenti, senza discriminazioni. Progettare con l’obiettivo del ‘Design for All’ significa non fare interventi specialistici e quindi non rendere percepibile, oltre che adatta a solo un gruppo di persone, la soluzione particolare.
In questo senso non si ragiona più per categorie di persone ma una progettazione per il genere umano e quindi per tutte le persone indipendentemente dalle loro caratteristiche fisiche, sensoriali, cognitive, anagrafiche, linguistiche e culturali per vivere appieno un’esperienza unica con la bellezza dei luoghi. Perché tutti hanno il diritto di comprendere e partecipare; tutti hanno il diritto di essere condotti per mano nella comprensione della fede attraverso il nostro patrimonio storico artistico”.
Come è sorta l’iniziativa ‘Giubileo for All’?
“La diocesi che, attraverso l’Opera di Religione gestisce cinque degli otto monumenti Unesco della città, ha aderito al progetto Cei ‘Giubileo for All’ che punta a creare in tutt’Italia itinerari accessibili per i pellegrini. Grazie ai 15 pannelli multisensoriali e tattili che sono il fulcro del progetto, i mosaici si potranno “toccare”, sentire i profili dei volti di Cristo e dei santi e le architetture delle basiliche, seguire i contorni delle tessere, percepire materiali e luci. Lo potranno fare tutti, a prescindere dalle capacità e abilità grazie all’apparato di mappe tattili e parlanti e alle guide audio-video accessibili in lingua dei segni italiana (Lis) e internazionale, con un semplice smartphone, a partire dal Qr code presente sul pannello”.
Come sono strutturati i percorsi?
“Una commissione della Diocesi di Ravenna-Cervia ha studiato quattro percorsi tra i tesori di fede della nostra città: 1) Mosaici di Bellezza e Spiritualità, itinerario accessibile nei monumenti diocesani di Ravenna patrimonio dell’UNESCO: la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, il Battistero Neoniano, Cappella di Sant’Andrea e il Museo Arcivescovile. 2) Guardando il Volto di Maria: la Madonna Greca nel Santuario di Santa Maria in Porto la Madonna del Latte nella basilica di San Giovanni Evangelista e la Madonna del Sudore in Cattedrale. 3) Vicino a Dante: la chiesa di San Francesco, la chiesa di Sant’Agata Maggiore. 4) Sant’Apollinare in Classe e il Candor Lucis del Cristo Trasfigurato.
La novità è che il percorso dei monumenti diocesani Unesco sarà ‘per tutti’ grazie a una serie di mappe e pannelli tattili e multisensoriali. La base è stata la redazione per i cinque siti Unesco diocesani la redazione dei Peba (Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche-Fisiche-Sensoriali). Si tratta di quindici pannelli, che verranno installati entro l’inizio del Giubileo nei monumenti diocesani, realizzati coinvolgendo le associazioni, gli enti e le persone con disabilità che danno accesso a video in italiano e in inglese, sottotitolati e segnati in Lingua dei Segni Italiana (LIS) e in International Sign (Segni Internazionali), una mappa accessibile, realizzata in ecoplastica, dei percorsi sarà di supporto per il collegamento tra i vari siti.
Nel dettaglio nei monumenti saranno collocate: cinque mappe tattili-multisensoriali di presentazione della struttura architettonica e dei servizi per scoprire le informazioni utili anche per muoversi agevolmente e consapevolmente nel monumento; dieci mosaici tattili-multisensoriali raffiguranti i principali soggetti, ma con accesso ad un contenuto che descrive l’intero ciclo musivo”.
Per quale motivo tutti hanno diritto alla bellezza?
“Si tratta di una platea immensa di persone: il 15% può pensare di visitare un luogo della cultura, solo il 5% di partecipare ad un evento. Eppure da tempo esistono linee guida per ideare, promuovere un evento che sia per tutti. Da Ravenna lanciamo questa sfida ambiziosa.
La cifra è l’accessibilità universale… Il diritto alla bellezza è un diritto universale quindi deve essere per tutti e di tutti. Questi pannelli che presentano rilievi e texture e altezze differenti permettono a tutti di vivere un’esperienza di bellezza. Al centro c’è la persona al di là delle sue caratteristiche fisiche, sensoriali, anagrafiche e linguistiche”.
Cosa vuol dire progettare percorsi insieme alle persone con disabilità?
“La cosa bella è poter vivere un’esperienza di arte, di fede e spiritualità per tutti e con tutti, senza escludere nessuno. Il messaggio cristiano dei mosaici di Ravenna oggi è una Parola per noi è una Parola per la sete che l’uomo ha. A nessuno, allora, deve essere impedito o limitato di aver accesso a quel messaggio, tutti fanno esperienza di fede attraverso i mosaici di Ravenna”.
Per quale motivo formare ‘guide giubilari’ per percorsi di arte e fede a Ravenna per tutti’?
“Tutto il personale dell’Opera di Religione già da tempo si è formato per accogliere pellegrini con un’ottica di accessibilità sempre più ampia. Infatti, per prepararci ad accogliere i pellegrini che giungeranno a Ravenna, affinché tutti possano vivere una vera esperienza di fede attraverso il messaggio cristiano dei mosaici ravennati, l’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e l’Opera di Religione, in collaborazione con la Pontificia Università Gregoriana e il Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità della Conferenza Episcopale Italiana, hanno proposto, alle guide turistiche professionali, un percorso di formazione che dà la possibilità, sostenendo una prova orale finale, di essere inseriti in un elenco di ‘Guide Giubilari per percorsi di Arte e Fede a Ravenna per tutti’. Occasione per creare un gruppo di guide abilitate formate specificatamente per guidare gruppi di pellegrini o fedeli nella visita alla nostra città e ai monumenti paleocristiani di Ravenna”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco: attraverso un cammino si compie la liberazione

Anche oggi papa Francesco nell’udienza generale ha continuato il ciclo di catechesi che si svolgerà lungo l’anno giubilare sul tema ‘Gesù Cristo nostra speranza’, incentrando la meditazione sul tema della beatitudine della Madre di Dio, ‘E beata colei che ha creduto’, che è il Magnificat; catechesi letta dal don Pierluigi Giroli a causa di un raffreddore: “Voglio chiedere scusa perché con questo forte raffreddore è difficile per me parlare e per questo la leggerà il mio fratello la leggerà meglio di me”.
Nella catechesi il papa ha invitato a contemplare la bellezza di Gesù, manifestata nella Visitazione: “Contempliamo oggi la bellezza di Gesù Cristo nostra speranza nel mistero della Visitazione. La Vergine Maria fa visita a Santa Elisabetta; ma è soprattutto Gesù, nel grembo della madre, a visitare il suo popolo, come dice Zaccaria nel suo inno di lode”.
Riprendendo una tesi del teologo Balthasar papa Francesco ha sottolineato che appena avuta la notizia dall’Angelo, Maria si mette in cammino: “Dopo lo stupore e la meraviglia per quanto le è stato annunciato dall’Angelo, Maria si alza e si mette in viaggio, come tutti i chiamati della Bibbia, perché ‘l’unico atto col quale l’uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata’. Questa giovane figlia d’Israele non sceglie di proteggersi dal mondo, non teme i pericoli e i giudizi altrui, ma va incontro agli altri”.
Ciò accade per il motivo per cui l’Amore spinge ad amare: “Quando ci si sente amati, si sperimenta una forza che mette in circolo l’amore; come dice l’apostolo Paolo, ‘l’amore del Cristo ci possiede’, ci spinge, ci muove. Maria avverte la spinta dell’amore e va ad aiutare una donna che è sua parente, ma è anche un’anziana che accoglie, dopo lunga attesa, una gravidanza insperata, faticosa da affrontare alla sua età. Ma la Vergine va da Elisabetta anche per condividere la fede nel Dio dell’impossibile e la speranza nel compimento delle sue promesse”.
Quindi da una promessa nasce la profezia: “L’incontro tra le due donne produce un impatto sorprendente: la voce della ‘piena di grazia’ che saluta Elisabetta provoca la profezia nel bambino che l’anziana porta in grembo e suscita in lei una duplice benedizione: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!’ Ed anche una beatitudine: ‘Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto’.
Dinanzi al riconoscimento dell’identità messianica del suo Figlio e della sua missione di madre, Maria non parla di sé ma di Dio e innalza una lode piena di fede, di speranza e di gioia, un cantico che risuona ogni giorno nella Chiesa durante la preghiera dei Vespri: il Magnificat”.
La lode del Magnificat è un ‘compimento’ della preghiera di Israele, imperniata nella memoria: “Questa lode al Dio salvatore, sgorgata dal cuore della sua umile serva, è un solenne memoriale che sintetizza e compie la preghiera d’Israele. E’ intessuta di risonanze bibliche, segno che Maria non vuole cantare “fuori dal coro” ma sintonizzarsi con i padri, esaltando la sua compassione verso gli umili, quei piccoli che Gesù nella sua predicazione dichiarerà ‘beati’.
La massiccia presenza del motivo pasquale fa del Magnificat anche un canto di redenzione, che ha per sfondo la memoria della liberazione d’Israele dall’Egitto. I verbi sono tutti al passato, impregnati di una memoria d’amore che accende di fede il presente e illumina di speranza il futuro: Maria canta la grazia del passato ma è la donna del presente che porta in grembo il futuro”.
Il papa ha concluso la catechesi, sottolineando le ‘grandi opere’ di Dio: “La prima parte di questo cantico loda l’azione di Dio in Maria, microcosmo del popolo di Dio che aderisce pienamente all’alleanza; la seconda spazia sull’opera del Padre nel macrocosmo della storia dei suoi figli. attraverso tre parole-chiave: memoria, misericordia, promessa”.
Ed ha ribadito la fedeltà di Dio per l’umanità attraverso Maria: “Il Signore, che si è chinato sulla piccola Maria per compiere in lei ‘grandi cose’ e renderla madre del Signore, ha iniziato a salvare il suo popolo a partire dall’esodo, ricordandosi della benedizione universale promessa ad Abramo. Il Signore, Dio fedele per sempre, ha fatto scorrere un flusso ininterrotto di amore misericordioso ‘di generazione in generazione’ sul popolo fedele all’alleanza, ed ora manifesta la pienezza della salvezza nel Figlio suo, inviato a salvare il popolo dai suoi peccati”.
Attraverso la Pasqua si compie il compimento della liberazione intrapresa da Dio: “Da Abramo a Gesù Cristo e alla comunità dei credenti, la Pasqua appare così come la categoria ermeneutica per comprendere ogni liberazione successiva, fino a quella realizzata dal Messia nella pienezza dei tempi”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ai comunicatori: comunicare è saggezza

“Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi. Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!”: questo è stato il breve saluto di papa Francesco ai giornalisti ed agli operatori della comunicazione in occasione del giubileo della comunicazione.
Prima della consegna del discorso il papa ha lanciato l’invito a comunicare ‘cose divine’: “Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. ‘Padre, io sempre dico le cose vere…’ – ‘Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?’ E’ una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”.
Nel discorso consegnato il papa ha ricordato i giornalisti deceduti per aver raccontato la realtà: “Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue”.
Ma anche coloro che sono stati arrestati, compresi anche i fotografi e gli operatori: “Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti!
Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una ‘porta’ attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi”.
A differenza di molti che bistrattano i giornalisti, tentando di mettere un ‘bavaglio’, il papa ha ribadito la necessità della libertà di stampa: “Chiedo (come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori) che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati.
Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità”.
Ha invocato la libertà perché il giornalismo è una ‘missione’: “Quella del giornalista è più che una professione. E’ una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”.
Quindi come ogni missione il giornalismo è anche responsabilità: “La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere (nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda) il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate”.
E per fare il giornalismo occorre coraggio: “Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore.
In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro ‘appello’ che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore. Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi”.
Però il coraggio si basa sulla libertà: “La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella ‘putrefazione cerebrale’ causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?”
L’informazione libera educa al pensiero critico per narrare la bellezza della comunicazione: “Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati”.
Una scelta fatta propria da san Paolo: “Un cuore così è stato quello di San Paolo. La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione. Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa. E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo. La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone. Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che (per ignoranza o per pregiudizio) si contrappongono!”
Ha concluso il discorso con l’invito al racconto: “In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza”.
(Foto: Santa Sede)
Card. Zuppi ai vescovi: riscoprire la bellezza della preghiera

“Cari Confratelli, ci ritroviamo, pellegrini di speranza, all’inizio del 2025, ‘anno giubilare’, tempo davvero opportuno per capire la ‘Lectio’ che sono i segni dei tempi e trasformarli in segni di speranza. E’ un Giubileo ordinario che tuttavia assume per noi un valore speciale per via di una serie di congiunture storiche della nostra Chiesa e della società. E’ una provvidenza. Il suono dello Jobel, il corno di ariete, segnava l’inizio di una celebrazione religiosa, come appunto l’anno giubilare”: così è iniziata la prolusione del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo della diocesi di Bologna, che ha aperto la sessione invernale del Consiglio Episcopale Permanente.
La scelta di suonare lo jobel è compito dei ‘pastori’: “A noi, pastori e sentinelle del gregge, spetta il compito di suonare oggi idealmente questo strumento per richiamare l’attenzione sui segni di speranza già presenti nelle nostre comunità e che attendono di essere ulteriormente custoditi e sviluppati”.
Riprendendo l’omelia natalizia di papa Francesco il card. Zuppi si è soffermato sulla quotidianità dell’annuncio: “Quanto è importante fissare un nuovo ‘oggi’!.. E l’oggi si manifesta come un giorno diverso dagli altri, opportuno, che dobbiamo sapere contemplare per cambiare. Oggi! La scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del papa, hanno colto (mi pare) una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte”.
E si è soffermato sulle aspettative della gente: “Confrontandomi con alcuni di voi, ho avuto la chiara percezione che molta gente, più del consueto e delle nostre stesse aspettative, sia stata attratta dalla liturgia dell’apertura della Porta Santa, seguita con attenzione e partecipazione, bisogno evidente di sentire personalmente quel che ha detto il papa, eco della Parola di Dio: C’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi”.
Per questo il Giubileo è un’occasione: “Le porte delle nostre chiese sono sempre aperte a tutti, ma l’oggi del Giubileo ha creato un’occasione opportuna. Ci sono segni che hanno una grande capacità di comunicare e rompono il muro dell’indifferenza, del fatalismo, della rassegnazione che genera paura della vita. La vita sociale e la temibile logica del consumismo offrono tanti segni, spesso effimeri e ingannevoli perché facili e senza prezzo.
La speranza ha sempre un prezzo di pazienza e di sacrificio. La Chiesa, nei forzieri della sua tradizione e della sua preghiera, conserva tanti segni eloquenti, che non sono logori o d’altri tempi. In essi si esprime un messaggio forte, di cui essere gioiosamente consapevoli e che il Giubileo e il Sinodo ci stimolano a riscoprire”.
Tale speranza trova forza nella bellezza della preghiera: “C’è una forza attrattiva della bellezza della vita e della preghiera della Chiesa che chiede semplicemente di essere regalata, trasmessa, spiegata. Le Chiese dell’ex Unione Sovietica hanno resistito in decenni di terribile persecuzione antireligiosa e di dittatura comunista (con tanti martiri), solo celebrando la liturgia nello spazio delle chiese rimaste aperte. Padre Tavrion, un monaco russo che aveva passato tanti anni nel gulag sovietico ma che ha potuto finire la sua vita in monastero, ha espresso un segreto della liturgia conservato nella tradizione delle Chiese ortodosse: se noi non mostriamo la bellezza, la gente non verrà da noi”.
E’ un invito ad essere buoni amministratori: “Certo, bisogna essere amministratori consapevoli della ricchezza e della bellezza del messaggio della fede e di come questo si comunica al di là del nostro protagonismo. Non bisogna pensare che abbiamo poco da dare o da dire, talvolta finendo per celebrare con sciatteria o ricercando modalità da spettacolo, credendo che quel che diamo e diciamo alla fine interessa poco.
Ci si è riproposta la domanda di speranza, di qualcosa di nuovo in un mondo e in una vita vecchia; di pensarsi insieme, di essere perdonati e non sommersi da banali parole di benessere; di trovare una porta aperta che faccia entrare nella luce uscendo da un buio insopportabile e drammatico come quello della guerra, della solitudine, della violenza, dell’ombra di morte che avvolge l’anima. Nel deserto c’è più sete di senso e di Dio”.
Ma ha messo in guardia dalla falsa speranza, come il gioco d’azzardo: “Lo stesso gioco d’azzardo, in periodi difficili dell’esistenza, tra le fasce più fragili della popolazione, diventa una vera dipendenza con drammatiche conseguenze sulla vita delle persone, nell’illusione, purtroppo coltivata e perfino incentivata, di star meglio, di essere felici o di essere vincenti. Nel 2023 sono stati spesi quasi 150 miliardi nel gioco d’azzardo ed è una cifra sempre in crescita.
Occorre una forte azione educativa per liberare da quella che facilmente diviene una vera dipendenza: per questo, serve il coinvolgimento delle aziende dell’azzardo e anche lo Stato deve mettere sempre al primo posto la salute dei cittadini. La campagna ‘Mettiamoci in Gioco’ e la Consulta Nazionale Antiusura ricordano che è possibile affrancare da quello che non è un gioco, ma una schiavitù”.
Ha sentito anche la responsabilità di creare condizioni per l’ascolto della Parola di Dio: “Sento la responsabilità di creare o rafforzare percorsi che portino all’incontro con la Parola di Dio e con il Vangelo, favorendo l’ascolto e la lettura personale… Si deve diffondere la devozione alla sacra pagina del Vangelo e della Scrittura, in maniera larga, popolare, non elitaria. Non si tratta, infatti, di circoli ristretti, ma di dare la Bibbia al popolo e guidarlo alla sua lettura. Questo è alla base di un rinnovamento della spiritualità, di quella spiritualità di cui c’è la sete che ci pare di aver colto. Una spiritualità che, senza perdere il suo carattere popolare, non deve essere solo devozionale ma biblica. Questo comporta anche accompagnare nella ricerca di risposte sulla preghiera”.
Insomma ha chiesto che i fedeli siano accompagnati nella preghiera: “Bisogna accompagnare nella via della preghiera, insegnando come il Vangelo, i Salmi, la Bibbia siano essi stessi una grande scuola di preghiera. Questo vuol dire anche trovare nelle nostre parrocchie non solo sacerdoti, ma ministri come i Lettori, donne e uomini spirituali che aiutino in questa scuola di preghiera, e pure gli spazi necessari.
Significa, almeno un po’, santuarizzare le nostre parrocchie, non solo come centri di attività e luoghi di liturgia, ma anche come spazi di silenzio, di devozione e di preghiera. È una dimensione attiva della speranza. Di più: san Tommaso ricorda che la preghiera è l’autentica lingua e la credibile interpretazione della speranza”.
Ecco il motivo per cui il card. Zuppi ha chiesto di non stancarsi di annunciare il Vangelo: “Per questo, ci si preoccupa di far circolare, nei modi opportuni e possibili, sempre con tanta umanità e amabilità, senza proselitismo, il messaggio cristiano nell’umano discorso tra tutti. Questo interpella soprattutto i laici nella vita quotidiana, nell’amicizia con ognuno, nel relazionarsi quotidiano.
Coinvolge la Chiesa a intervenire nelle diverse occasioni di dibattito e di incontro. Tanta gente che cerca senso e risposte (una realtà grande che non va sottovalutata) ha bisogno di trovare interlocutori. E questi sono i laici nella vita quotidiana. E’ il loro grande compito”.
Citando Jean Guitton il presidente della Cei ha sollecitato i cattolici ad essere una ‘minoranza’ felice: “Mi piacerebbe che l’anno giubilare costituisse il tempo in cui riflettiamo e maturiamo insieme non la volontà di essere una ‘minoranza0 triste, ma il coraggio di diventare ‘minori’ felici, nel senso in cui la spiritualità francescana ci ha spiegato questa idea. Diventare ‘minori’, cioè piccoli, è la via evangelica per guardare il mondo come i piccoli, per riconoscere e legittimare i piccoli, per far crescere i piccoli per compiere le ‘grandi cose’ degli umili”.
E’ stato un invito alle diocesi a mettersi a servizio dei poveri: “Penso, quindi, al Giubileo come a un tempo in cui individuare i piccoli delle nostre Diocesi e metterci al loro servizio, perché cresca in loro la speranza e si prepari così anche il Regno di Dio. Penso alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Penso alle vittime di abusi, la cui sofferenza portiamo nel cuore e ci impegna con rigore nel contrasto e nella prevenzione. Penso ai carcerati”.
Per questo ha richiesto la remissione del debito dei Paesi poveri: “Il Giubileo può diventare una occasione per tornare a bussare alla porta dei Paesi ricchi, compresa l’Italia, perché rimettano i debiti dei Paesi poveri, che non hanno modo di ripagarli. Qui vivono milioni di persone in condizioni di vita prive di dignità. Si badi che i debiti degli Stati sono talora contratti con privati: la Chiesa non può non far sentire la sua voce perché si stabilisca una equità sociale e i pochi straricchi non profittino della loro posizione di vantaggio per influenzare la politica per i propri interessi”.
E la remissione del debito è collegata alla pace: “Strettamente intrecciato al tema dell’economia è quello della pace. Uno dei segni dei tempi più drammatico è infatti quello della guerra. La Chiesa italiana innalza a Dio la preghiera perché il Giubileo offra l’opportunità per raggiungere i tanti attesi e indispensabili negoziati che trovino soluzioni giuste e durature, con una forte ripresa della presenza della comunità internazionale e del multilateralismo e degli strumenti necessari per garantire il diritto e non il ricorso alle armi per risolvere i conflitti. La tregua raggiunta in Terra Santa ci auguriamo che rafforzi la pace e avvii un nuovo processo che porti ad un futuro concreto”.
E’ stato un invito preciso ad un percorso di riconciliazione in Terra Santa: “La Chiesa in Italia è vicina a Israele perché possa riabbracciare finalmente i propri cari rapiti, avere la sicurezza necessaria e continuare a lottare contro l’antisemitismo che si manifesta dentro forme subdole e ambigue. La recente Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei ha avuto come tema proprio il Giubileo, nella consapevolezza che solo l’amicizia e il dialogo continueranno a rendere saldo il nostro rapporto per quanto ci riguarda costante e affatto indebolito.
Già in passato sono intervenuto con chiarezza condannando fenomeni di risorgente antisemitismo, mai accettabili. La Chiesa in Italia è vicina ai palestinesi e alla loro sofferenza perché si possa finalmente avviare un percorso che permetta a questo popolo di essere riconosciuto nella sua piena dignità e libertà. Sono in gioco interessi sempre più elevati nella produzione e nel commercio di armi”.
Infine uno sguardo sui migranti con la valorizzazione dei corridoi umanitari: “E’ evidente la necessità di non indebolire la cultura dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, offrendo regole di diritti e doveri sicuri, flussi e canali che permettano l’ingresso dei necessari lavoratori, che non sono mai solo braccia, ma persone che richiedono politiche lungimiranti di integrazione. L’esperienza dei corridoi umanitari e lavorativi è da valorizzare perché garantisce dignità e sicurezza a chi fugge da situazioni drammatiche.
Le Diocesi italiane, con il loro impegno, sono un faro di accoglienza per oltre 146.000 persone di origine straniera. Accanto ai corridoi umanitari, lavorativi e universitari sono un esempio concreto di come sia possibile conciliare il diritto a migrare con l’integrazione e lo sviluppo locale. Negli ultimi anni, tra le molteplici esperienze di accoglienza, si è sviluppato un nuovo approccio che tiene insieme la richiesta di sicurezza, il desiderio di solidarietà e l’esigenza di andare incontro ai bisogni delle persone migranti. Insomma: liberi di partire, liberi di restare e liberi di tornare, uscendo finalmente da una logica esclusivamente di sicurezza, questione evidentemente decisiva, per rafforzare la cooperazione, in particolare con l’Africa”.
Kantiere Kairos: la musica diventa adorazione eucaristica

Domenica 8 dicembre è uscito il nuovo album di ‘Kantiere Kairos’, ‘Il sale’: “Non è solo musica, ma il racconto vivo dei nostri ultimi sei anni. Prima della pandemia, immaginavamo il nuovo lavoro come una naturale continuazione di ‘Il Soffio’ ed ‘Il Seme’: Dio, che ispira, semina nel cuore e trasforma chi lo accoglie in sale per il mondo. Era questo il messaggio che volevamo condividere…
Poi è arrivato il 2020, cambiando tutto, tranne il nostro intento. Anzi, la visione si è rafforzata, grazie agli amici e colleghi che hanno camminato con noi in quei mesi difficili. Con loro abbiamo potuto raccontare di quel seme divenuto frutto; anzi, quelle vite trasformate in capolavori”.
Da queste storie i componenti della band cristiana (Antonello Armieri, voce e chitarra acustica, Davide Capitano, al basso, Gabriele Di Nardo alla batteria e percussioni, Jo Di Nardo alle chitarre) hanno creato un album: “Così, abbiamo intrecciato queste storie, vecchie e nuove, in un unico mosaico. Perché i veri protagonisti di questo album sono coloro che, con la loro testimonianza, sono diventati ‘sale della terra’.
Alcuni sono diventati esempi di vita quotidiana, altri ci hanno ispirati direttamente, lasciando ognuno segni indelebili con la loro luce, la loro scelta di accogliere Dio pienamente e vivere la Sua volontà. Storie che ci ricordano una verità profonda: la santità non è irraggiungibile. Anche nella loro umanità, mostrano che Dio ama ciascuno di noi in modo unico e speciale, vive in ciascuno di noi, e ci dona la grazia di diventare sale della terra e luce del mondo”.
Qualche settimana prima di questo ‘lancio’ li abbiamo incontrati a Tolentino, nelle Marche, invitati dagli agostiniani per un concerto concluso con l’adorazione eucaristica, a cui hanno partecipato molti giovani e da Antonello Armieri, autore dei testi, ci facciamo raccontare il motivo per cui il recente singolo, ‘Miracolosamente’, si può considerare una scommessa musicale:
“Miracolosamente è una scommessa musicale, perché volevamo creare, insieme alla musica, un invito ad entrare nella preghiera in modo tale che fosse qualcosa di graduale. Siccome avevamo in mente di realizzarla nella maniera in cui è stata fatta e non avevamo criteri di provarla, per cui tutto il processo di realizzazione di ‘Miracolosamente’ è stato quello di mettere insieme la preghiera con il cammino che facciamo quotidianamente per arrivare alla ‘risoluzione’ finale, che è il senso del brano: quello di sentirci sale della terra. In questo modo abbiamo cercato di metterlo in atto nel realizzare la musica. Infatti è un brano che dura più di sei minuti; quindi non è di immediato ascolto. Abbiamo provato a scommetterci, accompagnando l’ascoltatore in questo cammino, che abbiamo vissuto per primi noi. Per questo è una scommessa”.
Da dove nascono le vostre canzoni?
“Innanzitutto nascono dal Vangelo, poi dagli incontri con le persone e dall’ascolto di storie di santi, beati o servi di Dio, che hanno accolto l’amore di Dio. Nascono anche da incontri con persone che ci raccontano le loro storie; eppoi nascono dalla nostra esperienza di fede e di ‘caduta’ nella fede. Quindi cercare di rialzarci nel chiedere aiuto al Signore”.
‘Parlami ancora’: cosa significa ascoltare la Parola di Dio?
“Per me ascoltare la Parola di Dio significa ascoltare la Parola della Verità, perché il Signore si trova spesso nel silenzio quando ci prendiamo un po’ di tempo per Lui, con Lui per ascoltare anche un po’ la voce della nostra coscienza. Ascoltare la Sua voce vuol dire sentirci chiamati in causa quando è proclamato il Vangelo o quando si vive il Vangelo nella comunione e negli incontri con le persone. Il Signore si manifesta in tutto, perché la Sua voce è presente in tutto: siamo disposti ad accoglierLa? Noi ci proviamo; questo è il nostro invito costante”.
Cosa significa comporre musica cristiana?
“Per chi si ritiene cristiano, comporre musica cristiana dovrebbe essere ovvio. Si parla sempre di molte cose, ma se al centro del cuore poniamo il Signore diventa una scelta da parte nostra: quello di parlare di Lui e quello di incontrare gli altri in Lui attraverso la musica. Il Signore dovrebbe essere al centro di tutto, per cui sembra paradossalmente strano fare musica cristiana oggi, perché si parla di tutto tranne che di Dio. Sembra una cosa straordinaria, invece dovrebbe essere la più naturale per ogni musicista credente”.
Allora come è possibile coniugare i concerti con l’Adorazione eucaristica?
“Il concerto in chiesa è un cammino verso l’incontro con Gesù. Noi non siamo i protagonisti del concerto; il nostro è un modo per invitare le persone a fare questo cammino insieme a noi per incontrare Gesù. Noi viviamo alcune storie durante il concerto per poi presentarle sull’altare: nelle canzoni affrontiamo alcuni argomenti: quello dell’esame di coscienza; quello di riscoprirsi speciali agli occhi di Dio; quello di guardare gli altri, in quanto stanno scrivendo una storia di amore con Dio, come Chiara Corbella Petrillo. Carlo Acutis, come la nostra calabrese Natuzza. Tutto questo per consegnare la nostra esperienza sull’altare tra le braccia di Gesù, che è Eucarestia: è Lui che vogliamo incontrare; è Lui il fine del concerto. Non è coniugare concerto ed Adorazione eucaristica, ma è un cammino verso Lui. E’ un nostro tentativo”.
Come si diventa ‘cercatori di Dio’ con la musica?
“Non siamo cercatori di Dio, ci sentiamo Suoi figli che lo esprimono attraverso quello che ci riesce di più. Se fossimo calzolai, metteremmo lo stesso amore nel confezionare un paio di scarpe così come facciamo con la musica: il vantaggio è che le canzoni sono fatte anche di parole. Dio è stupore, bellezza, Qualcuno che ti raggiunge e ti tocca attraverso quello che ti circonda nella quotidianità. E sei consapevole che, più del diamante nel carbone, Dio non aspetta altro che mostrarsi per quello che è: la perla in ognuno di noi. Se una canzone può ricordarcelo, siamo un po’ seminatori anche noi”.
Chi è Kantiere Kairos?
“Kantiere Kairos, innanzitutto, è una famiglia, perché fare musica cristiana significa fare scelte audaci che coinvolgono le nostre famiglie. Vivere in comunione con lo stesso scopo significa appartenere a Cristo. Quindi una famiglia, che si allarga a tutte le persone che accolgono la nostra musica facendo parte del nostro cantiere, perché gli operai sono pochi. Noi facciamo musica, e vogliamo continuare a farla: essere operai di musica. C’è chi ascolta e c’è chi suona; Kantiere Kairos è questo, sempre aperto con operai disposti. Kairos, perché il momento è sempre giusto per tornare da Gesù”.
(Foto: Aci Stampa)
Don Ponticelli: il sacramento della penitenza per scoprire che la speranza non delude

“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma”.
A poche settimane dall’apertura della Porta Santa, prendiamo spunto dall’incipit della Bolla di indizione del Giubileo, ‘Spes non confundit’ per colloquiare con don Raffaele (Lello) Ponticelli, docente di psicologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, psicologo e psicoterapeuta per farci raccontare il motivo per cui ‘la speranza non delude’:
“La speranza non delude perché ha le sue radici ‘in alto’, nella Risurrezione di Cristo dai morti. Già papa Benedetto XVI lo aveva ricordato parlando della ‘Grande speranza’ nell’enciclica ‘Spe Salvi’, distinta da quelle piccole, molto belle e importanti, che sostengono dinanzi alle difficoltà e alle prove, ma non reggono dinanzi all’enigma della morte. Insomma, la fede nella Risurrezione di Cristo, cuore dell’annuncio cristiano, fa la differenza”.
In quale modo la Chiesa riesce a dare una parola di speranza?
“Annunciando con umile fierezza il Vangelo di Gesù, la sua morte in Croce per amore e la sua Risurrezione. Questo annuncio, però, è credibile se accompagnato (anzi, talvolta preceduto) dalla testimonianza di donne e di uomini che sono essi stessi segni di speranza come operatori di pace e giustizia, amanti della vita dal suo sbocciare fino al suo naturale tramonto; donne e uomini che esprimono agli ammalati, ai detenuti, ai migranti, agli esuli e ai profughi, ai poveri e agli indigenti, vicinanza, tenerezza e compassione, secondo lo stile stesso di Dio. La Chiesa, poi, dona speranza quando accompagna con discrezione i giovani, li incoraggia, ne valorizza e ne custodisce i sogni, favorendo la conoscenza e l’incontro con Cristo”.
Davanti al dolore quale speranza?
“Quella innanzitutto di trovare sollievo, di non essere lasciati soli, di ricevere , per esempio, le cure mediche necessarie, fino a sempre più efficaci terapie del dolore e ad un accompagnamento affettivo, psicologico e spirituale pure nell’ora del morire. E’ importante donare una speranza che non nasconda la drammaticità del dolore e neanche la sfida che, soprattutto quello innocente, pone alla fede.
C’è bisogno di una speranza che educhi ad accostarsi al dolore altrui con discrezione e verità, senza favorire il vittimismo, ma, anzi, sapendone sdoganare, assumere e rispettare i momenti di rabbia e protesta, sconcerto e delusione, silenzio e disperazione, offrendo vie per trovare un senso e non per favorire forme di fuga. A nessuno è consentito discettare con supponenza o con parole di circostanza su questo; ma ai cristiani è chiesto soprattutto di seguire l’esempio di Cristo che passò facendo del bene, ma soprattutto condividendo il dolore e trasformandolo in occasione di salvezza con il dono di sé”.
In quale modo i cristiani possono essere pellegrini di speranza?
“A quanto detto aggiungerei che è importante pregare come poveri e mendicanti per chiedere a Dio il dono della speranza per sé e per gli altri. Si diventa pellegrini di speranza imparando dai quei cristiani che sono in condizioni di minoranza od, addirittura, sono perseguitati, emarginati, lasciati soli eppure continuano a sorridere ed a ‘vedere la spiga dove gli occhi di carne vedono solo un seme che marcisce’, come diceva don Primo Mazzolari. Ma c’è tanto da imparare anche da donne e uomini di altre culture e fedi religiose che spesso custodiscono e vivono l’essenziale della speranza, animati segretamente dallo Spirito Santo”.
Nella Bolla di indizione del Giubileo papa Francesco ha sottolineato l’importanza del sacramento della penitenza: come riscoprire la bellezza di questo sacramento?
“Chiedendo a Dio di poter cercare e incontrare confessori buoni e saggi, ‘ladroni graziati’ anche essi, ma felici della misericordia di cui fanno esperienza e di cui diventano servi, non padroni; dispensatori e non censori o doganieri. Si riscopre il Sacramento della penitenza, guardando al Crocifisso e sperimentando si sentirsi amati e perdonati da Lui a prescindere, con la certezza che ci perdona sempre, sempre, sempre.
Ho visto persone che hanno scoperto la bellezza di questo Sacramento abbandonando un’immagine distorta di Dio e di se stessi a partire dal Vangelo e si sono accostate alla Confessione anche dopo tanti anni, accettandone con coraggio il rischio. Sperimentare l’abbraccio di Dio che è pronto a far festa per ogni figlia e figlio che torna: c’è qualcosa di più bello?”
(Tratto da Aci Stampa)
Fondazione Oasis offre una riflessione sulla Sapienza attraverso le tradizioni

La Fondazione Oasis ha compiuto 20 anni della sua nascita, ad opera del card. Angelo Scola, ‘festeggiando’ alla ‘Abrahamic Family House’ di Abu Dhabi con un Congresso internazionale che si è svolto nel mese scorso nel luogo sorto dopo la firma del documento sulla ‘fratellanza umana’ di papa Francesco e di Ahmad al-Tayyib, grande Imam dell’università di al-Azhar: una chiesa cattolica, una sinagoga e una moschea sorgono vicine e in uno spazio comune.
E, grazie all’opera della Saint Francis Church e dell’Ufficio per il dialogo interreligioso ed ecumenico del Vicariato Apostolico dell’Arabia meridionale, nel cortile della chiesa dedicata a san Francesco si è svolto il congresso dal titolo ‘La sapienza attraverso le tradizioni: un’eredità del passato, una garanzia per il futuro’, organizzato dalla Fondazione Oasis con la partecipazione di mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico per l’Arabia meridionale, la prof.ssa Sarah Stroumsa, docente alla ‘Hebrew University’ di Gerusalemme, il prof. Ahab Bdaiwi, docente all’università olandese di Leiden, ed il prof. Martino Diez, direttore scientifico di Oasis e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Mons. Martinelli ha sviluppato il tema della ‘Teologia sapienziale nel pensiero di Hans Urs von Balthasar’, sviluppando un approfondimento particolare del tema della conoscenza e del sapere, attraverso il pensiero del teologo svizzero, mentre la prof.ssa Sarah Stroumsa ha trattato il tema ‘Cercatori di saggezza: La ricerca comune di ebrei, cristiani e musulmani nel mondo islamico medievale’, raccontando il dialogo, che si sviluppò nel Medio Evo. Ahab Bdaiwi ha introdotto nella discussione la tradizione islamica sciita, parlando sul tema ‘Il saggio della Medina: Ja’far al-Sadiq sulla sapienza’, illustrando il pensiero sapienziale islamico attraverso la figura e le opere di Ja’far al-Sadiq, discendente del profeta dell’Islam e sesto Imam sciita. Infine, il prof. Martino Diez ha trattato il tema su ‘La conoscenza come guarigione’, incentrato sul ‘Libro per cacciare la preoccupazione’ di Elia di Nisibi, vescovo siro-orientale dell’XI secolo, che divenne amico del visir locale, che gli chiese un ‘Libro per cacciare la preoccupazione’.
A conclusione dell’incontro ad Alessandro Banfi, direttore della comunicazione per la ‘Fondazione Internazionale Oasis per il dialogo islamo-cristiano’ e docente di ‘Digital Journalism’ all’Università Unicusano, abbiamo chiesto di raccontarci il motivo per cui ad Abu Dhabi si è svolto un incontro sulla sapienza: “Abu Dhabi significava per noi della Fondazione Oasis ‘festeggiare’ i nostri 20 anni di attività in un luogo legato all’idea stessa del dialogo interreligioso fra le tre religioni abramitiche.
E’ infatti lì che papa Francesco e al Tayyeb firmano la Dichiarazione sulla fratellanza il 4 febbraio del 2019. Poter proporre una conferenza alla Abrahamic Family House, una straordinaria realtà costituita da una chiesa cattolica, una sinagoga e una moschea, per custodire l’eredità di quella Dichiarazione, era un sogno. Grazie alla collaborazione con la Saint Francis Church e con l’Ufficio per il dialogo interreligioso ed ecumenico del Vicariato apostolico dell’Arabia meridionale, guidato da padre Stefano Luca, il sogno si è avverato andando ben oltre le nostre aspettative. Il tema della sapienza, una dimensione cara a ognuna delle tre religioni abramitiche, ci è parso una prosecuzione naturale del cammino iniziato cinque anni fa dal Santo Padre”.
Quanto è importante oggi studiare la saggezza delle tre religioni abramitiche?
“E’ un tema comune che rivela differenze e somiglianze. Per restare a quello che si è detto nella conferenza, il Vicario apostolico dell’Arabia meridionale, mons. Paolo Martinelli, è partito, diciamo così sparigliando, dalla visione teologica di Hans Urs von Balthasar che prende le mosse dalla Gloria, dalla bellezza. Ma per concludere che ‘la sapienza di Dio si manifesta in definitiva nel dono gratuito all’altro, poiché l’altro alla luce della sapienza divina è sempre amabile’. La professoressa Sarah Stroumsa, già rettrice della Hebrew University di Gerusalemme, ha portato ad esempio il dialogo medievale fra ebrei, cristiani e musulmani a partire da un patrimonio filosofico comune e dalle sue traduzioni. Lo studioso di pensiero islamico Ahab Bdaiwi, docente all’Università di Leiden, ha introdotto nella discussione il pensiero sapienziale islamico attraverso la figura e le opere di Ja’far al-Sadiq, discendente del profeta dell’Islam e sesto Imam sciita”.
In quale modo è possibile ripensare i rapporti tra mondo occidentale, mondo musulmano e mondo ebraico?
“La strada della conoscenza reciproca, delle domande aperte, di una riflessione critica e sistematica (culturale) garantisce che non si cerchino confusione, sincretismo, omologazione fra religioni. La sapienza è anzitutto porre problemi, questioni, interrogativi. A noi stessi e agli altri. Ecco perché il cammino aperto dalla dichiarazione di Abu Dhabi ha una prospettiva di grandi dimensioni”.
Quanto incide la guerra in Medio Oriente su tali rapporti?
“Tanto, com’è inevitabile. Non bisogna farsi illusioni. Ci vorrà tempo per ricostruire non solo un dialogo ma almeno una convivenza. In parte del mondo arabo si è vissuto l’attacco terroristico del 7 ottobre scorso come un passaggio indispensabile della lotta per i diritti del popolo palestinese. Nel mondo ebraico sono prevalse spinte per una colonizzazione fondamentalista sia di Gaza sia dei territori che spesso nega l’esistenza stessa dei palestinesi. Si sono compiuti crimini di guerra sia da parte di Hamas che da parte dell’esercito israeliano, che ha prodotto una risposta sproporzionata, a danno di donne e bambini. Eppure, terrorismo e guerra non risolvono nulla. Se, come speriamo in tanti, si arriverà ad un cessate il fuoco anche a Gaza dopo quello in Libano, si tratterà di ricostruire con pazienza un tessuto di convivenza sociale”.
Quale speranza possono alimentare i cristiani in Medio Oriente?
“Il compito dei cristiani in Medio Oriente è sempre stato proprio quello di favorire la convivenza e il dialogo fra le persone. Come ha detto il cardinal Pierbattista Pizzaballa, pariarca di Gerusalemme dei Latini: Bisogna trovare delle forme dove l’uno potrà vivere accanto all’altro nella maniera più pacifica e serena anche se mi chiedo come sarà possibile dopo tutto quest’odio profondo che ha ferito in maniera così generale un po’ tutta la vita delle popolazioni di questo Paese. Però bisogna lavorare per questo. La mancanza di prospettive, il chiudersi nella propria narrativa che esclude l’altro è qualcosa di molto preoccupante”.
Quale è il ‘compito’ che la Fondazione Oasis è chiamata a svolgere?
“E’ lo stesso di vent’anni fa, quando il cardinal Angelo Scola, allora Patriarca di Venezia, sentì il bisogno di iniziare questa avventura. Anzitutto la richiesta venne proprio dai cristiani del Medio Oriente: si evidenziava la necessità di tradurre testi biblici e cristiani in arabo. Alla radice di Oasis c’è proprio la traduzione. Non inganni oggi il fatto che oggi sia largamente automatizzata con l’Intelligenza Artificiale, la traduzione resta un passaggio indispensabile nel dialogo fra popoli e tradizioni. Certo se una volta era dominante l’impegno della rivista cartacea, oggi la Fondazione propone nuove occasioni di partecipazione”.
Può farci qualche esempio?
“Penso anzitutto alle nostre newsletter: ogni settimana produciamo un focus sull’attualità ed una rassegna stampa araba che arrivano ai tanti nostri abbonati. Abbiamo realizzato due serie podcast: una sui personaggi del Mediterraneo e un’altra sugli avamposti del dialogo islamo-cristiano. Oltre agli eventi al Museo diocesano di Milano e alla Abrahamic Family House, dal 2025 lanciamo i ‘Viaggi di Oasis’ in alcuni Paesi poco frequentati e conosciuti. Il primo viaggio culturale con i nostri esperti sarà il prossimo febbraio in Arabia Saudita. Le iscrizioni sono ancora aperte per chi fosse interessato. Si trova tutto qui sul nostro sito”.
(Foto: Fondazione Oasis)