Tag Archives: cammino
Ramadan e Quaresima per andare oltre le ideologie

“Cari fratelli e sorelle musulmani, all’inizio del mese di Ramadan il Dicastero per il Dialogo Interreligioso vi porge i suoi più calorosi saluti e la sua amicizia. Questo periodo di digiuno, preghiera e condivisione è un’occasione privilegiata per avvicinarsi a Dio e rinnovarsi nei valori fondamentali della fede, della compassione e della solidarietà”: lo ha scritto il Dicastero per il Dialogo interreligioso nel messaggio inviato oggi alle comunità musulmane di tutto il mondo in occasione del Ramadan, che si intitola ‘Cristiani e musulmani: ciò che speriamo di diventare insieme’.
Nel messaggio si mette in evidenza la coincidenza che vede quest’anno il Ramadan e la Quaresima cristiana sovrapporsi nello stesso periodo: “Quest’anno il Ramadan coincide in gran parte con la Quaresima, che per i cristiani è un periodo di digiuno, supplica e conversione a Cristo. Questa vicinanza nel calendario spirituale ci offre un’opportunità unica di camminare fianco a fianco, cristiani e musulmani, in un percorso comune di purificazione, preghiera e carità. Per noi cattolici è una gioia condividere questo momento con voi, perché ci ricorda che siamo tutti pellegrini su questa terra e che stiamo tutti cercando di ‘vivere una vita migliore’.
Quest’anno desideriamo riflettere con voi non solo su ciò che possiamo fare insieme per ‘vivere una vita migliore’, ma soprattutto su ciò che vogliamo diventare insieme, come cristiani e musulmani, in un mondo in cerca di speranza. Vogliamo essere semplici collaboratori per un mondo migliore o autentici fratelli e sorelle testimoni comuni dell’amicizia di Dio con tutta l’umanità?”
Ma Quaresima e Ramadan non sono semplici periodi di astinenza e di penitenza: “Più che un semplice mese di digiuno, noi cattolici consideriamo il Ramadan come una scuola di trasformazione interiore. Astenendosi dal cibo e dalle bevande, i musulmani imparano a controllare i loro desideri e a porre l’attenzione su ciò che è essenziale. Questo tempo di disciplina spirituale è un invito a coltivare la pietà, quella virtù che avvicina a Dio e apre il cuore agli altri.
Come sapete, nella tradizione cristiana, la stagione santa della Quaresima ci invita a seguire un percorso simile: attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina cerchiamo di purificare il nostro cuore e di concentrarci su Colui che guida e dirige la nostra vita. Queste pratiche spirituali, sebbene espresse in modo diverso, ci ricordano che la fede non è solo una questione di gesti esteriori, ma un percorso di conversione interiore”.
Nel messaggio il card. George Koovakad, da poche settimane prefetto di questo organismo della Santa Sede e il segretario mons. Indunil Kodithuwakku Janakaratne Kankanamalage, hanno sottolineato il significato di speranza: “In un mondo segnato dall’ingiustizia, dai conflitti e dall’incertezza sul futuro la nostra vocazione comune implica molto di più di pratiche spirituali analoghe. Il nostro mondo ha sete di fraternità e di dialogo autentico. Insieme, musulmani e cristiani, possono essere testimoni di questa speranza, nella convinzione che l’amicizia è possibile nonostante il peso della storia e delle ideologie che intrappolano.
La speranza non è semplice ottimismo: è una virtù ancorata nella fede in Dio, il Misericordioso, nostro Creatore. Per voi, cari amici musulmani, la speranza si nutre della fiducia nella misericordia divina che perdona e guida. Per noi cristiani, essa si fonda sulla certezza che l’amore di Dio è più forte di tutte le prove e gli ostacoli”.
Ed ecco emergere il valore della fraternità: “Quello che vogliamo diventare insieme è perciò essere fratelli e sorelle in umanità, che si stimano profondamente a vicenda. La nostra fede in Dio è un tesoro che ci unisce, ben oltre le nostre differenze. Ci ricorda che siamo tutte creature, spirituali, incarnate e amate, chiamate a vivere nella dignità e nel rispetto reciproco. E noi desideriamo diventare custodi di questa sacra dignità, rifiutando ogni forma di violenza, discriminazione ed esclusione. Quest’anno, mentre le nostre due tradizioni spirituali si ritrovano nel celebrare il Ramadan e la Quaresima, abbiamo un’opportunità unica di mostrare al mondo che la fede trasforma le persone e la società, e che è una forza propulsiva di unità e riconciliazione”.
Quindi il messaggio è un invito a ‘costruire’ ponti: “Non vogliamo semplicemente coesistere; vogliamo vivere insieme in sincera e reciproca stima. I valori che condividiamo, come la giustizia, la compassione e il rispetto per il creato dovrebbero ispirare le nostre azioni e i nostri rapporti e servirci da bussola per essere costruttori di ponti anziché di muri, fautori della giustizia anziché dell’oppressione, essere protettori dell’ambiente anziché distruttori. La nostra fede e i suoi valori dovrebbero aiutarci a essere voci che si ergono contro l’ingiustizia e l’indifferenza e che proclamano la bellezza della diversità umana”.
Il messaggio si chiude con l’invito a ‘seminare’ speranza: “In questo tempo di Ramadan e con l’approssimarsi di ‘Id al-Fitr siamo felici di condividere questa speranza con voi. Che le nostre preghiere, i nostri gesti di solidarietà e i nostri sforzi per la pace siano segni tangibili della nostra sincera amicizia con voi. Che questa festa sia un’occasione di incontri fraterni tra musulmani e cristiani in cui possiamo celebrare insieme la bontà di Dio. Questi semplici, ma profondi momenti di condivisione, sono semi di speranza che possono trasformare le nostre comunità e il nostro mondo. Che la nostra amicizia sia una brezza ristoratrice per un mondo assetato di pace e fraternità!”
Papa Francesco: la quaresima apre alla speranza pasquale

“Le sacre ceneri, questa sera, verranno sparse sul nostro capo. Esse ravvivano in noi la memoria di ciò che siamo, ma anche la speranza di ciò che saremo. Ci ricordano che siamo polvere, ma ci incamminano verso la speranza a cui siamo chiamati, perché Gesù è disceso nella polvere della terra e, con la sua Risurrezione, ci trascina con sé nel cuore del Padre. Così si snoda il cammino della Quaresima verso la Pasqua, tra la memoria della nostra fragilità e la speranza che, alla fine della strada, ad attenderci ci sarà il Risorto”.
Con queste parole di papa Francesco, lette dal card. Angelo De Donatis, penitenziere maggiore, che ha condotto anche la processione penitenziale dalla chiesa romana di Sant’Anselmo all’Aventino alla Basilica di Santa Sabina, è iniziato il cammino quaresimale, che conduce alla Pasqua, con l’invito a fare memoria:
“Riceviamo le ceneri chinando il capo verso il basso, come per guardare a noi stessi, per guardarci dentro. Le ceneri, infatti, ci aiutano a fare memoria della fragilità e della pochezza della nostra vita: siamo polvere, dalla polvere siamo stati creati e in polvere ritorneremo. E sono tanti i momenti in cui, guardando la nostra vita personale o la realtà che ci circonda”.
L’imposizione delle ceneri è un fare memoria della propria fragilità: “Ce lo insegna soprattutto l’esperienza della fragilità, che sperimentiamo nelle nostre stanchezze, nelle debolezze con cui dobbiamo fare i conti, nelle paure che ci abitano, nei fallimenti che ci bruciano dentro, nella caducità dei nostri sogni, nel constatare come siano effimere le cose che possediamo”.
E le fragilità sono tante: “Fatti di cenere e di terra, tocchiamo con mano la fragilità nell’esperienza della malattia, nella povertà, nella sofferenza che a volte piomba improvvisa su di noi e sulle nostre famiglie. E, ancora, ci accorgiamo di essere fragili quando ci scopriamo esposti, nella vita sociale e politica del nostro tempo, alle ‘polveri sottili’ che inquinano il mondo: la contrapposizione ideologica, la logica della prevaricazione, il ritorno di vecchie ideologie identitarie che teorizzano l’esclusione degli altri, lo sfruttamento delle risorse della terra, la violenza in tutte le sue forme e la guerra tra i popoli”.
Inoltre la fragilità ricorda la morte: “Da ultimo, questa condizione di fragilità ci richiama il dramma della morte, che nelle nostre società dell’apparenza proviamo a esorcizzare in molti modi e a emarginare perfino dai nostri linguaggi, ma che si impone come una realtà con la quale dobbiamo fare i conti, segno della precarietà e fugacità della nostra vita”.
Però la Quaresima è un richiamo alla speranza: “La Quaresima, però, è anche un invito a ravvivare in noi la speranza. Se riceviamo le ceneri col capo chino per ritornare alla memoria di ciò che siamo, il tempo quaresimale non vuole lasciarci a testa bassa ma, anzi, ci esorta a sollevare il capo verso Colui che dagli abissi della morte risorge, trascinando anche noi dalla cenere del peccato e della morte alla gloria della vita eterna. Le ceneri ci ricordano allora la speranza a cui siamo chiamati perché Gesù, il Figlio di Dio, si è impastato con la polvere della terra, sollevandola fino al cielo”.
Infatti il cammino quaresimale apre alla speranza pasquale: “Convertiamoci a Dio, ritorniamo a Lui con tutto il cuore, rimettiamo Lui al centro della nostra vita, perché la memoria di ciò che siamo (fragili e mortali come cenere sparsa nel vento) sia finalmente illuminata dalla speranza del Risorto”.
L’omelia papale è stata un richiamo ad orientare la vita a Dio, con un richiamo a fare ‘deserto’ nella città, come esortava Carlo Carretto: “E orientiamo verso di Lui la nostra vita, diventando segno di speranza per il mondo: impariamo dall’elemosina a uscire da noi stessi per condividere i bisogni gli uni degli altri e nutrire la speranza di un mondo più giusto; impariamo dalla preghiera a scoprirci bisognosi di Dio o, come diceva Jacques Maritain ‘mendicanti del cielo’, per nutrire la speranza che dentro le nostre fragilità e alla fine del nostro pellegrinaggio terreno ci aspetta un Padre con le braccia aperte; impariamo dal digiuno che non viviamo soltanto per soddisfare i nostri bisogni, ma che abbiamo fame di amore e di verità, e solo l’amore di Dio e tra di noi riesce davvero a saziarci e a farci sperare in un futuro migliore”.
Parole che risuonano anche nel messaggio papale per la quaresima di fraternità della Chiesa brasiliana: “Il tema della Campagna di fraternità di quest’anno esprime anche la disponibilità della Chiesa in Brasile a dare un contributo affinché, durante la COP30 del prossimo mese di novembre, che si terrà a Belém do Pará, nel cuore dell’amata Amazzonia, le nazioni e gli organismi internazionali possano impegnarsi effettivamente in pratiche che aiutino a superare la crisi climatica e a preservare l’opera meravigliosa del Creato, che Dio ci ha affidato e che abbiamo la responsabilità di trasmettere alle future generazioni”.
Per questo il papa ha auspicato che tale campagna sia aiuto per chi è nel bisogno: “Auspico che tale percorso quaresimale rechi molti frutti e ci colmi tutti di speranza, della quale siamo pellegrini in questo Giubileo. Formulo voti affinché la Campagna di fraternità sia nuovamente un potente aiuto per le persone e le comunità di questo amato Paese nel suo processo di conversione al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo e di impegno concreto con l’ecologia integrale”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco invita a seguire Gesù come Maria e Giuseppe

“In quest’ultima catechesi dedicata all’infanzia di Gesù, prendiamo spunto dall’episodio in cui, a dodici anni, Egli rimase nel Tempio senza dirlo ai genitori, i quali lo cercarono ansiosamente e lo ritrovarono dopo tre giorni. Questo racconto ci presenta un dialogo molto interessante tra Maria e Gesù, che ci aiuta a riflettere sul cammino della madre di Gesù, un cammino non certo facile. Infatti Maria ha compiuto un itinerario spirituale lungo il quale è avanzata nella comprensione del mistero del suo Figlio”: anche oggi è stata pubblicata la catechesi dell’udienza generale che papa Francesco avrebbe dovuto tenere e che è stata annullata a causa del ricovero al Policlinico Gemelli.
E’ stato un invito a ripensare al ‘percorso’ compiuto dalla Madre di Dio: “All’inizio della sua gravidanza, Maria fa visita a Elisabetta e si ferma da lei per tre mesi, fino alla nascita del piccolo Giovanni. Poi, quando è ormai al nono mese, a causa del censimento, con Giuseppe va a Betlemme, dove dà alla luce Gesù. Dopo quaranta giorni si recano a Gerusalemme per la presentazione del bambino; quindi ogni anno ritornano in pellegrinaggio al Tempio.
Ma con Gesù ancora piccolo si erano rifugiati a lungo in Egitto per proteggerlo da Erode, e solo dopo la morte del re si erano stabiliti di nuovo a Nazaret. Quando Gesù, divenuto adulto, inizia il suo ministero, Maria è presente e protagonista alle nozze di Cana; poi lo segue ‘a distanza’, fino all’ultimo viaggio a Gerusalemme, fino alla passione e alla morte. Dopo la Risurrezione, Maria resta a Gerusalemme, come Madre dei discepoli, sostenendo la loro fede in attesa dell’effusione dello Spirito Santo”.
Questo percorso permette a Maria di essere pellegrina di speranza: “In tutto questo cammino, la Vergine è pellegrina di speranza, nel senso forte che diventa la ‘figlia del suo Figlio’, la prima sua discepola. Maria ha portato al mondo Gesù, Speranza dell’umanità: lo ha nutrito, lo ha fatto crescere, lo ha seguito lasciandosi plasmare per prima dalla Parola di Dio… Questa singolare comunione con la Parola di Dio non le risparmia però la fatica di un impegnativo apprendistato”.
Però essere la Madre di Dio non impedisce l’esercizio di svolgere il compito di genitori: “Maria e Giuseppe hanno provato il dolore dei genitori che smarriscono un figlio: credevano entrambi che Gesù fosse nella carovana dei parenti, ma non avendolo visto per un’intera giornata, incominciano la ricerca che li porterà a fare il viaggio a ritroso. Tornati al Tempio, scoprono che Colui che ai loro occhi, fino a poco prima, era un bambino da proteggere, è come cresciuto di colpo, capace ormai di coinvolgersi in discussioni sulle Scritture, reggendo il confronto con i maestri della Legge”.
Non capiscono ma comprendono ma meditano ciò che Gesù dice: “Maria e Giuseppe non comprendono: il mistero del Dio fatto bambino supera la loro intelligenza. I genitori vogliono proteggere quel figlio preziosissimo sotto le ali del loro amore; Gesù invece vuole vivere la sua vocazione di Figlio del Padre che sta al suo servizio e vive immerso nella sua Parola.
I Racconti dell’Infanzia di Luca si chiudono, così, con le ultime parole di Maria, che ricordano la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù, e con le prime parole di Gesù, che riconoscono come questa paternità tragga origine da quella del Padre suo celeste, del quale riconosce il primato indiscusso”.
La catechesi del papa è un invito a seguire Gesù come hanno fatto Maria e Giuseppe: “Cari fratelli e sorelle, come Maria e Giuseppe, pieni di speranza, mettiamoci anche noi sulle tracce del Signore, che non si lascia contenere dai nostri schemi e si lascia trovare non tanto in un luogo, ma nella risposta d’amore alla tenera paternità divina, risposta d’amore che è la vita filiale”.
E dalla Sala Stampa della Santa Sede è arrivato anche un aggiornamento sulla salute del papa: ‘Il Papa ha riposato bene nella notte, si è svegliato poco dopo le 8:00’, proseguendo la terapia e la fisioterapia respiratoria; però la situazione appare stabile, sempre nel contesto di un quadro complesso.
Papa Francesco invita ad essere missionari di speranza

“Per la Giornata Missionaria Mondiale dell’anno giubilare 2025, il cui messaggio centrale è la speranza, ho scelto questo motto: ‘Missionari di speranza tra le genti’. Esso richiama ai singoli cristiani e alla Chiesa, comunità dei battezzati, la vocazione fondamentale di essere, sulle orme di Cristo, messaggeri e costruttori della speranza. Auguro a tutti un tempo di grazia con il Dio fedele che ci ha rigenerato in Cristo risorto ‘per una speranza viva; e desidero ricordare alcuni aspetti rilevanti dell’identità missionaria cristiana, affinché possiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio e ardere di santo zelo per una nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa, inviata a rianimare la speranza in un mondo su cui gravano ombre oscure”.
Inizia così il messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno giubilare: ‘Missionari di speranza tra le genti’, in cui ha sottolineato l’importanza della centralità di Cristo nella storia: “Celebrando il primo Giubileo ordinario del Terzo Millennio dopo quello del Duemila, teniamo lo sguardo rivolto a Cristo che è il centro della storia, ‘lo stesso ieri e oggi e per sempre’. Egli, nella sinagoga di Nazaret, dichiarò il compiersi della Scrittura nell’ ‘oggi’ della sua presenza storica. Si rivelò così come l’Inviato dal Padre con l’unzione dello Spirito Santo per portare la Buona Notizia del Regno di Dio e inaugurare ‘l’anno di grazia del Signore’ per tutta l’umanità”.
In questo senso Gesù è il ‘compimento della salvezza’: “In questo mistico ‘oggi’ che perdura sino alla fine del mondo, Cristo è il compimento della salvezza per tutti, particolarmente per coloro la cui unica speranza è Dio. Egli, nella su vita terrena, ‘passò beneficando e risanando tutti’ dal male e dal Maligno, ridonando ai bisognosi e al popolo la speranza in Dio.
Inoltre, sperimentò tutte le fragilità umane, tranne quella del peccato, attraversando pure momenti critici, che potevano indurre a disperare, come nell’agonia del Getsemani e sulla croce. Gesù però affidava tutto a Dio Padre, obbedendo con fiducia totale al suo progetto salvifico per l’umanità, progetto di pace per un futuro pieno di speranza. Così è diventato il divino Missionario della speranza, modello supremo di quanti lungo i secoli portano avanti la missione ricevuta da Dio anche nelle prove estreme”.
E’ un invito rivolto a tutti ad essere missionari: “Tramite i suoi discepoli, inviati a tutti i popoli e accompagnati misticamente da Lui, il Signore Gesù continua il suo ministero di speranza per l’umanità. Egli si china ancora oggi su ogni persona povera, afflitta, disperata e oppressa dal male, per versare ‘sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza’…
Sentiamoci perciò ispirati anche noi a metterci in cammino sulle orme del Signore Gesù per diventare, con Lui e in Lui, segni e messaggeri di speranza per tutti, in ogni luogo e circostanza che Dio ci dona di vivere. Che tutti i battezzati, discepoli-missionari di Cristo, facciano risplendere la sua speranza in ogni angolo della terra!”
Con una frase del Concilio Vaticano II il papa sollecita ad annunciare il Vangelo nella vita: “Seguendo Cristo Signore, i cristiani sono chiamati a trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano e diventando così portatori e costruttori di speranza…
Penso in particolare a voi, missionari e missionarie ad gentes, che, seguendo la chiamata divina, siete andati in altre nazioni per far conoscere l’amore di Dio in Cristo. Grazie di cuore! La vostra vita è una risposta concreta al mandato di Cristo Risorto, che ha inviato i discepoli ad evangelizzare tutti i popoli. Così voi richiamate la vocazione universale dei battezzati a diventare, con la forza dello Spirito e l’impegno quotidiano, missionari tra le genti della grande speranza donataci dal Signore Gesù”.
In questo modo le comunità cristiane sono segni visibili: “Animate da una speranza così grande, le comunità cristiane possono essere segni di nuova umanità in un mondo che, nelle aree più ‘sviluppate’, mostra sintomi gravi di crisi dell’umano: diffuso senso di smarrimento, solitudine e abbandono degli anziani, difficoltà di trovare la disponibilità al soccorso di chi ci vive accanto.
Sta venendo meno, nelle nazioni più avanzate tecnologicamente, la prossimità: siamo tutti interconnessi, ma non siamo in relazione. L’efficientismo e l’attaccamento alle cose e alle ambizioni ci inducono ad essere centrati su noi stessi e incapaci di altruismo. Il Vangelo, vissuto nella comunità, può restituirci un’umanità integra, sana, redenta”.
Ed ecco l’invito a vivere gesti concreti per vivere la speranza: “Rinnovo pertanto l’invito a compiere le azioni indicate nella Bolla di indizione del Giubileo, con particolare attenzione ai più poveri e deboli, ai malati, agli anziani, agli esclusi dalla società materialista e consumistica. E a farlo con lo stile di Dio: con vicinanza, compassione e tenerezza, curando la relazione personale con i fratelli e le sorelle nella loro concreta situazione. Spesso, allora, saranno loro a insegnarci a vivere con speranza”.
Un invito a diventare ‘artigiani’ di speranza sull’esempio del card. Van Thuan: “Davanti all’urgenza della missione della speranza oggi, i discepoli di Cristo sono chiamati per primi a formarsi per diventare “artigiani” di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice. A tal fine, occorre rinnovare in noi la spiritualità pasquale, che viviamo in ogni celebrazione eucaristica e soprattutto nel Triduo Pasquale, centro e culmine dell’anno liturgico. Siamo battezzati nella morte e risurrezione redentrice di Cristo, nella Pasqua del Signore che segna l’eterna primavera della storia…
I missionari di speranza sono uomini e donne di preghiera, perché ‘la persona che spera è una persona che prega’, come sottolineava il Venerabile Cardinale Van Thuan, che ha mantenuto viva la speranza nella lunga tribolazione del carcere grazie alla forza che riceveva dalla preghiera perseverante e dall’Eucaristia”.
Infine il messaggio ribadisce che l’evangelizzazione è un’opera comunitaria, come aveva sottolineato papa Benedetto XVI: “Infine, l’evangelizzazione è sempre un processo comunitario, come il carattere della speranza cristiana. Tale processo non finisce con il primo annuncio e con il battesimo, bensì continua con la costruzione delle comunità cristiane attraverso l’accompagnamento di ogni battezzato nel cammino sulla via del Vangelo”.
La missione è ‘opera’ di comunione: “Insisto ancora su questa sinodalità missionaria della Chiesa, come pure sul servizio delle Pontificie Opere Missionarie nel promuovere la responsabilità missionaria dei battezzati e sostenere le nuove Chiese particolari. Ed esorto tutti voi, bambini, giovani, adulti, anziani, a partecipare attivamente alla comune missione evangelizzatrice con la testimonianza della vostra vita e con la preghiera, con i vostri sacrifici e la vostra generosità. Grazie di cuore di questo!”
Papa Francesco: attraverso un cammino si compie la liberazione

Anche oggi papa Francesco nell’udienza generale ha continuato il ciclo di catechesi che si svolgerà lungo l’anno giubilare sul tema ‘Gesù Cristo nostra speranza’, incentrando la meditazione sul tema della beatitudine della Madre di Dio, ‘E beata colei che ha creduto’, che è il Magnificat; catechesi letta dal don Pierluigi Giroli a causa di un raffreddore: “Voglio chiedere scusa perché con questo forte raffreddore è difficile per me parlare e per questo la leggerà il mio fratello la leggerà meglio di me”.
Nella catechesi il papa ha invitato a contemplare la bellezza di Gesù, manifestata nella Visitazione: “Contempliamo oggi la bellezza di Gesù Cristo nostra speranza nel mistero della Visitazione. La Vergine Maria fa visita a Santa Elisabetta; ma è soprattutto Gesù, nel grembo della madre, a visitare il suo popolo, come dice Zaccaria nel suo inno di lode”.
Riprendendo una tesi del teologo Balthasar papa Francesco ha sottolineato che appena avuta la notizia dall’Angelo, Maria si mette in cammino: “Dopo lo stupore e la meraviglia per quanto le è stato annunciato dall’Angelo, Maria si alza e si mette in viaggio, come tutti i chiamati della Bibbia, perché ‘l’unico atto col quale l’uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata’. Questa giovane figlia d’Israele non sceglie di proteggersi dal mondo, non teme i pericoli e i giudizi altrui, ma va incontro agli altri”.
Ciò accade per il motivo per cui l’Amore spinge ad amare: “Quando ci si sente amati, si sperimenta una forza che mette in circolo l’amore; come dice l’apostolo Paolo, ‘l’amore del Cristo ci possiede’, ci spinge, ci muove. Maria avverte la spinta dell’amore e va ad aiutare una donna che è sua parente, ma è anche un’anziana che accoglie, dopo lunga attesa, una gravidanza insperata, faticosa da affrontare alla sua età. Ma la Vergine va da Elisabetta anche per condividere la fede nel Dio dell’impossibile e la speranza nel compimento delle sue promesse”.
Quindi da una promessa nasce la profezia: “L’incontro tra le due donne produce un impatto sorprendente: la voce della ‘piena di grazia’ che saluta Elisabetta provoca la profezia nel bambino che l’anziana porta in grembo e suscita in lei una duplice benedizione: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!’ Ed anche una beatitudine: ‘Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto’.
Dinanzi al riconoscimento dell’identità messianica del suo Figlio e della sua missione di madre, Maria non parla di sé ma di Dio e innalza una lode piena di fede, di speranza e di gioia, un cantico che risuona ogni giorno nella Chiesa durante la preghiera dei Vespri: il Magnificat”.
La lode del Magnificat è un ‘compimento’ della preghiera di Israele, imperniata nella memoria: “Questa lode al Dio salvatore, sgorgata dal cuore della sua umile serva, è un solenne memoriale che sintetizza e compie la preghiera d’Israele. E’ intessuta di risonanze bibliche, segno che Maria non vuole cantare “fuori dal coro” ma sintonizzarsi con i padri, esaltando la sua compassione verso gli umili, quei piccoli che Gesù nella sua predicazione dichiarerà ‘beati’.
La massiccia presenza del motivo pasquale fa del Magnificat anche un canto di redenzione, che ha per sfondo la memoria della liberazione d’Israele dall’Egitto. I verbi sono tutti al passato, impregnati di una memoria d’amore che accende di fede il presente e illumina di speranza il futuro: Maria canta la grazia del passato ma è la donna del presente che porta in grembo il futuro”.
Il papa ha concluso la catechesi, sottolineando le ‘grandi opere’ di Dio: “La prima parte di questo cantico loda l’azione di Dio in Maria, microcosmo del popolo di Dio che aderisce pienamente all’alleanza; la seconda spazia sull’opera del Padre nel macrocosmo della storia dei suoi figli. attraverso tre parole-chiave: memoria, misericordia, promessa”.
Ed ha ribadito la fedeltà di Dio per l’umanità attraverso Maria: “Il Signore, che si è chinato sulla piccola Maria per compiere in lei ‘grandi cose’ e renderla madre del Signore, ha iniziato a salvare il suo popolo a partire dall’esodo, ricordandosi della benedizione universale promessa ad Abramo. Il Signore, Dio fedele per sempre, ha fatto scorrere un flusso ininterrotto di amore misericordioso ‘di generazione in generazione’ sul popolo fedele all’alleanza, ed ora manifesta la pienezza della salvezza nel Figlio suo, inviato a salvare il popolo dai suoi peccati”.
Attraverso la Pasqua si compie il compimento della liberazione intrapresa da Dio: “Da Abramo a Gesù Cristo e alla comunità dei credenti, la Pasqua appare così come la categoria ermeneutica per comprendere ogni liberazione successiva, fino a quella realizzata dal Messia nella pienezza dei tempi”.
(Foto: Santa Sede)
Da Parma un invito ad un cammino di speranza con i giovani

“C’è speranza per i giovani, a Parma? Il marziano che arriva o la persona che ha passato il mare, a Parma, vede speranza o rassegnazione? Siamo Capitale europea dei giovani. L’Europa è giovane e dà speranza? Queste domande me le faccio da cittadino e da Vescovo, preoccupato e voglioso di guardare avanti con una coscienza che si interroga, osservando prima di tutto la nostra Chiesa le cui membra sono la gente di Parma che crede, partecipa, vive, come ognuno può, la fede cattolica. Ho goduto della Giornata mondiale della gioventù e di altre manifestazioni con i giovani e soffro se la Chiesa non ascolta e non propone e quando vedo non accolte o sciupate le potenzialità ed energie dei giovani. Intuisco la loro voglia di autenticità, di crescita e di testimoni”.
Con queste domande inizia la lettera inviata da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, alla città, che sarà capitale europea dei giovani nel 2024, in occasione della solennità del patrono sant’Ilario di Poitiers, coniugando la speranza, tema dell’Anno Santo, ed i giovani, simbolo di speranza nel presente e nel futuro, ma anche espressione spesso di sogni traditi: “Ognuno ha una responsabilità verso i giovani, gli adulti, la famiglia, la Chiesa e la società civile, le aggregazioni e la scuola. Pensare ai giovani, dobbiamo esserne coscienti, è inquadrare una galassia diversificata, per età, per provenienza, per possibilità, per inclusione. Un elenco lungo, troppo per essere raccolto qui. Parma è una città ricca. Dove si vive bene. Anche se questo non è per tutti”.
Consapevole di ciò ha indicato alcune speranze che i giovani, intervistati, nutrono: “Il desiderio che muove la speranza è, per molti, la felicità e per tanti la fede che prospettano uno sguardo verso il futuro. La speranza viene percepita come una molla… La speranza è colta come la possibilità e l’auspicio di un cambio di passo, nella consapevolezza che si può ‘avere una seconda possibilità’, e che ‘non è ancora detta l’ultima parola sulla realtà e che c’è ancora qualcosa di nuovo…’. Una speranza che viene alimentata, per alcuni dalla fede, per molti dalla testimonianza degli altri: ‘Giovani che fanno scelte in conformità al Vangelo’, ‘persone che, intorno a me, continuano a progettare e a vivere e non a sopravvivere’; per altri dalla gratitudine: ‘Spero di poter restituire al mondo parte di quello che ho ricevuto’, come gli stessi giovani intervistati hanno dichiarato. Messaggio che contiene domande, riflessioni e provocazioni, rivolte a tutta la comunità, sia cristiana che civile, perché solo camminando insieme si dà forma e volto alla speranza”.
Inoltre i giovani hanno sottolineato gli ostacoli alla speranza: “Ma i giovani hanno anche evidenziato ciò che spegne, ostacola, la speranza. Tra questi, la paura: ‘La paura di non riuscire ad arrivare al traguardo che mi sono posta, l’insicurezza nelle mie capacità’… Paura, incertezza, instabilità, vissute e colte anche nell’attuale contesto sociale e politico”.
Quindi parlare di speranza implica alcuni interrogativi sugli stili di vita di una comunità: “Parlare di speranza, come ci hanno detto e ci chiedono i giovani, porta ad interrogarci sullo stile di vita della nostra comunità, sulle attese che genera, sui modelli che propone, su quanto si ritiene essenziale, condiviso e non rinunciabile. Così pure se trae dal suo tesoro, dalla sua anima, un messaggio armonico che rende ragione delle dimensioni proprie della persona, non soltanto di carattere immediato e immanente, ma con piste di risposte a interrogativi profondi che non possono essere elusi e a domande di senso tanto radicali, quanto appaiono sovente lontani i punti luce che le possono rischiarare, come donne e uomini significativi, capaci di educare, ascoltare e attrarre”.
Ma la speranza è bloccata anche dalla precarietà: “La speranza fatica a crescere nella precarietà, nell’incertezza, nella povertà. Non possiamo negare che anche a Parma la forbice si sta allargando tra giovani che hanno tante possibilità di formazione e di un significativo o alto tenore di vita e chi ne ha molto meno, fino a non averne. Qui si mina la speranza. Può essere forte come la gramigna che fora l’asfalto, ma, più spesso, vi muore sotto. Pensiamo ai giovani migranti che cercano una sistemazione, un permesso di soggiorno, un lavoro, una possibilità di studio. In chiaro scuro la speranza e la sua negazione possono portare a delinquere e a oltrepassare le porte del Carcere. Via Burla non è una burla. E’ luogo di detenzione anche di giovani”.
Per questo il vescovo ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza: “I giovani sono testimoni di speranza. La nutrono e la diffondono. Sanno, come diceva don Pino Puglisi, ‘rispondere alle attese vere dell’umanità intera e del singolo… sperimentano che vivere è sperare’ fino al martirio, cioè fino a pagare di persona”.
Un giovane di speranza è stato Sammy Basso: “Una lezione non voluta, dalla cattedra della sua vita di giovane ventottenne, affetto da progeria. Tanti giovani hanno la domanda sulla vita e su cosa c’è oltre. Negarla è mettere la polvere sotto il tappeto. La speranza della vita piena che non finisce, non distoglie dall’oggi, anzi è la molla per il cambiamento. Nei testimoni di speranza possiamo mettere ‘i patrioti’ ricordati dal presidente Mattarella.
pI loro sono volti comuni, in professioni necessarie e spesso a rischio… Fa ben sperare vedere giovani che si offrono per i più poveri, anche loro coetanei, che servono in servizi essenziali, da volontari, come alla mensa della Caritas. Lo fanno in silenzio, non fanno polemiche sterili, non puntano il dito senza conoscere, si tirano su le maniche, si sporcano le mani”.
Perciò il messaggio del vescovo è un invito agli adulti di ascoltare i giovani: “Testimoni di speranza sono anche quei giovani (ce lo hanno detto nelle interviste) che sperano di fare famiglia, di generare figli. Preoccupa che questo desiderio resti, per loro, in bilico tra la speranza e la paura di non farcela. Due giovani che si sposano si aprono al futuro; il figlio è ‘la’ speranza della città e del mondo. Oltre che loro. Se intendiamo per ‘patriottismo’ l’agire con coraggio per il bene comune, sono veri patrioti”.
Ecco l’invito ad essere ‘pellegrini nella speranza’: “Il pellegrinaggio, tipico del Giubileo, è una pratica e un simbolo universale e può rappresentare la sinergia tra la speranza giovane e la nostra città. Richiede una partenza, un itinerario, una meta, e camminare con entusiasmo insieme. Si vince così più facilmente la fatica, e si supera, una volta partiti, la noia e l’apatia. Mette alla prova, purifica le speranze. C’è l’obbligo che nessuno resti indietro. Ci piace pensare che possa essere intrapreso da una comunità che, unendo tutti, trae dalla sua storia anche recente la motivazione per farlo (vi ricordate della pandemia e di quanto ci dicevamo?) avendo i giovani come apripista. Si cammina sulla terra, l’ambiente che ci è dato”.
Il messaggio si conclude con l’invito ad iniziare un pellegrinaggio di speranza: “Nel pellegrinaggio si può toccare l’essenziale che ci abita, attivare risorse sopite, aprirsi alla speranza. Dal di dentro si irradia la luce e la forza per il poliedro della speranza. Non ha luce propria, la riceve e l’espande al punto che diventa storia, cambiamento. L’augurio è che questa luce si riaccenda nel cuore di tutti i giovani e che si si espanda ovunque, partendo dalla nostra città, dal suo territorio, perché non ci può essere futuro se non lo speriamo insieme”.
(Foto: Diocesi di Parma)
Papa Francesco: la stella indica la via

“Oggi la Chiesa celebra la manifestazione di Gesù, e il Vangelo si concentra sui Magi, che al termine di un lungo viaggio giungono a Gerusalemme per adorare Gesù. Se facciamo attenzione, scopriamo una cosa un po’ strana: mentre quei sapienti da lontano arrivano a trovare Gesù, quelli che erano vicini non muovono un passo verso la grotta di Betlemme.
Attirati e guidati dalla stella, i Magi affrontano spese ingenti, mettono a disposizione il loro tempo, accettano i tanti rischi e le incertezze che a quei tempi non mancavano mai. Eppure superano ogni difficoltà per arrivare a vedere il Re Messia, perché sanno che sta avvenendo qualcosa di unico nella storia dell’umanità e non vogliono mancare all’appuntamento. Avevano l’ispirazione dentro e l’hanno seguita”.
Nella solennità dell’Epifania papa Francesco ha sottolineato che i Magi hanno fatto di tutto per andare ad adorare Gesù, mentre coloro che risiedevano a Gerusalemme non hanno sentito la ‘curiosità’ della ricerca: “Invece quelli che vivono a Gerusalemme, che dovrebbero essere i più felici e i più pronti ad accorrere, rimangono fermi. I sacerdoti, i teologi interpretano correttamente le Sacre Scritture e forniscono indicazioni ai Magi su dove trovare il Messia, ma non si spostano dalle loro ‘cattedre’. Sono soddisfatti di quello che hanno e non si mettono alla ricerca, non pensano che valga la pena di uscire da Gerusalemme”.
In conclusione il papa ha raccontato la storia del quarto re mago: “Secondo una storia, un quarto re mago arriva tardi a Gerusalemme, proprio durante la crocifissione di Gesù (è una storia bella questa, non è storica, ma è una bella storia), perché si è fermato per la strada ad aiutare tutti i bisognosi dando loro i preziosi doni che aveva portato per Gesù. Alla fine, arriva ormai vecchio e Gesù dalla croce gli dice: ‘In verità ti dico, tutto quello che hai fatto per l’ultimo dei fratelli, lo hai fatto per me’. Il Signore sa tutto quello che noi abbiamo fatto per gli altri”.
Anche nell’omelia della celebrazione eucaristica papa Francesco ha sottolineato il cammino dei Magi: “I Magi testimoniano di essersi messi in cammino, dando una svolta alla loro vita, perché nel cielo hanno visto una luce nuova. Possiamo allora fermarci a riflettere su questa immagine, mentre celebriamo l’Epifania del Signore nel Giubileo della speranza; e vorrei sottolineare tre caratteristiche della stella di cui ci parla l’evangelista Matteo: è luminosa, è visibile a tutti e indica un cammino”.
Essi si sono messi in cammino, perché hanno visto una stella: “Anzitutto la stella è luminosa. Molti sovrani, al tempo di Gesù, si facevano chiamare ‘stelle’, perché si sentivano importanti, potenti e famosi. Non è stata però la loro luce (quella di nessuno di loro) a svelare ai Magi il miracolo del Natale. Il loro splendore, artificiale e freddo, frutto di calcoli e di giochi di potere, non è stato in grado di rispondere al bisogno di novità e di speranza di queste persone in ricerca.
Lo ha fatto invece un altro tipo di luce, simboleggiata dalla stella, che illumina e scalda bruciando e lasciandosi consumare. La stella ci parla della sola luce che può indicare a tutti la via della salvezza e della felicità: quella dell’amore. Quella è l’unica luce che ci farà felici”.
E’ stato un invito ad essere stelle ‘luminose’: “Prima di tutto l’amore di Dio, che facendosi uomo si è donato a noi sacrificando la sua vita. Poi, di riflesso, quello con cui anche noi siamo chiamati a spenderci gli uni per gli altri, divenendo, col suo aiuto, un segno reciproco di speranza, anche nelle notti oscure della vita. Possiamo pensare a questo: noi siamo luminosi nella speranza? Siamo capaci di dare speranza agli altri con la luce della nostra fede?”
Infatti ciascuno può diventare una stella: “Come la stella, col suo brillare, ha guidato i Magi a Betlemme, così anche noi, col nostro amore, possiamo portare a Gesù le persone che incontriamo, facendo loro conoscere, nel Figlio di Dio fatto uomo, la bellezza del volto del Padre ed il suo modo di amare, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo mai questo: Dio è vicino, compassionevole e tenero.
Questo è l’amore: vicinanza, compassione e tenerezza. E possiamo farlo senza bisogno di strumenti straordinari e di mezzi sofisticati, ma rendendo i nostri cuori luminosi nella fede, i nostri sguardi generosi nell’accoglienza, i nostri gesti e le nostre parole pieni di gentilezza e di umanità”.
Un’altra caratteristica della stella è la sua visibilità: “I Magi non seguono le indicazioni di un codice segreto, ma un astro che vedono splendere nel firmamento. Loro lo notano; altri, come Erode e gli scribi, non si accorgono nemmeno della sua presenza. La stella però resta sempre là, accessibile a chiunque alzi lo sguardo al cielo, in cerca di un segno di speranza. Io sono un segno di speranza per gli altri?”
Infatti i Magi rappresentano la rivelazione di Dio a tutti: “E questo è un messaggio importante: Dio non si rivela a circoli esclusivi o a pochi privilegiati, Dio offre la sua compagnia e la sua guida a chiunque lo cerchi con cuore sincero. Anzi, spesso previene le nostre stesse domande, venendo a cercarci prima ancora che glielo chiediamo.
Proprio per questo, nel presepe, raffiguriamo i Magi con caratteristiche che abbracciano tutte le età e tutte le razze (un giovane, un adulto, un anziano, con i tratti somatici dei vari popoli della terra) per ricordarci che Dio cerca tutti, sempre”.
La stella offre a tutti la rivelazione di Dio: “La stella, che in cielo offre a tutti la sua luce, ci ricorda che il Figlio di Dio, è venuto nel mondo per incontrare ogni uomo e donna della terra, a qualsiasi etnia, lingua e popolo appartenga, e che a noi affida la stessa missione universale. Ci chiama, cioè, a mettere al bando qualsiasi forma di selezione, di emarginazione e di scarto delle persone, e a promuovere, in noi e negli ambienti in cui viviamo, una forte cultura dell’accoglienza, in cui alle serrature della paura e del rifiuto si preferiscano gli spazi aperti dell’incontro, dell’integrazione e della condivisione; luoghi sicuri, dove tutti possano trovare calore e riparo”.
Quindi la stella indica il cammino verso Dio: “La stella ci parla del sogno di Dio: che tutta l’umanità, nella ricchezza delle sue differenze, giunga a formare una sola famiglia viva concorde nella prosperità e nella pace. E questo ci porta all’ultima caratteristica della stella: quella di indicare il cammino. Anche questo è uno spunto di riflessione, specialmente nel contesto dell’Anno santo che stiamo celebrando, in cui uno dei gesti caratteristici è il pellegrinaggio”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: è importante camminare verso Gesù

“Maria Odigitria tiene fra le braccia il Salvatore nato per noi. Ecco l’evento d’amore al quale voi date testimonianza adorando l’Eucaristia, servendo il prossimo e camminando nella storia della vostra città. Perciò vorrei riflettere brevemente con voi su questi tre verbi: adorare, servire, camminare”: dopo le festività natalizia oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri dell’Arciconfraternita dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista dei Cavalieri di Malta di Catanzaro.
Durante l’incontro il papa ha sollecitato di rafforzare la preghiera: “La vostra confraternita si raduna dinanzi al Santissimo Sacramento. Specialmente in questo Anno santo, vi invito a coltivare con grande impegno la preghiera, la preghiera personale e comunitaria. E sia questa la vostra forza, quella che rinnoverà costantemente il vostro antico sodalizio. Il fervore, infatti, custodisce la fraternità: infatti dal Signore Gesù, che ci nutre con la sua vita e ci sostiene col suo Spirito, vengono tutti i doni, i carismi, i frutti di bene che rendono la Chiesa feconda e gioiosa”.
Dopo l’adorazione è necessario il servizio: “Quando vi prendete cura dei poveri, ogni volta che visitate gli infermi, mentre siete in compagnia di chi soffre voi servite il Signore. C’è uno strettissimo legame tra adorazione e servizio, che non dobbiamo mai dimenticare. Cristo è venuto nel mondo per servire: anche voi, come tralci uniti alla Vite, prolungate la sua carità quando state vicino ai piccoli e ai bisognosi con compassione e tenerezza”.
Inoltre il papa ha ricordato l’importanza del cammino: “Non dimenticare questo: compassione e tenerezza vicino ai piccoli, ai poveri. I tre verbi che indicano come è Dio con noi: vicinanza, compassione e tenerezza: Dio è vicino a noi, Dio è compassionevole, Dio è tenero. Allora la vostra testimonianza di devozione a Dio e di dedizione ai fratelli sarà luminosa per tutti, lungo il cammino.
E il terzo verbo è camminare e ci ricorda che Gesù, la Via, ci chiama a seguirlo con perseveranza, tenendo accesa la fiaccola della fede durante il pellegrinaggio terreno. A proposito, vi rivolgo un ringraziamento particolare come Vescovo di Roma: la vostra confraternita, infatti, offre ogni anno alla Basilica Lateranense il cero pasquale, insieme a un’offerta da destinare alla carità del Papa”.
In precedenza ha incontrato una delegazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, ricordando il cammino giubilare: “Per la Chiesa il 2025 è un anno giubilare, secondo la tradizione, ogni 25 anni c’è un anno giubilare. E questo Giubileo ha un tema, un motto: ‘Pellegrini di speranza’… La parola ‘pellegrini’ fa pensare al camminare, perciò vorrei augurarvi di essere sempre persone in cammino. Ad ogni età: ragazzi, giovani, adulti, anziani, sempre in cammino, mai fermi, mai arrivati, sempre con il desiderio di andare avanti”.
Il pellegrino ha una meta: “Però il ‘pellegrino’ è uno che non solo cammina, ma ha una meta, e una meta particolare: la meta del pellegrino è un luogo santo, che lo attira, che motiva il viaggio, che sostiene nella fatica. Nel caso del Giubileo la meta è una porta. Curioso? La Porta Santa. Naturalmente si tratta di un simbolo: la Porta Santa rappresenta Gesù Cristo, il suo Mistero di salvezza, che ci permette di entrare nella vita nuova, libera dalla schiavitù del peccato, libera per amare e servire Dio ed il prossimo”.
Il pellegrinaggio è un cammino verso Gesù: “Solo Gesù può dare questa gioia. Lo dimostra la testimonianza di tanti santi e sante di ogni tempo, anche del nostro tempo. Pensiamo a Pier Giorgio Frassati, un giovane torinese vissuto cent’anni fa. E poi ci sono i grandi ‘campioni’, come Francesco e Chiara d’Assisi, che tutti voi conoscete; o come Teresa di Gesù Bambino, una giovane francese di fine Ottocento: era così innamorata di Gesù che avrebbe voluto girare il mondo intero per annunciarlo a tutti, e ha scoperto che il modo per farlo era diventare lei stessa amore, in una vita consacrata alla preghiera e al servizio delle sue sorelle”.
(Foto: Santa Sede)
Frère Matthew: la speranza consente di non scoraggiarsi

Con l’annuncio che nel prossimo fine anno il 48^ incontro dei giovani europei si svolgerà a Parigi, a Tallinn continuano a meditare sulla lettera di frère Matthew, che ha raccontato la sua partecipazione all’incontro europeo di Barcellona nel 1985 con l’invito a prendersi cura, perché è un’esperienza importante : “Quando ho partecipato da giovane all’incontro di Taizé a Barcellona nel 1985, sono stato accolto inizialmente in una grande scuola. Non era quello che mi aspettavo e non è stato facile. Ma poco a poco è diventata un’esperienza importante di vita comunitaria e di condivisione. Prendersi cura gli uni degli altri, essere disposti a servire e abbracciare uno stile di vita semplice hanno plasmato la mia visione per il futuro”.
Così avviene anche oggi: “Durante questo incontro avrete anche l’opportunità di partecipare a una vasta gamma di workshop. Spero che questo vi sostenga nella vostra ricerca e vi permetta di incontrare estoni impegnati le cui testimonianze possono incoraggiarci nel nostro cammino di fede”.
Quindi il passato è necessario per costruire il futuro: “Ieri ho detto che non possiamo dimenticare il passato, ma che possiamo guardarlo per costruire l’oggi e costruire passo dopo passo il nostro futuro. In tanti dei nostri paesi siamo feriti dalla storia e ancora oggi ne portiamo le cicatrici. Altri tra voi, soprattutto quelli in Ucraina, stanno ancora sperimentando gli orrori della guerra”.
Ed ha raccontato la sua visita natalizia in Libano: “Ho trascorso la settimana scorsa in Libano. Con uno dei miei fratelli di quel Paese abbiamo visitato i cristiani in diversi luoghi per festeggiare con loro il Natale. Sapete che il Medio Oriente è attualmente dilaniato dalla guerra. Abbiamo tanti amici lì e la nostra visita è stata un piccolo segno di solidarietà nei loro confronti”.
Quindi ha raccontato l’accoglienza offerta dal Libano: “La generosità dell’accoglienza in un Paese dove c’è stata tanta distruzione mi ha tolto il fiato. In molte parti del Paese gli edifici sono in rovina, ma le persone stanno dimostrando un’incredibile resilienza.
Questa resilienza è un modo per resistere alla violenza che è stata scatenata. C’è tanta incertezza oggi. La guerra potrebbe tornare. Nonostante ciò, le persone che abbiamo incontrato hanno condiviso la gioia del Natale. La loro fede è la luce che splende nelle tenebre”.
Ma nonostante la guerra i giovani libanesi non hanno perso la speranza: “Abbiamo anche incontrato uno sceicco musulmano nel sud del Paese. La sua casa è stata distrutta e alcuni villaggi vicini sono ancora inaccessibili. Le bombe cadevano ancora quando seppellì anche i morti cristiani aspettando che il sacerdote venisse a compiere i riti necessari.
Quando ho parlato con i giovani libanesi durante i recenti bombardamenti, ho potuto percepire la loro speranza per un futuro di pace e giustizia. Il loro coraggio era palpabile, anche se la disperazione non era lontana… Questo è quello che ho sentito molto forte ascoltando questi giovani. Gli incontri della scorsa settimana hanno confermato ciò che avevo sentito in precedenza”.
Però l’invito del priore di Taizè è quello di non scoraggiarsi: “Gesù stesso è nato nella povertà, in un tempo in cui nulla era chiaro nel paese in cui avrebbe vissuto. Anche noi possiamo trovarci in situazioni in cui non vediamo la strada da seguire. Potremmo sentirci arrabbiati e impotenti riguardo a certe realtà, ma questo può spingerci all’azione?.. I gesti più semplici possono diventare indicatori del nostro desiderio di speranza”.
Ma a quali scelte ognuno è chiamato?: “Quando ho visitato l’Ucraina a maggio, ho incontrato tante persone, giovani e anziani, che donano il loro tempo e le loro forze per aiutare gli altri. Penso a questo giovane che è stato direttore di un orfanotrofio, a questa donna che organizza corsi di formazione in medicina d’urgenza e traumatologica, a questa vedova il cui marito è stato ucciso l’anno scorso e che gestisce un’associazione per bambini con bisogni speciali”.
A tale meditazione è seguita la testimonianza di Marta e Andriana, provenienti da Leopoli: “Sarò sincero, non è sempre facile mantenere la speranza quando vediamo questa ingiustizia che dura da così tanto tempo… Ma ciò che ci aiuta a non perderla è la fede. Crediamo che ciò che non è possibile per gli esseri umani sia possibile per Dio. C’è sempre l’alba dopo una notte buia. Crediamo che Lui sia sempre con chi soffre e che senta anche il nostro dolore. Sappiamo anche che Egli non ci lascia soli in questa difficile situazione”.
Mentre Marta ha chiesto di intensificare la preghiera: “In questi tempi difficili e bui, è molto importante rimanere uniti nella preghiera e restare uniti. Vi chiediamo di pregare con noi per la sovranità dell’Ucraina, per la fine dell’aggressione contro il nostro Paese, per la saggezza dei governi e per la pace futura.
Pregate per tutte le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra crudele e ingiusta, che hanno perso i loro cari e le loro case, per i nostri soldati che ci proteggono ogni giorno a rischio della loro vita. Possa ogni famiglia ritrovarli sani e salvi a casa. Per tutti coloro che sono stati catturati, feriti, dispersi, che provano dolore fisico o mentale, sofferenti e bisognosi. Grazie per le vostre preghiere, le sentiamo tutti!”
Nel messaggio l’arcivescovo di York, Stefano Cottrell, ha invitato i giovani ancora incerti a lasciarsi incontrare da Cristo: “Ma al centro c’è Cristo e il suo invito a venire a Lui per trovare speranza e pace nella nostra vita e nel mondo. Se ti trovi qui incerto su cosa questo significhi per te o sul motivo per cui sei venuto, sappi che sei in buona compagnia. Come Pietro, spesso stiamo davanti a Gesù con un misto di gioia e preoccupazione, ma non c’è posto migliore dove stare, perché è lì che troviamo le parole di vita eterna. Possano guidarti nei giorni a venire. E possa Cristo governare la tua vita”.
Anche la segretaria generale della federazione luterana mondiale, Anna Burgardth, ha sottolineato l’importanza dell’incontro: “E’ tanto importante incontrarsi, ascoltarsi attentamente, dialogare, lasciarsi trasformare dagli incontri. Quando ci riuniamo nel nome di Dio, in definitiva è Dio che ci trasforma attraverso gli incontri. Non possiamo trasformarci. La trasformazione è opera di Dio, dello Spirito Santo, che sempre ci modella, che ci trasforma in persone di pace, persone di speranza e comunità di riconciliazione e giustizia”.
Però questa ‘trasformazione’ richiede perseveranza: “Lo Spirito Santo ci chiama a questa trasformazione permanente delle nostre menti, dei nostri cuori e dei nostri atteggiamenti, che poi ha un impatto sulle comunità a cui apparteniamo, affinché anch’esse diventino comunità di speranza nel nostro mondo.
Una comunità di speranza vede in ogni essere umano un fratello o una sorella. Prende sul serio ciò che la Scrittura insegna sull’incontro con Gesù Cristo in ogni persona bisognosa. Ella si oppone all’ingiustizia, affinché la giustizia scorra liberamente. Sostiene la donazione di tutti i suoi membri, indipendentemente dalla loro etnia o sesso. E prende sul serio il compito di nutrire la creazione di Dio”.
(Foto: Taizè)
Papa Francesco ha aperto la Porta santa: la speranza è per tutti

“Un angelo del Signore, avvolto di luce, illumina la notte e consegna ai pastori la buona notizia: ‘Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore’. Tra lo stupore dei poveri e il canto degli angeli, il cielo si apre sulla terra: Dio si è fatto uno di noi per farci diventare come Lui, è disceso in mezzo a noi per rialzarci e riportarci nell’abbraccio del Padre”.
In carrozzina questa sera papa Francesco ha aperto la Porta Santa, dando il via al Giubileo con l’impegno di portare speranza dove non c’è, come è stato annunciato dagli angeli: “Questa, sorelle e fratelli, è la nostra speranza. Dio è l’Emmanuele, è Dio-con-noi. L’infinitamente grande si è fatto piccolo; la luce divina è brillata fra le tenebre del mondo; la gloria del cielo si è affacciata sulla terra. E come? Nella piccolezza di un Bambino. E se Dio viene, anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre! La speranza non delude”.
La speranza consiste in Dio che si fa uomo: “Sorelle e fratelli, con l’apertura della Porta Santa abbiamo dato inizio a un nuovo Giubileo: ciascuno di noi può entrare nel mistero di questo annuncio di grazia. Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi. Ma non dimenticatevi, sorelle e fratelli, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre. Non dimenticatevi questo, che è un modo di capire la speranza nel Signore”.
Ma per ‘ricevere’ tale speranza occorre mettersi in cammino: “Per accogliere questo dono, siamo chiamati a metterci in cammino con lo stupore dei pastori di Betlemme. Il Vangelo dice che essi, ricevuto l’annuncio dell’angelo, ‘andarono, senza indugio’. Questa è l’indicazione per ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio. E ci sono tante desolazioni in questo tempo! Pensiamo alle guerre, ai bambini mitragliati, alle bombe sulle scuole e sugli ospedali. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia”.
Però la speranza cristiana non consiste in un lieto fine: “Senza indugio, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all’incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita. E questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme”.
Riprendendo un pensiero di sant’Agostino papa Francesco ha sollecitato all’indignazione: “Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede (direbbe sant’Agostino) di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.
In questo senso i pastori sono un esempio da seguire: “Impariamo dall’esempio dei pastori: la speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità (e tanti di noi, abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità); la speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; la speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità, e non solo, anche attraverso la nostra compassione”.
Il giubileo è una sollecitazione ad incontrare Gesù: “Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù”.
Quindi l’incontro con Gesù comporta l’impegno della speranza: “A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì”.
Riprendendo un’omelia natalizia del card. Martini papa Francesco ha chiesto di ‘stare’ in attesa contemplando il presepe: “Il Giubileo si apre perché a tutti sia donata la speranza, la speranza del Vangelo, la speranza dell’amore, la speranza del perdono… Sorella, fratello, in questa notte è per te che si apre la ‘porta santa’ del cuore di Dio. Gesù, Dio-con-noi, nasce per te, per me, per noi, per ogni uomo e ogni donna. E, sai?, con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude”.
(Foto: Santa Sede)