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Papa Francesco invita a riscoprire il genio femminile

Questa mattina papa Francesco ha ricevuto i membri del comitato permanente di ‘Manos Unidas – Comité Católico de la Campaña contra el Hambre en el Mundo’ (Mani Unite – Comitato Cattolico della Campagna contro la Fame nel Mondo), associazione nata nel 1959 come risposta delle donne dell’Acción Católica de España all’appello della FAO che denunciava la ‘fame di pane, fame di cultura e fame di Dio di cui soffre gran parte dell’umanità’, ripercorrendo la sua storia:

“La signora McCain, che porta avanti la campagna contro la fame, è stata qui un paio di mesi fa e mi ha detto che con l’intera campagna riescono a malapena a coprire il 15% della fame nel mondo. E’ molto difficile, molto difficile. Pensando all’opera che, con la sensibilità e la forza del genio femminile, portate avanti nello sradicamento di quei mali che continuano a colpire tante nazioni, vorrei fare riferimento alla figura della Madre di Dio, che celebriamo nella sua Immacolata Concezione. Perché la Vergine Maria è la Donna per eccellenza”.

Durante l’incontro il papa ha rimarcato la prevalenza di una cultura maschilista:  “Siamo abituati a questa cultura maschilista, ad avere la donna, non dico come il cane o il gatto di casa, ma come un essere umano di seconda classe e dimentichiamo che chi governa il mondo sono donne e – alcune diciamo: sono loro le responsabili. Ma stanno bene. Ma la donna che guida una famiglia, che guida città, che si avvicina al bisogno, quella ricca sensibilità della donna”.

Poi il papa ha proposto come ‘modello’ la Madre di Dio: “Maria, con il cuore radicato in Dio, continua ad essere attenta ai bisogni dei suoi figli, desiderosa di andare loro incontro e portare loro la consolazione del Signore. Ella è il modello pienamente realizzato della nostra umanità, attraverso il quale, per la grazia di Dio, tutti possiamo contribuire a migliorare il nostro mondo. Ed è ciò che cercate di agire grazie alla vostra caratteristica e al vostro intuito e realtà di madri, figlie e mogli e suocere”.

E questo è genio femminile: “Le donne hanno quel genio, il genio femminile. E così, con la compassione e la tenacia che caratterizzano lo spirito femminile, ‘Manos Unidas’, Associazione pubblica di fedeli della Chiesa cattolica in Spagna, porta avanti la sua missione specifica: lottare contro la fame, il sottosviluppo e la mancanza di istruzione; impegnandosi anche a lavorare per sradicare le cause strutturali che producono queste cose. Questo compito diventa possibile solo con una visione cristiana dell’essere umano, che si fonda sul Vangelo e sulla Dottrina Sociale della Chiesa”.

E’ stato un incoraggiamento a proseguire in tale missione: “Sorelle e fratelli, vi incoraggio a proseguire nella vostra bella missione di volontariato, di assistenza, di camminare insieme. E ora che si avvicina il Giubileo, vi invito ad essere pellegrini della speranza e a riorientare la vostra vita verso Gesù, anche attraverso il vostro contributo al miglioramento materiale, al progresso morale e allo sviluppo spirituale dei più fragili e bisognosi, per aiutarli a raggiungere un vita che risponde alla dignità di figli di Dio”.

Ed ha concluso auspicando un rinnovamento per costruire la ‘civiltà dell’amore’: “Auspico che questo tempo di Avvento, nella paziente attesa, pieno di speranza nelle promesse di Dio, aiuti tutti noi a realizzare un rinnovamento spirituale per contribuire alla tanto desiderata costruzione della civiltà dell’amore, in modo tale che ci permetta unire il nostro amore filiale verso Dio con l’amore del prossimo”.

(Foto: Santa Sede)

Giornata delle persone disabili: l’inclusione dipende dalla sensibilità culturale

“L’affermazione dei diritti delle persone con disabilità è misura della civiltà di un popolo. Questa giornata offre l’opportunità per valutare il cammino sin qui percorso dalla Repubblica nella applicazione dei principi di eguaglianza dei cittadini, sanciti dalla Costituzione. La Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 ha posto le basi per un nuovo approccio, riconoscendo che la comunità è, troppo spesso, in ritardo nell’accogliere le diversità.

La riforma della condizione della disabilità in Italia, con il suo focus sulla vita indipendente, sui progetti personalizzati e sull’inclusione lavorativa, rappresenta un’opportunità preziosa per costruire una società più equa e rispettosa della dignità di ogni persona. La sua attuazione richiederà un impegno costante e un forte coordinamento tra i vari livelli istituzionali e la società civile, con la diretta partecipazione delle persone con disabilità.

‘Nulla su di noi, senza di noi’ è principio fondamentale che esprime l’idea che nessuna decisione che riguardi la vita delle persone con disabilità possa essere presa senza il loro consenso. L’inclusione si nutre di scelte quotidiane, basate sulla capacità di valorizzare talenti e aspirazioni di ciascuno”.

Questo è stato il messaggio del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata mondiale delle persone disabili, che si celebra oggi. Infatti il 3 dicembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale delle persone con disabilità, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1992, con l’intento di promuovere la piena inclusione, la tutela dei diritti e la valorizzazione della dignità delle persone con disabilità in ogni ambito della società.

Nel 2006, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ha sottolineato l’esigenza di difendere e salvaguardare, anche attraverso la ricorrenza del 3 dicembre, la qualità della vita delle persone con disabilità rispetto ai principi di uguaglianza e partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.

Però da un sondaggio della Swg emerge che “sette italiani su dieci pensano che in Italia l’inclusione delle persone con disabilità sia ferma al palo: sotto accusa sia la cittadinanza che lo Stato. Le politiche governative messe in atto non sono considerate efficaci da metà della popolazione italiana”.

Inoltre da questo sondaggio emergono troppe criticità, come ha sottolineato Simone Fanti, vicepresidente del premio ‘Bomprezzi-Capulli’: “A tre anni dal primo Osservatorio è il tema dell’inclusione quello su cui c’è il giudizio più negativo la stragrande maggioranza degli italiani ritiene che sia lo Stato (71%) che i cittadini (68%) facciano poco o nulla per garantire la partecipazione paritaria delle persone con disabilità.

Con un’aggravante rispetto al 2021: cresce lo spostamento dalla voce ‘fare poco’ sforzo verso la voce ‘fare nulla’ per l’inclusione, segnando così un’accusa severa sia verso le Istituzioni nazionali e locali che verso se stessi. Poco più del 30% degli italiani valutano come positive le politiche del Governo dal suo insediamento con il Ministero della Disabilità. Attorno alla metà, invece, non giudica efficace la sua azione”.

Inoltre manca una sensibilità culturale: “Per l’atteggiamento culturale della società cresce dal 2021 a oggi quello della sensibilità e solidaristico, ma fanno ancora da contraltare negativo la tendenza al pregiudizio (da 66 a 62) e all’indifferenza (61) e quella alla discriminazione (da 44 a 40), cresce invece l’idea che si risponda alle esigenze della disabilità con impreparazione (da 53 a 56).

Un mondo che riguarda oltre il 15% degli italiani, che vede crescere il numero delle famiglie in situazione di povertà con una o più persone con disabilità e che vivono in una condizione di isolamento creata da muri relazionali, istituzionali e di contesto, come confermato da una ricerca qualitativa condotta da CBM Italia”.

Ed è anche mancante una vera ‘presa di coscienza’ sui diritti delle persone con disabilità: “Dal primo Osservatorio lanciato dal Premio Bomprezzi Capulli nel 2021 a oggi registriamo una scarsa presa di coscienza della società italiana sui diritti delle persone con disabilità. Nonostante ci siano stati alcuni miglioramenti, sono gli italiani e le italiane a dirci che ci sono ancora tanti diritti negati, una presa di consapevolezza di vivere in una società non inclusiva.

Il giudizio di poca incisività ed efficacia delle politiche governative è un segnale per la premier Meloni: nonostante si siano tenuti l’Expo sulla disabilità e il primo G7 sul tema, l’opinione pubblica non percepisce un impegno significativo. Facciamo quindi un appello per potenziare il Ministero della disabilità, e per rendere disponibili nuove risorse per rispondere alle esigenze di chi vive ogni giorno in una condizione di disabilità”.

Anche per il presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH), Vincenzo Falabella, molte barriere (fisiche, culturali, sociali) continuano a limitare la piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale, culturale e lavorativa: “Il 3 dicembre rappresenta un momento fondamentale per porre al centro dell’attenzione pubblica e istituzionale i diritti delle persone con disabilità. Non è solo una celebrazione simbolica, ma un’occasione in cui i riflettori si accendono sulle sfide quotidiane che milioni di persone affrontano, ma soprattutto sulle opportunità per costruire un futuro più equo e inclusivo.

Trasformare le sfide in opportunità è una responsabilità condivisa. Rinnoviamo il nostro impegno per una società davvero inclusiva, che sappia non solo riconoscere ma valorizzare le capacità di ogni individuo. Lavoriamo insieme per trasformare le sfide in opportunità, affinché la disabilità non sia più vista come un limite, ma come una condizione.

Con determinazione e senso di responsabilità, continuiamo a costruire un’Italia più giusta, solidale e accessibile per tutti. Celebriamo i traguardi raggiunti, ma manteniamo accesi riflettori perché le persone con disabilità e le loro famiglie possano essere riconosciute e realmente incluse”.

E presentando il bilancio etico e sociale dell’Istituto Serafico di Assisi la presidente Francesca Di Maolo, ha sottolineato che il prendersi cura coinvolge la comunità: “Al Serafico siamo consapevoli che la vera cura non si limita alla dimensione fisica, ma nasce da una relazione autentica che mette al centro la persona, i suoi talenti e il suo valore unico.

Lavoriamo ogni giorno per costruire un modello di cura che integri innovazione tecnologica, ricerca avanzata e attenzione ai bisogni più profondi, con la ferma volontà di contribuire a una società più giusta e inclusiva e crediamo profondamente che prendersi cura della vita più fragile significhi prendersi cura della nostra comunità e dell’ambiente che ci circonda, creando così un circolo virtuoso di solidarietà, sostenibilità e progresso.

Con una visione strategica chiara, dunque, il Serafico si prepara ad affrontare le sfide future rafforzando i propri servizi e la capacità di innovare. Grazie a una comunità di donatori fedeli e a una gestione solida, l’Istituto continuerà a essere un faro per la disabilità grave e gravissima in Italia”.

Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’

“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.

A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.

Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.

In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?

“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.

Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?

“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.

Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?

“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.

Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?

“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.

L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?

“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”. 

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

Papa Francesco invita a studiare la storia per riscoprire i martiri

Papa Francesco

“Sono ben consapevole che, nel percorso formativo dei candidati al sacerdozio, viene destinata una buona attenzione allo studio della storia della Chiesa, così come è giusto che sia. Ciò che vorrei sottolineare ora va piuttosto nella direzione di un invito a promuovere, nei giovani studenti di teologia, una reale sensibilità storica. Con quest’ultima espressione voglio indicare non solo la conoscenza approfondita e puntuale dei momenti più importanti dei venti secoli di cristianesimo che ci stanno alle spalle, ma anche e soprattutto il sorgere di una chiara familiarità con la dimensione storica propria dell’essere umano. Nessuno può conoscere veramente chi è e che cosa intende essere domani senza nutrire il legame che lo connette con le generazioni che lo precedono. E questo vale non solo a livello di vicenda dei singoli, ma anche ad un livello più ampio di comunità”.

Lo ha scritto papa Francesco nella lettera sul ‘Rinnovamento dello studio della storia della Chiesa’, in continuità con la lettera sulla importanza della letteratura nella formazione dello scorso agosto, sottolineando che “una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà”.

Infatti nella presentazione di ieri il card. Lazzaro You Heung-sik, prefetto del dicastero per il Clero, ha sottolineato l’importanza della lettera: “Ho iniziato questo mio breve intervento dicendo che con questa Lettera il Santo Padre prosegue un discorso di formazione sacerdotale, cristiana e umana che va verso una piena consapevolezza dell’essere sacerdoti, cristiani, esseri umani che cercano di comprendere e di comprendersi nel portare avanti il piano di Dio”.

Ed ha sottolineato tre caratteristiche fondamentali della fede cristiana: “La prima: Dio entra in punta di piedi nella storia dell’umanità e dei singoli per innestarci nella Sua storia salvifica. La seconda, conseguenza della prima, comporta la necessità di conseguire una ‘dimensione storica dell’essere umano’ attraverso ‘una reale sensibilità storica’ che deve portare ad una ‘Chiesa che riconosce se stessa anche nei suoi momenti più oscuri’, che ‘diventa capace di comprendere le macchie e le ferite del mondo in cui vive, e se cercherà di sanarlo e di farlo crescere, lo farà nello stesso modo in cui tenta di sanare e far crescere se stessa’…

Terza caratteristica: il Dio di Gesù Cristo che entra nella nostra storia come Persona, che parla, vive, agisce, piange, sorride, accarezza, si adira. Costruisce cioè storia con noi per portarci ad un livello di comunione e consapevolezza con Lui, affinché ritroviamo noi stessi come figli suoi che hanno i suoi tratti, fatti ‘a sua immagine e somiglianza’ (Gen. 1,26), secondo la sua essenza che è comunione. Dio stesso è maestro di Storia, oltre che Signore delle nostre storie”.

Mentre il segretario dello stesso dicastero, mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, ha sottolineato la cura del papa per la formazione dei giovani: “Il Santo Padre ha particolarmente a cuore alcune attuali debolezze e limiti nella formazione dei giovani, particolarmente nei percorsi formativi agli Ordini ministeriali nei Seminari e nelle altre Case di formazione, dove si tende a considerare di meno la memoria del passato, la ricerca della verità e l’appartenenza a una cultura che si esprime attraverso molti modi, di cui l’arte letteraria è uno dei privilegiati. Tra l’altro, la superficialità delle letture e dello studio e il fascino compulsivo dell’immediato offerto da uno schermo, non poche volte, lascia prendere il sopravvento a banalità e fake news”.

Infine il prof. Andrea Riccardi, presidente della ‘Società Dante Alighieri’, ha sottolineato la continuità con il Concilio Vaticano II: “In linea con il Concilio, papa Francesco chiede di maturare una ‘reale sensibilità storica’. Non una difesa trionfalista. Non una storia ideologica, né manipolatrice degli eventi (i conflitti talvolta si giustificano con ricostruzioni tendenziose della storia). Per il papa bisogna conoscere la storia, ma avere una mentalità storica nel vivere il presente e nella Chiesa: ‘Senza memoria non si va mai avanti’, dice”.

Tale Lettera è un collegamento con la memoria dei martiri: “Del resto, il recupero della memoria dei martiri del Novecento, voluto da Giovanni Paolo II per il Grande Giubileo, ha salvato dall’oblio questi ultimi sepolti dalla violenza. Ne è emersa dal recupero della memoria una Chiesa di martiri. La storia libera e restituisce alla realtà. Ha fatto emergere storicamente l’autocoscienza della Chiesa dei martiri. Francesco ha voluto una nuova commissione per i martiri del XXI secolo. La storia della Chiesa non è solo di papi o grandi personaggi, ma anche storia degli umili, della loro preghiera, della carità, della pietà popolare. Abbiamo già una grande storiografia in proposito”.

Ed infatti nella conclusione della lettera il papa ha chiesto di studiare la storia per recuperare l’esperienza martiriale della Chiesa: “In quest’ultima osservazione, desidero ricordare che la storia della Chiesa può aiutare a recuperare tutta l’esperienza del martirio, nella consapevolezza che non c’è storia della Chiesa senza martirio e che mai si dovrebbe perdere questa preziosa memoria. Anche nella storia delle sue sofferenze ‘la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano’. Proprio lì dove la Chiesa non ha trionfato agli occhi del mondo, è quando ha raggiunto la sua maggiore bellezza”.

Papa Francesco ai giovani: la speranza non delude mai

“Sono felice di incontrarvi in occasione del ventesimo anniversario di questo organismo: un traguardo che diventa occasione per continuare a impegnarsi con fiducia, prima che la gioventù se ne vada”:  con queste parole oggi papa Francesco ha incontrato  i membri del Consiglio Nazionale dei giovani, invitandoli a non perdere la capacità di sognare, in occasione del ventennale della fondazione.

In occasione della prossima Giornata mondiale della Gioventù diocesana il papa ha sottolineato che le parole con le quali ha indetto il Giubileo aderiscono alle rilevazioni del Consiglio, in quanto la speranza non delude: “Sentite bene questo: la speranza non delude. Mai. Con queste parole ho indetto il Giubileo Ordinario del 2025. Mi ha fatto piacere leggere dalla vostra ‘Quarta Rilevazione dell’Indice di Fiducia’ che la speranza è l’atteggiamento interiore in cui i giovani italiani oggi si riconoscono di più. Incontriamo spesso persone sfiduciate perché guardano al futuro con scetticismo e pessimismo”.

E’ stato un invito ad essere artigiani di speranza e non ‘pessimisti’: “Quelle persone dalla faccia lunga, così… il pessimismo.  E’ importante dunque sapere che i giovani italiani sanno essere artigiani di speranza perché sono capaci di sognare. Per favore, non perdere la capacità di sognare: quando un giovane perde questa capacità, non dico che diventa vecchio, no, perché i vecchi sognano. Diventa un ‘pensionato della vita’. E’ molto brutto. Per favore, giovani, non siate ‘pensionati della vita’, e non lasciatevi rubare la speranza! Mai! La speranza non delude mai!”

E’ stato un invito ad affrontare le sfide della vita senza smettere di sognare: “Come sappiamo (anche dalla cronaca di questi giorni) le sfide che vi riguardano sono tante: la dignità del lavoro, la famiglia, l’istruzione, l’impegno civico, la cura del creato e le nuove tecnologie. L’aumento di atti di violenza e di autolesionismo, fino al gesto più estremo di togliersi la vita, sono segni di un disagio preoccupante e complesso. Voi sapete che, nel mondo, i suicidi giovanili non si pubblicano tutti, si nascondono. E’ un cambiamento d’epoca, una metamorfosi non solo culturale ma anche antropologica. Per questo è fondamentale un cammino educativo che coinvolga tutti”.

Ecco l’invito ad essere testimoni della vita: “C’è una bellezza che va al di là dell’apparenza: è quella di ogni uomo e ogni donna che vivono con amore la loro vocazione personale, nel servizio disinteressato alla comunità, nel lavoro generoso per la felicità della famiglia, nell’impegno gratuito per far crescere l’amicizia sociale.

Scoprire, mostrare e mettere in risalto questa bellezza significa porre le basi della solidarietà sociale e della cultura dell’incontro. Il vostro servizio disinteressato per la verità e la libertà, per la giustizia e la pace, per la famiglia e la politica è il contributo più bello e più necessario che potete offrire alle istituzioni per la costruzione di una società nuova”.

Infine il papa ha invitato loro a non temere le difficoltà della vita: “Di fronte alle sfide e alle difficoltà che potrete incontrare nel vostro lavoro, non temete! Non abbiate paura di attraversare anche i conflitti. I conflitti ci fanno crescere. Ma non dimenticate che il conflitto è come un labirinto: dal labirinto non si può uscire da soli, si esce in compagnia di un altro che ci aiuti. Primo. E dal labirinto si esce dall’alto. Lasciatevi aiutare dagli altri”.

Quindi per il papa occorre guardare in alto: “E sempre guardare in alto perché la vita non sia un giro labirintico, che uccide la gioventù. Invecchiare in un labirinto è invecchiare nei valori superficiali. E’ triste vedere un uomo o una donna, giovane, che vive la sua vita nella superficialità…  Serve, nella vostra vita (anche per attraversare i conflitti) serve la pazienza di trasformarli in capacità di ascolto, di riconoscimento dell’altro, di crescita reciproca.

Provare a superare i conflitti è il segno che abbiamo puntato più in alto, più in alto dei nostri interessi particolari, per uscire dalle sabbie mobili dell’inimicizia sociale. Andate avanti nel vostro servizio: cercare, custodire e portare la voce e la speranza dei giovani italiani nelle sedi istituzionali per partecipare insieme al bene comune”.

E li ha affidati al beato Pier Giorgio Frassati: “Vi affido al Beato Pier Giorgio Frassati. Lo conoscete? Io da bambino avevo sentito parlare di lui, perché il mio papà era membro dell’Azione Cattolica. E’ un giovane come voi, che ha testimoniato con la vita la gioia del Vangelo. Vi invito a conoscerlo e imitare la sua coerenza e il suo coraggio, la sua gioia”.

Mentre ai rappresentanti delle principali istituzioni di settore nel mondo, che partecipano ad un incontro internazionale promosso dalla Biblioteca Apostolica Vaticana papa Francesco ha chiesto la cura della cultura: “Molte istituzioni culturali si trovano così indifese davanti alla violenza delle guerre e della depredazione. Quante volte è già successo in passato! Impegniamoci perché non succeda più: allo scontro di civiltà, al colonialismo ideologico e alla cancellazione della memoria rispondiamo con la cura della cultura.

Sarebbe grave che, oltre alle tante barriere tra gli Stati, si innalzassero anche muri virtuali. A tale riguardo, voi bibliotecari avete un ruolo importante, oltre che per la difesa del patrimonio storico, anche per la promozione della conoscenza. Vi incoraggio a continuare a lavorare affinché le vostre istituzioni siano luoghi di pace, oasi di incontro e di libera discussione”.

Ed ecco i quattro criteri consegnati dal papa: “Il primo criterio: che il tempo sia superiore allo spazio. Voi custodite giacimenti immensi di sapere: possano diventare luoghi in cui sia dato il tempo di riflettere, aprendosi alla dimensione spirituale e trascendente. E così possiate favorire studi a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati, favorendo nel silenzio e nella meditazione la crescita di un nuovo umanesimo.

Secondo criterio: l’unità prevalga sul conflitto. La ricerca accademica suscita inevitabilmente momenti di controversia, che vanno svolti all’interno di un dibattito serio, per non giungere alla prevaricazione. Le biblioteche devono essere aperte a tutti gli ambiti di conoscenza, testimoniando una comunione d’intenti tra differenti prospettive.

Terzo criterio: che la realtà sia più importante dell’idea. E’ bene che la concretezza delle scelte e l’attenzione alla realtà crescano a stretto contatto con l’approccio critico e speculativo, per evitare ogni falsa opposizione tra pensiero ed esperienza, tra fatti e principi, tra prassi e teoria. C’è un primato della realtà che la riflessione deve sempre onorare, se vuole cercare sinceramente la verità.

E quarto criterio: che il tutto sia superiore alla parte. Siamo chiamati ad armonizzare la tensione tra locale e globale, ricordando che nessuno è un individuo isolato, ma ognuno è una persona che vive di legami e reti sociali, cui partecipare con responsabilità”.

Mentre nell’incontro con i seminaristi di Pamplona e San Sebastian il papa ha sottolineato che “il seminario non è una prigione, è un luogo dove imparare che un sacerdote è un uomo, un essere umano che vuole redimere, come il vostro arcivescovo mercedario, un redentore di prigionieri; perché un sacerdote non può essere altro che un’immagine viva di Gesù, il Redentore con la R maiuscola”.

E’ stato un invito ad andare nelle carceri: “Questo significa molte cose, ma una molto precisa è che dobbiamo scendere nelle carceri; certamente nelle carceri governative, per offrire a quanti vi sono reclusi l’olio della consolazione e il vino della speranza, ma anche in tutte quelle carceri che rinchiudono uomini e donne della nostra società: le prigioni ideologiche, quelle morali, quelle che creano lo sfruttamento, lo sconforto, l’ignoranza e la dimenticanza di Dio”.

(Foto: Santa Sede)

Giornata del Ringraziamento: promuovere agricoltura sostenibile

Oggi si celebra la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che si intitola ‘La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile’ ad Assisi, ‘nella terra di san Francesco, autore circa 800 anni fa del celebre Cantico delle creature. Una spiritualità feconda di cui abbiamo assoluto bisogno anche oggi’, come ha sottolineato don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, per il quale ‘anche il mondo agricolo è assetato di riconciliazione con la terra’, con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Domenico Sorrentino.

Per il direttore dell’Ufficio della Cei il tema di questa Giornata “ci apre al Giubileo che è alle porte. L’idea di fondo è che stiamo vivendo un tempo opportuno di semina. Se vogliamo offrire speranza dobbiamo tornare a seminare. E la semina oggi può essere declinata in due modi: la salvaguardia del terreno e il coinvolgimento delle giovani generazioni.

I disastri recenti in Italia (Emilia-Romagna e Toscana) e in Spagna (Valencia) ci ricordano quanto sia importante porre fine al consumo di suolo, che ha ridotto la produzione alimentare e riduce la possibilità di assorbimento idrico. La cementificazione ha conosciuto, tra le conseguenze più rilevanti, l’aumento del rischio idrogeologico, che allarma sempre più”, afferma don Bignami evidenziando che “in questo contesto, c’è bisogno di salvaguardare l’ambiente, preservare gli ecosistemi e tutelare la biodiversità, come chiede l’art. 9 della Costituzione italiana”.

Tale giornata è stata preceduta dal ‘Percorso sul Cantico delle creature’, dalla Basilica di Santa Chiara alla Basilica di San Francesco passando per il Santuario della Spogliazione e da un seminario di studio con il prof. Luigino Bruni, economista e saggista, e con il prof. Angelo Riccaboni, docente all’Università di Siena.

Nel messaggio i vescovi hanno preso l’immagine de ‘Il seminatore’ di Van Gogh: “Nel dipinto Il Seminatore (1888), Van Gogh scambia i colori: il cielo è dorato come la messe matura e la terra che accoglie i semi ha il blu del cielo. Ogni volta che un contadino semina, il cielo viene sulla terra. Ed il seminatore volge le spalle al tramonto per dirigersi verso un’alba nuova.

Nel disorientamento che proviamo mentre ci chiediamo dove siamo e quale direzione prendere, nella terra troviamo la speranza per il domani. Questo senso di fiducia nel futuro si amplifica, da un lato, nella gratitudine per il Creato ma, dall’altro, viene adombrato dalla preoccupazione crescente per uno sfruttamento che mette a rischio l’agricoltura e la vita delle persone”.

E’ un rimando all’Ultima Cena di Gesù: “Certo, benedice la mensa e il pane che diverrà memoriale della sua Pasqua, della fraternità e della gioia del prendere cibo insieme, ma ringrazia anche di tutti i benefici della creazione: del grano e dei grappoli della vite, della fatica intelligente che li trasforma in cibo e bevanda. La creazione è il dono.

Dobbiamo ringraziare per quanto abbiamo ereditato e comprendere quanto questo sia prezioso, soprattutto di fronte agli effetti drammatici della crisi ecologica. La gratitudine, infatti, deve trasformarsi in impegno, in progettualità, in azioni concrete se vogliamo evitare che i paesaggi diventino un lontano ricordo di quello che sono stati e i territori dei frammenti, residuo dello scarto e dell’abbandono”.

E’ necessario conservare il territorio adottando nuovi stili di vita attraverso la salvaguardia del territorio: “Il rinnovamento degli stili di vita è una via possibile e percorribile per supportare le politiche ambientali e ri-orientare l’economia nel segno della sostenibilità e della giustizia. L’agricoltura deve mantenere le sue basi ecologiche, che non ha mai dimenticato, ma che rischia di smarrire se insegue il paradigma tecnocratico, che porta alla ricerca di un modello di produzione volto solo alla massimizzazione del profitto. E, di conseguenza, all’abbandono dei campi, alla dismissione di alcune coltivazioni e, in molti casi, della stessa attività agricola a cui, a causa delle difficoltà strutturali dell’agricoltura nazionale, viene preferita la rendita derivante dal consumo del suolo o dal ritorno del bosco non curato”.

Al contempo è un invito a salvaguardare la cultura agricola: “Questo patrimonio di attenzioni e di tradizione non può essere dissipato, in quanto rappresenta uno stimolo per guardare al futuro e affrontare in modo costruttivo le sfide odierne, dando soluzione a quelle problematiche che, in varie occasioni, sono state portate alla luce da quanti sono impegnati nel mondo agricolo, che chiedono un confronto e un dialogo a più voci sul rapporto tra uso della terra, agricoltura, sostenibilità e tutela del lavoro delle nuove generazioni. Anche la progettualità sostenibile, come l’istallazione di impianti fotovoltaici, deve vigilare affinché ci sia sempre compatibilità con la produzione agricola. Sono questioni centrali per il futuro della nostra Europa”.

In quest’opera i vescovi invitano a coinvolgere i giovani: “E’ tempo di coinvolgere le nuove generazioni nella cura della terra indirizzando a un diverso modello economico, riducendo sprechi e consumi, riscoprendo le potenzialità delle comunità locali e salvaguardando le conoscenze tradizionali, riconoscendo il giusto compenso ai produttori e raddrizzando le distorsioni dei sussidi”.

Quindi tale giornata può diventare un’occasione di creare laboratori: “Il nostro Paese è un laboratorio ideale, per diversità di ambienti e condizioni socioeconomiche, per sperimentare vie nuove nelle tante forme di agricoltura. Vanno sostenuti i molti giovani – anche immigrati – che hanno deciso di intraprendere questa strada tornando alla terra, pure nelle situazioni più difficili della collina interna e della montagna.

Facciamo appello ai giovani agricoltori e ai centri di formazione che li preparano a un lavoro qualificato, perché si sentano protagonisti con la loro attività, di questo momento cruciale della storia, nel quale il loro contributo è fondamentale. Troppo spesso gli imprenditori agricoli non sono stati percepiti come una risorsa indispensabile per la produzione di cibo sano, disponibile per tutti e di qualità”.

Infine i vescovi mettono in guardia le Istituzioni a promuovere l’agrobusiness, che non è sostenibile: “Mentre non possiamo non riconoscere gli elementi di verità esistenti nelle denunce di insostenibilità ambientale e sociale di tanta agricoltura industriale (non per nulla definita agrobusiness), auspichiamo che si promuovano politiche nazionali ed europee che ripropongano corrette riforme agrarie, adeguato riconoscimento economico del lavoro agricolo e del valore dei prodotti agricoli, riduzione degli sprechi dal campo alla tavola, valorizzazione dell’agricoltura familiare. La polarizzazione tra agricoltura convenzionale e biologica o altro non serve: occorre fare rete e integrare, per combattere la dispersione delle comunità, soprattutto di quelle interne del nostro Paese, e dell’ambiente da cui proviene sostentamento e salute per tutti”.

(Foto: Cei)

Papa Francesco all’Università Gregoriana: non cocalizzare la cultura

Questa mattina papa Francesco ha incontrato docenti e studenti dell’Università Gregoriana di Roma, la più antica tra le università pontificie romane, in quanto le sue origini risalgono all’iniziativa diretta di sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, che nell’anno 1551 pose le basi del Collegio Romano, conosciuto anche come ‘Universitas omnium Nationum, a servizio della Chiesa universale. Nel 1873 papa Pio IX dispose che l’ateneo assumesse la nuova denominazione di Pontificia Università Gregoriana. Nel 1930 fu inaugurata la nuova e attuale sede in Piazza della Pilotta.

Un lungo applauso ha accolto il papa nell’atrio dell’Università, dove, sotto la statua di Cristo benedicente è allestita una scrivania dalla quale Francesco ha pronunciato la lectio magistralis scandita da moniti e raccomandazioni, aneddoti e neologismi, citazioni dell’Iliade, di Shakespeare e Dostoevskij, di san Basilio e san Francesco Saverio, san John Henry Newman e san Tommaso Moro, ma anche padre Arrupe e padre Kolvenbach.

Nel saluto inziale p. Arturo Sosa, vice gran cancelliere della Gregoriana e preposito generale della Compagnia di Gesù, ha sottolineato come “la ricerca scientifica nei diversi campi della scienza, della filosofia e della teologia porta alla comprensione più profonda della creazione e contribuisce ad aprire nuovi cammini alla fede che si impegna nella trasformazione della società umana per renderla più giusta, più solidale, e più rispettosa della creazione”.

Mentre il rettore p. Mark Lewis ha evidenziato che la missione della Gregoriana, ‘università di tanti Papi’, rimane sempre quella di “fornire una solida formazione intellettuale ai futuri ministri della Chiesa, con particolare attenzione a dignità umana, dimensione sociale della fede, cura della casa comune, ‘apertura’ a scienza e cultura, dialogo ecumenico e relazioni con le altre religioni, tutto in un ambiente internazionale e interculturale che riflette la nostra Chiesa di oggi”.

Nella lectio magistralis il papa ha sottolineato poi di aver voluto la nuova configurazione dell’Università “confidando che non si trattasse di una semplice ristrutturazione amministrativa, ma una riqualificazione della missione che i Vescovi di Roma nel tempo hanno continuato ad affidare alla Compagnia di Gesù…

Quando si cammina preoccupati solo di non inciampare si finisce per andare a sbattere. Ma vi siete posti la domanda su dove state andando e perché fate le cose che state realizzando? E’ necessario sapere dove si sta andando, non perdendo di vista l’orizzonte che unisce la strada di ciascuno sul fine attuale e ultimo”.

Ugualmente ha rimarcato la necessità di non fare una banalizzazione della cultura: “In un’università la visione e la consapevolezza del fine impediscono la coca-colizzazione della ricerca e dell’insegnamento che porterebbe alla coca-colizzazione spirituale. Sono tanti, purtroppo, i discepoli della coca-cola spirituale!”

Ed è ecco la necessità della missione: “E’ il Signore che la ispira e la sostiene… Non si tratta di prendere il suo posto con le nostre pretese che rendono burocratico, prepotente, rigido e senza calore il progetto di Dio, spesso sovrapponendo agende e ambizioni ai piani della Provvidenza”.

Per il papa l’istruzione non è un privilegio sottolineando le parole di un’iscrizione su una porta: “Scuola di grammatica, di umanità e dottrina cristiana, gratis”, si leggeva. Era un tempo in cui “l’istruzione era un privilegio, condizione che non si è ancora estinta, e che rende attuali le parole di don Lorenzo Milani sulla scuola ospedale che cura i sani e respinge i malati. Ma perdendo i poveri, si perderebbe la scuola”. Quella iscrizione è oggi “un invito a umanizzare i saperi della fede, e ad accendere e rianimare la scintilla della grazia nell’umano, curando la transdisciplinarità nella ricerca e nell’insegnamento”.

Perciò ha insistito ad “attualizzare quel gratis nelle relazioni, nei metodi e negli obiettivi, perché è la gratuità che rende tutti i servitori senza padroni. Gli uni servi degli altri, tutti riconoscenti la dignità di ciascuno, nessuno escluso… E’ la gratuità che ci apre alle sorprese di Dio, che è misericordia, liberando la libertà dalle bramosie. La gratuità rende virtuosi i sapienti e i maestri ed educa senza manipolare e legare a sé: serve un’università che abbia l’odore di carne del popolo e che non calpesti le differenze nell’illusione di una unità che solo è omogeneità, che non tema la contaminazione virtuosa e la fantasia che rianima quanto è morente”.

Però all’educazione si deve affiancare il discernimento: “Quanta tristezza quando si vede che si confida soprattutto nei mezzi umani e si affida ogni cosa oggi al management di turno!”. Da qui un invito ad un “discernimento costante… cercando quanto unisce e mai operando per quello che ci separa dall’amore di Cristo e dall’unità del sentire con la Chiesa. Che non dobbiamo limitare alle sole parole della dottrina, afferrandoci alle norme. Il modo in cui usiamo la dottrina non poche volte la riduce ad essere senza tempo, prigioniera dentro un museo, mentre essa va, è viva”.  

Ed infine ha sottolineato l’importanza della preghiera, fondamentale per ogni missione, citando la preghiera di san Tommaso Moro: “Signore, dammi una buona digestione e qualcosa per digerire… Da più di 40 anni io la prego tutti i giorni, e mi fa bene!”

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: raccontare storie di speranza

Nell’udienza odierna ai partecipanti alla plenaria del Dicastero per la Comunicazione papa Francesco ha tracciato ‘l’identikit del buon comunicatore’ richiamando i principi di verità, giustizia e pace, secondo l’esortazione di san Paolo agli Efesini letta nella liturgia odierna:

“In effetti, la vostra è una vocazione, è una missione! Con il vostro lavoro e la vostra creatività, con l’uso intelligente dei mezzi che la tecnologia mette a disposizione, ma soprattutto con il vostro cuore: si comunica con il cuore. Siete chiamati a un compito grande ed entusiasmante: quello di costruire ponti, quando tanti innalzano muri, i muri delle ideologie; quello di favorire la comunione, quando tanti fomentano divisione; quello di lasciarsi coinvolgere dai drammi del nostro tempo, quando tanti preferiscono l’indifferenza. Questa cultura dell’indifferenza, questa cultura del ‘lavarsi le mani’: ‘non tocca a me, che si arrangino’. Questo fa tanto male!”

Così il papa ha risposto alle domande su cui tale Plenaria si sta confrontando con l’auspicio che il Sinodo appena concluso diventi stile comunicativo della Chiesa: “Il Sinodo sulla sinodalità che abbiamo appena concluso diventa ora un cammino ordinario che deve farsi strada (un cammino che viene dal tempo in cui san Paolo VI ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi); diventa lo stile col quale nella Chiesa viviamo la comunione, uno stile sinodale. In ogni espressione della nostra vita comunitaria, siamo chiamati a riverberare quell’amore divino che in Cristo ci ha attratto e ci attrae”.

La Chiesa ha come fondamento Gesù: “Ed è questo che caratterizza l’appartenenza ecclesiale: se ragionassimo e agissimo secondo categorie politiche, o aziendalistiche, non saremmo Chiesa. Questo non va! Se applicassimo criteri mondani o se riducessimo le nostre strutture a burocrazia, non saremmo Chiesa. Essere Chiesa significa vivere nella coscienza che il Signore ci ama per primo, ci chiama per primo, ci perdona per primo. E noi siamo testimoni di questa misericordia infinita, che è stata gratuitamente riversata su di noi cambiando la nostra vita”.

Infatti il cammino sinodale coinvolge tutti alla comunione ecclesiale: “Proprio in quanto comunicatori, infatti, siete chiamati a tessere la comunione ecclesiale con la verità attorno ai fianchi, la giustizia come corazza, i piedi calzati e pronti a propagare il Vangelo della pace”.

Questo è il ‘sogno’ di papa Francesco: “Sogno una comunicazione che riesca a connettere persone e culture. Sogno una comunicazione capace di raccontare e valorizzare storie e testimonianze che accadono in ogni angolo del mondo, mettendole in circolo e offrendole a tutti. Per questo sono contento di sapere che (nonostante le difficoltà economiche e l’esigenza di ridurre le spese, ne parlerò dopo di questo) vi siete ingegnati per aumentare l’offerta delle oltre cinquanta lingue con cui comunicano i media vaticani, aggiungendo le lingue lingala, mongola e kannada”.

Quella proposta dal papa è una comunicazione capace di raccontare la realtà: “Sogno una comunicazione fatta da cuore a cuore, lasciandoci coinvolgere da ciò che è umano, lasciandoci ferire dai drammi che vivono tanti nostri fratelli e sorelle. Per questo vi invito a uscire di più, a osare di più, a rischiare di più non per diffondere le vostre idee, ma per raccontare con onestà e passione la realtà.

Sogno una comunicazione che sappia andare oltre gli slogan e tenere accesi i riflettori sui poveri, sugli ultimi, sui migranti, sulle vittime della guerra. Una comunicazione che favorisca l’inclusione, il dialogo, la ricerca della pace. Quanta urgenza c’è di dare spazio agli operatori di pace! Non stancatevi di raccontare le loro testimonianze, in ogni parte del mondo”.

Insomma una comunicazione educante: “Sogno una comunicazione che educhi a rinunciare un po’ a sé per fare spazio all’altro; una comunicazione appassionata, curiosa, competente, che sappia immergersi nella realtà per poterla raccontare. Ci fa bene ascoltare storie dal sapore evangelico, che oggi come duemila anni fa ci parlano di Dio così come Gesù, suo Figlio, lo ha rivelato al mondo”.

E per attuare questo stile comunicativo è importante il coinvolgimento: “Fratelli e sorelle, non abbiate paura di coinvolgervi, di cambiare, di imparare linguaggi nuovi, di percorrere nuove strade, di abitare l’ambiente digitale. Fatelo sempre senza lasciarvi assorbire dagli strumenti che usate, senza far diventare ‘messaggio’ lo strumento, senza banalizzare, senza ‘surrogare’ nell’incontro in rete le relazioni umane vere, concrete, da persona a persona. Il Vangelo è storia di incontri, di gesti, di sguardi, di dialoghi per strada e a tavola. Sogno una comunicazione che sappia testimoniare oggi la bellezza degli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con l’adultera, con il cieco Bartimeo”.

Richiamando la recente enciclica, ‘Dilexit nos’, papa Francesco ha chiesto aiuto nel far conoscere il ‘Cuore di Gesù’: “Aiutatemi, per favore, a far conoscere al mondo il Cuore di Gesù, attraverso la compassione per questa terra ferita. Aiutatemi, con la comunicazione, a far sì che il mondo, ‘che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore’. Aiutatemi con una comunicazione che è strumento per la comunione”.

E’ stato un invito a guardare alla speranza ed il Giubileo è un’occasione: “Nonostante il mondo sia squassato da terribili violenze, noi cristiani sappiamo guardare alle tante fiammelle di speranza, alle tante piccole e grandi storie di bene. Siamo certi che il male non vincerà, perché è Dio che guida la storia e salva le nostre vite…

Il Giubileo, che inizieremo fra qualche settimana, è una grande occasione per testimoniare al mondo la nostra fede e la nostra speranza. Vi ringrazio fin d’ora per tutto ciò che farete, per l’impegno del Dicastero nell’aiutare sia i pellegrini che verranno a Roma, sia chi non potrà viaggiare, ma grazie ai media vaticani potrà seguire le celebrazioni giubilari sentendosi unito a noi”.

In precedenza il papa aveva ricevuto in udienza i partecipanti al Congresso nazionale del Movimento di Impegno Educativo dell’Azione Cattolica (MIEAC), esortandoli a portare l’educazione cristiana nei ‘terreni inesplorati, segnati da mutamenti’: “Il servizio educativo che definisce il vostro Movimento porta con sé, oggi forse più ancora che nel passato, la sfida di operare sul piano umano e cristiano. Educare, come voi ben sapete e testimoniate, significa anzitutto riscoprire e valorizzare la centralità della persona in un contesto relazionale dove la dignità della vita umana trovi compimento e adeguati spazi per crescere”.

E’ stato un invito ad essere educatori ‘dal cuore grande’: “Educatori dal cuore grande per il bene dei ragazzi, dei giovani e degli adulti che vivono accanto a voi. Siete chiamati ad allargare il cuore (non si può avere un cuore ristretto: allargare il cuore), a non aver paura di proporre ideali alti, senza scoraggiarvi di fronte alle difficoltà. Le difficoltà ci sono e tante.

E per non perdere il filo in questi ‘labirinti della complessità’ è importante non restare da soli, ma costruire e rinsaldare i rapporti proficui con i diversi soggetti del processo educativo: le famiglie, gli insegnanti, gli animatori sociali, i dirigenti e preparatori sportivi, i catechisti, i sacerdoti, le religiose e i religiosi, senza trascurare la collaborazione con le pubbliche istituzioni. E coinvolgere i ragazzi, perché i ragazzi entrano: non devono essere passivi nel processo educativo, devono essere attivi!”

Infine anche a loro ha rivolto l’invito a ‘seminare’ la speranza con uno sguardo al Giubileo: “Guardando poi al prossimo Giubileo, tempo per seminare speranza, perché di speranza abbiamo un bisogno vitale tutti noi, vorrei lasciarvi un’ultima consegna: abbiate un’attenzione speciale per i bambini, gli adolescenti, i giovani. A loro dobbiamo guardare con fiducia, con empatia, vorrei dire con lo sguardo e con il cuore di Gesù. Sono il presente e il futuro del mondo e della Chiesa…

Attraverso i processi educativi esprimiamo il nostro amore per l’altro, per chi è vicino o ci è affidato; e, al contempo, è essenziale che l’educazione sia fondata, nel suo metodo e nelle sue finalità, sull’amore. Senza amore non si può educare. Educare sempre con amore!”

(Foto: Santa Sede)

Sinodo e Azione Cattolica italiana, ne parla il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano

A metà settembre alla ‘Casa San Girolamo’ di Spello si sono svolte le ‘Conversazioni di Spello’ con il prof. Luigi Alici, docente emerito di ‘Filosofia morale’ e già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Lorenzo Zardi, vicepresidente nazionale per il settore Giovani di Azione Cattolica, la prof.ssa Pina De Simone, ordinaria di ‘Filosofia della religione’ e direttrice di ‘Dialoghi’, con gli intermezzi musicali del violinista Stefano Rimoldi, sul tema ‘Per una cultura del noi. Alle radici del fare cultura e del senso di comunità’, introdotti dal presidente nazionale di Azione Cattolica Italiana, prof. Giuseppe Notarstefano.

Durante l’incontro il prof. Alici ha invitato ad aprire gli ‘orizzonti relazionali’: “Il laico cristiano riconosce e testimonia che in ogni relazione filtra una luce infinita: c’è una mistica anche della vita attiva, che cerca l’unità nelle giunture, la comunione nelle differenze, la prossimità nella distanza; che incontra Dio anche nel cuore dell’uomo e dell’umanità, alla radice degli spazi vissuti e oltre le distanze temporali. Riconoscere e aprire infinitamente questi orizzonti relazionali disegna lo spazio di incontro e dialogo tra credenti e non credenti”.

Al termine dell’incontro con il prof. Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica, abbiamo riflettuto sulla necessità della cultura del ‘noi’: “Viviamo in un tempo in cui prevale un senso di individualismo, spesso portato fino all’eccesso, dovuto da tanti fattori, non ultimo da una cultura economicista, che ha pervaso la vita sociale con l’enfatizzazione dei valori dell’utilità e della competizione e mettendo in ombra i valori della cooperazione e dell’amicizia sociale.

Quindi quello della ricostruzione e del legame comunitario è un tema importante; però il ‘noi’ non può essere una chiusura nel gruppo, ma deve essere qualcosa di inclusivo ed aperto. In questo cammino aiuta l’esperienza ecclesiale, che ci fa vivere la comunità non come qualcosa di esclusivo e di chiusura, ma che cresce attraverso il dialogo con l’altro e nell’esperienza dell’accoglienza dell’altro. Questo è un’esperienza che si può vedere nella Chiesa sinodale e nel magistero di papa Francesco. Come associazione crediamo che occorre dare anche una mediazione culturale a quest’esperienza”.

Quindi quanta ‘sinodalità’ si sta sviluppando nella Chiesa?

“E’ un cammino. Credo che il Sinodo abbia introdotto stili e pratiche che, dal basso, stanno animando una  conversione pastorale: penso allo stile della conversione spirituale, che è un modo di ripensare il nostro incontrarci a partire da un ascolto sincero dell’altro. Dobbiamo imparare a costruire insieme le decisioni: questa è la sfida che abbiamo davanti; guardiamo con grande fiducia al cammino dei vescovi, ma guardiamo anche con grande fiducia al cammino delle Chiese italiane, perché le assemblee dei vescovi, che si terranno nel prossimo novembre ed a maggio del prossimo anno possano essere un’esperienza, dove tutti concorrono a scegliere insieme quelle questioni cruciali che riguardano la vita della Chiesa. E’ una sfida che deve essere affrontata con grande speranza, senza dimenticare il monito di papa Francesco, che afferma che questa deve essere soprattutto un’esperienza spirituale: insieme sotto la guida dello Spirito Santo”.

Secondo papa Francesco il processo sinodale è una delle ‘più preziose’ eredità del Concilio Vaticano II: c’è continuità tra queste due esperienze?

“Abbiamo da un lato una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa. Dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersi a servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è l’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco, debitore dell’esortazione apostolica ‘Evangelii nuntiandi’ di papa san Paolo VI e che qualcuno ha definito una specie di ‘software di installazione’ del Concilio Vaticano II.

I punti di contatto tra la stagione del Sinodo e quella del Concilio sono molteplici: anzitutto direi la pastoralità voluta da papa san Giovanni XXIII, che aveva in mente un Concilio che non fosse soltanto dogmatico bensì un gesto di amore verso il Signore e verso l’uomo. L’altro aspetto è quello dell’universalità: un progetto ampio, che ci offre il senso di una Chiesa come un popolo che cammina nella storia e che ha una grande diffusione in tutte le parti del pianeta, con intensità e realtà diverse, e una comune dimensione universale”.

Ed in questo ‘tempo’ quali saranno le linee guida dell’Azione Cattolica Italiana?

“L’Azione Cattolica Italiana ha messo a tema per questo triennio la speranza, che è soprattutto giubilare. Quindi vorremmo sviluppare alcune linee di lavoro che riguardano un’associazione, che deve essere capace di aiutare le persone a rimettere al centro della propria vita l’esperienza cristiana attraverso uno stile sinodale. Questo stile si traduce anche nella vita sociale attraverso la costruzione di reti per perseguire impegni per il bene comune.

Abbiamo il desiderio di accompagnare le persone nelle sfide quotidiane, lavorando nel dialogo intergenerazionale e di prenderci cura degli ambienti di vita, quale l’università od il mondo del lavoro e delle professioni, che sono spazi in cui l’associazione è presente con i propri movimenti, che vogliamo rilanciare attraverso proposte per la formazione culturale e spirituale”.

(Tratto da Aci Stampa)

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