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Franco Patrignani: la democrazia è necessaria

Assisto, on-line, a dibattiti di esperti, accademici, giornalisti e politici e, ogni volta il tema democrazia ne esce malconcio. In genere, sinteticamente, mi sembra che si prendano due filoni, o quello ideale in cui si finisce per parlare della democrazia come sinonimo di libertà, o quello storico che parla di un sistema ‘inventato’ dagli ateniesi 300 anni prima di Cristo (che però democratico non era, in quanto escludeva le donne e gli schiavi).
E c’è chi su questo filone mette l’esperienza dei Comuni italiani ed europei dei secoli XI-XIII (dove però potevano votare solo i maschi possidenti e contribuenti) e quindi arriva alla rivoluzione americana (1776) e a quella francese del 1789. Entrambe a diritti limitati.
In tutto questo sguazzano i detrattori di vario genere che si permettono di segnalare le diverse lacune e che si vestono da difensori della democrazia, attualizzando le critiche alle esperienze storiche, per affermare che le democrazie devono garantire le presenze e l’agire di tutti i cittadini, compresi gli antidemocratici. E spesso i nemici o gli ignavi rispetto alla democrazia, da questi dibattiti, escono vincenti caramba! Ed allora, che cosa ho da dire sulla democrazia?
1 – Che è un sistema in continua evoluzione. Quindi instabile, si potrebbe dire che ha bisogno di una manutenzione continua (anche e principalmente da parte dei cittadini associati).
2 – Che non esiste un unico modello democratico, ma che ha comunque alcuni punti fermi quali: il suffragio universale, la divisione dei poteri, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (e senza distinzioni di sorta) e che ha come fondamento la solidarietà messa in pratica che fa di ogni cittadino una persona e non un individuo. (Questo valore viene spesso dimenticato, ma va ricordato che le democrazie nascono per difendersi contro i soprusi dei potenti).
Infine, sollecito l’attenzione verso tre grandi soggetti che determinano le democrazie attuali, le rendono dinamiche e permettono di ‘valutarle’. Mi riferisco all’interazione tra Stato, Mercato e Società Civile. E’ dalla dinamica del conflitto permanente di questi tre subsistemi che si afferma un sistema democratico. Ogni volta che uno dei tre grandi soggetti pensa di poter agire e decidere da solo si entra in una situazione di crisi democratica.
La stessa cosa accade quando due dei soggetti si dovessero coalizzare, escludendo il terzo. Crisi grave e gravi disastri all’orizzonte. Quindi ciascuno dei tre soggetti è chiamato a svolgere il proprio ruolo con chiarezza e fedeltà, direi, alla propria missione.
Cosa vedo oggi? Nel mondo intero, avanza un alleanza, sempre più esplicita tra Stati (governi e apparati statali) e mercati (senza confini e finanziari in particolare, liberi e indisturbati speculatori). E la società civile, dov’è? Dove sono i sindacati, le associazioni di categoria, le cooperative, il terzo settore e il volontariato? Ci sono! Eccome se ci sono! Ma non contano, non fanno parte della negoziazione, non sono soggetti di governance…
Infine: un po’ di tempo fa mi stavo convincendo che anche il capitalismo finanziario (o, perlomeno, la sua parte intelligente) si sarebbe reso conto he non poteva governare da solo. Abituato alla speculazione su qualsiasi situazione si realizzasse nei suoi dintorni si sarebbe posto il problema di trovare qualcuno che fosse in grado di ‘mediare’ verso i cittadini, la sua attitudine di rapina…
Avevo pensato (sperato?) che, pragmatico come è il capitale finanziario avrebbe cercato accordi più o meno strategici con i partiti popolari, o perfino, forse, con i sindacati. Ed avevo prefigurato, con la fantasia, nuovi livelli di negoziazione e di risultati per i lavoratori. Ma il sogno è finito bruscamente: il capitale finanziario ha, ormai i suoi interlocutori ben posizionati e non avrebbe bisogno di altri.
Trump negli USA, Milei in Argentina, in modo esplicito, e, tendenzialmente tutta la ‘nuova destra’ che appare e si afferma in Europa (Ungheria, Olanda, Italia, Austria e poi? Germania? Per scaramanzia, mi fermo qui). Un fenomeno che si registra anche qua e là per il resto del pianeta.
Concludo ricordando che nessuno dei tre interlocutori può governare da solo e che neppure due possono coalizzarsi a discapito del terzo. Quindi il nostro terzo, la società civile, ha bisogno di riorganizzarsi e di farsi sentire. Siamo disposti a darci una mano?
In caso contrario la prospettiva è veramente tragica: cresce la disoccupazione tecnologica, diminuisce la massa salariale, aumenta la distruzione dell’ambiente, si abbassano i livelli di sicurezza individuale e collettiva. E non c’è uno straccio di strategia per affrontare la crisi climatica prossima ventura, con conseguenti migrazioni mai viste.
Ma aumentano spaventosamente i profitti e la loro concentrazione, insieme alla concentrazione dei capitali. In questo modo la democrazia non appassisce… scompare.
(La materia è trattata più compiutamente nei due volumi di ‘Democrazia Necessaria, un’agenda per il cambiamento’ – Edizioni Lavoro, Roma 2024).
Papa Francesco traccia una diplomazia della speranza

“All’inizio di quest’anno, che per la Chiesa cattolica ha una particolare rilevanza, il nostro ritrovarci ha una valenza simbolica speciale, poiché il senso stesso del Giubileo è quello di “fare una sosta” dalla frenesia che contraddistingue sempre più la vita quotidiana, per rinfrancarsi e per nutrirsi di ciò che è veramente essenziale: riscoprirsi figli di Dio e in Lui fratelli, perdonare le offese, sostenere i deboli e i poveri, far riposare la terra, praticare la giustizia e ritrovare speranza. A ciò sono chiamati tutti coloro che servono il bene comune e esercitano quella forma alta di carità (forse la forma più alta di carità) che è la politica”: ha iniziato così il discorso ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede papa Francesco per gli auguri di inizio anno attraverso l’esortazione di un appello al dialogo ‘con tutti’ per spezzare le catene dell’odio.
Ricordando le nuove relazioni stabilite nello scorso anno papa Francesco ha proposto le parole del profeta Isaia, narrate dall’evangelista Luca: “…nelle parole del profeta Isaia, che il Signore Gesù fa proprie nella sinagoga di Nazareth all’inizio della sua vita pubblica, secondo il racconto tramandatoci dall’evangelista Luca, troviamo compendiato non solo il mistero del Natale da poco celebrato, ma anche quello del Giubileo che stiamo vivendo”.
Quindi ha citato alcuni avvenimenti successi nello scorso anno: “Il Cristo è venuto ‘a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore’. Purtroppo, iniziamo questo anno mentre il mondo si trova lacerato da numerosi conflitti, piccoli e grandi, più o meno noti e anche dalla ripresa di esecrabili atti di terrore, come quelli recentemente avvenuti a Magdeburgo in Germania e a New Orleans negli Stati Uniti”.
Tali eventi sono anche stati ‘enfatizzati’ dalle fake news: “Vediamo pure che in tanti Paesi ci sono sempre più contesti sociali e politici esacerbati da crescenti contrasti. Siamo di fronte a società sempre più polarizzate, nelle quali cova un generale senso di paura e di sfiducia verso il prossimo e verso il futuro. Ciò è aggravato dal continuo creare e diffondersi di fake news, che non solo distorcono la realtà dei fatti, ma finiscono per distorcere le coscienze, suscitando false percezioni della realtà e generando un clima di sospetto che fomenta l’odio, pregiudica la sicurezza delle persone e compromette la convivenza civile e la stabilità di intere nazioni. Ne sono tragiche esemplificazioni gli attentati subiti dal Presidente del Governo della Repubblica Slovacca e dal Presidente eletto degli Stati Uniti d’America”.
Ciò provoca insicurezza e di conseguenza costruzione di barriere, ricordando il muro che da 50 anni divide gli abitanti di Cipro: “Tale clima di insicurezza spinge a erigere nuove barriere e a tracciare nuovi confini, mentre altri, come quello che da oltre cinquant’anni divide l’isola di Cipro e quello che da oltre settanta taglia in due la penisola coreana, rimangono saldamente in piedi, separando famiglie e sezionando case e città. I confini moderni pretendono di essere linee di demarcazione identitarie, dove le diversità sono motivo di diffidenza, sfiducia e paura… Paradossalmente, il termine confine indica non un luogo che separa, bensì che unisce, ‘dove si finisce insieme’ (cum-finis), dove si può incontrare l’altro, conoscerlo, dialogare con lui”.
Di fronte ad una possibilità di una nuova guerra mondiale il papa ha proposto la riscoperta della relazione, come compito della democrazia: “Il mio augurio per questo nuovo anno è che il Giubileo possa rappresentare per tutti, cristiani e non, un’occasione per ripensare anche le relazioni che ci legano, come esseri umani e comunità politiche; per superare la logica dello scontro e abbracciare invece la logica dell’incontro; perché il tempo che ci attende non ci trovi vagabondi disperati, ma pellegrini di speranza, ossia persone e comunità in cammino impegnate a costruire un futuro di pace.
D’altronde, di fronte alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale, la vocazione della diplomazia è quella di favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più ‘scomodi’ o che non si riterrebbero legittimati a negoziare. E’ questa l’unica via per spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano e per disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge”.
Inoltre il papa ha messo in guardia gli Stati dal sentirsi autosufficienti: “In ogni epoca ed in ogni luogo, l’uomo è sempre stato allettato dall’idea di poter essere autosufficiente, di poter bastare a sé stesso ed essere artefice del proprio destino. Ogni qualvolta si lascia dominare da tale presunzione, si trova costretto da eventi e circostanze esterne a scoprire di essere debole e impotente, povero e bisognoso, afflitto da sciagure spirituali e materiali. In altre parole, scopre di essere misero e di avere bisogno di qualcuno che lo sollevi dalla propria miseria”.
Davanti a tale ‘sentimento’ ecco emergere la prospettiva cristiana del Natale: “Numerose sono le miserie del nostro tempo. Mai come in quest’epoca l’umanità ha sperimentato progresso, sviluppo e ricchezza e forse mai come oggi si è trovata sola e smarrita, non di rado a preferire gli animali domestici ai figli. C’è un urgente bisogno di ricevere un lieto annuncio. Un annuncio che, nella prospettiva cristiana, Dio ci offre nella notte di Natale! Tuttavia, ciascuno (anche chi non è credente) può farsi portatore di un annuncio di speranza e di verità”.
Ed ha invitato a non ‘crearsi’ verità su misura: “Alcuni diffidano delle argomentazioni razionali, ritenute strumenti nelle mani di qualche potere occulto, mentre altri ritengono di possedere in modo univoco la verità che si sono auto-costruiti, esimendosi così dal confronto e dal dialogo con chi la pensa diversamente. Gli uni e gli altri hanno la tendenza a crearsi una propria ‘verità’, tralasciando l’oggettività del vero. Queste tendenze possono essere incrementate dai moderni mezzi di comunicazione e dall’intelligenza artificiale, abusati come mezzi di manipolazione della coscienza a fini economici, politici e ideologici”.
Inoltre l’intelligenza artificiale amplifica alcune preoccupazioni: “Questo sbilanciamento minaccia di sovvertire l’ordine dei valori inerenti alla creazione di relazioni, all’educazione e alla trasmissione dei costumi sociali, mentre i genitori, i parenti più stretti e gli educatori devono rimanere i principali canali di trasmissione della cultura, a vantaggio dei quali i Governi dovrebbero limitarsi a un ruolo di supporto delle loro responsabilità formative. In quest’ottica si colloca anche l’educazione come alfabetizzazione mediatica, volta ad offrire strumenti essenziali per promuovere le capacità di pensiero critico, per dotare i giovani dei mezzi necessari alla crescita personale e alla partecipazione attiva al futuro delle loro società”.
Ecco l’invito a promuovere una ‘diplomazia’ della speranza: “Una diplomazia della speranza è perciò anzitutto una diplomazia della verità. Laddove viene a mancare il legame fra realtà, verità e conoscenza, l’umanità non è più in grado di parlarsi e di comprendersi, poiché vengono a mancare le fondamenta di un linguaggio comune, ancorato alla realtà delle cose e dunque universalmente comprensibile. Lo scopo del linguaggio è la comunicazione, che ha successo solo se le parole sono precise e se il significato dei termini è generalmente accettato. Il racconto biblico della Torre di Babele mostra che cosa succede quando ciascuno parla solo con ‘la sua’ lingua”.
E’ stato un rilancio del multilateralismo: “Comunicazione, dialogo, e impegno per il bene comune richiedono la buona fede e l’adesione a un linguaggio comune. Ciò è particolarmente importante nell’ambito diplomatico, specialmente nei contesti multilaterali. L’impatto e il successo di ogni parola, delle dichiarazioni, risoluzioni e in generale dei testi negoziati dipende da questa condizione. E’ un dato di fatto che il multilateralismo è forte ed efficace solo quando si concentra sulle questioni trattate e utilizza un linguaggio semplice, chiaro e concordato”.
Quindi il papa ha mostrato la sua preoccupazione per le strumentalizzazioni a fine ideologico: “Risulta quindi particolarmente preoccupante il tentativo di strumentalizzare i documenti multilaterali (cambiando il significato dei termini o reinterpretando unilateralmente il contenuto dei trattati sui diritti umani) per portare avanti ideologie che dividono, che calpestano i valori e la fede dei popoli. Si tratta infatti di una vera colonizzazione ideologica che, secondo programmi studiati a tavolino, tenta di sradicare le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli. Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver superato quelle che considera ‘le pagine buie della storia’, fa spazio alla cancel culture; non tollera differenze e si concentra sui diritti degli individui, trascurando i doveri nei riguardi degli altri, in particolare dei più deboli e fragili”.
Per questo il papa ha detto che l’aborto non è un diritto: “In tale contesto è inaccettabile, ad esempio, parlare di un cosiddetto ‘diritto all’aborto’ che contraddice i diritti umani, in particolare il diritto alla vita. Tutta la vita va protetta, in ogni suo momento, dal concepimento alla morte naturale, perché nessun bambino è un errore o è colpevole di esistere, così come nessun anziano o malato può essere privato di speranza e scartato”.
La proposta del papa è la diplomazia del ‘perdono’: “Una diplomazia della speranza è pure una diplomazia di perdono, capace, in un tempo pieno di conflitti aperti o latenti, di ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza, e così fasciare le piaghe dei cuori spezzati delle troppe vittime. Il mio auspicio per questo 2025 è che tutta la Comunità internazionale si adoperi anzitutto per porre fine alla guerra che da quasi tre anni insanguina la martoriata Ucraina e che ha causato un enorme numero di vittime, inclusi tanti civili. Qualche segno incoraggiante è apparso all’orizzonte, ma molto lavoro è ancora necessario per costruire le condizioni di una pace giusta e duratura e per sanare le ferite inflitte dall’aggressione”.
Ed ha ribadito l’appello alla pace in Terra Santa: “Allo stesso modo rinnovo l’appello a un cessate-il-fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, dove c’è una situazione umanitaria gravissima e ignobile, e chiedo che la popolazione palestinese riceva tutti gli aiuti necessari. Il mio auspicio è che Israeliani e Palestinesi possano ricostruire i ponti del dialogo e della fiducia reciproca, a partire dai più piccoli, affinché le generazioni a venire possano vivere fianco a fianco nei due Stati, in pace e sicurezza, e Gerusalemme sia la ‘città dell’incontro’, dove convivono in armonia e rispetto i cristiani, gli ebrei e i musulmani”.
Ma lo sguardo del papa si estende anche al Myanmar ed alla situazione in America Latina: “Il mio pensiero va in modo particolare al Myanmar, dove la popolazione soffre grandemente a causa dei continui scontri armati, che obbligano la gente a fuggire dalle proprie case e a vivere nella paura.
Duole poi constatare che permangono, specialmente nel continente americano, diversi contesti di acceso scontro politico e sociale. Penso ad Haiti, dove auspico che si possano quanto prima compiere i passi necessari per ristabilire l’ordine democratico e fermare la violenza. Penso pure al Venezuela e alla grave crisi politica in cui si dibatte. Essa potrà essere superata solo attraverso l’adesione sincera ai valori della verità, della giustizia e della libertà, attraverso il rispetto della vita, della dignità e dei diritti di ogni persona (anche di quanti sono stati arrestati in seguito alle vicende dei mesi scorsi), attraverso il rifiuto di ogni tipo di violenza e, auspicabilmente, l’avvio di negoziati in buona fede e finalizzati al bene comune del Paese.
Penso alla Bolivia, che sta attraversando una preoccupante situazione politica, sociale ed economica; come pure alla Colombia, dove confido che con l’aiuto di tutti si possa superare la molteplicità dei conflitti che hanno lacerato il Paese da troppo tempo. Penso, infine, al Nicaragua, dove la Santa Sede, che è sempre disponibile a un dialogo rispettoso e costruttivo, segue con preoccupazione le misure adottate nei confronti di persone e istituzioni della Chiesa e auspica che la libertà religiosa e gli altri diritti fondamentali siano adeguatamente garantiti a tutti”.
E la pace è garantita anche con la libertà religiosa: “Effettivamente non c’è vera pace se non viene garantita anche la libertà religiosa, che implica il rispetto della coscienza dei singoli e la possibilità di manifestare pubblicamente la propria fede e l’appartenenza ad una comunità. In tal senso preoccupano molto le crescenti espressioni di antisemitismo, che condanno fortemente e che interessano un sempre maggior numero di comunità ebraiche nel mondo.
Libertà religiosa messa a rischio nel Medio Oriente: “I cristiani possono e vogliono contribuire attivamente all’edificazione delle società in cui vivono. Anche laddove non sono maggioranza nella società, essi sono cittadini a pieno titolo, specialmente in quelle terre in cui abitano da tempo immemorabile. Mi riferisco in modo particolare alla Siria, che dopo anni di guerra e devastazione, sembra stia percorrendo una via di stabilità. Auspico che l’integrità territoriale, l’unità del popolo siriano e le necessarie riforme costituzionali non siano compromesse da nessuno, e che la Comunità internazionale aiuti la Siria ad essere terra di convivenza pacifica dove tutti i siriani, inclusa la componente cristiana, possano sentirsi pienamente cittadini e partecipare al bene comune di quella cara Nazione.
Parimenti penso all’amato Libano, auspicando che il Paese, con l’aiuto determinante della componente cristiana, possa avere la necessaria stabilità istituzionale per affrontare la grave situazione economica e sociale, ricostruire il sud del Paese colpito dalla guerra e implementare pienamente la Costituzione e gli Accordi di Taif. Tutti i libanesi lavorino affinché il volto del Paese dei Cedri non sia mai sfigurato dalla divisione, ma risplenda sempre per il ‘vivere insieme’ e il Libano rimanga un Paese-messaggio di coesistenza e di pace”.
Quindi c’è bisogno di una diplomazia di libertà, capace di liberare dalle ‘tossicodipendenze’, come ha contribuito il cristianesimo: “In pari tempo, occorre prendersi cura delle vittime di questi traffici, che sono i migranti stessi, costretti a percorrere a piedi migliaia di chilometri in America centrale come nel deserto del Sahara, o ad attraversare il mare Mediterraneo o il canale della Manica in imbarcazioni di fortuna sovraffollate, per poi finire respinti o trovarsi clandestini in una terra straniera. Dimentichiamo facilmente che ci troviamo davanti a persone che occorre accogliere, proteggere, promuovere e integrare…
Si considerano le persone in movimento solo come un problema da gestire. Esse non possono venire assimilate a oggetti da collocare, ma hanno una dignità e risorse da offrire agli altri; hanno i loro vissuti, bisogni, paure, aspirazioni, sogni, capacità, talenti. Solo in questa prospettiva si potranno fare passi avanti per affrontare un fenomeno che richiede un apporto congiunto da parte di tutti i Paesi, anche attraverso la creazione di percorsi regolari sicuri”.
E nell’appello finale il papa ha chiesto la liberazione dei prigionieri e l’eliminazione della pena di morte: “La diplomazia della speranza è infine una diplomazia di giustizia, senza la quale non può esservi pace. L’anno giubilare è un tempo favorevole per praticare la giustizia, per rimettere i debiti e commutare le pene dei prigionieri. Non vi è però debito che consenta ad alcuno, compreso lo Stato, di esigere la vita di un altro. Al riguardo, reitero il mio appello perché la pena di morte sia eliminata in tutte le Nazioni, poiché essa non trova oggi giustificazione alcuna tra gli strumenti atti a riparare la giustizia”.
(Foto: Santa Sede)
Dalle Acli un invito a costruire speranza

Emiliano Manfredonia, Presidente uscente, è risultato il primo eletto con il 95% dei voti dopo la mattinata di votazioni del 27° Congresso nazionale delle Acli che si è svolto a Roma dal 29 novembre al 1^ dicembre: “Vi ringrazio per la fiducia e il rinnovo di questa fiducia, che prima di tutto è un premio per la presidenza uscente, per come ha lavorato e si è messa in discussione… Vorrei che le ACLI continuassero a essere un patrimonio che non solo ereditiamo, ma che costruiamo insieme, guardando al futuro e non lasciando sole le persone. In questi tre giorni abbiamo confermato la nostra missione: costruire speranza e fiducia, con lo stesso spirito di Maria che ha detto il suo Eccomi”.
La giornata conclusiva del Congresso è stata aperta dalla celebrazione eucaristica presieduta dal card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi: “Voi ACLI siete un insieme di associazioni multiformi e inquiete. Dio ha fatto promesse di bene per il suo popolo, e ora sta per realizzarle. Non possiamo permetterci di vedere tutto nero. Stare da credenti nella storia oggi significa guardare l’umanità con lo stesso sguardo positivo di Dio”.
Un altro momento centrale è stato l’intervento di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera: “Non si possono fare politiche senza ascoltare le fatiche e le speranze delle persone. Dobbiamo lottare contro la criminalizzazione della povertà e promuovere politiche sociali e ambientali al servizio delle persone. Le ACLI sono un segno di speranza, e insieme possiamo costruire una società più giusta e solidale”.
Simone Romagnoli, riconfermato coordinatore nazionale Giovani delle ACLI, ha presentato la mozione ‘Youth Policy’, approvata durante i lavori congressuali: “Crediamo che i giovani non debbano essere solo ‘dei giovani delle ACLI’, ma protagonisti dentro le ACLI”.
In apertura dei lavori congressuali il presidente uscente, Emiliano Manfredonia, aveva tracciato il bilancio del percorso associativo e delineato le prossime sfide, invitando a non arrendersi al ‘crepuscolo di una società divisa: “Siamo tornati in piazza insieme ad altri per fermare le guerre e i diversi assalti alla Costituzione e ai diritti, per chiedere ‘Pace, lavoro e dignità’. Ma essere movimento educativo che non ha paura di prendere posizione è qualcosa di più.
Negli ultimi decenni il progressivo abituarsi delle democrazie alla guerra, all’esplosione delle diseguaglianze e all’ingiustizia ambientale ha finito per erodere la stessa democrazia. Sempre più in difficoltà ad affermare una società in cui ci sia posto per tutti, dove il ‘salvarsi insieme’ prevalga sulla competizione assoluta e ovunque, la democrazia ha lasciato crescere il potere di nuove od antiche aristocrazie finanziarie e politiche. Ma se la democrazia declina verso l’aristocrazia parte importante della società, sempre più frammentata in tanti ‘io’, finisce per preferirle nuovi autoritarismi che propagandano di poter salvare se stessi contro gli altri”.
E’ stato un invito per ripartire dalla ‘strada’: “Riscoprirci movimento ha significato, prima di tutto, cercare di essere per strada, luogo di incontro, cura e relazioni a partire dalla presenza dei nostri circoli, associazioni e servizi, progetti in Italia e in tante comunità all’estero; la strada crocevia di molteplici forme di povertà, economica, lavorativa, educativa, sanitaria e relazionale, da affrontare con un approccio integrato, nonché a fianco delle vittime e di chi migra o è perseguitato, come Ipsia”.
Ma questa ripartenza avviene attraverso l’ascolto: “Ma non basta ‘esserci’, è necessario trasformare questa presenza in ascolto: una parola, un gesto, una postura da coltivare con attenzione. L’ascolto è il primo atto dell’azione politica, come ha ricordato il Presidente Mattarella: ‘La democrazia non può esistere senza la capacità di ascoltare’. Il nostro ascolto si realizza lungo due dimensioni, sempre riconoscendo la centralità della persona”.
E’ stato un invito ad uscire per stare nelle piazze: “La piazza è il nostro cercare di essere esperienza di pensiero e discernimento, che alimenta formazione e apprendimento sui problemi individuati, sul welfare, sulle famiglie, sulle crescenti disparità, sul lavoro, sull’immigrazione, sull’ambiente e gli stili di vita. La piazza sono le città nelle e con le quali abbiamo animato i nostri Incontri nazionali di studi, sono le occasioni di pensiero (come il lavoro sull’Intelligenza artificiale) sono l’antifascismo e i cammini della memoria. Per non perdere la bussola e orientarsi in questi tempi disorientati”.
Stare nella piazza per combattere le ingiustizie: “In piazza sosteniamo con forza che la discriminazione femminile è una palese ingiustizia. Superare tale discriminazione non riguarda solo l’equità, ma il riconoscimento del valore intrinseco delle donne.
Gli uomini possono contribuire a tale vantaggioso cambiamento, sfidando le norme di genere, sostenendo politiche inclusive e promuovendo un mutamento culturale e formativo. La piazza è simbolo del fare rete e allearsi. Tra la strada e la piazza siamo parte dei percorsi della Chiesa in uscita nelle pastorali delle diocesi, a partire da quella sociale e del lavoro e dal Progetto Policoro”.
Però occorre stare nella piazza con uno stile cristiano: “Abbiamo provato a rileggere il nostro mandato associativo e la nostra realtà attraverso la lente interpretativa dei cinque stili che papa Francesco ci ha consegnato nell’Udienza del 1° giugno e che hanno illuminato il nostro sguardo, rendendolo più limpido e armonico, disincantato e responsabile. I cinque stili delle Acli, popolare, sinodale, democratico, pacifico e cristiano, rappresentano anche il criterio di valutazione dell’impatto sociale e l’orizzonte programmatico per il futuro.
Nella rilettura del noi associativo abbiamo riscontrato il nostro essere e sentirsi parte del popolo. E se la vera essenza del popolo risiede nella solidarietà e nel senso di appartenenza, allora possiamo dire di averla riconosciuta innanzitutto nei valori e nella saggezza di tanta gente semplice, nel passaggio dall’io al noi associativo, nelle porte aperte dei nostri circoli e servizi, in particolare durante la pandemia, elaborando insieme progetti di bene comune”.
Ed ecco la centralità della Parola di Dio: “Logos è la parola che, a fondamento del Vangelo e del nostro stile cristiano, indica quali sono le ragioni profonde che sottendono alla fede applicabili anche alla vita. In questo caso, senza presunzione, ad un incarico di presidenza lungo quasi 4 anni. Quindi, partiamo da qui: da alcune domande fondative (perché? per chi? come?) e da qualche prima imperfetta risposta molto personale.
Non si tratta di un resoconto esaustivo quanto piuttosto del racconto di alcune scelte di fondo che hanno poi generato azioni, contenuti ed oggetti. Uno stile operativo e collaborativo che ha caratterizzato questi anni di lavoro perché tutto ciò che è stato realizzato è frutto del lavoro di molte persone, dirigenti, lavoratori, collaboratori, volontari: grazie a ognuna ed ognuno con tutto il cuore!”
(Foto: Acli)
Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’

“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.
A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.
Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.
In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?
“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.
Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?
“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.
Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?
“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.
Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?
“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.
L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?
“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
Alcide De Gasperi: un profeta non moderato

“A settant’anni dalla sua morte, la Repubblica rende omaggio ad Alcide De Gasperi, uno dei suoi Padri fondatori, onorandone lo straordinario contributo alla causa della libertà, alla costruzione della democrazia e di un ordine internazionale pacifico e più giusto”: lo ha dichiarato in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 70^ anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi.
Nel messaggio il presidente della Repubblica italiana ha sottolineato la sua fermezza negli ideali: “Pagò con la carcerazione la sua opposizione nei confronti dell’affermazione del regime fascista, e non rinunciò mai a perseguire quegli ideali volti a pervenire a un ordinamento statale basato sul rispetto delle libertà fondamentali che lo portarono in seguito ad essere riconosciuto come ricostruttore della Patria”.
Ideali corroborati dalla sua abilità di statista: “Le sue abilità di statista si rivelarono impareggiabili all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, dove in seno a complessi negoziati internazionali, seppe raggiungere equilibri che affermarono nuovamente la dignità dell’Italia gravemente compromessa dalla dittatura, con l’attenuazione delle conseguenze di trattati imposti a una Nazione i cui destini il fascismo aveva voluto unire a quelli del Terzo Reich nazista”.
E nella lectio degasperiana tenuta a Pieve Tesino, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, ha sottolineato che De Gasperi guidò l’Italia verso una nuova stagione della democrazia: “La sua grandezza non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza.
Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo, senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la Prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni”.
Ha sottolineato il valore della sua profezia non ‘moderata’: “Come tutti i profeti, non era un moderato. Senza mai tirarsi indietro nelle battaglie elettorali, ha contribuito a riscattare la politica dai suoi aspetti più materiali e duri. Voleva fornirle un’anima, fare in modo che avesse sentimenti e principi. Ha praticato l’arte di comporre le differenze in modo tale che esse non diventassero opposizioni preconcette, ma si integrassero in quell’amicizia politica che è l’anima della democrazia. Non si trattò di una concordia oltre la discordia, ma di una concordia nella discordia. Sapeva che sarebbe venuto il tempo delle scelte di campo”.
La sua profezia non è ‘idealistica’: “Ha delle caratteristiche peculiari e memorabili. Basterebbe riprendere le sue pagine contro l’idealismo astratto della politica e contro le manipolazioni della sofferenza e della disperazione dei poveri. Con la medesima forza, anche all’interno del suo partito ha combattuto ogni forma di messianismo e ogni pulsione utopistica. Non amava le cosiddette terze vie: sapeva che cosa significhi operare dentro e non contro la storia.
Era consapevole che il destino dell’Italia solo in minima parte è nelle mani dei suoi governanti. Conosceva bene, fin dai tempi in cui da giovane giornalista scriveva di politica estera, le dinamiche delle alleanze. Non le subiva come limitazioni, ma anzi le valutava come opportunità. Era davvero entrato nello spirito europeo. Lo guidava un acuto senso della realtà e della fragilità umana. Sapeva che non c’era futuro per chi inganna le masse”.
Ed ha concluso la ‘lectio con un discorso che Alcide De Gasperi tenne a Bruxelles nel 1948: “In democrazia non bisogna scoraggiarsi: lo scoraggiamento è il pericolo principale delle democrazie. Non occorrono mezzi artificiosi, promesse mirabolanti, per infondere coraggio, questi sono mezzi degli assolutismi. Basta la coscienza profonda e la certezza di attuare il proprio proposito. La pazienza è la virtù dei riformatori; riformare vuol dire superare il passato e la pazienza è virtù dei forti, virtù di chi ha fede, di chi ha coscienza dei problemi e li segue con tutta l’attenzione”.
Per non dimenticare Marcinelle

“Da ventitré anni la data del disastro minerario di Marcinelle del 1956 ha dato vita alla Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo. La portata della tragedia che sessantotto anni fa sconvolse 262 famiglie (di cui 136 italiane) le ha fatto assumere una fortissima carica simbolica. Quanto accadde al Bois du Cazier è dunque un richiamo alla memoria del sacrificio di tutti lavoratori italiani deceduti all’estero nello svolgimento delle proprie attività professionali e a quanti hanno recato il contributo della propria industriosità a Paesi anche lontani”.
Con un messaggio il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha ricordato il 68° anniversario della tragedia di Marcinelle, in Belgio, in occasione della 23ª Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, sottolineando il connubio tra democrazia e lavoro:
“Fin dal suo primo articolo la Costituzione della Repubblica stabilisce un vincolo ideale inscindibile tra democrazia e lavoro. Il pieno rispetto della dignità dei lavoratori ne è un principio fondamentale, affermato anche al livello internazionale; un obiettivo che, tuttavia, non è stato ancora pienamente raggiunto. Svolgere la propria attività lavorativa in sicurezza è la prima elementare condizione”.
Rinnovando la solidarietà a chi ha perso amici e familiari per lavoro il presidente della Repubblica italiana ha sottolineato la necessità di promuovere la dignità del lavoro: “Marcinelle e le altre tragedie che hanno coinvolto migranti italiani nei cinque continenti costituiscono ancora oggi un monito ineludibile a promuovere la dignità del lavoro, valore irrinunciabile della identità della nostra comunità”.
Anche il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) ha rinnovato la vicinanza alle famiglie dei discendenti dei 262 lavoratori europei, di cui 136 italiani, definendo ciò che è accaduto a Marcinelle l’8 agosto 1956 un ‘disastro’, che è diventato simbolo di tutte le morti sul lavoro:
“In questo senso, il Bois du Cazier oggi più che mai simboleggia anche l’importanza della dignità del lavoro e della necessità di garantirne la sicurezza. La memoria di quella tragedia deve inoltre servire a formare la consapevolezza negli italiani in patria del grande contributo fornito al Paese, ieri come oggi, dalla nostra diaspora”.
Inoltre, grazie ad un’iniziativa del consigliere del CGIE Vincenzo Arcobelli, con il patrocinio del Consiglio Generale degli italiani all’estero e con il supporto del Consolato Generale d’Italia a Filadelfia e di CTIM, NIAF, Sons of Italy, città di Monongah, in questo giorno si è celebrato a Monongah, negli USA, anche il ricordo della più grave tragedia che ha colpito gli emigrati italiani:
il 6 dicembre 1907, infatti, nella catastrofe mineraria di quella località del West Virginia perirono 361 lavoratori, di cui 171 italiani (secondo una stima per difetto poiché non fu possibile recuperare tutti i corpi). Nel 2007 il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero partecipò ufficialmente, con la vicesegretaria generale Silvana Mangione, il viceministro agli Affari esteri Franco Danieli e l’ambasciatore d’Italia in USA Giovanni Castellaneta, alla commemorazione del centenario della disgrazia, nel cimitero appositamente riordinato con l’aiuto di molti volontari, per inaugurare un cippo con i nomi dei caduti di ogni nazionalità.
Inoltre nel pomeriggio è stato presentato a Charleroi, in Belgio, il libro della prof.ssa Maria Laura Franciosi, ‘Per un sacco di carbone’, che racconta attraverso interviste la tragedia alla miniera Bois du Cazier, a Marcinelle: “Un evento che non possiamo permetterci di lasciare nel dimenticatoio: la tutela del lavoro e dei lavoratori è purtroppo ancora un tema di scottante attualità”.
A distanza di anni dall’incidente, l’autrice ha intervistato i sopravvissuti e le loro famiglie, ma anche tanti altri minatori emigrati in seguito all’accordo uomo-carbone con l’Italia, e confeziona un volume che parla di miniere e lavoro, di sacrificio, amore, integrazione, razzismo, malattia, speranze, passato e presente.
Le vicende narrate nel libro si intrecciano a più riprese con la storia delle ACLI, le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani che, prima e dopo la tragedia, sono state sempre al fianco degli italiani emigrati, sostenendoli in ogni aspetto della vita professionale e quotidiana.
L’Italia, in quegli anni, stava rialzandosi dai crimini e dai disastri del fascismo e dalle immani distruzioni della Seconda guerra mondiale. Per far ripartire l’industria e per sopperire alla dilagante disoccupazione, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica, il 26 giugno del 1946, l’allora Governo di unità nazionale guidato da Alcide De Gasperi, stipulò un accordo bilaterale con il Belgio nei seguenti termini:
manodopera, in cambio di carbone. Fu concordata formalmente con il Belgio l’assunzione di migliaia di lavoratori italiani nelle miniere della Vallonia francofona e del Limburgo germanofono, al fine di assicurare all’Italia un’importante fornitura di carbone ‘proporzionale al numero di minatori inviati’, indispensabile per alimentare il fabbisogno della nascente industria italiana.
Il Presidente della Repubblica richiama la libertà di stampa

Nei giorni scorsi si è svolta al Quirinale la cerimonia di consegna del ‘Ventaglio’ da parte del presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Adalberto Signore, al presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, che ha rivolto un appello agli italiani e alla responsabilità di chiunque abbia ruoli nella politica e nelle istituzioni sul rispetto della libertà di opinione, di informazione, di critica: ‘Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news , è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica’.
Infatti il Presidente della Repubblica ha ribadito la massima vigilanza sul rispetto dei principi della Costituzione Italiana da parte dei cittadini, del governo e delle forze politiche per il diritto dei cittadini ad essere informati ed il diritto-dovere dei giornalisti ad informare seriamente contro il rischio delle fake news, come sottolinea l’articolo 21 della Carta costituzionale, ribadendo la necessità della libertà di informazione:
“Nella società dell’informazione globale è del tutto superfluo richiamare l’importanza che l’informazione riveste per il funzionamento della democrazia, per un’efficace tutela del sistema delle libertà. La democrazia, infatti è, anzitutto, conoscenza. E’ contesto nel quale avviene il confronto fra le idee e si esercita il diritto a manifestarle e testimoniarle. Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e di realtà. Si affianca, in democrazia, anche il diritto a essere informati, in maniera corretta. Informazione, cioè, come anticorpo contro le adulterazioni della realtà”.
Richiamando la legge ‘Gonella’, che nel 1963 istituì l’ordine dei giornalisti, ha richiamato alle responsabilità di ciascuno: “Operare contro le adulterazioni della realtà costituisce una responsabilità, e un dovere, affidati anzitutto ai giornalisti… Va sempre rammentato che i giornalisti si trovano a esercitare una funzione di carattere costituzionale che si collega all’art.21 della Carta fondamentale, con un ruolo democratico decisivo. Si vanno, negli ultimi tempi, infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Come anche a Torino, nei giorni scorsi. Documentazione di quel che avviene, senza obbligo di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati”.
Citando Tocqueville (‘democrazia è il potere di un popolo informato’) ha sottolineato che la limitazione dell’informazione è ‘atto eversivo’: “Ecco perché ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica. Garanzia di democrazia è, naturalmente, il pluralismo dell’informazione. A questo valore le istituzioni della Repubblica devono rivolgere la massima attenzione e sostegno”.
Per questo ha citato l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, del regolamento sulla libertà dei media, che entrerà in vigore il prossimo 8 novembre: “In sintesi: promozione del pluralismo e dell’indipendenza dei media in tutta l’Unione, con protezione dei giornalisti e delle loro fonti da ingerenze politiche; pubblicità sui fondi statali destinati a media o a piattaforme; garanzia del diritto dei cittadini alla gratuità e pubblicità delle informazioni; indipendenza editoriale dei media pubblici; protezione della libertà dei media dalle grandi piattaforme; istituzione di un nuovo Comitato europeo per i servizi di media per promuovere una applicazione coerente di queste norme. Come si vede, un cantiere e un percorso impegnativo per l’Unione e per gli Stati membri, coscienti del valore che questo tema riveste per la libertà del nostro continente”.
Riprendendo il tema sulla guerra in Ucraina il presidente Mattarella ha richiamato all’invasione della Cecoslovacchia da parte di Hitler: “Uno dei momenti, che fa più riflettere (anche oggi) sugli errori gravidi di conseguenze, si identifica con le parole che Neville Chamberlain, Primo Ministro britannico, pronunziò, a Londra, al ritorno dalla conferenza di Monaco nel 1938: ‘Sono tornato dalla Germania con la pace per il nostro tempo’.
Come tutti ricordiamo, Hitler pretendeva di annettere al Reich la parte della Cecoslovacchia che confinava con la Germania (i Sudeti) dove viveva anche una minoranza di lingua tedesca. La Cecoslovacchia, che aveva fortificato quel confine temendo aggressioni, ovviamente rifiutava.
Le cosiddette potenze europee del tempo (Gran Bretagna, Francia, Italia) anziché difendere il diritto internazionale e sostenere la Cecoslovacchia, a Monaco, senza neppure consultarla, diedero a Hitler via libera. La Germania nazista occupò i Sudeti.
Dopo neppure sei mesi occupò l’intera Cecoslovacchia. E, visto che il gioco non incontrava ostacoli, dopo altri sei mesi provò con la Polonia (previo accordo con Stalin). Ma, a quel punto, scoppiò la tragedia dei tanti anni della Seconda guerra mondiale. Che, verosimilmente, non sarebbe scoppiata senza quel cedimento per i Sudeti”.
Ritornando agli episodi attuali di violenza il presidente Mattarella ha richiamato gli attentati degli ultimi mesi ad alcuni politici: “E’ fondamentale e doveroso ribadire la condanna ferma ed intransigente nei confronti di questa drammatica deriva di violenza contro esponenti politici di schieramenti avversi trasformati in nemici. Occorre adoperarsi sul piano culturale contro la pretesa di elevare l’odio a ingrediente, a elemento legittimo della vita: una spinta a retrocedere nell’inciviltà”.
Contro tale violenza, manifestatasi anche con un aumento dell’intolleranza religiosa e razziale, il presidente Mattarella ha invitato a diffidare degli ‘apprendisti stregoni’, che alimentano paure: “Vi sono molte persone che vivono in uno stato di tensione di fronte ai grandi cambiamenti in corso sempre più velocemente. Come ben sappiamo, registriamo condizioni nuove: di vita quotidiana, di modelli sociali, di lavoro, di formule di lavoro, di strumenti di cui avvalersi, di prospettive…
Tutto questo genera, forse comprensibilmente, allarme in tanti, che si sentono disorientati, forse indifesi. E che rischiano di cadere nella rete ingannevole di chi fa credere che la soluzione sia semplice: tornare a un’epoca dorata che non c’è più (se pur mai c’è stata). E che non ci sarà più. Perché la storia cammina, i cambiamenti non si possono fermare, il tempo non torna indietro”.
Ed ha concluso il discorso intervenendo sulla situazione delle carceri: “Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, Non va trasformato, in questo modo, in palestra criminale. Vi sono, in atto, alcune, proficue e importanti, attività di recupero attraverso il lavoro. Dimostrano che, in molti casi, è possibile un diverso modello carcerario. E’ un dovere perseguirlo. Subito, ovunque”.
(Foto: Quirinale)