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Settimana Sociale: la democrazia cresce con la partecipazione

Anche oggi sono proseguiti a Trieste i lavori della Settimana Sociale sul tema ‘Al cuore della democrazia’, declinati sulla partecipazione e sulla collaborazione con le relazioni del prof. Filippo Pizzolato, giurista dell’Università di Padova e della Cattolica di Milano, e della prof.ssa Mara Gorli, docente di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha rilevato che “il ‘noi’ è una relazione che si ciba della grande ricchezza costitutiva delle relazioni. Ma facciamo attenzione all’idea di un noi sociale armonico, pacifico, dove ciascuno trova il proprio posto e da lì può gestire il bene comune. E dobbiamo avere in mente che nelle relazioni noi ci mettiamo tensioni, interazioni e solitudini”.

Ed ha detto di prestare attenzione a due rischi: “L’ ‘io’ che si mangia il ‘noi’ ed il ‘noi’ che si mangia l’ ‘io’… E’ una bella tensione che ci mette in scacco: da un lato c’è la tendenza a fare, a concentrarsi su milioni di attività e progetti, lottiamo contro il tempo riempiendo l’agenda; dall’altro c’è la spinta a mollare tutto, con depressioni, dipendenze. E rispetto a questa doppia tensione dobbiamo trovare un equilibrio”.

Quindi per la docente occorre “rifondare un immaginario del ‘noi’, avendo a cuore nuove capacità responsive, sapendo che il gruppo può sostenere la forza di tanti ma può anche imprigionare, imbrigliare, affaticare le persone per la mancanza di respiro”.

Mentre il prof. Pizzolato ha parlato di una democrazia trasformativa: “La Costituzione ci porta al cuore della democrazia: fonda la Repubblica sul lavoro, non sul voto. Al cuore della democrazia c’è la partecipazione quotidiana dei cittadini alla costruzione della società. Quindi la Costituzione è garanzia della sovranità del popolo”.

Inoltre ha sottolineato la necessità di ‘promuovere la partecipazione, che è il fine personalista della Costituzione’, citando gli articoli 3 e 5 della Carta costituzionale, che insistono sulla partecipazione democratica: “La partecipazione ha bisogno del rapporto con le istituzioni per la sua efficacia trasformativa” ed ha bisogno della sussidiarietà; sul ruolo dei ‘cittadini che fanno la loro parte prendendosi cura del bene comune’: “Il rapporto tra cittadini e politica è fortemente malato, i leader politici vogliono ‘catturare il consenso’ mentre alcuni di loro diffondono semi di discordia nella società”.

In apertura di giornata la prof.ssa Isabella Guanzini, docente di teologia fondamentale all’Università di Graz, ha introdotto la riflessione biblica: “Nel cuore della democrazia batte una fiducia di base in una parola dello Spirito che può anche venire da altrove, e che esige la volontà di rinunciare a qualcosa per il bene del popolo… Nella democrazia batte un cuore che non è solo di governo, ma è l’effetto del desiderio di una forma di presenza nello spazio pubblico, di ripresa della parola in uno spazio in cui si sa di essere ascoltati e rispettati”.

A questo punto è bene riprendere il discorso sulla partecipazione democratica, pronunciato nella giornata inaugurale dalla vicepresidente del Comitato Scientifico ella Settimana Sociale, prof.ssa Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano: “La partecipazione accade, spontanea, come fosse una reazione chimica, quando si riesce a superare il confronto faticoso e dogmatico, o a superare la tentazione di pensare che il dialogo non serva a nulla; quando cominciamo a fidarci gli uni degli altri superando le diffidenze reciproche, riconoscendo senza timore conflitti e posizioni antagoniste, superando le paure e le ansie.

Accade quando l’ambiente improvvisamente si scalda e si accende un confronto che non è solo mentale o intellettuale, ma anche fisico, fatto di empatia, fatto di calore umano. La partecipazione accade, spontanea, dopo ogni alluvione, dopo ogni catastrofe, quando vediamo le persone unirsi in nome di una comune rinascita. Abbiamo negli occhi le immagini della Valle d’Aosta…”.

E ricordando le storie di Adriano Olivetti, Maria Montessori e Maria Montessori, ha ribadito che la democrazia è chiamata a diventare ‘luogo’ fisico per incontrarsi: “Ed infine, la partecipazione ha un legame ineludibile con i luoghi. Senza luoghi veri, reali, senza quello spazio-tra-le-case, senza i paesi o i quartieri, senza quelle piazze dove le persone si incrociano, la comunità non comunica, e si trasforma in una semplice, passiva spettatrice.

La democrazia è tale se ‘si fa luogo’, se si incarna nelle storie locali, che poi diventano domande, servizi e istituzioni per tutti. E’ questa la storia di Maria Montessori, di Adriano Olivetti, di Franco Basaglia, di Danilo Dolci, per ricordare solo qualcuno tra i grandi. E’ nei luoghi che abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia; è nei luoghi che dobbiamo trovare le soluzioni alla sfida energetica, attivando comunità capaci di collaborare per la produzione e la condivisione dell’energia; è nei luoghi che torna centrale la produzione alimentare (che significa anche cura della terra e del paesaggio); è nei luoghi che affrontiamo la sfida climatica, promuovendo azioni concrete di mitigazione ambientale, di contenimento degli effetti della siccità e delle inondazioni. Ed è quindi, ancora nei luoghi che possiamo ricostruire le condizioni della partecipazione popolare e del confronto, come elemento di salute del corpo sociale”.

Da Trieste i cattolici rendono viva la democrazia

“Il tema della settimana è ‘Al cuore della democrazia’ e la riflessione che mi è stata affidata ha per titolo ‘Amare la democrazia nelle sfide del presente’. Un po’ come dire: ‘se vogliamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere la democrazia nel cuore’. Se siamo qui, la abbiamo”: con queste parole, dopo la giornata inaugurale, il prof. Michele Nicoletti, docente di filosofia della politica all’Università di Trento, ha introdotto i partecipanti al tema della Settimana sociale, in svolgimento a Trieste.

Nella riflessione il relatore ha richiamato ‘le principali sfide che il tempo presente lancia alla democrazia’: “Dallo stato di salute delle democrazie nel mondo emergono elementi di preoccupazione. Se dobbiamo paragonare il momento presente a quello della fine del secolo e del millennio scorso, è facile notare la differenza, soprattutto in termini di ‘aspettative’ nei confronti della democrazia.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il successo della democrazia come forma di governo pareva affermarsi in ogni continente… Oggi, il numero delle democrazie nel mondo tende a decrescere e anche là dove i regimi rimangono formalmente democratici la loro sostanza e la loro qualità democratica pare indebolirsi. E soprattutto diminuisce il favore di cui la democrazia sembrava godere. Insomma la democrazia pare in affanno, sfidata da più parti”.

Quindi ha spiegato il motivo per cui è necessario ‘amare’ la democrazia: “Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sarebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. E’ l’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di proprietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo se stesso, ma tutto l’essere”.

Quindi la democrazia non risponde solo all’efficienza della produzione: “Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’efficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la democrazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità”.

La democrazia è nata dalla filosofia greca, ma anche dalla libertà insita nel cristianesimo: “Quanto c’è qui dell’orgoglio greco della libertà? Ma quanto c’è qui della libertà cristiana! Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza possono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal ‘sì’ libero di Maria. Pensate politicamente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sì di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita (a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio) richiede il rispetto della libertà”.

Perciò occorre amare la democrazia in quanto riconosce la libertà a tutti: “Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa libertà a ogni essere umano e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono liberi ed uguali. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi”.

La democrazia è ‘frutto’ di una lotta durata secoli, sovvertendo le abitudini sociali: “Per secoli era considerato naturale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità dove ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. E’ il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. E’ il frutto di innumerevoli lotte e sacrifici. Va rifatta.

Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. E’ di nuovo l’amore a indicarci la strada”.

Però oggi il compito è quello di dare nuova linfa alla democrazia: “Se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria identità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo. La gente si sente insicura, dunque il nostro compito è proteggerla.

Nessuno nega la necessità di proteggere i più deboli dal prevalere della violenza e dello sfruttamento, ma la ricostruzione del soggetto democratico si basa su un movimento opposto, ossia il rafforzamento del proprio potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere… Qui, inutile dirlo, c’è un immenso lavoro educativo da svolgere”.

E la democrazia si difende non prevaricando i diritti delle persone, secondo il pensiero rosminiano: “Dentro questa gelosa custodia della dimensione di mistero di ogni persona, si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Questo rapporto tra diritto e persona è stato espresso da Rosmini in modo lapidario. La persona non ha diritti ma è il diritto umano sussistente. La nostra passione per i diritti non è una passione per i principi astratti ma per le persone in carne ed ossa. Per questo i diritti fondamentali sono unici e indivisibili. I diritti civili e i diritti sociali sono parte di un’unica realtà”.

Quindi occorre non soffocare le comunità locali: “La tradizione dei cattolici italiani è stata una grandissima tradizione di attenzione e impegno nelle comunità locali. Non sempre gli interventi recenti del legislatore hanno saputo valorizzare la ricchezza di questa dimensione, ma rimangono ancora straordinari spazi di partecipazione e impegno”.

E’ necessario, in fin dei conti, la struttura della democrazia: “Bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione di capi. E’ anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti”.

La democrazia deve poi accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che “proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse o anche di realtà naturali che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione”.

Ed ha rilanciato la proposta del card. Zuppi a dare ‘vita’ ad una ‘Camaldoli’ europea: “Dobbiamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla comprensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra tra gli Stati e che sono così influenti sulla nostra vita personale e collettiva. Le Chiese non possono sottrarsi a questa responsabilità. Sono tra le poche organizzazioni che hanno una storia secolare di lavoro internazionale. L’appello del card. Zuppi a una Camaldoli europea deve essere immediatamente raccolto. C’è bisogno di nuove generazioni di credenti europei innamorati della democrazia che imparino a lavorare assieme fin da giovani studenti”.

Insomma è necessario un ethos democratico: “Le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos democratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla coscienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori economici e dei rapporti di forza nella vita collettiva. E questo ethos della democrazia deve nutrirsi di determinazione non solo nella difesa delle proprie idee e dei propri valori, ma anche nella difesa appassionata della possibilità per tutti di battersi pacificamente per le proprie idee. Il bene comune è anche questa cornice di principi e di ordinamenti che consentono la libertà di tutti”.

Mentre la docente di filosofia teoretica all’università di Bari, prof.ssa Annalisa Caputo, ha evidenziato ciò che nel 2010 affermava il card. Bergoglio: “Non possono esistere invisibili in un tessuto democratico. Se ciò che desideriamo nelle istituzioni è la giustizia e se ciò che desideriamo nella democrazia è l’universalizzazione di questa giustizia, non possiamo non desiderare la partecipazione di tutti. Si tratta di quella che Bergoglio già nel 2010 chiamava una ‘democrazia ad alta intensità’. Ogni filo che manca è un buco nel tessuto ecclesiale e sociale”.

Ed ecco il motivo dell’importanza dell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Non saremo mai ‘Fratelli tutti’ fino a quando ogni Stato e ogni popolo che è abituato a riconoscersi in una sola storia non farà posto a più storie. Lo vediamo per Palestina e Israele che non riescono ad ascoltare vicendevolmente i propri racconti storici, ma vale anche per la nostra storia’… L’Italia è anche il racconto che gli altri fanno di noi, dai grandi del G7 ai ‘poveracci’ che vorrebbero venire sul nostro territorio o abitarlo umanamente”.

Quindi la democrazia deve ‘ripartire’ proprio dall’ascolto degli ‘ultimi’: “Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può non ripartire proprio da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni, ma l’effettiva possibilità di prendere parte alla costruzione della casa comune”.

Mentre nella riflessione biblica iniziale fratel Sabino Chialà, priore della Comunità di Bose, ha evidenziato che la democrazia ha il bisogno di un buon uso della parola: “Il primo scivolamento verso un’autorità abusante è il cattivo uso della parola. La vera autorità è terapeutica, opera per il bene dell’altro, aiuta l’altro a stare al mondo. Il primo fallimento dell’autorità è quello di chi si serve degli altri anziché servire, di chi opera per la morte invece che per la vita…

Un’autorità autentica ha bisogno della libertà da se stessi: solo gli uomini liberi da sé stessi e dal proprio narcisismo potranno essere davvero autorevoli. L’autentica autorità è oblativa: ogni abuso di autorità implica sempre la non libertà da se stessi”.

(Foto: Settimana Sociale)

Dott. Pedrizzi (UCID) racconta il contributo dei cattolici alla democrazia

“Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”: così affermava san Giovanni Paolo II; e così ribadisce anche il documento preparatorio della 50^ Settimana Sociale, ‘Al cuore della democrazia’, in svolgimento a Trieste: “E la partecipazione alla vita civile assume nomi sempre nuovi: la possiamo riconoscere nella perdurante vitalità dell’associazionismo e del terzo settore; nell’emergere di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; nell’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti da città e territori; nella costruzione di percorsi di progettazione dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; nella spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente, a partire dai loro contesti di vita; nell’impegno di tante Chiese locali per la costruzione delle comunità energetiche, preziosa eredità della Settimana Sociale di Taranto”.

Per comprendere meglio il motivo per cui i cattolici si interrogano sulla democrazia abbiamo incontrato il presidente regionale dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) del Lazio, dott. Riccardo Pedrizzi: “La dottrina sociale della Chiesa intende essere un veicolo attraverso il quale portare il Vangelo di Gesù Cristo nelle diverse situazioni culturali, economiche e politiche che gli uomini e le donne di oggi devono affrontare. Il tema scelto per questa edizione della Settimana Sociale ‘Al cuore della democrazia’, rappresenta una questione molto importante per il nostro millennio. Anche se è vero che la Chiesa non offre un modello concreto di governo o di sistema economico (cfr Centesimus annus, n. 43), ‘la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno’.

La democrazia ai nostri giorni deve affrontare gravi problemi. Il primo fra tutti è la tendenza a considerare il relativismo intellettuale come il corollario necessario di forme democratiche di vita politica. Da tale punto di vista, la verità è determinata dalla maggioranza e varia secondo transitorie tendenze culturali e politiche. Quanti sono convinti che certe verità siano assolute e immutabili vengono considerati irragionevoli e inaffidabili. D’altro canto, in quanto cristiani crediamo fermamente che ‘se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia’ (Centesimus annus, n. 46).

Le altre questioni riguardano le sfide che nell’odierno mondo economico e tecnologico, finanziario e produttivo, organizzativo e creditizio, mediatico e informatico, trovano il terreno fertile per un attacco alle regole democratiche. Il tecnocrate, il bancocrate, il tecnoburocrate, il manager, costituiscono di fatto centri oligarchici che mirano a imporsi nel nome dell’efficienza, della competenza, della produttività, del profitto. Oltretutto nelle società post-industriali oggi non c’è un attacco frontale alla democrazia, agisce però una delegittimazione per vie interne del sistema democratico, che ne svuota progressivamente i presupposti. Predomina cioè l’idea che la politica sia il dominio dell’incompetenza e dell’inefficienza. Per cui occorre porsi la domanda se di fronte alle trasformazioni in atto la ‘democrazia dei moderni’, avrà la forza e la capacità di resistere”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“Dinanzi alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel «religioso» il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente, occorre ridare al più presto slancio e contenuti ed una proposta che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società.

Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l’affermazione della verità sull’uomo e dell’uomo. Ma se questa verità non venisse ricercata ed affermata totalmente, se un’antropologia, cioè la dottrina sull’uomo, non esprimesse tutti i valori e non investisse tutti gli ambiti e gli aspetti della vita dell’uomo, si avrebbe come esito inevitabile ‘la mortificazione dell’uomo stesso, e non sarebbe possibile attuare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio’.

E’ necessario perciò che il cristiano superi quel complesso di inferiorità creatogli dall’Illuminismo in base al quale la fede sarebbe conflittuale e concorrenziale con la ragione. Tra fede e ragione vi è differenza, ma non alternatività, ed è proprio alla luce della prima che il cristiano conosce l’uomo nella sua pienezza e costruisce un’antropologia non neutra o dimezzata o ad una dimensione. A questa visione dell’uomo il cristiano deve conformare la sua azione politica. Senza rassegnazione e senza compromessi che possano significare cedimenti o mimetizzazioni sulla propria verità dell’uomo.

Se ciò non avvenisse il cristiano si renderebbe clandestino, si mostrerebbe indifferente, si mimetizzerebbe e tornerebbe nelle catacombe, diventando complice dell’aggressione all’avvenimento cristiano. Proprio questo… ‘Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché possiamo goderne, perché tutti possano goderne’, ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’”.

Quale contributo possono offrire i cattolici alla vita democratica?

“In questo scenario è estremamente importante che siano presenti i cattolici fedeli al Magistero di sempre che dovrebbero sapersi muovere con intelligenza e cautela in modo da poter essere in grado di rilanciare la Dottrina Sociale Cattolica come contributo sempre originale di idee, di programmi e di sentimenti, per affermare che l’unico programma politico, sociale ed economico è quello che ‘diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari Paesi del mondo…’ ed ‘al tempo stesso differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici, che ad esso si richiamano’, cosi come testualmente recita l’enciclica ‘Laborem exercens’ di san Giovanni Paolo II. In particolare bisogna comunicare, applicare, vivere i due principali principi della Dottrina sociale cattolica: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.

Virtù umana e cristiana, la solidarietà (meglio sarebbe dire: la carità) supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, nazioni ed organizzazioni internazionali di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche, politiche e culturali, senza che ne venga lesa per il principio di sussidiarietà la legittima autonomia dei vari corpi sociali intermedi”.

Cosa può offrire l’UCID all’Italia?

“La consapevolezza innanzitutto della necessità di creare e formare una classe dirigente imprenditoriale eticamente responsabile, applicando il criterio della meritocrazia che significa consentire di essere elites in politica, nella società, nell’economia, nella cultura, nella vita solamente a chi è bravo, studia, è competente e si sacrifica al servizio della comunità. Su questa lunghezza d’onda si mosse anche  papa Benedetto XVI in un’intervista del 26 settembre 2009: ‘Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace’.  

La Chiesa stessa, in tale contesto, è una minoranza creativa che deve essere presente nel dibattito pubblico con tutta la forza del messaggio di Cristo, anche nella società, auspicando che sopratutto i laici cattolici (dall’esperienza familiare a quelle associative, professionali come l’UCID) saldi nella sana dottrina, devono tornare ad essere quei poli d’attrazione che facciano interrogare nuovamente l’uomo del nostro tempo e convincerlo, con l’esempio, che è meglio vivere scommettendo su Dio piuttosto che farne a meno o metterlo tra parentesi”.

(Foto: UCID)

Dalla Settimana Sociale l’invito a vivere la democrazia

“Dal 1907 a oggi il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano. E il bene comune non è quello che vale di meno, ma è quello più prezioso proprio perché l’unico di cui tutti hanno bisogno e che dona valore a quello personale”: con queste parole, salutando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha aperto a Trieste la 50^ Settimana sociale dei cattolici sul tema della democrazia.

Ripetendo le parole del card. De Lubac, il presidente della Cei ha sottolineato il significato di una città che vive sul confine, quindi di due patrie: “Il Vangelo ci aiuta a capire che siamo fatti gli uni per gli altri, quindi gli uni con gli altri. La nostra casa comune richiede un cuore umano e spiritualmente universale. De Gasperi e gli altri Padri fondatori dell’Europa sono stati animati, sono parole sue, ‘dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa’.

Ed è significativo che lo statista trentino usasse la parola patria sia per l’Italia, sia per l’Europa senza avvertire contraddizioni. I cristiani prendono sul serio la patria, tanto che sono morti per essa, ma sanno anche che c’è sempre una patria in cielo e questo ci rende familiari di tutti e a casa ovunque. Grazie, quindi, alla splendida e accogliente città di Trieste. È bello ritrovarci da ogni Regione e Diocesi d’Italia in una terra che ci parla dell’opportunità e della bellezza di vivere insieme”.

Quindi ha ribadito che la Chiesa non ha preclusioni nell’accoglienza e non si può delimitarla politicamente: “La Chiesa è madre di tutti, perché solo guidata dal Vangelo. Leggere e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti”.

Per questo ha citato un discorso di san Giovanni Paolo II nel 1994 con l’invito a non sottrarsi dalla responsabilità: “La pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte. Richiedono un ‘amore politico’ che deve assumere l’unità come un obiettivo da perseguire, da difendere e da far crescere, perché l’unità non è mai statica, ma sempre dinamica!”

Però la democrazia ha bisogno di partecipazione: “Ben vengano nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione: questa Settimana Sociale è dedicata in larga parte proprio alle buone pratiche partecipative di democrazia. Siamo contenti quando i cattolici si impegnano in politica a tutti i livelli e nelle istituzioni. Siamo portatori di voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza. I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore”.

Infine ha messo in guardia dai populismi, che annientano la partecipazione: “La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze. Quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud. E’ bello per noi iniziare la Settimana Sociale in questa città di frontiera. Vogliamo incarnare uno stile inclusivo, di unità nelle differenze. Soprattutto vogliamo esprimere tutto l’amore di cui siamo capaci per il nostro Paese. Amiamo l’Italia e, per questo, ci facciamo artigiani di dmocrazia, servitori del bene comune”.

Nell’intervento inaugurale il presidente della Repubblica ha declinato la parola democrazia, messa in discussione dai nazionalismi: “Democrazia. Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo. E’ ampiamente diffusa. Suggerisce un valore. Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte. Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro.

L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di rispetto reciproco. Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima. Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia”.

Ed al centro della democrazia ci sono le persone: “Al cuore della democrazia vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione.

Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue Istituzioni, se al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune”.

Infine è arrivato l’invito a ‘battersi’ per la democrazia: “La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della ‘alfabetizzazione’, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea.

Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più ‘analfabeti di democrazia’ è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”.

(Foto: Quirinale)

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Mons. Trevisi: a Trieste per vivere la ‘profezia’ della democrazia

“La Settimana Sociale vuole essere un crocevia di persone e progetti diversi, un luogo per condividere il presente e immaginare insieme il futuro, ricercando sempre nuove vie per costruire il bene comune. Per andare ‘al cuore della democrazia’ attiveremo percorsi vivi ed inclusivi al fine di connettere storie e comunità, laboratori creativi per sperimentare metodologie innovative e coinvolgenti. Costruiremo insieme processi di ascolto e di progettazione che partono dalle comunità locali e ritornano nei territori”: dal documento preparatorio alla 50^ edizione della Settimana Sociale, intitolata ‘Al cuore della democrazia’ in svolgimento a Trieste fino a domenica 7 luglio, abbiamo chiesto al vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi di raccontare come si sta preparando la città all’accoglienza del Papa ed alla Settimana Sociale:

“La venuta del Papa ha destato ancora più interesse. Ci si è chiesti con maggiore attenzione il significato della Settimana sociale dei cattolici. Le Istituzioni si sono subito mostrate disponibili a collaborare per l’evento; un gruppo di insegnanti ha animato un percorso in numerose classi (dalle elementari alle superiori) sulla partecipazione con un’iniziativa davvero fantasiosa; e poi alcuni eventi a livello diocesano, parrocchiale e poi di associazioni e movimenti. Emozionanti, potremmo dire gesti di tenerezza che sono iniziati spontaneamente, sono le numerose lettere e disegni che anziani e bambini hanno fatto per papa Francesco”.

‘Trieste è città di confine, proiettata verso l’Europa e aperta verso Est, con una presenza storica di tante Confessioni cristiane e religioni diverse; terra segnata da divisioni politiche che ne hanno attraversato la storia, con luoghi simbolo che ci ricordano dove porta la negazione della democrazia, dalla Risiera di San Sabba alle Foibe. Trieste città multietnica e con diverse presenze linguistiche, laboratorio dove si è osato ripensare la salute mentale e la dignità del malato, crocevia di ingegni e di culture, di letteratura e di arti’: la città come vive la democrazia?

“Siamo terra di frontiera e con una storia di sofferenza. Il confine nel secolo scorso, per colpa di nazionalismi estremi e di guerre fratricide, è diventato una triste separazione tra genti che prima avevano vissuto lungamente fianco a fianco. Oggi si cerca di rielaborare la memoria di quel dolore così atroce, che in qualche modo ha visto tutti come vittime, ma poi anche con svariate forme di complicità dettate dal risentimento, dalle ideologie, dalla paura.

Oggi Trieste ha la responsabilità di vivere nel reciproco rispetto e nell’inventare continuamente forme in cui ciascuno possa sapersi in una terra amata e insieme ad altre comunità linguistiche, culturali e religiose, ma accomunati da una storia comune. E questo sia per evitare che i giovani restino nella gabbia delle colpe delle generazioni precedenti, sia come testimonianza a quei popoli che ora si stanno combattendo: pensiamo per esempio alla guerra fratricida tra russi e ucraini”.

Trieste è anche città di ‘passaggio’ per i profughi provenienti dalla ‘rotta balcanica’: in quale modo la città vive la ‘profezia’ dell’accoglienza e dell’ospitalità?

“Siamo sulla rotta balcanica. Nei giorni scorsi sono stati trasferiti i giovani (per lo più afgani, pakistani, curdi, siriani…) che erano accampati al ‘Silos’, una struttura fatiscente in cui tanti giovani vivevano in situazione indegna, come in una favela senza servizi igienici, luce e acqua. Io ritengo che, dopo una stagione in cui troppo si è aspettato nel dare un’accoglienza umana, questo sia solo l’inizio di un processo che deve vedere tutti a collaborare, perché coloro che arrivano (quotidianamente) siano presi in carico in modo degno e appena possibile trasferiti in altre città.

I nostri dormitori cittadini sono sempre saturi; come Caritas abbiamo aperto un’altra struttura (un dormitorio notturno) per i transitanti che decidono di continuare il loro viaggio e ci stiamo accollando tutte le spese. A dire il vero speriamo di diventare profezia di accoglienza: nonostante i tanti gesti e segni positivi che si sono inventati, spesso il sistema di accoglienza si è inceppato: ed il ‘Silos’ è stato l’emblema di questa difficoltà. E tuttavia mi viene da lodare la generosità di tante persone, gruppi, associazioni che si sono spesi e si stanno spendendo in un’accoglienza che davvero sa di ‘profezia’”.

Però, per quale motivo i cattolici si interrogano sulla democrazia?

“La crisi culturale dei nostri Paesi, spesso smarriti e disorientati, con un’aggressività ed un individualismo pervasivi, che vedono le persone sempre più sole e irritate (pensiamo alle violenze ma anche all’inverno demografico; ad un consumismo sfrenato che porta a stili di vita sempre più nelle briglie di un mercato che detta ogni regola) ci dicono che i cattolici devono contribuire con la loro originalità di valori e testimonianza a costruire la società e la democrazia in cui vivono. La Dottrina sociale della Chiesa ha fatto l’opzione per la democrazia, ma l’ha ancorata a quei valori e stili di vita che scaturiscono dal Vangelo ma che possono essere fecondi per tutti, che possono rigenerare speranza anche per l’intero Paese”.

Quanto è importante per la Chiesa la partecipazione dei cattolici alla vita civile?

“La Chiesa non impone la sua dottrina, ma i laici cattolici sono chiamati a testimoniare e tradurre il Vangelo dentro i linguaggi e le istituzioni del mondo. Di fronte all’efferatezza delle guerre, alla crisi dei legami familiari, alla fragilità che vede tante persone sofferenti, all’ambiente spesso reso una discarica che snatura il progetto di Dio… è evidente che i cattolici hanno tanto da testimoniare ed hanno valori importanti attorno a cui cercare di aggregare tante persone. I cattolici sanno di non poter restare alla finestra e neppure di potersi accontentare a moltiplicare le denunce e le condanne. Da qui la necessità di reinventare forme di partecipazione che possano ancora dire la perenne novità della fede in Cristo anche per realizzare il bene comune e la giustizia”.

(Foto: Settimana Sociale)

Mons. Toso: la democrazia è una ‘sfida’ per la Chiesa

Mercoledì 12 giugno, alla presenza del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, il vescovo di Faenza – Modigliana, mons. Mario Toso, ha presentato a Roma il libro ‘Chiesa e democrazia’; e mons. Toso ha sottolineato il valore della democrazia e la necessità dei partiti: “I partiti sono il tronco che collega le radici della società civile con i rami delle istituzioni, ma al momento non c’è nessuna linfa… La democrazia è una sfida per i cittadini a essere migliori nella vita quotidiana” e “una sfida dell’uomo a se stesso”.

E le Settimane Sociali dei Cattolici in Italia, che si svolgeranno a Trieste nella prima settimana di luglio con la partecipazione conclusiva di papa Francesco, serviranno a comprendere quale democrazia volere e pensare a riforme che favoriscano la partecipazione: “In un contesto di terza guerra mondiale, in cui viene a prospettarsi una nuova configurazione dell’Occidente europeo rispetto alle grandi potenze mondiali emergenti, sembra essere messa in crisi la ‘promessa’ fondamentale che la modernità aveva immesso nel genoma della democrazia: l’emancipazione della soggettività e la liberazione dalle catene del dominio eteronomo per essere realmente autonomi e, per questo stesso, più liberi”.

La democrazia è in crisi a causa di un ‘indebolimento’ delle sue funzioni: “Ma se alla fine del secolo scorso la democrazia sembrava poter affermarsi in tutto il mondo, all’inizio di questo secolo appare ovunque in crisi. La sua promessa di libertà per tutti i popoli viene indebolita sia sul piano del funzionamento delle istituzioni democratiche (istituzioni di governo ai diversi livelli, da quello locale a quello internazionale, parlamenti, partiti), sia sul piano del coinvolgimento popolare nei processi decisionali ed elettorali (si pensi all’astensionismo e alla disaffezione), sia sul piano della sua anima etico-culturale. Nonostante l’accrescimento della comunicazione, prevalgono la frammentazione sociale, l’individualismo utilitarista, che lasciano poco spazio per pensarne il futuro”.

Infine ha ribadito la necessità di studiare la Dottrina Sociale della Chiesa: “Con cittadini e rappresentanti intrappolati in forme populiste e illiberali di democrazia, diventa sempre più difficile realizzare la democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva. Contrariamente a quanto si pensa comunemente, non giova rispetto al suddetto ideale di democrazia il concetto di un’autorità politica intesa prevalentemente come potere, che è un concetto sociologico, ossia inteso come capacità di imporre e di farsi valere sui popoli.

Appare, invece, più adeguato il concetto di autorità proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa e inteso come capacità di comandare secondo ragione. Tale autorità mira a far crescere i cittadini secondo la loro dignità umana, in tutta la sua pienezza, nel contesto di una corresponsabilità posta al servizio del bene comune”.

Il card. Zuppi ha tratteggiato il rapporto tra Chiesa e democrazia: “La Chiesa italiana ha affrontato più volte il tema della democrazia nelle Settimane Sociali. Si pensi a quella del 1945, con l’Italia che cercava di voltare pagina dopo la Seconda guerra mondiale. I cattolici si sono ritrovati a Firenze riflettendo su ‘Costituzione e costituente’, dando forza alle idee che erano state condivise nel Codice di Camaldoli del luglio 1943. Nel 1964 a Pescara, in pieno Concilio Vaticano II, si è ragionato di ‘Persone e bene comune nello stato contemporaneo’. Nel 1993 a Torino si è discusso di ‘Identità nazionale, democrazia e bene comune’ e nel 2004 a Bologna si è trattato ancora di “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. Arriviamo quest’anno a Trieste, con la 50^ Settimana Sociale dei cattolici in Italia: ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. La democrazia è il filo rosso che ha attraversato la storia del nostro Paese dopo l’esperienza del totalitarismo fascista”.

Al termine di un excursus storico il presidente della Cei ha affermato che la democrazia è in una ‘rotonda’: “Nel mondo la democrazia si presenta con molteplici volti. Ogni anno l’Economist pubblica i dati sullo stato della democrazia nel mondo. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in un sistema democratico (45,4%), ma solo il 7,8% vive in piena democrazia e più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%)…

Le democrazie imperfette sono caratterizzate da libere elezioni ma con una partecipazione sempre più scarsa e talora si segnalano problemi circa la libertà di informazione. L’Italia si colloca tra questi ed è al 31^ posto in classifica. Ci sono poi i regimi ibridi, dove puntualmente si verificano irregolarità nelle elezioni, libere solo di facciata. Sono nazioni con un’opposizione controllata, la magistratura non indipendente e la corruzione estesa. Infine, i regimi autoritari non conoscono libertà e pluralismo. Si tratta di dittature assolute con violazioni delle libertà civili, elezioni non libere e media assoggettati al regime”.

Il pregio del libro di mons. Toso è quello di chiamare i cattolici ad avere una visione: “I cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti e in tutti i partiti politici. Il vescovo di Faenza invita ad organizzarsi e a non dimenticare che per avere una chance di cambiare le cose occorre generare consenso e coinvolgere in un’idea che sia una visione. Altrimenti ci si condanna all’insignificanza. Con ogni probabilità, c’è da aspettarsi che a Trieste il tema tornerà e si potrà discutere apertamente della collocazione politica dei cattolici. La Chiesa viene prima dei partiti. Si avverte l’urgenza di disinnescare le bombe dovute alla priorità di indossare casacche di appartenenza per mettere al primo posto il comune legame con la comunità cristiana”.

(Foto: Diocesi di Faenza-Modigliana)

C’è sempre una prima volta

Difficile dire quanto di vangelo c’è in questa presenza e quanto di diplomazia vaticana che, com’è noto, appare tra le più rodate e lungimiranti. Ciò che nondimeno stupisce è anzitutto il fatto stesso che il papa, rappresentante della Chiesa Cattolica, sia stato invitato a questo tipo di vertice che mette assieme alcuni tra i ‘potenti’ della politica e dell’economia del mondo.

L’invito del papa, per motivi che non è poi difficile discernere, è già un segno e un messaggio la cui tragica scelta non potrà non lasciare tracce nel presente e il futuro del papato e della Chiesa stessa. Essere invitati al vertice di alcuni tra i Paesi più ricchi e potenti del globo significa dare sufficienti ‘garanzie’ al sistema perché esso possa perpetuarsi o quantomeno continuare a legittimarsi.

Aver accettato l’invito ( o allora la proposta è giunta dal vaticano e accolta dalle diplomazie del vertice), come il papa ha fatto, non è che l’ennesimo e patetico tentativo di accompagnare, da ‘cappellano di corte’, il sistema attuale che, come il capitalismo di cui è l’espressione,  è nato e cresciuto senza cuore. Non dovremmo dimenticare che i membri di questo vertice sono corresponsabili o sostenitori della produzione, vendita e uso di armi in zone di guerra. Si tratta dunque di persone che hanno le mani macchiate di sangue.

D’altra parte sembra tipico di questo  insondabile e ambiguo pontificato giocare su tutti i fronti con la stessa spudorata disinvoltura. Incontrare e valorizzare i movimenti sociali. Assumere i poveri come elemento trasformatore del sistema (secondo le lezioni latinoamericane ben assimilate). Proteggere i migranti nella loro ricerca di futuro e parlare di ‘periferie’ dalle quali dovrebbe sgorgare un mondo nuovo e una Chiesa che ascolta.  Questo e molto altro all’ordine del giorno, senza dimenticare le innumerevoli volte nelle quali è stato necessario precisare, rettificare, contraddire quanto affermato il giorno precedente in uno dei tanti discorsi letti o improvvisati.

Allo stesso tempo, lo stesso pontefice (vero ponte tra sponde diverse) accompagna e celebra un’alleanza vaticana col ‘Capitalismo Inclusivo’ che vede tra i suoi membri e promotori i più quotati magnati del capitalismo globalizzato. Con la manipolata crisi del Covid poi, l’attuale papa, ha toccato quanto di peggio ci si sarebbe potuto attendere da un qualunque politico da strapazzo. L’obbligo per tutto il personale dello Stato Vaticano alla vaccinazione pena il licenziamento in tronco, il fermo invito fatto ai fedeli cristiani di vaccinarsi ‘come gesto d’amore’ e gli incontri più o meno ‘segreti’ con boss dell’industria delle vaccinazioni, Bourla.

Malgrado i danni occasionati e accertati, l’aumento della mortalità nei Paesi che più hanno somministrato i  ‘vaccini’, non è mai sfuggita al papa una sola parola di attenzione per quanti hanno sofferto a causa delle suo fermo invito a vaccinarsi e tantomeno la richiesta ufficiale di perdono per essersi sbagliato di bersaglio. Mai ha domandato venia  per la mancanza di rispetto dei diritti dei dipendenti che avrebbero potuto scegliere o meno di vaccinarsi in tutta libertà di coscienza come i documenti della Chiesa e della medicina ufficiale sottolineano da tempo.

La parvenza ‘democratica’ di questo papato è poi contraddetta da protagonismi nella vita pubblica quotidiana che si esibisce in modo asfissiante fino a domandarsi se esiste ancora una conferenza episcopale italiana degna di questo nome. Dappertutto e su ogni tema ci si aspetta una parola, un’allusione e soprattutto una conferma. Persino nelle trasmissioni televisive seguite da largo pubblico dove si ha il diritto e il piacere di ascoltare quanto papa Bergoglio afferma, sostiene, propone e soprattutto allude.

Ed, infine, la partecipazione anche fisica al vertice del G7 che ha annoverato altri invitati di marca, ma non la Russia e la Cina ad esempio. Invitato, accolto e infine assimilato ai potenti, tra coloro che hanno diritto di presenza, ascolto e udienza. Per parlare dell’intelligenza artificiale di cui, sembra, il vaticano ha assunto un ruolo non trascurabile e naturalmente apprezzato. Una Chiesa segno di contraddizione per gli imperi di oggi sembra essere passata di moda. Accomodarsi accanto al potere di turno e allo stesso tempo prendere le difese dei poveri desta sospetto sull’autenticità e sincerità di chi gioca a dare spettacolo per il pubblico.

Al vertice citato nessun povero è stato invitato. In un non lontano passato, ad esempio il G8 di Genova,  si presentava come un vanto  del summit quello di invitare persone di alcuni Paesi che aiutassero a non dimenticare che c’è anche e soprattutto un altro mondo. Quello a cui spesso il papa allude e che diventa visibile nelle guerre, le migrazioni e le terre rare … da sfruttare  per motivi ecologici ben ricordati dall’ultima esortazione, al soldo anch’essa  di una sola versione del mondo.

La presenza del papa tra i ‘grandi’ del sistema addolora, preoccupa e fa vergognare chi pensava che scegliere i poveri e la loro strada non fosse per farsi strada tra i potenti per diventarne il ‘cappellano’ e in definitiva il garante. Si tratta dell’esibizione di un tradimento nell’usare i volti e il silenzio dei poveri per poi accomodarsi alla mensa dei ricchi e dei potenti.

Le elezioni: riflessioni sulla partecipazione

Ormai i risultati delle elezioni europee sono noti a tutti, compreso l’altissima percentuale di astensionismo (ha votato il 49,69% degli aventi diritto): poco e pone molti interrogativi. Interrogativi cui ha cercato di  dare una risposta il Segretariato della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (COMECE), ribadendo con preoccupazione che le elezioni sono sempre un esercizio democratico:

“Con oltre 370.000.000 di cittadini chiamati alle urne in 27 paesi diversi, queste elezioni, che rispettano le diverse tradizioni di voto degli Stati membri, sono state un grande esercizio di democrazia. I risultati preliminari mostrano che nel Parlamento europeo viene mantenuta una maggioranza filoeuropea.

La maggioranza dei votanti ha espresso sostegno al progetto europeo e un forte desiderio di più Europa. Questa è una buona notizia e uno dei punti chiave sottolineati dai vescovi della Comece nei mesi precedenti le elezioni”.

Per i vescovi europei è un motivo di preoccupazione il disinteresse dei cittadini per l’Europa: “L’affluenza alle urne per queste elezioni è di circa il 50%. Sebbene ciò sia in linea con le precedenti elezioni europee, non è ancora sufficiente, indicando un persistente disinteresse e una mancanza di impegno tra i cittadini dell’UE. Una bassa affluenza alle urne, combinata con il forte aumento dei partiti nazionalisti ed euroscettici, soprattutto nei paesi fondatori dell’Unione Europea, manifesta una forte insoddisfazione per la performance dell’UE.

I risultati di queste elezioni spingono tutti noi, soprattutto i neoeletti eurodeputati e i futuri commissari, a lavorare per ridurre il divario percepito tra l’Unione europea e i suoi cittadini e a dare risposte adeguate alle loro preoccupazioni reali”.

Anche la Compagnia delle Opere, prendendo a prestito una frase del film ‘C’è ancora domani’ della regista Paola Cortellesi (‘Stringiamo le schede come biglietti d’amore’) ha sottolineato che votare è un diritto/dovere, ricordando il voto delle donne: “Oggi, a distanza di 78 anni da quel voto, non può non colpirci il dato dell’astensione registrato all’elezioni europee. Meno del 50% degli aventi diritto si è recato alle urne.

Come Compagnia delle Opere ci sentiamo provocati da questo dato e intendiamo promuovere un particolare percorso di sensibilizzazione rivolto ai giovani, cercando di introdurli all’importanza non tanto e non solo del voto, ma della partecipazione alla vita della comunità.

Partecipazione che, in questi mesi prima delle elezioni, si è concretizzata nell’organizzazione di oltre 25 incontri su tutto il territorio italiano, con una partecipazione di oltre 20.000 persone sia in presenza sia online, che hanno voluto approfondire i temi del documento di giudizio promosso da Cdo in occasione di questo appuntamento elettorale”.

E da queste votazioni la Compagnia delle Opere prova a ricostruire il tessuto sociale insieme agli eletti: “Con gli eurodeputati eletti desideriamo avviare un percorso che vuole ulteriormente coinvolgere le istituzioni e la società civile in un lavoro di continuo approfondimento dei temi che ci stanno a cuore. Questa sfida verrà proposta ad una molteplicità di stakeholder di diversi Paesi e di diversi schieramenti politici per lavorare sui temi per noi prioritari: la pace, la persona umana come relazione ed un corretto approccio alle moderne tecnologie”.

Ed anche per Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, l’astensionismo è un grave problema per la democrazia: “Prima di entrare nel merito di qualsiasi analisi del voto per il rinnovo del Parlamento Europeo, non possiamo far finta di niente rispetto alla nuova e ulteriore crescita del dato sull’astensionismo, che per la prima volta nel nostro Paese, in una tornata elettorale di carattere nazionale, scende sotto alla soglia del 50% dei votanti”.

E’ un invito alle forze politiche di collaborare con l’associazionismo per stimolare la partecipazione democratica: “Per questo rinnoviamo l’invito a tutte le forze dell’arco parlamentare a mettere al centro della loro azione politica il problema della partecipazione democratica: come Acli abbiamo presentato due proposte di legge di iniziativa popolare che hanno l’obiettivo di invertire questa tendenza, da una parte rinnovando la vita dei partiti nel segno della trasparenza, anche con la reintroduzione del finanziamento pubblico, e dall’altra parte cercando di coinvolgere nuovamente i cittadini nelle decisioni politiche, creando delle assemblee partecipative i cui pareri siano vincolanti per i partiti stessi”.

Chiudo questa disanima del voto europeo con una ‘vista’ sulle elezioni comunali, con un riferimento particolare a Bibbiano, dove è stato eletto sindaco Stefano Marazzi, addirittura con il 73,50% con un’affluenza al 58%; a Riace, dove è stato eletto Mimmo Lucano con il 46,30% ed un’affluenza al 56%, dopo essere state gettate  tonnellate di ‘fango’ mediatico per distruggere un altro ‘modo’ di fare politica a partire dalla comunità.

Sergio Mattarella: la democrazia va difesa

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, domenica pomeriggio ha salutato 1800 cittadini che hanno visitato i Giardini del Quirinale in occasione della Festa della Repubblica, la cui apertura è stata dedicata alle fasce deboli della popolazione coinvolte tramite invito. Ma, soprattutto, è importante riflettere su ciò che ha detto o scritto nel 78^ anniversario della proclamazione della Repubblica italiana, come nel messaggio  al capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, sulla definizione di libertà:

“I Padri della Patria erano consapevoli dei rischi e dei limiti della chiusura negli ambiti nazionali e sognavano una Italia aperta all’Europa, vicina ai popoli che ovunque nel mondo stessero combattendo per le proprie libertà.

Il nostro contributo (ed in esso delle Forze Armate) alla causa della pace e della stabilità internazionali è più che mai prezioso nell’odierna situazione caratterizzata da devastazioni e aggressioni alle popolazioni civili in Europa e in Medio Oriente”.

Un particolare riferimento al contributo offerto dalle donne: “La Repubblica è grata alle donne e agli uomini delle Forze Armate per i compiti assolti negli impegnativi teatri operativi ove sono chiamati ad operare, nell’ambito delle missioni delle Nazioni Unite, di quelle frutto della solidarietà fra i Paesi dell’Alleanza Atlantica, delle decisioni alle quali abbiamo concorso in sede di Unione Europea”.

Un altro punto cardine lasciato dal Presidente della Repubblica ai prefetti si basa sulla memoria come compito principale del cittadino: “Fare memoria del lascito ideale di quegli avvenimenti fondativi è dovere civico e preziosa opportunità per riflettere insieme sulle ragioni che animano la vita della nostra collettività, inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità.

Fare memoria è un esercizio proprio a ogni cittadino e soprattutto per quanti, esercitando pubbliche funzioni, trovano nei principi costituzionali di libertà, uguaglianza e solidarietà una bussola di sicuro orientamento di fronte alle complesse sfide del presente”.

Ma il discorso più esaustivo ed articolato sul valore della democrazia è stato pronunciato prima del concerto  dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta dal maestro Michele Gamba: “Il 2 giugno del 1946 l’Italia sceglieva la Repubblica. Quel voto (all’avvio della vita democratica) rappresentò per gli italiani una chiamata alla responsabilità. In quegli anni di speranze diffuse, le aspirazioni al benessere e al miglioramento della condizione personale, procedevano insieme alle conquiste democratiche e sociali”.

Ed ha ricordato un altro valore della Costituzione italiana: “Avvertiamo tutti che da tante parti nel mondo proviene un grido di sofferenza, di richiesta di serenità di vita, di progresso, di giustizia, di pace.

L’Italia, Paese fondatore dell’Unione Europea, convinta partecipe del rapporto transatlantico, dell’amicizia e dell’alleanza in cui questo si esprime, continuerà a impegnarsi (anche nella qualità di Presidente di turno del Gruppo dei 7) per la tutela (sempre, ovunque, per tutti) dei diritti fondamentali della persona, per la pace e il dialogo tra i popoli e gli Stati, per la giustizia e la solidarietà internazionale, per la lotta alla fame, alle malattie, al sottosviluppo, per la difesa dell’ambiente”.

Stessi pensieri nel ricordo delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio 1974: “Tutti gli italiani che, nel 1974, erano cittadini consapevoli ricordano, in maniera indelebile, quella orribile giornata, a partire dalle prime, incerte notizie della mattina. Fino alla drammatica conferma, alla diffusione dei particolari, alla straziante contabilità delle vittime”.

E’ stata una ricostruzione chiara delle responsabilità di chi attentava alla vita democratica dell’Italia: “La strage di Brescia fece seguito a numerosi gravi episodi in questo territorio nei mesi immediatamente precedenti: pestaggi, intimidazioni, attentati neofascisti contro sedi di istituzioni, di sindacati, di cooperative, di forze dell’ordine, di giornali, di scuole. Armi, bombe ed esplosivi erano stati scoperti e sequestrati durante gli arresti di alcuni estremisti di destra.

Un giovanissimo neofascista, pochi giorni prima della strage, era morto ucciso dal materiale esplosivo che trasportava. Quella manifestazione (quella del 28 maggio) promossa dai sindacati, nasceva come risposta della cittadinanza, della società civile bresciana contro questa serie di inaccettabili minacce e violenze. Fu, allora, che il terrorismo nero decise di alzare il livello di azione criminale”.

E non ha fatto sconti a nessuno nella difesa della democrazia dopo il voto del 2 giugno 1946: “Di fronte alla guerra violenta di opposti estremismi (nero e rosso) che, in quella stagione di sangue e di aspri conflitti internazionali, provarono a rovesciare la Repubblica e la sua democrazia, possiamo dire oggi, con certezza, che ha prevalso lo Stato, la Repubblica, il suo popolo, con i suoi autentici, leali servitori”.

E la democrazia è viva grazie all’impegno di tanti cittadini: “Una vittoria che è stata di tutti i cittadini italiani, che si sono sempre raccolti, nei momenti più bui, attorno alle istituzioni e che non si sono mai lasciati sedurre dalle insidie della violenza, della lotta armata, dell’eversione. E che mai hanno reclamato l’instaurazione di misure autoritarie per sconfiggere la minaccia terrorista”.

Questi cittadini devono essere ricordati: “La nostra Repubblica è stata difesa e rafforzata, negli anni, dai sacrifici di tanti servitori dello Stato, di tanti cittadini onesti e coraggiosi…

Al di là delle doverose rievocazioni, il modo per ricordarli degnamente è quello di respingere e isolare i predicatori di odio, gli operatori di mistificazione, i seminatori di discordia. È quello di rivendicare e vivere i principi e i valori su cui si basa la nostra Costituzione. Quello di operare costantemente per l’unità del popolo italiano, per la diffusione della libertà e dei diritti, per un quadro internazionale che assicuri la pace nella giustizia”.

(Foto: Quirinale)

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