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Le nuove olimpiadi. Testo poetico per riflettere sulle paraolimpiadi

Un canto o una poesia? La lodigiana, conscia di quanto possa essere difficile dimostrare i propri talenti se si è malati, soprattutto in questa epoca, ha dedicato alle paralimpiadi 2024 questo testo che non ha a che fare con il woke della Disney e nemmeno con l’inclusività, bensì con l’’arguto pensiero di chi sa cosa vuol dire esserci dentro. I talenti sono tali sia che la persona abbia delle difficoltà oppure no. Nessuno è uguale all’altro per molte ragioni e, quindi, perché anche le olimpiadi non potrebbero essere diverse a seconda di ciascuno?
Se si è d’accordo su questo, perché allora invece di paralimpiadi, non si dice nuove olimpiadi? Certo che per dignità e diritti siamo tutti uguali, ma l’essere persone non significa ‘essere fatti con lo stampino’, dunque da qui la prima frase del pezzo che presenteremo a breve. Non siamo diversi, noi siamo uguali, inteso come persone degne di rispetto come chi non ha delle ‘difficoltà’. Ora, prima di procedere con le spiegazioni dell”autrice, ecco il brano completo.
Il testo: ‘Le nuove olimpiadi’
Non siamo diversi, noi siamo uguali
Non siamo eroi, siamo normali
C’è chi scrive di destro e chi di sinistro
C’è chi è biondo e chi moro
Chi ha il capello nero oppure rosso
Al mondo c’è il buono e anche il cattivo
Dunque, tra tutte queste varianti
Che ti importa se gioco seduto oppure eretto?
Il vero eroe non è il malato, ma chi ha davvero amato
E nelle Olimpiadi da vero sportivo ha giocato!
Si vince e si perde, questa è la vita
Ma ci sarà sempre una nuova partita
Il gioco più bello, ormai l’ho Imparato,
È davvero averci provato!
Se non ho truccato e bene ho giocato,
La mia partita è comunque vinta!
E se al terzo posto arriverò
Con un gran sorriso il premio accetterò.
Non siamo diversi, siamo uguali
Non siamo eroi, siamo normali
Per questo io chiamo le paralimpiadi
Semplicemente Olimpiadi oppure…
Nuove olimpiadi.
“Non siamo eroi per il semplice fatto che l’eroe è chi sa anche amare. Questa è la differenza. Non si tratta solo di affrontare il dolore ogni giorno, si parla di essere ancora in grado di dare opportunità a chi, tutti i giorni, ti sputa in faccia perché non sei come dovresti essere o come ti vuole la società. Le Olimpiadi che dovrebbero essere tanto seguite e commentate, sono queste perché è qui che si vede davvero chi non si arrende e segue il suo sogno nonostante tutto, cattiverie della gente incluse. Vi invito, dunque, a guardare questa nuova edizione delle Olimpiadi.
Per favore, non chiamatele Paralimpiadi. Nessuno è uguale e tutti hanno diritto di fare ciò che possono. E’ come se si chiedesse a un bambino di fare un lavoro da adulto e viceversa. Ovvio che tutto sarà diverso in quanto un bambino non è adulto e, spesso, l’adulto si dimentica cosa vuol dire essere bambino.
Così anche le paralimpiadi sono diverse, ma non perché ci sono persone con problematiche, bensì perché chi gareggia fa le cose in modo diverso. Spero di avere chiarito meglio il senso del brano augurale. Che sia di buon auspicio per gli atleti, ma anche per tutti quelli che, finalmente, guarderanno questa edizione con occhi diversi. La parola nuove sta ad indicare che c’è un’altra edizione delle Olimpiadi. E’ come quando c’è una serie TV e si annuncia la nuova stagione. E’ questo il significato”, dice la lodigiana.
Foto da:https://www.facebook.com/share/p/Nj4shRn1dtcSAqDa/
Papa Francesco avverte: accoglienza ed attenzione al gender

Dopo alcuni giorni di convalescenza oggi papa Francesco, pur ancora raffreddato, ha ripreso le udienze con gli interventi letti da mons. Filippo Ciampanelli, ricevendo i partecipanti al convegno ‘Vulnerabilità e comunità tra accoglienza e inclusione’ con un ringraziamento alla ‘Fraterna Domus di Sacrofano’ per la seconda ‘Cattedra dell’accoglienza’:
“Quello è un luogo adatto! Non solo perché è ampio e attrezzato: è adatto perché è accogliente! È un luogo dove vengono accolte persone anziane, famiglie e ragazzi in difficoltà, migranti. Per questo è bello che le sorelle dell’Associazione Fraterna Domus siano un po’ il motore e le animatrici di questa iniziativa”.
Ed ha sottolineato il concetto di vulnerabilità, necessario per accogliere: “Prima di tutto: per accogliere i fratelli e le sorelle vulnerabili bisogna che io mi senta vulnerabile e accolto come tale da Cristo. Sempre Lui ci precede: si è fatto vulnerabile, fino alla Passione; ha accolto la nostra fragilità perché, grazie a Lui, noi possiamo fare altrettanto. San Paolo scrive: ‘Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi’. Se rimaniamo in Lui, come tralci nella vite, porteremo frutti buoni, anche in questo vasto campo dell’accoglienza”.
L’altro punto evidenziato è il continuo contatto di Gesù con i poveri: “Gesù ha passato la maggior parte del suo ministero pubblico, specialmente in Galilea, a contatto con i poveri e i malati di ogni genere. Questo ci dice che per noi la vulnerabilità non può essere un tema ‘politicamente corretto’, o una mera organizzazione di pratiche, per quanto buone”.
Quindi ha spiegato il motivo per cui la vulnerabilità non può essere un ‘tema politicamente corretto’: “Lo dico perché purtroppo il rischio c’è, è sempre in agguato, malgrado tutta la buona volontà. Specialmente nelle realtà più grandi e strutturate, ma anche in quelle piccole, la vulnerabilità può diventare una categoria, le persone individui senza volto, il servizio una ‘prestazione’ e così via”.
Per tale motivo ha invitato a rimanere saldi nel Vangelo: “Allora bisogna rimanere ben ancorati al Vangelo, a Gesù, il quale non ha insegnato ai suoi discepoli a pianificare un’assistenza dei malati e dei poveri. Gesù ha voluto formare i discepoli a uno stile di vita stando a contatto con i vulnerabili, in mezzo a loro. I discepoli hanno visto come Lui incontrava la gente, hanno visto come Lui accoglieva: la sua vicinanza, la sua compassione, la sua tenerezza”.
Imitando Gesù alcuni sono diventati santi: “E dopo la Risurrezione lo Spirito Santo ha impresso in loro questo stile di vita. Così, poi, sempre lo Spirito ha formato uomini e donne che sono diventati santi amando le persone vulnerabili come Gesù. Alcuni sono canonizzati e sono modelli per tutti noi; ma quanti uomini e donne si sono santificati nell’accoglienza dei piccoli, dei poveri, dei fragili, degli emarginati! Ed è importante, nelle nostre comunità, condividere in semplicità e gratitudine le storie di questi testimoni nascosti del Vangelo”.
Ha concluso l’incontro, dicendo che nel Vangelo i poveri sono protagonisti insieme a Gesù: “Nel Vangelo i poveri, i vulnerabili, non sono oggetti, sono soggetti, sono protagonisti insieme con Gesù dell’annuncio del Regno di Dio. Pensiamo a Bartimeo, il cieco di Gerico. Quel racconto è emblematico, vi invito a rileggerlo spesso perché è ricchissimo.
Studiando e meditando questo testo si vede che Gesù trova in quell’uomo la fede che cercava: solo Gesù lo riconosce in mezzo alla folla e ai rumori, ascolta il suo grido pieno di fede. E quell’uomo, che per la sua fede nel Signore riceve di nuovo la vista, si mette in cammino, segue Gesù e diventa suo testimone, tanto che la sua storia è entrata nei Vangeli…
Pensiamo alla Maddalena: lei, che era tormentata da sette demoni, è diventata la prima testimone di Gesù risorto. In sintesi: le persone vulnerabili, incontrate e accolte con la grazia di Cristo e con il suo stile, possono essere una presenza di Vangelo nella comunità credente e nella società”.
In precedenza, ai partecipanti al convegno internazionale ‘Uomo-Donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni’ promosso dal Centro di Ricerca e Antropologia delle Vocazioni (CRAV), in programma fino a domani, aveva sottolineato il pericolo dell’ideologia ‘gender’, consigliando un libro da leggere:
“Ma vorrei sottolineare una cosa: è molto importante che ci sia questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze. Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità.
Uomo e donna, invece, stanno in una feconda ‘tensione’. Io ricordo di aver letto un romanzo dell’inizio del Novecento, scritto dal figlio dell’Arcivescovo di Canterbury: ‘The Lord of the World’. Il romanzo parla del futuribile ed è profetico, perché fa vedere questa tendenza di cancellare tutte le differenze. E’ interessante leggerlo, se avete tempo leggetelo, perché lì ci sono questi problemi di oggi; è stato un profeta quell’uomo”.
Per il papa la vita dell’uomo è una vocazione: “Tale verità antropologica è fondamentale perché risponde pienamente al desiderio di realizzazione umana e di felicità che abita nel nostro cuore. Nell’odierno contesto culturale talvolta si tende a dimenticare oppure a oscurare questa realtà, col rischio di ridurre l’essere umano ai suoi soli bisogni materiali o alle sue esigenze primarie, come fosse un oggetto senza coscienza e senza volontà, semplicemente trascinato dalla vita come parte di un ingranaggio meccanico”.
Quindi ha ribadito il concetto fondamentale dell’identità, in quanto siamo chiamati ad essere felici: “E invece l’uomo e la donna sono creati da Dio e sono immagine del Creatore; essi, cioè, si portano dentro un desiderio di eternità e di felicità che Dio stesso ha seminato nel loro cuore e che sono chiamati a realizzare attraverso una vocazione specifica.
Per questo in noi abita una sana tensione interiore che mai dobbiamo soffocare: siamo chiamati alla felicità, alla pienezza della vita, a qualcosa di grande a cui Dio ci ha destinato. La vita di ognuno di noi, nessuno escluso, non è un incidente di percorso; il nostro stare al mondo non è un mero frutto del caso, ma facciamo parte di un disegno d’amore e siamo invitati ad uscire da noi stessi e a realizzarlo, per noi e per gli altri”.
Citando il card. Newman il papa ha invitato i convegnisti ad approfondire la ricerca e lo studio: “Fratelli e sorelle, le vostre ricerche, i vostri studi e in modo speciale queste occasioni di confronto sono tanto necessarie e importanti, perché si diffonda la consapevolezza della vocazione a cui ogni essere umano è chiamato da Dio, in diversi stati di vita e grazie ai suoi molteplici carismi.
Sono utili altresì per interrogarsi sulle sfide odierne, sulla crisi antropologica in atto e sulla necessaria promozione delle vocazioni umane e cristiane. Ed è importante che si sviluppi, anche grazie al vostro contributo, una sempre più efficace circolarità tra le diverse vocazioni, perché le opere che sgorgano dallo stato di vita laicale al servizio della società e della Chiesa, insieme al dono del ministero ordinato e della vita consacrata, possano contribuire a generare la speranza in un mondo sul quale incombono pesanti esperienze di morte”.
(Foto: Santa Sede)