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Papa Francesco vuole preparare un’esortazione per i bambini

“Per dare continuità a questo impegno e promuoverlo in tutta la Chiesa, ho intenzione di preparare, una lettera, un’esortazione dedicata ai bambini”: lo ha detto papa Francesco in conclusione dei lavori del Summit mondiale sui diritti dei bambini, dal titolo ‘Amiamoli e proteggiamoli’, organizzato dal Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini.
Dopo aver espresso gratitudine ai partecipanti, il papa ha osservato che “le sale del Palazzo Apostolico oggi sono diventate un osservatorio aperto sulla realtà dell’infanzia nel mondo intero, un’infanzia che purtroppo è spesso ferita, sfruttata, negata… La vostra presenza, la vostra esperienza e la vostra compassione hanno dato vita a un osservatorio e soprattutto a un laboratorio: in diversi gruppi tematici avete elaborato proposte per la tutela dei diritti dei bambini, considerandoli non come dei numeri, ma come dei volti. Tutto questo dà gloria a Dio, e a Lui noi lo affidiamo, perché il suo Santo Spirito lo renda fecondo e fruttuoso. I bambini ci guardano per vedere come mandiamo avanti la vita”.
Prima dell’intervento conclusivo il papa aveva letto la lettera consegnatagli da una rappresentanza di bambini: “Ti scriviamo a nome dei bambini di tutta la terra, ti vogliamo ringraziare perché ti preoccupi per noi e per il nostro futuro, ci vuoi bene e ci proteggi”.
La lettera dei bambini è stata un ringraziamento per il suo impegno: “Grazie per tutto quello che fai per noi! Grazie perché ascolti le nostre domande e ti prendi del tempo per rispondere, come nella Giornata Mondiale dei Bambini, quel giorno, abbiamo imparato tante cose ed è stato bello sentire e capire quello che ci dicevi… Quel giorno abbiamo capito che tu vuoi il nostro aiuto per cambiare il mondo: come è adesso a te non piace e non piace neanche a noi! Troppi bambini soffrono per la fame, per la guerra, per il colore della pelle diverso, per i disastri ambientali”.
Ed hanno delineato il mondo che vorrebbero: “Vorremmo un mondo più giusto, senza divisioni tra i popoli, tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani… Un mondo che sia anche più pulito, in cui l’inquinamento non distrugge le foreste, sporca il mare e uccide tanti animali, abbiamo capito che è più importante salvare la terra che avere tanti soldi. Vorremmo un mondo per tutti, nessuno escluso! Un mondo in cui tutti i bambini possano crescere bene, studiare, giocare, vivere sereni. Vogliamo la pace!”
Quindi un mondo senza guerra, concludono nella lettera, chiedendo l’aiuto del papa: “Non vogliamo vivere in un mondo con la guerra… La guerra non si deve fare, non serve a niente: distrugge, uccide e rende tutti più tristi ma questo, ancora, certi grandi non lo sanno! Insieme a te vogliamo ripulire il Mondo dalle cose brutte, colorarlo con l’amicizia e il rispetto, e aiutarti a costruire un futuro bello per tutti! E’ difficile? Ma se tu ci aiuti diventa più facile!”.
In questo summit p. Ibrahim Faltas, vicario della Custodia in Terra Santa, ha raccontato la vita dei bambini in Terra Santa: “La guerra iniziata sedici mesi fa ha portato morte e distruzione, ha moltiplicato la sofferenza dei bambini palestinesi e dei bambini israeliani… La pace è il diritto fondamentale dei bambini, che devono essere allontanati da qualsiasi cultura che incita all’odio e alla violenza… A Gaza i bambini hanno sofferto la fame, la sete, il freddo, il caldo, la mancanza di cura e di istruzione”.
Ed ha invocato la pace: “Sono mancati i bisogni e i diritti essenziali. La tregua e la tanta desiderata pace potranno dare sollievo alle necessità fisiche e materiali dei bambini, ma sarà difficile cancellare i traumi visibili e invisibili che hanno lasciato sul corpo e la mente dei bambini. Tanti bambini sono nati in questi sedici mesi di guerra: la vita che risplende tra le macerie sia segno di speranza.
Sono tanti i bambini morti in questi sedici mesi, tanti non hanno avuto la possibilità di salvarsi… Per il secondo anno consecutivo i bambini non possono andare a scuola, perché le scuole sono state distrutte. Trentanovemila ragazzi non hanno potuto affrontare gli esami di maturità, e sarà così per tanti di loro anche quest’anno. Non vedono il loro futuro e stanno perdendo la speranza del futuro”.
Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio: Cristo è la nostra pace

Il 1° gennaio è giornata di preghiera per la pace; la liturgia celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. In Maria si realizzano le attese di Israele e Maria apre all’umanità il futuro atteso da secoli, l’era della pace universale. La divina maternità di Maria è la pietra miliare che segna l’inizio dell’era nuova: a mezzanotte inizia il nuovo anno; noi cristiani siamo consapevoli che il tempo e la vita sono contrassegnati dalla nascita di Cristo Gesù perché questo è il piano salvifico di Dio: ‘Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna’.
Iniziare da cristiani un anno nuovo significa iniziarlo da ‘figli di Dio’, da riscattati da Cristo Gesù; non più schiavi del peccato ma veri figli della grazia. La Liturgia oggi inizia invocando la benedizione di Dio ed implorando, per intercessione di Maria, il dono della pace; la pace vera annunziata dagli Angeli, che non è una conquista dell’uomo o frutto di accordi politici: la pace vera è dono di Dio da implorarsi costantemente; una pace da portare avanti con gioia e pazienza, restando sempre docili all’insegnamento di Gesù.
La pace non può esistere se non si promuove, a tutti i livelli, il riconoscimento della dignità della persona umana offrendo a tutti gli uomini la possibilità di vivere conforme a questa dignità. Ogni uomo, di qualsiasi colore, è persona, cioè essere dotato di intelligenza e volontà e, quindi, soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono da questa natura; tali diritti e doveri sono universali, inviolabili, inalienabili. Non esiste la persona di serie A e la persona di serie B, tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio; questa è la verità chiave per la soluzione di tutti i problemi che riguardano la pace.
Educare alla pace significa aprire la mente e il cuore ad accogliere i valori espressi chiaramente nella enciclica ‘Pacem in terris’: la verità, la giustizia, l’amore, la libertà. Un vero progetto educativo deve coinvolgere la vita del singolo e quella della famiglia; è un progetto che dura tutta la vita e fa della persona un essere responsabile di sé e degli altri, capace di promuovere sempre il bene dell’uomo singolo e di tutti gli uomini. All’inizio di ogni anno ritorna sempre impellente il problema della famiglia, cellula viva della società dove ogni individuo realizza se stesso.
La famiglia naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, è la culla della vita e dell’amore, la prima ed insostituibile educatrice della vera pace. L’umanità è la grande famiglia: se vuole vivere in pace deve ispirarsi ai valori ai quali si ispira la famiglia stessa. La nascita di Gesù a Bethlem, figlio di Maria legittimamente sposata con Giuseppe, è la risposta di Dio al mistero della pace.
Da qui la necessità al primo dell’anno di rivolgere il pensiero alla Madonna, che invochiamo ‘Theotokos’ (Madre di Dio). Gesù poteva salvare l’uomo in mille modi, ma volle nascere in una famiglia, cellula insostituibile; farsi uomo in mezzo agli uomini assumendone la natura:
“Nella pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (insegnamento mirabile per ogni uomo). Maria, madre di Dio, è il titolo mirabile della reale grandezza di Maria. Di lei si parla poco nel Vangelo ma non manca mai nei momenti decisivi della storia della salvezza: incarnazione di Gesù, la Pasqua, la Pentecoste.
Maria concepì per opera dello Spirito santo e presentò Gesù ai Pastori e ai Magi. Maria fu ai piedi della Croce per raccogliere il sangue di Cristo immolatosi per la nostra salvezza; Maria fu presente nel cenacolo il giorno della discesa dallo Spirito santo. Maria, madre di Cristo e della Chiesa, ispiri oggi propositi di dialogo, di riconciliazione, di pace nella famiglia e nel mondo intero. “Donna, sei tanto grande e tanto vali ,// che qual vuol grazia ed a te non ricorre //, sua disianza vuol volar senz’ali”. (Dante, Par. XXXIII, 13-15). Rivolgi a noi, Madre, gli occhi tuoi misericordiosi!
Per non dimenticare i diritti umani

“Nella vita della comunità internazionale, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta una tappa fondamentale, riconoscendo l’insopprimibile dignità della persona, principio che ispira la nostra Costituzione. Nonostante la sottoscrizione della Dichiarazione da parte degli Stati aderenti alle Nazioni Unite, i diritti umani continuano a essere minacciati e violati in diverse parti del mondo.
Violenze e abusi nei confronti delle donne, dei bambini e dei soggetti più fragili sono accadimenti quotidiani, soprattutto laddove sono in corso conflitti armati. In alcuni Paesi le più elementari libertà democratiche sono brutalmente ignorate, e perfino l’esercizio del voto (cardine di ogni democrazia) è vanificato.
In una congiuntura internazionale caratterizzata da crisi occorre ribadire la necessità della tutela dei diritti di ogni persona, in ogni circostanza. In occasione della Giornata che sottolinea la centralità dei diritti umani, la Repubblica riafferma il valore delle norme del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, senza le quali è illusoria ogni prospettiva di pace duratura e di sviluppo dei popoli”.
In occasione della Giornata per i diritti umani il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha riconosciuto le continue violazioni di essi, ribadendo la necessità della tutela di ogni persona; ed anche papa Francesco ha lanciato un appello con un messaggio su X in occasione dell’odierna Giornata mondiale dei diritti umani: “I #DirittiUmani alla vita e alla pace sono condizione essenziale per l’esercizio di tutti gli altri diritti. I governanti ascoltino il grido di pace dei milioni di persone private dei diritti più elementari a causa della guerra, madre di tutte le povertà!”
mentre il presidente della Croce Rossa italiana, Rosario Valastro, ha invitato a non abituarsi alla mancanza di rispetto dei diritti umani: “Questo momento storico ha un grande nemico: l’abitudine.
Non abituiamoci mai a rimanere indifferenti davanti a tutte le persone che nelle zone di conflitto sono prive di acqua, cibo, vestiti e supporto sanitario, a quanti sono in difficoltà economica, a chi è margini della società, a chi subisce violenze. Il nostro compito è quello di non voltarci dall’altra parte e di impegnarci ancora di più per difendere quei diritti fondamentali propri ad ogni persona, affinché siano sempre più una base solida della nostra società, della nostra democrazia, e riescano a garantire a tutti gli esseri umani eguale dignità, in ogni circostanza”.
Ed il pensiero è rivolto a chi per problemi di libertà di parola è costretto a fuggire: “L’azione dei 150.000 Volontarie e Volontari della Croce Rossa Italiana è nel primo Principio dell’Associazione, l’Umanità. Da Lampedusa agli altri porti italiani dove svolgiamo accoglienza alle persone migranti, nei quartieri delle nostre città dove i senza fissa dimora vivono in solitudine, nei centri dove assistiamo le persone indigenti o che non hanno accesso alle cure mediche necessarie, da Gaza all’Ucraina, quella stessa Umanità ci permette da 160 anni di essere ovunque c’è gente che soffre. Quella stessa Umanità è la ragione per cui non ci abitueremo mai all’odio, non resteremo mai indifferenti e non ci volteremo dall’altra parte davanti a chi si trova in difficoltà”.
Da queste premesse il presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, “nella Giornata mondiale dei Diritti Umani la Comunità internazionale deve ribadire a gran voce l’impegno a tutela della libertà e dell’uguaglianza di ogni donna, uomo, bambina e bambino. Solo così potremo costruire una società libera da ogni forma di odio e violenza. Tutti fattori che, purtroppo, sono molto frequenti sia tra gli operatori umanitari che tra gli operatori sanitari”.
In effetti, secondo il rapporto di Amnesty International, nello scorso anno le violazioni dei diritti umani sono state dilaganti: “Gli stati e i gruppi armati hanno frequentemente perpetrato attacchi e uccisioni illegali in un numero crescente di conflitti armati. Le autorità in varie parti del mondo hanno represso il dissenso imponendo restrizioni alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, ricorrendo all’uso illegale della forza contro manifestanti, arrestando arbitrariamente e detenendo difensori dei diritti umani, oppositori politici e altri attivisti, e sottoponendoli in alcuni casi a tortura e altro maltrattamento. Molti stati non hanno saputo adottare misure in grado di realizzare i diritti delle persone al cibo, alla salute, all’istruzione e a un ambiente salubre, trascurando le ingiustizie economiche e la crisi climatica.
I governi hanno spesso trattato rifugiati e migranti in maniera violenta e razzista. Una radicata discriminazione contro donne, ragazze, persone Lgbti, popolazioni native e comunità razzializzate o religiose ha emarginato sempre di più queste persone e le ha esposte a un rischio sproporzionato di violenza e violazioni dei diritti economici e sociali. Le imprese multinazionali hanno svolto un ruolo rilevante in alcuni di questi abusi. Le panoramiche regionali approfondiscono queste tendenze a livello delle singole regioni”.
Nel rapporto sono state delineate quattro tematiche essenziali per Amnesty International: “Questa analisi globale pone l’attenzione su quattro tematiche che evidenziano alcune di queste tendenze negative a livello globale: il trattamento dei civili come un elemento sacrificabile nelle situazioni di conflitto armato; la crescente reazione violenta contro la giustizia di genere; l’impatto sproporzionato delle crisi economiche, del cambiamento climatico e del degrado ambientale sulle comunità più marginalizzate; e le minacce di tecnologie nuove e già esistenti, come l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence – Ai) generativa.
Queste rappresentano, dal punto di vista di Amnesty International, le problematiche cruciali per i diritti umani a livello mondiale per il 2024 ed oltre. Gli stati devono intraprendere un’azione concertata per contrastarle e prevenire ulteriori conflitti, crisi emergenti o il peggioramento di quelle attuali”.
Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico: ‘attenzione per i diritti dei disabili’

La Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata il 3 dicembre, è stata proclamata nel 1981 con lo scopo di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente promosso i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.
La Convenzione invita gli Stati ad adottare le misure necessarie per identificare ed eliminare tutti quegli ostacoli che limitano il rispetto di questi diritti imprescindibili. La Convenzione (Articolo 9, accessibilità) si focalizza sulla necessità di condizioni che consentano alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita e dello sviluppo.
All’avv. Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, abbiamo chiesto di raccontare l’importanza di questa giornata: “E’ importante per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone con disabilità e per ricordarci che il cammino è ancora lungo e non dobbiamo arrestarci”.
Nello scorso ottobre al Castello di Solfagnano, in Umbria, si è svolto il ‘G7 Inclusione e Disabilità, con la sottoscrizione di una ‘Carta’. Questa ‘Carta di Solfagnano’ può segnare un passo avanti per l’inclusione delle persone con disabilità?
“Segna l’inizio di un processo. L’impegno dei Paesi del G7 su alcune priorità aprono la strada a delle politiche concrete per le persone con disabilità. Siamo chiamati a ripensare i nostri edifici, strade, trasporti, telecomunicazioni, Web, scuole e ospedali con un approccio nuovo, che è quello dei diritti umani e della progettazione universale. Ma il G7 di Assisi e Solfagnano ci ha lasciato soprattutto un metodo per affrontare il tema dell’inclusione, che è quello del coinvolgimento delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative in tutti i processi decisionale e a ogni livello”.
In quale modo è possibile l’inclusione?
“L’inclusione è una bellissima tessitura che si compone intrecciando i fili disgiunti in movimenti verticali e orizzontali. Anche se, fondamentalmente, la ‘Carta di Solfagnano’ e la politica delle istituzioni non saranno sufficienti per riportare le persone con disabilità al centro della vita, ma occorrerà l’impegno di ciascuno di noi in un movimento orizzontale capace di coinvolgere i singoli, le associazioni in continuo dialogo con la politica. Dobbiamo maturare la consapevolezza che ciascuno di noi può fare la differenza”.
E’ possibile garantire una vita autonoma ed indipendente?
“E’ certamente possibile, ma solo se non confonderemo l’autonomia con l’assenza dell’altro. Nessuno di noi può essere libero di vivere una vita piena in solitudine. E’ all’interno di una relazione, che può essere di tipo affettivo, di aiuto, di amicizia, che possono svilupparsi quelle opportunità che colmano il limite della disabilità. Dobbiamo essere pronti a stare alla necessità del bene delle persone che abbiamo accanto. E’ questa disposizione d’animo che apre la porta alla libertà di vivere delle persone che entrano in relazione con noi”.
Come è possibile cambiare il nostro sguardo verso la persona disabile?
“E’ possibile solo attraverso un riconoscimento: il valore incommensurabile della vita e la dignità unica e senza limiti di ogni persona. Siamo chiamati non tanto a vedere le persone che incrociamo nella nostra vita, ma a riconoscerle”.
‘Insieme, possiamo costruire un mondo dove la dignità di ogni persona sia pienamente riconosciuta e rispettata’, ha affermato papa Francesco ai ministri del G7: siamo pronti?
“La dignità ed il valore della vita umana sono l’architrave della ‘Carta di Solfagnano’ e della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ma c’è bisogno dell’impegno di tutti e di un lavoro integrato e multisettoriale per dare concretezza alla parola dignità. Anche se facciamo fatica a recuperare questa dimensione del vivere e del collaborare insieme: oggi tendiamo sempre di più a chiuderci in noi stessi e in un marcato individualismo. Le persone con disabilità possono insegnarci a ritrovare il gusto della relazione e della fiducia per l’altro che non è mai una minaccia, ma la porta che ci apre a un mondo giusto”.
Quale è la mission dell’Istituto Serafico?
“Da oltre 150 anni la nostra missione non è cambiata e consiste nel rendere piena la vita di persone con disabilità grave. Quando una finestra si è chiusa sulla vita, a causa della disabilità, noi siamo pronti a spalancarne tante altre”.
(Tratto da Aci Stampa)
Giornata delle persone disabili: l’inclusione dipende dalla sensibilità culturale

“L’affermazione dei diritti delle persone con disabilità è misura della civiltà di un popolo. Questa giornata offre l’opportunità per valutare il cammino sin qui percorso dalla Repubblica nella applicazione dei principi di eguaglianza dei cittadini, sanciti dalla Costituzione. La Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 ha posto le basi per un nuovo approccio, riconoscendo che la comunità è, troppo spesso, in ritardo nell’accogliere le diversità.
La riforma della condizione della disabilità in Italia, con il suo focus sulla vita indipendente, sui progetti personalizzati e sull’inclusione lavorativa, rappresenta un’opportunità preziosa per costruire una società più equa e rispettosa della dignità di ogni persona. La sua attuazione richiederà un impegno costante e un forte coordinamento tra i vari livelli istituzionali e la società civile, con la diretta partecipazione delle persone con disabilità.
‘Nulla su di noi, senza di noi’ è principio fondamentale che esprime l’idea che nessuna decisione che riguardi la vita delle persone con disabilità possa essere presa senza il loro consenso. L’inclusione si nutre di scelte quotidiane, basate sulla capacità di valorizzare talenti e aspirazioni di ciascuno”.
Questo è stato il messaggio del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata mondiale delle persone disabili, che si celebra oggi. Infatti il 3 dicembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale delle persone con disabilità, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1992, con l’intento di promuovere la piena inclusione, la tutela dei diritti e la valorizzazione della dignità delle persone con disabilità in ogni ambito della società.
Nel 2006, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ha sottolineato l’esigenza di difendere e salvaguardare, anche attraverso la ricorrenza del 3 dicembre, la qualità della vita delle persone con disabilità rispetto ai principi di uguaglianza e partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.
Però da un sondaggio della Swg emerge che “sette italiani su dieci pensano che in Italia l’inclusione delle persone con disabilità sia ferma al palo: sotto accusa sia la cittadinanza che lo Stato. Le politiche governative messe in atto non sono considerate efficaci da metà della popolazione italiana”.
Inoltre da questo sondaggio emergono troppe criticità, come ha sottolineato Simone Fanti, vicepresidente del premio ‘Bomprezzi-Capulli’: “A tre anni dal primo Osservatorio è il tema dell’inclusione quello su cui c’è il giudizio più negativo la stragrande maggioranza degli italiani ritiene che sia lo Stato (71%) che i cittadini (68%) facciano poco o nulla per garantire la partecipazione paritaria delle persone con disabilità.
Con un’aggravante rispetto al 2021: cresce lo spostamento dalla voce ‘fare poco’ sforzo verso la voce ‘fare nulla’ per l’inclusione, segnando così un’accusa severa sia verso le Istituzioni nazionali e locali che verso se stessi. Poco più del 30% degli italiani valutano come positive le politiche del Governo dal suo insediamento con il Ministero della Disabilità. Attorno alla metà, invece, non giudica efficace la sua azione”.
Inoltre manca una sensibilità culturale: “Per l’atteggiamento culturale della società cresce dal 2021 a oggi quello della sensibilità e solidaristico, ma fanno ancora da contraltare negativo la tendenza al pregiudizio (da 66 a 62) e all’indifferenza (61) e quella alla discriminazione (da 44 a 40), cresce invece l’idea che si risponda alle esigenze della disabilità con impreparazione (da 53 a 56).
Un mondo che riguarda oltre il 15% degli italiani, che vede crescere il numero delle famiglie in situazione di povertà con una o più persone con disabilità e che vivono in una condizione di isolamento creata da muri relazionali, istituzionali e di contesto, come confermato da una ricerca qualitativa condotta da CBM Italia”.
Ed è anche mancante una vera ‘presa di coscienza’ sui diritti delle persone con disabilità: “Dal primo Osservatorio lanciato dal Premio Bomprezzi Capulli nel 2021 a oggi registriamo una scarsa presa di coscienza della società italiana sui diritti delle persone con disabilità. Nonostante ci siano stati alcuni miglioramenti, sono gli italiani e le italiane a dirci che ci sono ancora tanti diritti negati, una presa di consapevolezza di vivere in una società non inclusiva.
Il giudizio di poca incisività ed efficacia delle politiche governative è un segnale per la premier Meloni: nonostante si siano tenuti l’Expo sulla disabilità e il primo G7 sul tema, l’opinione pubblica non percepisce un impegno significativo. Facciamo quindi un appello per potenziare il Ministero della disabilità, e per rendere disponibili nuove risorse per rispondere alle esigenze di chi vive ogni giorno in una condizione di disabilità”.
Anche per il presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH), Vincenzo Falabella, molte barriere (fisiche, culturali, sociali) continuano a limitare la piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale, culturale e lavorativa: “Il 3 dicembre rappresenta un momento fondamentale per porre al centro dell’attenzione pubblica e istituzionale i diritti delle persone con disabilità. Non è solo una celebrazione simbolica, ma un’occasione in cui i riflettori si accendono sulle sfide quotidiane che milioni di persone affrontano, ma soprattutto sulle opportunità per costruire un futuro più equo e inclusivo.
Trasformare le sfide in opportunità è una responsabilità condivisa. Rinnoviamo il nostro impegno per una società davvero inclusiva, che sappia non solo riconoscere ma valorizzare le capacità di ogni individuo. Lavoriamo insieme per trasformare le sfide in opportunità, affinché la disabilità non sia più vista come un limite, ma come una condizione.
Con determinazione e senso di responsabilità, continuiamo a costruire un’Italia più giusta, solidale e accessibile per tutti. Celebriamo i traguardi raggiunti, ma manteniamo accesi riflettori perché le persone con disabilità e le loro famiglie possano essere riconosciute e realmente incluse”.
E presentando il bilancio etico e sociale dell’Istituto Serafico di Assisi la presidente Francesca Di Maolo, ha sottolineato che il prendersi cura coinvolge la comunità: “Al Serafico siamo consapevoli che la vera cura non si limita alla dimensione fisica, ma nasce da una relazione autentica che mette al centro la persona, i suoi talenti e il suo valore unico.
Lavoriamo ogni giorno per costruire un modello di cura che integri innovazione tecnologica, ricerca avanzata e attenzione ai bisogni più profondi, con la ferma volontà di contribuire a una società più giusta e inclusiva e crediamo profondamente che prendersi cura della vita più fragile significhi prendersi cura della nostra comunità e dell’ambiente che ci circonda, creando così un circolo virtuoso di solidarietà, sostenibilità e progresso.
Con una visione strategica chiara, dunque, il Serafico si prepara ad affrontare le sfide future rafforzando i propri servizi e la capacità di innovare. Grazie a una comunità di donatori fedeli e a una gestione solida, l’Istituto continuerà a essere un faro per la disabilità grave e gravissima in Italia”.
Tutelare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

“Il 20 novembre di 35 anni fa, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, trattato internazionale di importanza storica che ha riconosciuto in capo ai bambini la titolarità di diritti specifici, concepiti sui loro bisogni di crescita, protezione e sviluppo”: così è iniziata la dichiarazione del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella in occasione della ratifica della Giornata Internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, istituita nel 1989 per commemorare la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959.
Nel messaggio il presidente della Repubblica italiana ha ricordato la necessità di eliminare le discriminazioni nei confronti dell’infanzia: “La ratifica della Convenzione da parte di un numero considerevole di Paesi non ha risolto tuttavia le criticità esistenti. Milioni di bambini e adolescenti nel mondo affrontano ancora povertà, esclusione sociale, disuguaglianza e negazione di diritti fondamentali.
Proteggere i bambini da guerre, violenza, sfruttamento e ogni forma di abuso non è solo un obbligo giuridico: è un dovere morale che chiama tutti a fare della tutela dei giovani una priorità collettiva. Difendere i diritti dei bambini significa fornire loro riferimenti positivi che possano orientarne lo sviluppo; vuol dire trasmettere loro il valore dell’empatia e della solidarietà e l’importanza della responsabilità delle proprie azioni”.
E’ stato un invito ad ascoltare la gioventù: “L’incremento di episodi di violenza tra i giovanissimi impone di mantenere alta l’attenzione sia nell’attività di ascolto sia nella vigilanza, per poter intercettare anche il più piccolo segnale di disagio o sofferenza.
La mancanza di un sostegno adeguato può rendere i bambini e i ragazzi più vulnerabili e inclini a comportamenti violenti, con il rischio di spingerli anche ad avvicinarsi a contesti criminali che offrono una falsa percezione di potere e appartenenza”.
Infine occorre che le Istituzioni facciano ‘rete’: “Per prevenire questi rischi è cruciale che le famiglie, le scuole, le comunità e le istituzioni lavorino insieme al fine di creare contesti in cui i giovani possano sentirsi valorizzati, ascoltati e guidati e in cui possano avere il diritto di sognare, liberi di immaginare un futuro in cui esprimere appieno il proprio potenziale. Tutelare i diritti dei bambini vuol dire dare un futuro alla società, vuol dire rendere i giovani protagonisti delle loro vite”.
In questa giornata ‘Save the Children’ ha sottolineato che molti bambini vivono in zone di guerra:“Conflitti, povertà, fame e crisi climatica stanno spingendo milioni di bambine e bambini sull’orlo del baratro. Nel 2023, circa 473.000.000 bambini, cioè più di 1 su 5, vivevano in una zona di guerra, con una media di 31 bambini mutilati o uccisi ogni giorno e uno su 50 è costretto a fuggire, il doppio rispetto a dieci anni fa. Sempre nel 2023,sono nati più di 17.600.000 bambini destinati a soffrire la fame, un quinto in più rispetto al 2013, mentre si stima che oltre 12.000.000 ragazze si sposino prima dei 18 anni ogni anno”.
Inoltre la fanciullezza è messa in pericolo dalla crisi climatica: “La crisi climatica è una crisi dei diritti dell’infanzia che grava sulle generazioni di oggi e su quelle future. Quest’anno 300.000.000 bambini ed adolescenti (1 su 8 a livello globale) hanno subito i 10 maggiori eventi meteorologici estremi, che ogni anno interrompono l’apprendimento di circa 40.000.000 minori.
Ancora una volta, i dati sottolineano l’importanza di perseguire gli impegni presi e aumentare gli sforzi fatti finora per assicurare la protezione e il rispetto dei diritti dei bambini nel mondo, in un momento in cui questi sono messi particolarmente a rischio”.
‘Save the Children’ ha inoltre sottolineato la diseguaglianza che colpisce l’infanzia in Italia: “Non è un ‘paese per bambini’: da anni si dice che l’Italia non sia un Paese per i più piccoli e, dopo qualche decennio di lento declino, sembra quasi diventato un luogo in cui l’infanzia è ‘a rischio estinzione’.
In Italia la povertà continua a colpire i minori, i più piccoli in particolare: sono 1.295.000 i minori in povertà assoluta, con un’incidenza pari al 13,8% del totale, circa 200.000 di età compresa tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivono in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni”.
Inoltre, secondo Cesvi, a livello mondiale 148.000.000 bambini soffrono di arresto della crescita, 45.000.000 sono deperiti e quasi 5.000.000 muoiono prima di aver compiuto 5 anni, ovvero l’equivalente dell’intera popolazione italiana di età compresa tra 0 e 10 anni. La situazione peggiora ulteriormente con la crescita: oltre 36.000.000 bambini sotto i 5 anni sono malnutriti e tra questi oltre 9 milioni soffrono di malnutrizione grave. Dall’Indice Globale della Fame di CESVI emerge, inoltre, che in 27 Paesi i livelli di arresto della crescita sono così alti da avere una rilevanza molto preoccupante per la salute pubblica: la situazione più grave si registra in Burundi, Yemen e Niger, dove circa la metà dei bambini subisce un ritardo nel normale sviluppo a causa della malnutrizione. Negli ultimi anni la prevalenza dell’arresto della crescita è aumentata di almeno 4 punti percentuali anche in Afghanistan, Argentina, Mongolia, Niger e Yemen. Il deperimento infantile è particolarmente elevato in India, ed è alto e in aumento in Sudan e Yemen.
La situazione è aggravata da guerre e conflitti armati: quasi 2.000.000.000 bambini vivono in un Paese in guerra e circa 473.000.000 (più di un bambino su sei) vivono entro 50 km da scontri armati. La situazione più grave si registra nel continente africano, dove 181.000.000 bambini vivono in Paesi coinvolti in crisi armate.
In cinque Stati dell’Africa Subsahariana, oltre 1 bambino su 10 muore prima dei cinque anni, ed è l’area che detiene il più alto tasso di mortalità neonatale globale (40%). La situazione è particolarmente critica in Sudan, paese che sta affrontando una tragica emergenza fame e dove CESVI sta intervenendo: qui quasi 9.000.000 bambini vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare e oltre 700.000 bambini al di sotto dei 5 anni sono a rischio di morte.
Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: non restiamo indifferenti

In questa giornata mondiale dedicata ai diritti dei bambini, il mio pensiero va a tutte quelle situazioni che incontro e che troppo spesso sfuggono agli sguardi distratti e indifferenti. È doloroso vedere come, in una società che dovrebbe essere basata sull’uguaglianza e sull’amore per i più piccoli, ci siano così tante storie che passano inosservate, dimenticate. Mi preoccupa questa indifferenza, questa incapacità di fermarsi e vedere davvero la sofferenza degli altri, specialmente quella dei bambini, i più vulnerabili tra noi.
Penso ad Adriano, un ragazzo di 27 anni che ho incontrato una sera mentre stavo distribuendo indumenti e viveri in quel “non posto” al bosco di Rogoredo. Non apparteneva a quel mondo di persone perse e dimenticate, invisibili che vivono tra quegli alberi, eppure era lì, in cerca di aiuto. Mi ha avvicinato con estrema dignità, senza chiedere nulla per sé. Mi ha detto che aveva bisogno di vestiti e alimenti per i suoi figli, per la sua famiglia. Mi ha spezzato il cuore!
Quando gli ho chiesto dove abitasse, mi ha confidato che vive in un luogo di Milano, in una baracca con sua moglie e i loro due bambini piccoli, uno di appena sette mesi e l’altro di due anni e mezzo. All’inizio non riuscivo a crederci. Come è possibile che in mezzo a noi, in una città come questa, una famiglia viva in quelle condizioni? Eppure era così.
Sabato scorso sono andato a trovarli. Non potevo ignorare quella richiesta, non potevo voltarmi dall’altra parte. Ho portato tutto quello che potevo: abiti caldi, cibo, e soprattutto ciò che un bambino e una bambina hanno diritto di avere solo perché sono nati. Giocattoli, pannolini, qualche piccola attenzione che li facesse sentire speciali, amati. La loro ‘casa’ è una baracca: niente elettricità, niente acqua corrente, solo quattro pareti di fortuna per cercare di proteggersi dal freddo e dalla pioggia. È difficile immaginare come si possa vivere così, eppure, nonostante tutto, in quella famiglia ho trovato qualcosa che mi ha commosso profondamente.
Ho visto due bambini felici, stretti tra le braccia della loro mamma e del loro papà. Ho visto l’amore più puro e disarmante, quello di genitori che, pur non avendo nulla, riescono a dare ai propri figli tutto il calore e la protezione che possono. Ho visto sorrisi, e in quegli sguardi ho ritrovato la forza di chi non si arrende, di chi, nonostante la povertà e la fatica, cerca ogni giorno di dare un futuro migliore ai propri figli, nonostante le poche opportunità.
Oggi, in questa giornata speciale, voglio ricordare Adriano, sua moglie, i suoi due bambini e tutte le famiglie come la loro. Voglio ricordare che i diritti dei bambini non sono solo parole su un foglio, ma impegni concreti che ci riguardano tutti. Ogni bambino ha diritto a una casa sicura, a cibo, a cure, a una vita degna. Ma soprattutto, ha diritto a non essere dimenticato.
La cosa che più mi rattrista è pensare che troppo spesso non vediamo queste persone come parte di noi. Ci illudiamo che siano ‘altro’, che le loro vite siano distanti dalle nostre. Ma non è così. Sono come noi. Sono noi. E se possiamo permettere che un bambino cresca senza ciò che gli spetta, che diritto abbiamo di parlare di umanità?
Oggi, più che mai, voglio ringraziare chi non si arrende, chi con un piccolo gesto continua a ricordare che nessuno dovrebbe essere lasciato indietro. Voglio ringraziare tutti quelli che si fermano, che ascoltano, che scelgono di vedere. Perché solo vedendo, solo riconoscendo nell’altro un fratello, una sorella, possiamo costruire una società dove i diritti non siano solo un ricordo da celebrare un giorno all’anno, ma una realtà che appartiene a tutti, soprattutto ai bambini.
Terre des Hommes in difesa di bambine e bambini

In occasione della Giornata Mondiale delle Bambine proclamata dall’ONU nel giorno 11 ottobre 2012, ‘Terre des Hommes’ ha lanciato la Campagna ‘indifesa’ per garantire alle bambine di tutto il mondo istruzione, salute, protezione da violenza, discriminazioni e abusi: con questa grande campagna di sensibilizzazione in questi 11 anni Terre des Hommes ha messo al centro del proprio intervento la promozione dei diritti delle bambine nel mondo, impegnandosi a difendere il loro diritto alla vita, alla libertà, all’istruzione, all’uguaglianza e alla protezione.
Nell’introduzione al dossier dell’ong è possibile leggere le motivazioni della ricerca: “Oltre 3.100.000.000 di bambine, ragazze e donne vivono in Paesi dove i loro diritti non sono garantiti. L’esempio più drammatico è l’Afghanistan dove oggi alle donne è vietato persino parlare in pubblico, ma non è un caso isolato. Questo 13^ dossier ‘Indifesa’ vuole documentare le sofferenze di tutte le bambine e ragazze nel mondo. Ogni pagina del report è un richiamo all’attenzione globale, affinchè non si distolga mai lo sguardo da chi è più vulnerabile.
In un anno segnato dal moltiplicarsi dei conflitti, non possiamo ignorare come la violenza sessuale ai danni di bambine, ragazze e donne diventi troppo spesso una vera e propria arma di guerra, con conseguenze devastanti non solo per la vittima, ma anche per la sua comunità. E questo è tanto più drammatico se si pensa che tra il 2017 e il 2022 è aumentato del 50% il numero di ragazze e donne che vivono in Paesi afflitti da guerre, raggiungendo la cifra record di 614.000.000.
Le guerre, o anche altri scenari di crisi (pensiamo alle regioni più colpite dalla crisi climatica) sono per le bambine e le ragazze fattori che aumentano il rischio di mutilazioni genitali e di abbandono scolastico, per il quale la probabilità è 2,5 volte maggiore rispetto alle loro coetanee che non si trovano in questi contesti. Ma cresce anche il rischio di matrimoni forzati e la salute riproduttiva è messa gravemente in pericolo”.
Ma anche i dati riguardanti l’Italia sono abbastanza preoccupanti: “I dati relativi al nostro Paese, benché il contesto sia completamente diverso, restano comunque preoccupanti. Bambine e ragazze sono ancora la maggioranza tra le vittime di reati a danno di minori. Gli indicatori relativi al lavoro, alla presenza di NEET, allo studio delle discipline STEM e alla partecipazione pubblica delle donne non migliorano. Il nostro Paese è sceso dal 79^ all’87^ posto nel 2024 per quanto riguarda l’uguaglianza di genere.
Questi dati, insieme ai molti altri presenti nel report, sono per noi ogni anno un nuovo punto di partenza per la campagna indifesa, che da oltre 13 anni dà voce alle bambine e alle ragazze che, con ogni mezzo, vogliono essere protagoniste del cambiamento. Nel dossier abbiamo raccontato le storie di sportive, attiviste, studiose e artiste, tutte impegnate a conquistare il proprio spazio. Loro rappresentano il futuro e, ne siamo certi, sono pronte a guidare una trasformazione che non può più essere rimandata”.
Nello scorso anno i reati contro i minori compiuti in Italia sono stati 6.952, una media di 19 ogni giorno, 95 in più rispetto al 2022, con una crescita del 34% in 10 anni, addirittura dell’89% dal 2006. I più diffusi sono i maltrattamenti in famiglia: 2.843 casi, più 6% dal 2022, raddoppiati dal 2013. Dal dossier emerge che sono bambine e ragazze le più colpite, vittime nel 61% dei casi. A far crescere la percentuale soprattutto i crimini di violenza sessuale e violenza sessuale aggravata, per l’89% e l’85% di vittime femminili. Poi gli atti sessuali con minorenni (il 79% su femmine), la detenzione di materiale pornografico e corruzione di minorenne (78% di vittime femmine), la prostituzione e pornografia minorile (64% su bambine o ragazze).
Più vittime maschili per l’omicidio volontario (67%), l’abbandono di minori o incapaci (61%), l’abuso dei mezzi di disciplina (59%) e la sottrazione di persone incapaci (55%). Parità nei reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare (entrambi i generi al 50%) e di maltrattamenti in famiglia, l’aumento più significativo rispetto al 2022. In crescita anche le violenze sessuali, 912 casi (+1% dal 2022 ma +51% dal 2013), il secondo reato più diffuso; la sottrazione di persone incapaci (302 casi, +4% dal 2022 e +39% dal 2013); l’abbandono di persone minori o incapaci (568 casi, +3% dal 2022 e +25% in 10 anni); gli atti sessuali con minorenni (+3% dal 2022 e +5% dal 2013, con un totale di 444 casi); l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (+1% con 349 casi; +47% dal 2013); la pornografia minorile (171 casi, aumentati dell’1% dal 2022 ma calati del 7% dal 2013).
Calano, invece la prostituzione minorile (28 casi), (-24% dal 2022 e -65% in 10 anni); la detenzione di materiale pedopornografico (59 casi, – 18% sul 2022 ma in aumento, sempre del 18%, rispetto al 2013); la corruzione di minorenne (94 casi, -12% in un anno e -24% dal 2013). Diminuiscono rispetto al 2022 le violenze sessuali aggravate (645 casi, -7%), ma in grave aumento (+73%) dal 2013. Invariati da 10 anni gli omicidi volontari con 12 casi.
In Europa, secondo le stime dell’End Fgm European Network 5, più di 600.000 donne convivono con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili: si tratta, in parte, di immigrate di prima generazione talvolta giunte in Europa molto tempo fa che hanno subito il ‘taglio’ nei Paesi d’origine e che non cercano aiuto (o se lo cercano non lo trovano) per affrontare i problemi di salute legati alle conseguenze delle mutilazioni. Inoltre, ogni anno almeno 20.000 potenziali vittime chiedono asilo nell’Unione Europea dopo essere fuggite da un Paese a rischio.
L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) monitora questo fenomeno dal 2012 ed ha
elaborato una stima delle possibili vittime tra le bambine e le ragazze con meno di 18 anni, il cui numero oscilla tra le 53.000 e le 93.000. Nello scenario ‘Ad alto rischio’, si ipotizza che la migrazione non abbia alcun impatto e che le ragazze provenienti da un Paese in cui si praticano le mutilazioni genitali femminili corrano gli stessi rischi di quelle che sono rimaste nella nazione d’origine.
Nel secondo scenario (‘A basso rischio’) invece si ipotizza che il progetto migratorio e l’integrazione abbiano un impatto, cambiando l’atteggiamento dei familiari nei confronti di questa pratica: ciò si traduce in un’incidenza del fenomeno che può variare dal 9% (scenario a basso rischio) al 15% (alto rischio) in Spagna; dal 16% al 27% in Belgio; dal 12% al 21% in Francia; dall’11% al 19% in Svezia e dal 25% al 42% in Grecia.
Manifestazioni per non dimenticare piazza Tiananmen

Il 4 giugno dal 1989, al culmine delle proteste che coinvolsero molti giovani ed intellettuali della società cinese, l’esercito della Repubblica Popolare Cinese aprì il fuoco contro i dimostranti in piazza Tiananmen, a Pechino, causando un numero incerto di morti calcolato dalle centinaia alle migliaia. In occasione di questa 35^ ricorrenza il giornale ‘Chistian Times’ pubblica una pagina bianca, come ha riportato il sito ‘Asia News’, motivando la scelta, in quanto la ‘situazione attuale’ si può raccontare solo ‘trasformando i paragrafi in linee vuote e spazi bianchi’ in una società sempre più ‘restrittiva’.
Per tale anniversario il sito di Asia News ha riportato l’appello di ‘Chinese Human Rights Defenders’ per la liberazione di 14 protagonisti del 1989 ancora in galera: “Per 35 anni, tutti i massimi dirigenti cinesi, da Li Peng a Xi Jinping, si sono preoccupati di cancellare i ricordi del 4 giugno perseguitando coloro che pacificamente chiedono di assumersene la responsabilità. Tutti coloro che hanno a cuore la giustizia dovrebbero chiedere pubblicamente alle autorità cinesi di rilasciare immediatamente e senza condizioni questi e tutti gli altri prigionieri di coscienza in Cina”.
Inoltre Asia News ha tradotto una riflessione del vescovo di Hong Kong, card. Stephen Chow Sau-yan, sull’anniversario pubblicata sul sito del settimanale diocesano ‘Sunday Examiner’, in cui auspica un ‘perdono’, che non significa dimenticare, ma che possa permettere alla Cina di voltare pagina:
“Quanto è successo 35 anni fa ha lasciato una ferita profonda in alcune parti della nostra psiche, anche se è stata seppellita e cicatrizzata. Tuttavia, rimane un punto dolente che richiede un’attenzione adeguata per la guarigione. E io sto pregando affinché questa guarigione avvenga. Detto questo, capisco che non dobbiamo fermarci, ma andare avanti. Una vita sana non dovrebbe rimanere bloccata in uno spazio buio di dolore e risentimento senza fine.
Questo non significa, però, che io possa dimenticare ciò che ho visto e sentito così profondamente quella notte e nelle settimane successive. Anche se i miei ricordi non sono più vividi, il mio cuore ha sentimenti che rimangono vivi, soprattutto in questo periodo dell’anno”.
Ed ha sottolineato che Dio è misericordioso: “Il suo perdono è sempre disponibile per quanti ne hanno bisogno ma non hanno ancora il coraggio di chiederlo. L’amore incondizionato di Dio per noi si esprime in modo travolgente attraverso la Passione e la morte del suo unico Figlio, anche quando viviamo in uno stato di peccato che non confessiamo.
Fortunatamente, è attraverso questo atto d’amore auto-sacrificale che siamo consapevoli del nostro bisogno di perdono di Dio. E con la risurrezione del Figlio, possiamo godere di un nuovo inizio. Proprio perché il perdono di Dio non richiede il nostro pentimento, possiamo anche imparare a perdonare in modo proattivo. Perdonare non significa dimenticare, ma offre una condizione preliminare per la nostra libertà interiore e un futuro più luminoso per tutti”.
La riflessione è stata conclusa con una preghiera: “Oh, Signore della storia, nelle preghiera ho camminato con le vittime e le loro famiglie negli ultimi 35 anni; non ho mancato di accompagnarle con momenti di riflessione e una tristezza altalenante che a volte sembra infinita. Allo stesso tempo, però, mantengo la mia speranza nel Signore risorto che è passato attraverso questa stessa morte. Ora, mi presento davanti a te in preghiera. Con fede e speranza, Signore, ti affido lo sviluppo democratico del Paese.
Tu che sei sempre giusto e saggio. Fammi indossare il tuo giogo e imparare da te. Che io possa intravedere, attraverso la tua bontà e umiltà, il desiderio eterno della vita. Avanzando nell’amore, sostenendoci a vicenda nell’affrontare le nostre contraddizioni, godiamo della bellezza della comunione trinitaria. Oh Signore, guidaci! Cammina con noi, popolo della Cina!”.
In Ucraina dopo due anni di guerra

“Esortiamo la comunità internazionale, i leader religiosi e politici dei vari Paesi di continuare nel loro impegno per proteggere l’Ucraina dall’aggressione russa, per assistere coloro che stanno soffrendo per le conseguenze di questa guerra. Questo include il ritorno in Ucraina dei bambini, dei civili e dei prigionieri di guerra ucraini deportati illegalmente dalla Russia. Infine, esortiamo a continuare l’impegno per promuovere la vittoria e l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Ucraina”.
Questo ha chiesto il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose in occasione del secondo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, avvenuto il 24 febbraio di due anni fa, che ha provocato molte morti: “La guerra di aggressione che la Russia conduce contro l’Ucraina dal 2014, violando le norme e regolamenti internazionali, ha causato enormi sofferenze al popolo ucraino…
Questa guerra ha provocato la morte di centinaia di migliaia di persone e brutali violazioni dei diritti umani e delle libertà civili nei territori temporaneamente occupati, inclusi la sistematica violazione della libertà religiosa e la distruzione di città e infrastrutture civili. Tale guerra, ha generato la più grande crisi migratoria in Europa dall’epoca della Seconda Guerra mondiale”.
Infatti secondo un rapporto dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, a due anni dall’inizio del conflitto oltre 185.000 persone hanno fatto richiesta di protezione temporanea e circa 4.400 di protezione internazionale in Italia con un tasso di riconoscimento sulle richieste di protezione internazionale esaminate che sfiora il 90%, di cui oltre l’87% dei rifugiati in Italia sono donne e minori. Dalla ricerca emerge che quasi tre su quattro adulti profilati avevano una formazione universitaria e più della metà erano alla ricerca di un impiego in Italia. Nel 39% dei nuclei familiari era presente una persona con vulnerabilità. Inoltre i bambini ucraini non accompagnati registrati al 31 dicembre dello scorso anno sono oltre 4.000.
Ed anche l’ong ‘WeWorld’ ha raccontato attraverso la voce delle rifugiate ucraine questi due anni, sottolineando che in Ucraina la situazione umanitaria rimane grave ed i bisogni della popolazione sono ancora tanti, in quanto: l’accesso ad acqua pulita e potabile e a cure mediche è limitato in alcune zone e mancano vestiti caldi per fronteggiare le rigide temperature dell’inverno.
Per tante bambine, bambini e adolescenti non ci sono più spazi sicuri dove poter studiare e socializzare, come ha spiegato Nataliia Kavetska, che per 8 mesi ha lavorato come mediatrice linguistico-culturale negli ‘Spazi Donna WeWorld’ ed ora di nuovo in Ucraina:
“Se scatta l’allarme dobbiamo correre nei rifugi ed è capitato diverse volte di doverci fermare a lungo e che mio figlio studiasse insieme ad altri bambini in cantina. Nell’aria si sente il pericolo, anche solo durante una passeggiata vediamo le macerie dei palazzi. Eppure ho deciso di tornare in Ucraina, a Kyiv, perché volevo fare qualcosa per il mio Paese anche se la vita quotidiana è molto diversa da prima a causa dei continui bombardamenti”.
Ed ha raccontato la vita in Ucraina: “Proviamo a vivere al meglio, qualcuno prova a sopravvivere perché c’è anche la crisi economica: io spero di avere un futuro in Ucraina ma al momento non riesco a immaginarmelo. Da quando è iniziata la guerra e da quando sono tornata però ho iniziato ad apprezzare le cose importanti: cos’è l’amicizia, la vicinanza, il sostegno. Apprezzo meglio la vita. Ci sono tanti momenti difficili perché la vita quotidiana è molto faticosa ma nel mio cuore c’è speranza”.
Mentre Guido Manneschi, responsabile Paese in Ucraina per WeWorld, dove in due anni di intervento ha raggiunto 230.000 persone, di cui il 74% sono donne, bambine e bambini, ha detto di non vedere la conclusione del conflitto: “A due anni dall’inizio della guerra la popolazione ucraina continua a vivere l’impatto di un conflitto che, ancora, non vede una possibile fine…
Due anni che avranno ripercussioni sul futuro di un’intera generazione, con bambine e bambini che vivono una quotidianità precaria senza continuità a scuola con la paura dei bombardamenti, uomini che avranno bisogno di aiuto per superare lo stress post traumatico, donne che hanno il peso della cura e della ricostruzione sulle proprie spalle. Il popolo ucraino sta vivendo una crisi collettiva che deve essere fermata, il rischio è che il Paese non riesca più a rialzarsi”.
La Ong precisa che 14.600.000 persone, il 40% dell’intera popolazione, ha bisogno di aiuti umanitari, ma i finanziamenti coprono solo il 13% dei bisogni (Unhcr); 3.300.000 vivono vicino al fronte di guerra, dove arrivano pochi aiuti perché l’accesso umanitario è difficile e non garantito. In due anni 6.000.000 persone sono fuggite all’estero e 4.000.000 sono sfollate all’interno dell’Ucraina.
Per questo anche la Caritas italiana Caritas Italiana ha partecipato all’intervento della rete Caritas internazionale a favore di Caritas Ucraina e Caritas-Spes con servizi di accoglienza e di protezione, assistenza medica, kit igienici e alimentari, contributi in denaro.
Degli € 24.325.914,15 raccolti (al 31 dicembre 2023), tra cui € 1.000.000 da parte della CEI (fondi 8xmille), due terzi sono già stati spesi (€ 15.690.744,38); mentre il rimanente è destinato a progetti da realizzarsi nell’anno in corso e nei prossimi anni: tra i contributi spesi € 4.926.879,91 sono stati stanziati a progetti di sostegno in Ucraina e Paesi limitrofi ed € 10.763.864,47 a progetti di accoglienza in Italia:
“Dallo scoppio del conflitto molte diocesi italiane si sono impegnate per garantire un’accoglienza adeguata alle persone in fuga. Tante le attività organizzate a livello locale: accoglienza, raccolta beni di prima necessità, assistenza sanitaria, accompagnamento psicologico. Le strutture maggiormente utilizzate: appartamenti, parrocchie, famiglie, istituti religiosi, centri di accoglienza.
Migliaia le persone accolte dalla rete ecclesiale italiana, attraverso il progetto ‘Apri Ucraina’ promosso da Caritas Italiana. Il progetto ha coinvolto cento diocesi e ha permesso di accogliere oltre seimila persone. Da segnalare anche le vacanze solidali che hanno permesso a quasi 650 bambini ucraini (e ai loro accompagnatori) di trascorrere alcune settimane serene in Italia”.
Inoltre dall’occupazione della Crimea nel 2014, Amnesty International ha documentato numerose atrocità, tra cui attacchi mirati contro civili e infrastrutture civili, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, torture, privazioni illegittime della libertà, trasferimenti forzati di civili e l’uso della violenza sui prigionieri di guerra, secondo quanto ha affermato Denis Krivosheev, vicedirettore per l’Europa orientale e l’Asia centrale di Amnesty International:
“Mentre la guerra è ancora in corso, è necessario conservare per quanto possibile le prove di ogni singola atrocità. I responsabili dei crimini di diritto internazionale devono essere chiamati a risponderne, indipendentemente da quanto tempo ci vorrà. Questi crimini non cadono in prescrizione”.
Per questo Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore che rappresenta oltre 100 reti nazionali di Terzo settore, ha aderito alla Giornata di mobilitazione di sabato 24 febbraio nelle città italiane, indetta dalla Rete Italiana Pace e Disarmo per chiedere di fermare la follia criminale di tutte le guerre:
“A due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina lo scenario internazionale è sempre più grave, con la drammatica intensificazione del conflitto israelo-palestinese a seguito dell’attacco disumano di Hamas e della sproporzionata risposta militare da parte di Israele.
Assistiamo alla dimostrazione della fragilità degli equilibri internazionali, mentre la via della diplomazia e della soluzione pacifica dei conflitti diventa sempre più difficile da percorrere. In questo quadro è lo stesso principio di autodeterminazione dei popoli a perdere riconoscimento, se non addirittura ad essere negato”.
Quindi la proposta del Forum Terzo Settore ha proposto la promozione della cooperazione: “Mai come ora è imperativo promuovere la cooperazione tra Paesi, schierarsi per la pace e per un modello di sviluppo fondato sulla tutela dei diritti della persona e la giustizia sociale.
Ci uniamo alle tante voci che stanno denunciando in questi mesi il massacro di innocenti e la pericolosissima corsa al riarmo degli Stati. Ci appelliamo inoltre ai Governi, italiano ed europei innanzitutto, affinchè ascoltino le organizzazioni della società civile, che stanno indicando la strada della pace da seguire”.
Mentre la Comunità di Sant’Egidio ha diffuso una nota in cui ripercorre la straordinaria catena di solidarietà messa in atto dalle sue comunità che in questi due anni ha raggiunto circa 330.000 persone: “Tutto ciò è reso possibile da una catena di solidarietà che parte dall’Italia e da altri paesi europei e che non può interrompersi finché dura il conflitto”.
Nel centro di coordinamento delle iniziative umanitarie di Sant’Egidio, realizzato a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, sono giunti finora dall’Italia e da diversi Paesi europei 127 carichi di aiuti umanitari, pari a 2.000 tonnellate, per un valore complessivo di oltre € 23.000.000.
Da Leopoli la Comunità di Sant’Egidio ha spedito farmaci, anche salvavita, a 209 strutture sanitarie, 90 amministrazioni locali, 54 istituti per bambini, anziani e disabili e numerosi centri di accoglienza per profughi anche nelle aree più remote del Paese. La stima delle persone che hanno usufruito di questi aiuti sanitari è di circa 2.000.000.
Ed oggi la Comunità di Sant’Egidio tiene una Liturgia per la Pace alle ore 19.30, nella chiesa di San Bernardino (via Lanzone 13, Milano; M2 Sant’Ambrogio), a cui partecipano profughi accolti a Milano.
Nel febbraio 2014 la Russia ha inviato le proprie truppe ad occupare la Crimea. Non ha mai ammesso che, nello stesso anno, erano entrate anche nell’Ucraina orientale. Le prove pubblicate da Amnesty International nel 2014, che includono l’analisi di immagini satellitari e testimonianze oculari, hanno confermato quanto avvenuto, rendendo evidente che siamo effettivamente di fronte a un conflitto armato internazionale della durata di un decennio.