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Con il prof. Adriano Dell’Asta per non dimenticare Aleksej Naval’nyj

“Contro che cosa si era battuto il Signore? Contro la menzogna, l’ipocrisia, la schiavitù, l’usurpazione del potere da parte di delinquenti e ladri. Contro tutto quello che maggiormente ci disgusta, che ha disgustato molti prima di noi e disgusterà molti dopo di noi. Non aveva chi potesse sostenerlo, cose come i nostri meeting erano proibite, gli ‘omon’ (unità speciali antiterrorismo della polizia russa dipendenti dal Ministero dell’Interno della Federazione Russa e, in passato dell’Unione Sovietica, ndr.) lo tormentavano con le lance, i mass media erano sotto il controllo dei farisei, al potere c’erano dei furfanti con proprietà immobiliari all’estero.
E dei dodici che componevano il comitato centrale del suo partito, uno era un provocatore, un traditore che si era venduto per soldi e si era messo al servizio della Sezione ‘E’ del tempo. I malvagi distrussero tutto quello che era stato fatto. I discepoli furono costretti a rinnegarlo. Lui stesso fu torturato e ucciso. E tutto crollò e calarono le tenebre. Cosa sono tutte le nostre ‘difficoltà’ ed i nostri ‘problemi’ in confronto a ciò che ha dovuto provare lui? Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio”.
Partiamo da questa frase che Aleksej Naval’nyj scrisse nel periodo pasquale 2014, ora raccolto nel volume ‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’, curato da Marta Carletti Dell’Asta e da Adriano Dell’Asta, che insegna Lingua, cultura e letteratura russa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca dal 2010 al 2014, e presidente dell’associazione ‘Russia cristiana’, a cui chiediamo di raccontarci la situazione dei diritti umani in Russia ad un anno dalla morte di Aleksej Naval’nyj, avvenuta il 16 febbraio 2024:
“Se è possibile, peggiora ogni giorno di più. A metà gennaio, gli stessi avvocati di Naval’nyj sono stati condannati a pene detentive tra i tre e i cinque anni, sotto l’accusa di far parte di un’organizzazione ‘estremista’, ma in realtà unicamente per aver svolto le loro mansioni professionali. Alla fine del luglio scorso, un prigioniero di coscienza come il pianista Pavel Kušnir è morto facendo uno sciopero della sete in prigione. Altri detenuti, come lo storico Jurij Dmitriev, sono gravemente malati e non ricevono assistenza adeguata. E potremmo continuare a lungo”.
‘Ecco la ricetta (breve) della felicità: scegliere qualcosa che si ama molto, privarsene per un po’ e poi riprenderla. Solo ricordatevi che questo non si applica alle persone: dimostrate sempre amore alle persone che vi sono care’: quale era la ricetta della felicità di Naval’nyj?
“Lo diceva lui stesso in uno dei suoi messaggi dalla prigione: ‘ho un immenso e raro privilegio nella Russia di oggi: dico ciò che ritengo giusto e faccio ciò che considero necessario’: la felicità per lui era essere uscito dal regno della menzogna di regime e dire la verità, quale che fosse il costo, perché l’uomo è felice se realizza se stesso nel suo servizio ai figli, alla famiglia, alla sua gente, per costruire, lo diceva ancora lui stesso, la bellissima Russia del futuro”.
Giorni fa è stato il primo anniversario della sua morte: è vero che in Occidente non lo si è ricordato abbastanza?
“Non direi che lo si sia ricordato poco: grandi quotidiani e televisioni gli hanno dedicato servizi anche importanti. E’ tuttavia vero che molto spesso si è rischiato di dimenticare il cuore della sua testimonianza: Naval’nyj è stato sicuramente un oppositore politico ma, soprattutto, come gli riconosceva un grande difensore dei diritti civili dell’epoca sovietica, è stato un ‘dissidente di classe’, intendendo con questa espressione un uomo che aveva lottato innanzi tutto non per degli ideali astratti o per qualche idea politica particolare, ma per la verità dell’umano nella sua interezza e aveva capito che per sostenere una simile battaglia, in una situazione come quella russa attuale (dove chi si oppone al regime rischia letteralmente la vita), bisognava avere una motivazione capace di andare ben oltre l’immediato e approdare all’eterno.
Nelle commemorazioni, pur importanti, si è avuto molto pudore a ricordare questa ispirazione esplicitamente religiosa del suo agire, un’ispirazione che però non è frutto delle nostre interpretazioni, ma è nelle sue stesse parole, ripetute più volte; lui stesso lo dice testualmente: ‘l’espressione ‘beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati’ sembra alquanto esotica, bizzarra, ma in realtà è l’idea politica più importante che abbiamo oggi in Russia”.
Intanto la repressione dei giornalisti continua: quanto è scomoda la libertà di stampa?
“La libertà di stampa non è solo scomoda per il potere, ma gli fa paura: il regime teme innanzitutto la verità perché si regge totalmente sulla menzogna e non può accettare alcuna dialettica e libertà di discussione sul presente e sul passato del Paese”.
Inoltre sono stati chiusi anche alcuni luoghi ‘simbolo’: quale segnale è la chiusura del Museo della storia del Gulag?
“La chiusura del Museo della storia del Gulag è solo uno degli innumerevoli segnali della paura della verità di cui stiamo parlando; prima era stata preceduta, nel dicembre del 2021, dalla chiusura di Memorial (l’associazione che dalla fine degli anni ‘80, con il riconoscimento ufficiale e la legalizzazione voluta da Gorbačëv, si era occupata di mantenere viva la memoria delle repressioni in epoca sovietica, raccogliendo materiali, testimonianze e un archivio enormi e stimati in tutto il mondo);
contemporaneamente era venuta l’adozione del testo unico per le lezioni di storia in tutti i livelli d’istruzione, che presenta una vera e propria riscrittura della storia sovietica (con al centro la rivalutazione della figura di Stalin). Negli ultimi mesi si era avuta la rimozione sempre più frequente delle targhe dell’ ‘Ultimo indirizzo’ (un’iniziativa sul tipo delle nostre ‘pietre d’inciampo’, con la differenza che nel caso russo venivano ricordati i deportati nei campi sovietici). E anche qui potremmo continuare a lungo”.
‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’: cosa resta del suo pensiero?
“Resta letteralmente quello che viene detto in questa espressione che dà il titolo alla raccolta che ho curato per la casa editrice ‘Morcelliana – Scholè’: il regime si regge sulla paura, e per superare la tragedia di una vita governata dalla paura basta superare innanzitutto la paura, molto semplicemente non avere paura e non credere che questo possa essere un privilegio di pochi eroi; Naval’nyj era molto realista, sapeva perfettamente che tutti possiamo avere paura, ma sapeva anche che il regime poteva reggersi solo finché i suoi sudditi non scoprivano di non essere soli nell’amore per la verità. Ricordare Naval’nyj è un modo per dire a ciascuno di noi e al mondo che l’amore per la verità è possibile in ogni circostanza”.
Riunione dei Ministri degli Affari Esteri del G7: il Civil7 esorta i G7 a maggiore chiarezza e azione per la pace

Il 26 novembre si è conclusa a Fiuggi la riunione dei Ministri degli Affari Esteri del G7, ospitata dall’Italia nell’anno di presidenza che sta per concludersi. Un contesto internazionale sempre più conflittuale e pericoloso richiede uno sforzo globale senza precedenti per ristabilire un sistema multilaterale che promuova percorsi di pace e diritto internazionale, anziché derive verso ulteriori guerre. Come il C7 ha più volte affermato, il G7 può essere parte del problema, se promuove unilateralmente gli interessi delle economie più sviluppate, o parte della soluzione, se difende i diritti umani e gli interessi comuni dell’umanità e del pianeta.
Le drammatiche violazioni, flagranti e impunite, del diritto internazionale umanitario provocano enormi sofferenze ai civili. Il G7 e gli altri Stati dovrebbero evitare questa complicità silenziosa che permette alla guerra continue devastazioni. Essi dovrebbero invece rispettare e far rispettare il diritto internazionale umanitario e i suoi principi di distinzione, proporzionalità e precauzione, condannando tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di qualsiasi attore in ogni conflitto e guerra. Assistiamo ad un’inquietante contraddizione tra gli appelli dei governi alla pace e ai cessate il fuoco e il trasferimento di armi, parti e munizioni alle parti in conflitto.
Ribadiamo quindi la necessità di rafforzare e utilizzare il sistema di regole delle Nazioni Unite, chiedendo ai governi di aderire e impegnare tutti i partner e gli alleati nei trattati internazionali per prevenire la guerra e sul disarmo, nel rispetto delle Risoluzioni delle Nazioni Unite e per proteggere le istituzioni dell’ONU, inclusa la particolare situazione dell’UNRWA.
La fragilità della pace globale, il persistere dei conflitti armati e l’aumento del rischio di uso delle armi nucleari richiede la massima urgenza e azioni concrete, che ancora non vediamo. È necessario un più forte impegno politico per implementare soluzioni sostenibili che affrontino le sfide strutturali e sistemiche. Chiediamo di spostare le risorse finanziarie dal settore militare alla diplomazia, alla sicurezza umana e alla spesa sociale per promuovere il dialogo e combattere le cause sistemiche di disuguaglianze, povertà e vulnerabilità.
Un sistema multilaterale più forte, un impegno condiviso per la tutela dei diritti umani, un sistema finanziario ed economico equo sono i presupposti per una pace sostenibile. Il C7 chiede pertanto ai Paesi del G7 di assumersi urgentemente le proprie responsabilità in questa prospettiva per un futuro più pacifico, giusto e sicuro.
(Foto: Ministero degli Esteri)
Navalny come Politkovskaya

“Dopo essere stato avvelenato, ingiustamente imprigionato e torturato, Aleksei Navalny è deceduto, dopo 37 mesi di sofferenza dietro le sbarre, a seguito di un trasferimento in una delle carceri più remote e dure della Russia. Aleksei era un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver denunciato un governo repressivo”: è quanto dichiarato da Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, all’indomani della morte dell’oppositore di Putin, che ha poi aggiunto:
“Navalny chiedeva libertà politica per sé e i suoi sostenitori; denunciava la corruzione e sfidava Putin. La sua morte è una testimonianza devastante e grave delle condizioni di vita sotto il regime oppressivo e repressivo del Cremlino. Ha pagato il prezzo più alto per aver espresso la propria opinione critica e per aver difeso la libertà d’espressione. Amnesty International è al fianco di tutti coloro che lottano per i diritti umani dentro e fuori i confini della Russia”.
Ed ha spiegato le condizioni del prigioniero russo: “Navalny è stato privato delle cure mediche, è stato tenuto per lunghi periodi in isolamento ed è stato vittima di sparizione forzata, quando è stato trasferito in una delle colonie penali più lontane che ci siano, vicino al Circolo polare artico. Le autorità russe hanno rifiutato di indagare adeguatamente e di essere trasparenti sulle precedenti accuse di violazioni dei suoi diritti umani”.
E’ un richiamo alla comunità internazionale a richiedere verità sulla sua morte: “Mentre è in corso la ricerca di giustizia, è chiaro che abbiamo poche vie a nostra disposizione. E’ quindi fondamentale che la comunità internazionale intraprenda azioni concrete affinché tutti coloro che sono responsabili della morte di Navalny rendano conto delle proprie azioni. Dobbiamo urgentemente chiedere alle Nazioni Unite di utilizzare le loro procedure e i loro meccanismi speciali per occuparsi della morte di Navalny”.
Per questo è stata chiara e precisa la dichiarazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “La morte di Aleksej Navalnyj nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale.
Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti”.
L’ong ha sottolineato la responsabilità di Putin: “Aleksej Naval’nyj è stato ucciso in prigione. L’amministrazione penitenziaria ha trasmesso la notizia e intende svolgere verifiche per stabilire la causa di morte; gli inquirenti hanno debitamente annunciato qualcosa di simile.
Non ce n’è bisogno, quella causa è già nota. Naval’nyj è stato assassinato; di questo assassinio pianificato e attuato metodicamente è responsabile lo stato russo, inclusi quegli stessi enti che ora cianciano di verifiche”.
Dopo aver ricostruito gli ultimi quattro anni del dissidente russo l’ong per la difesa dei diritti umani ha ribadito che tale uccisione è un assassinio politico: “Questo non è un semplice assassinio politico: è un attentato alla speranza. Ma è in nostro potere impedire questo ultimo crimine contro Naval’nyj, e anche di fermare altri assassini politici in corso proprio ora. Aleksej era straordinario per il coraggio, la tenacia e l’ottimismo. Per noi sarà sempre un esempio da seguire, una fonte di ispirazione che infonde speranza e non permette di lasciarsi cadere le braccia”.
Per il prof. Adriano Dell’Asta, vicepresidente della Fondazione ‘Russia Cristiana’, il dissidente è un esempio di libertà: “Esempio di democrazia, aveva mostrato in atto la disponibilità a battersi per una causa non strettamente personale: era infatti tornato in patria dopo che era stato oggetto di un tentato avvelenamento, ben sapendo di essere destinato alla galera, ma convinto di dover dare un esempio di coraggio civile che potesse scuotere un’opinione pubblica troppo accomodante con il potere, in patria ma, non dimentichiamolo, ancor più gravemente accomodante nel resto del mondo.
Ora a morire è Naval’nyj, ma non dimentichiamo, appunto, gli avversari politici, gli oppositori e i giornalisti eliminati in questo primo ventennio del XXI secolo. Esempio di libertà, non aveva smesso di essere libero, continuando a difendere la causa di tutta l’opposizione persino in carcere e persino quando vedeva che ogni sua azione scatenava le reazioni più odiose e assurde da parte dei suoi aguzzini. Esempio di dignità, col suo ritorno e con la sua resistenza, aveva mostrato cosa significhi essere uomini in questa nuova versione del ‘secolo lupo’, come la moglie del grande poeta Mandel’štam aveva chiamato i tempi di Stalin”.
Sul sito di Asia News don Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale, ha ricostruito i minuti precedenti il decesso dell’oppositore russo: “Naval’nyj è morto ufficialmente alle 14.17, e la notizia è stata diffusa con un comunicato stampa dell’amministrazione penitenziaria alle 14.19, per girare sui canali della Tass alle 14.20, annunciando alle 14.23, sei minuti dopo la morte, la ‘verosimile formazione di un trombo’, senza alcuna autopsia o conferma di medici competenti.
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha commentato la ‘spiacevole notizia’ alle ore 14.30, meno di un quarto d’ora dopo la morte. Il cronometraggio ufficiale, e non le supposizioni dei malvagi occidentali, dimostrano che si è trattato veramente di un’operazione pianificata e concordata ai massimi livelli, fino ai minuti secondi, con comunicati già pronti e stampati.
Putin non si farà ovviamente alcuno scrupolo nel negare ogni tipo di evidenza, ciò che rappresenta la sua migliore capacità professionale fin dai tempi del Kgb, ma non c’è modo di occultare un crimine di portata così clamorosa, tanto che in tutta la Russia sono in corso manifestazioni spontanee di grande partecipazione emotiva, segno che nel fondo dell’anima dei russi si conserva ancora la fiammella di Naval’nyj”.
Dopo la morte la polizia russa ha bloccato l’accesso al memoriale delle vittime della repressione politica ed ha arrestato coloro che erano venuti a commemorare l’oppositore, che secondo l’ong OVD per i diritti umani sono oltre 400 i detenuti in 30 città russe per aver voluto ricordare il dissidente. Inoltre 24 ore dopo è morto anche il fotografo Dmitry Markov, che aveva documentato le proteste del 2021 per l’arresto dell’oppositore al suo ritorno in Russia dalla Germania.
(Foto: Amnesty International)
Rondine torna alle Nazioni Unite

“Se la guerra è una scelta, lo può essere anche la pace”. Sarà questo il messaggio che gli studenti internazionali della Cittadella della Pace porteranno alle Nazioni Unite di New York. A cinque anni dal lancio della campagna globale “Leaders for Peace”, Rondine torna al Palazzo di Vetro per parlare ai 193 rappresentanti degli Stati Membri dell’Onu portando il suo Metodo e la concretezza del vissuto dei giovani nemici provenienti da luoghi di guerra che ogni giorno lo vivono trasformando l’odio in dialogo e aprendo nuove strade per un futuro di pace.
Don Yoannis Lahzi Gaid spiega la guerra ‘Frutto del nostro silenzio di fronte alle ingiustizie’

E’ l’uomo del dialogo interreligioso, delegato da Papa Francesco a occuparsi di creare reti tra persone del mondo appartenenti a fedi religiose diverse. A Latina ha tenuto una conferenza sulla situazione tragica di Gaza e dello scontro tra Hamas e Israele, don Yoannis Lahzi Gaid, egiziano copto, pontino d’adozione, per sei anni segretario personale di papa Francesco, che ha l’incarico di membro dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, l’organismo che promuove i valori proposti nel ‘Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune’, firmato il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi dal Pontefice e dal grande Imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb.
A Rondine il Premio De Sanctis per i diritti umani

Martedì 24 ottobre, presso la Corte Suprema di Cassazione, Rondine Cittadella della Pace è stata insignita del Premio De Sanctis per i diritti umani alla presenza della Prima Presidente Margherita Cassano, del Presidente della Fondazione De Sanctis, Francesco De Sanctis, e del Presidente del Premio De Sanctis, Gianni Letta.
Medio Oriente: dall’Italia appelli alla pace

“Continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite. Prego per quelle famiglie che hanno visto trasformare un giorno di festa in un giorno di lutto e chiedo che gli ostaggi vengano subito rilasciati. E’ diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove pure ci sono state molte vittime innocenti. Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità”.
Storie di donne dall’Afghanistan

Il 15 agosto del 2021 i talebani riprendevano definitivamente il controllo di Kabul, capitale dell’Afghanistan, ripristinando il loro dominio sul paese dopo 20 anni di presenza occidentale. L’esercito regolare afghano, fedele al governo civile di Ashraf Ghani e addestrato dalle forze occidentali, sembrò sciogliersi come neve al sole di fronte all’offensiva dei talebani, disarcionati dall’invasione a guida USA nel paese iniziata il 7 ottobre 2001.
Papa Francesco ringrazia i lampedusani per l’assistenza ai migranti

“Carissimi, in questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. E’ la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro”.
Nel mondo aumenta la pena di morte

“La ricerca di Amnesty International sull’uso globale della pena di morte nel 2022 ha mostrato un’impennata del numero di persone messe a morte in tutto il mondo, che include un aumento significativo delle esecuzioni per reati di droga. Questa tendenza negativa si oppone a una controtendenza positiva: un numero considerevole di Paesi nel 2022 ha infatti compiuto passi decisivi per allontanarsi dalla pena di morte, segnando così notevoli progressi contro questa pena definitiva, crudele, inumana e degradante”: