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Ad Arezzo festeggiata la Madonna del Conforto: è un invito ad elevare una preghiera

“Dopo un cammino sinodale di un anno e mezzo, in vista di un più efficace annuncio del Vangelo e di presenza della Chiesa nel territorio, con il desiderio di promuovere la partecipazione di tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose e laici, alla vita della Chiesa, viene ristrutturata la suddivisione del nostro territorio chiudendo la realtà delle sette zone pastorali che confluiscono in otto vicariati che sostituiscono gli attuali ventuno.

Nei prossimi giorni verranno nominati anche i nuovi vicari foranei. Il cammino di revisione proseguirà ora con una rivisitazione delle unità pastorali. Si avvia anche un cammino di ripensamento della struttura della curia diocesana perché sia sempre più al servizio della diocesi, e possa essere strumento al servizio dell’annuncio del Vangelo, favorendo l’incontro con tutti”.

Così ha  comunicato al termine della celebrazione eucaristica, che ha concluso la festa della Madonna del Conforto, il vescovo di Arezzo–Cortona- SanSepolcro, mons. Andrea Migliavacca, che nell’omelia  ha immaginato di sentire le voci di supplica di un popolo in esilio: “Immagino la preghiera, l’invocazione, il grido magari del popolo Israele in esilio, rivolto al suo Dio, chiedendo di tornare, di ritrovare la libertà, di avere salva la vita propria e delle proprie famiglie… In fondo è così il Dio che Israele ha imparato a scoprire e di cui fidarsi e così ci ha rivelato il volto di Dio Gesù”.

E così ecco emergere le parole che scaturiscono dallo sguardo alla Madonna del Conforto verso Dio, che ascolta le suppliche di un popolo: “E questa pagina di vangelo ci porta a guardare a Maria, alla Madonna del conforto e scopriamo, anzi lo sappiamo bene, che lei ascolta, che lei ci ha accolti come figli, che lei sta con noi…, come ci dice questo vangelo.

Dio ascolta, Dio accoglie le nostre preghiere, Dio consola e dona speranza…, questo ci raccontano le Scritture questa sera e rinnova, rende vivo per noi questo ascolto e questa accoglienza grazie a Maria, la madre di Gesù, la Madonna del conforto che tutti noi ascolta e accoglie”.

Così ha immaginato, di nascosto, sentire le suppliche alla Madonna del Conforto da parte dei fedeli: “Sento la preghiera di una mamma che alla Madonna chiede di proteggere i propri figli che stanno diventando grandi e le affida le sue preoccupazioni. Ascolto anche la preghiera di un giovane che miracolosamente si è salvato da un incidente e viene qui a ringraziare Maria, da lei si è sentito protetto. Ma quante preghiere! Sono commosso da quella madre che affida alla Madre Maria il figlio prematuramente e dolorosamente scomparso.

Mi colpisce la preghiera di un imprenditore, mi pare di capire che sia del settore orafo, che confida a Maria le sue preoccupazioni per il lavoro che si è fatto più duro ed incerto, con il timore di non farcela a mantenere tutti i dipendenti e quindi la garanzia di sicurezza per le loro famiglie e chiede alla Madonna non un guadagno facile, ma un lavoro giusto per tutti”.

Davanti agli occhi del vescovo anche un bambini ed una coppia di fidanzati: E poi si fa avanti un bambino, simpatico… la sua preghiera è bellissima: Mamma di Gesù ti affido i miei genitori, mamma e babbo; fa che stiano bene, che si vogliano e bene e che abbiano tempo per stare un po’ con me e per giocare insieme.

Mano nella mano ci sono anche due fidanzatini, una coppia… e si vede che si vogliono bene. Passano davanti alla Madonna del conforto in silenzio, ma i loro occhi sono tutti un luccichio di preghiera e di affetto per lei, la Madre e tra di loro. Chissà che sogni portano nel cuore per il loro futuro”

Nel ‘sogno’ compaiono anche alcuni fedeli stranieri che invocano la pace: “Alcuni vengono dall’Ucraina, altri sono di Betlemme, di Hebron, anche da Gaza. Hanno tutti una preghiera comune: la pace. Non si fidano dei grandi della terra, di quelli che vogliono fare i loro sporchi affari sulla loro pelle. Chiedono a Maria, che quella è anche la sua terra, di proteggerli dal male, dalle persone cattive, dalla violenza della guerra, dalle ferite e dalla morte. Pregano per la pace e sembra che vogliano coinvolgere tutti noi, tutti quelli che sono qui dentro a pregare con forza, con loro, per la pace”.

Al termine del sogno mons. Migliavacca ha invitato tutti ad esprimere la propria preghiera: “E poi vorrei raccogliere le preghiere di tutti quelli che sono entrati qui per passare davanti alla Madonna del conforto e consegnargliele io, voglio chiedere a Maria che ascolti davvero tutte le preghiere che le sono state rivolte qui in questi giorni e oggi.

Ma manca ancora una preghiera… la tua. Anche tu che sei qui ora puoi entrare in quella cappella in cui veneriamo l’immagine più bella di Arezzo, Maria. E prega. Porta a lei la tua preghiera, la tua invocazione, il tuo ringraziamento e la tua lode. Ci stai anche tu. E ci ascolti Maria, ascolti noi e il nostro mondo, lei che è la Madonna del Conforto”.

Nella celebrazione eucaristica mattutina  mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo metropolita di Firenze, ha suggerito tre immagini, di cui la prima è l’abbraccio,come è raccontato dal profeta Isaia: “Nell’ultima parte del libro di Isaia il Signore invita il popolo di Israele a sperare presentandosi come un madre che allatta e accarezza il figlio tenendolo sulle ginocchia…

Leggendo questo testo del profeta alla luce del Nuovo Testamento il verbo ‘consolare’ ci fa pensare all’azione dello Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore che viene in aiuto alla nostra debolezza e che ci aiuta a riconoscere Dio come un padre con cuore di madre”.

Mentre l’ultima parola riguarda l’abbondanza: “Il Signore ama chi dona con gioia, ma potremmo aggiungere anche che Egli dona la gioia a chi ama. C’era una volta un beduino che possedeva 11 cammelli. Aveva tre figli. Alla sua morte i figli aprono il testamento e trovano queste disposizioni: ‘Lascio la metà dei miei cammelli al primo figlio; un quarto al secondo; un sesto al terzo’. Ma 11 non è divisibile per 2, così il primo figlio chiede di avere 6 cammelli. Ovviamente gli altri non sono d’accordo. Ed inizia una lite furibonda. Già stanno per tirare fuori i coltelli.

In quel momento passa di lì un beduino, sente le urla, si ferma, chiede spiegazioni. Sentiti i problemi decide di donare il suo cammello. Così 11+1 fa 12; 12 diviso 2 fa 6; 12 diviso 4 fa 3; 12 diviso 6 fa 2. 6+3+2 fa 11. Tutti sono soddisfatti. Il beduino si riprende il suo cammello e prosegue il viaggio. Il racconto ci insegna due cose: chi dona non ci perde e, soprattutto, ci vuole un dono perché la giustizia avvenga”.

(Foto: Diocesi di Arezzo-Cortona-SanSepolcro)

‘Antiqua et Nova’: aprirsi all’Intelligenza Artificiale con l’Intelligenza Umana

Nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di san Tommaso d’Aquino (28 gennaio) il dicastero per la Dottrina della Fede ed il Dicastero per la Cultura e l’Educazione hanno pubblicato la nota ‘Antiqua et nova’ sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, ribadendo che l’intelligenza è un dono, che deve essere ‘coltivato’:

“Con antica e nuova sapienza siamo chiamati a considerare le odierne sfide e opportunità poste dal sapere scientifico e tecnologico, in particolare dal recente sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA). La tradizione cristiana ritiene il dono dell’intelligenza un aspetto essenziale della creazione degli esseri umani ‘ad immagine di Dio’. A partire da una visione integrale della persona e dalla valorizzazione della chiamata a ‘coltivare’ e ‘custodire’ la terra, la Chiesa sottolinea che tale dono dovrebbe trovare espressione attraverso un uso responsabile della razionalità e della capacità tecnica a servizio del mondo creato”.

La Chiesa, infatti, non condanna il progresso: “La Chiesa incoraggia i progressi nella scienza, nella tecnologia, nelle arti e in ogni altra impresa umana, vedendoli come parte della ‘collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile’… Le abilità e la creatività dell’essere umano provengono da Lui e, se usate rettamente, a Lui rendono gloria, in quanto riflesso della Sua saggezza e bontà. Pertanto, quando ci domandiamo cosa significa ‘essere umani’, non possiamo escludere anche la considerazione delle nostre capacità scientifiche e tecnologiche”.

Con questa nota la Chiesa vuole affrontare le ‘questioni’ antropologiche ed etiche che l’Intelligenza Artificiale pone: “Per esempio, a differenza di molte altre creazioni umane, l’IA può essere addestrata sui prodotti dell’ingegnosità umana e quindi generare nuovi ‘artefatti’ con un livello di velocità e abilità che spesso uguagliano o superano le capacità umane, come generare testi o immagini che risultano indistinguibili dalle composizioni umane, quindi suscitando preoccupazione per il suo possibile influsso sulla crescente crisi di verità nel dibattito pubblico.

Oltre a ciò, essendo una tale tecnologia progettata per imparare e adottare in autonomia alcune scelte, adeguandosi a nuove situazioni e fornendo soluzioni non previste dai suoi programmatori, ne derivano problemi sostanziali di responsabilità etica e di sicurezza, con ripercussioni più ampie su tutta la società. Questa nuova situazione induce l’umanità a interrogarsi circa la propria identità e il proprio ruolo nel mondo”.

La nota, innanzitutto, pone un chiarimento intorno all’Intelligenza Artificiale attraverso una breve digressione storica: “Il concetto di intelligenza nell’IA si è evoluto nel tempo, raccogliendo in sé una molteplicità di idee provenienti da varie discipline. Sebbene abbia radici che risalgono a secoli fa, un momento importante di questo sviluppo si è avuto nel 1956, quando l’informatico statunitense John McCarthy organizzò un convegno estivo presso l’Università di Dartmouth per affrontare il problema dell’ ‘Intelligenza Artificiale’, definito come ‘quello di rendere una macchina in grado di esibire comportamenti che sarebbero chiamati intelligenti se fosse un essere umano a produrli’. Il convegno lanciò un programma di ricerca volto a usare le macchine per riuscire ad eseguire compiti tipicamente associati all’intelletto umano e a un comportamento intelligente”.

Quindi molti ‘compiti’ sono stati affidati ad essa: “A causa di tali rapidi progressi, molti lavori un tempo gestiti esclusivamente dalle persone sono ora affidati all’IA. Tali sistemi possono affiancare o addirittura sostituire le possibilità umane in molti settori, in particolare in compiti specializzati come l’analisi dei dati, il riconoscimento delle immagini e le diagnosi mediche.

Sebbene ogni applicazione di IA ‘ristretta’ sia calibrata su un compito specifico, molti ricercatori sperano di giungere alla cosiddetta ‘intelligenza artificiale generale’ (Artificial General Intelligence, AGI), cioè ad un singolo sistema, il quale, operando in ogni ambito cognitivo, sarebbe in grado di svolgere qualsiasi lavoro alla portata della mente umana”.

E proprio intorno all’intelligenza è stato aperto un importante dibattito: “Alcuni sostengono che una tale IA potrebbe un giorno raggiungere lo stadio di ‘superintelligenza’, oltrepassando la capacità intellettuale umana, o contribuire alla ‘superlongevità’ grazie ai progressi delle biotecnologie. Altri temono che queste possibilità, per quanto ipotetiche, arrivino un giorno a mettere in ombra la stessa persona umana, mentre altri ancora accolgono con favore questa possibile trasformazione”.

La nota ribadisce che il pensiero è solo umano: “Le sue caratteristiche avanzate conferiscono all’IA sofisticate capacità di eseguire compiti, ma non quella di pensare. Una tale distinzione è di importanza decisiva, poiché il modo in cui si definisce l’ ‘intelligenza’ va inevitabilmente a delimitare la comprensione del rapporto che intercorre tra il pensiero umano e tale tecnologia. Per rendersi conto di ciò, occorre ricordare che la ricchezza della tradizione filosofica e della teologia cristiana offre una visione più profonda e comprensiva dell’intelligenza, la quale a sua volta è centrale nell’insegnamento della Chiesa sulla natura, dignità e vocazione della persona umana”.

In questo senso l’intelligenza umana è una facoltà della persona: “In questo contesto, l’intelligenza umana si mostra più chiaramente come una facoltà che è parte integrante del modo in cui tutta la persona si coinvolge nella realtà. Un autentico coinvolgimento richiede di abbracciare l’intera portata del proprio essere: spirituale, cognitivo, incarnato e relazionale”.

La nota specifica anche la visione cristiana come integrazione tra verità e vita: “Al cuore della visione cristiana dell’intelligenza vi è l’integrazione della verità nella vita morale e spirituale della persona, orientando il suo agire alla luce della bontà e della verità di Dio. Secondo il Suo disegno, l’intelligenza intesa in senso pieno include anche la possibilità di gustare ciò che è vero, buono e bello, per cui si può affermare, con le parole del poeta francese del XX secolo Paul Claudel, che ‘l’intelligenza è nulla senza il diletto’. Anche Dante Alighieri, quando raggiunge il cielo più alto nel Paradiso, può testimoniare che il culmine di questo piacere intellettuale si trova nella ‘Luce intellettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore’”.

E l’intelligenza umana non implica solo acquisizione di ‘dati’: “Una corretta concezione dell’intelligenza umana, quindi, non può essere ridotta alla semplice acquisizione di fatti o alla capacità di eseguire certi compiti specifici; invece, essa implica l’apertura della persona alle domande ultime della vita e rispecchia un orientamento verso il Vero e il Buono… Per i credenti, questa capacità comporta, in modo particolare, la possibilità di crescere nella conoscenza dei misteri di Dio attraverso l’approfondimento razionale delle verità rivelate (intellectus fidei)”.

Per questo esiste una responsabilità morale: “Questo principio è valido anche per le questioni riguardanti l’IA. In tale ambito, la dimensione etica assume primaria importanza poiché sono le persone a progettare i sistemi e a determinare per quali scopi essi vengano usati. Tra una macchina e un essere umano, solo quest’ultimo è veramente un agente morale, cioè un soggetto moralmente responsabile che esercita la sua libertà nelle proprie decisioni e ne accetta le conseguenze”.

E’ un invito ad usare l’Intelligenza Artificiale per il bene di ‘tutti’: “Nella misura in cui tali applicazioni ed il loro impatto sociale diventano più chiari, si dovrebbero cominciare a fornire adeguati riscontri a tutti i livelli della società, secondo il principio di sussidiarietà. E’ importante che i singoli utenti, le famiglie, la società civile, le imprese, le istituzioni, i governi e le organizzazioni internazionali, ciascuno al proprio livello di competenza, si impegnino affinché sia assicurato un uso dell’IA confacente al bene di tutti”.

Infine un appello particolare è rivolto ai credenti: “Nella prospettiva della sapienza, i credenti saranno in grado di operare come agenti responsabili capaci di usare questa tecnologia per promuovere una visione autentica della persona umana e della società, a partire da una comprensione del progresso tecnologico come parte del disegno di Dio per la creazione: un’attività che l’umanità è chiamata a ordinare verso il Mistero Pasquale di Gesù Cristo, nella costante ricerca del Vero e del Bene”.

Giornata del Malato: la speranza rende forti nella tribolazione

“Celebriamo la XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025, in cui la Chiesa ci invita a farci ‘pellegrini di speranza’. In questo ci accompagna la Parola di Dio che, attraverso San Paolo, ci dona un messaggio di grande incoraggiamento: ‘La speranza non delude’, anzi, ci rende forti nella tribolazione”: alcuni giorni fa è stato reso noto il messaggio di papa Francesco, redatto in occasione della XXXIII Giornata Mondiale del Malato, che si celebra martedì 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, con il titolo tratto dalla lettera di san Paolo ai Romani: ‘La speranza non delude e ci rende forti nella tribolazione’.

Però per l’Anno Giubilare la celebrazione di questa Giornata a livello mondiale si terrà il prossimo anno al Santuario Mariano della Virgen de Chapi, di Arequipa, in Perù, mentre il Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità, si svolgerà sabato 5 e domenica 6 aprile, ed il Giubileo delle Persone con Disabilità avrà luogo lunedì 28 e martedì 29 aprile.

Le parole dell’Apostolo delle Genti sono ‘consolanti’ che però nel malato possono generare alcune domande: “Ad esempio: come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci? In tutte queste circostanze sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito”.

Il messaggio è un invito “a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre, in particolare sotto tre aspetti che la caratterizzano: l’incontro, il dono e la condivisione”.

Quindi la prima parola consiste nell’incontro con i malati; anche per loro Gesù ha mandato i discepoli: “Gesù, quando invia in missione i settantadue discepoli, li esorta a dire ai malati: ‘E’ vicino a voi il regno di Dio’. Chiede, cioè, di aiutare a cogliere anche nell’infermità, per quanto dolorosa e difficile da comprendere, un’opportunità d’incontro con il Signore.

Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature (fisica, psicologica e spirituale), dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato”.

In questo caso la malattia può diventare un’esperienza di consolazione: “La malattia allora diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita: un’esperienza che, pur nel sacrificio, ci rende più forti, perché più consapevoli di non essere soli. Per questo si dice che il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza, perché fa sperimentare vicina e reale la consolazione che viene da Dio”.

L’altro punto importante riguarda il dono, richiamando alla ‘definizione’ data da Madeleine Delbrêl, che si realizza nella Resurrezione: “Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo ‘fedeli alla fedeltà di Dio’, secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl.

Non solo, ma il Risorto cammina anche con noi, facendosi nostro compagno di viaggio, come per i discepoli di Emmaus. Come loro, anche noi possiamo condividere con Lui il nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni e le nostre delusioni, possiamo ascoltare la sua Parola che ci illumina e infiamma il cuore e riconoscerlo presente nello spezzare del Pane, cogliendo nel suo stare con noi, pur nei limiti del presente, quell’ ‘oltre’ che facendosi vicino ci ridona coraggio e fiducia”.

Quindi dalla speranza e dal dono nasce la condivisione: “I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore! Ci si rende conto, cioè, di essere ‘angeli’ di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche”.

E’ un invito ad apprezzare la bellezza di un gesto, che può rendere ‘diversa’ la vita: “Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro. Sono tutte luci di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità”.

Affidando i malati alla protezione di Maria, papa Francesco ha ringraziato, oltre ai malati, anche chi è al fianco di chi sta male per tale testimonianza: “Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, ‘un inno alla dignità umana, un canto di speranza’, la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando ed incoraggiando nella carità ‘la coralità della società intera’, in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno.

Tutta la Chiesa vi ringrazia per questo! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.

Papa Francesco chiede di ricordare la data del proprio battesimo

“Questa mattina ho avuto la gioia di battezzare alcuni neonati, figli di dipendenti della Santa Sede e della Guardia Svizzera. Preghiamo per loro, per le loro famiglie. E vorrei chiedere al Signore, per tutte le giovani coppie, che abbiano la gioia di accogliere il dono dei figli e di portarli al Battesimo”: al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato ai fedeli radunati in piazza San Pietro di aver battezzato 21 neonati nella Cappella Sistina.

E’stato un invito a riflettere sul battesimo: “La festa del Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo, ci fa pensare a tante cose, anche al nostro Battesimo. Gesù si unisce al suo popolo, che va a ricevere il battesimo per il perdono dei peccati. Mi piace ricordare le parole di un inno della liturgia di oggi: Gesù va a farsi battezzare da Giovanni ‘con l’anima nuda e i piedi nudi’.

E quando Gesù riceve il battesimo si manifesta lo Spirito e avviene l’Epifania di Dio, che rivela il suo volto nel Figlio e fa sentire la sua voce che dice: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’. Il volto e la voce”.

E’ stato un invito a contemplare il volto ed ad ascoltare la voce di Dio: “Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci fa contemplare il volto e la voce di Dio, che si manifestano nell’umanità di Gesù. E allora chiediamoci: ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? Siamo capaci di riconoscere il suo volto in Gesù e nei fratelli? E siamo abituati ad ascoltare la sua voce?”

In conclusione ha invitato a ricordare la data del proprio battesimo: “Vi faccio una domanda: ognuno di noi ricorda la data del suo Battesimo? Questo è molto importante! Pensa: in quale giorno io sono stato battezzato o battezzata? E se non lo ricordiamo, arrivando a casa, chiediamo ai genitori, ai padrini la data del Battesimo. E festeggiamo la data come un nuovo compleanno: quella della nascita nello Spirito di Dio. Non dimenticatevi! Questo è un lavoro da fare a casa: la data del mio Battesimo”.

Mentre nella celebrazione eucaristica ha pregato i genitori di sostenere nel cammino della fede questi 21 bambini neo battezzati: “È importante che i bambini si sentano bene. Se hanno fame, allattateli, che non piangano. Se hanno troppo caldo, cambiateli… Ma che si sentano a loro agio, perché oggi comandano loro e noi dobbiamo servirli col Sacramento, con le preghiere. Adesso incominciamo questa cerimonia tutti insieme. Oggi, ognuno di voi, genitori, e la Chiesa stessa date il dono più grande, più grande: il dono della fede ai bambini.

Andiamo avanti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Continuiamo questa cerimonia del Battesimo dei vostri figli. Chiediamo al Signore che loro crescano nella fede una vera umanità, nella gioia della famiglia. E adesso continuiamo”.

Inoltre, in occasione del VI centenario dell’arrivo del Popolo Gitano in Spagna (gennaio 1425-2025), ha inviato un messaggio indirizzato a ‘queridos primos y primas, tíos y tías, querido Pueblo Gitano de España’: “Nel 2025 commemoriamo i 600 anni della vostra presenza in Spagna. Vorrei cogliere questa occasione per dimostrarvi il mio affetto, riconoscere i vostri valori e incoraggiarvi ad affrontare il futuro con speranza”.

Nel messaggio ha ricordato la loro storia, fatta di emarginazione: “Sono consapevole che la vostra storia è stata segnata da incomprensioni, rifiuti ed emarginazione. Ma anche nei momenti più difficili hai scoperto la vicinanza di Dio. Dio, infatti, percorre la storia insieme all’umanità e si è fatto nomade insieme al popolo zingaro. Anche Gesù nacque a Betlemme sotto il segno della persecuzione e dell’itineranza”.

Ma ha ricordato anche i ‘passi’ verso l’integrazione: “E’ anche giusto riconoscere gli sforzi compiuti negli ultimi decenni dal popolo zingaro, dalla Chiesa e dall’intera società spagnola, per intraprendere un nuovo cammino di inclusione che rispetti la vostra identità. Questo cammino ha prodotto molti frutti, ma bisogna continuare a lavorare, perché ci sono ancora pregiudizi da superare e situazioni dolorose da affrontare: famiglie in difficoltà che non sanno come aiutare i figli in difficoltà, giovani che hanno difficoltà a studiare, giovani persone che non riescono a trovare un lavoro dignitoso, donne che subiscono discriminazioni in famiglia e nella società”.

Inoltre ha ricordato il messaggio di papa san Paolo VI, pronunciato nel 1965, in cui affermò che essi sono nel ‘cuore’ della Chiesa: “Sono figli della Chiesa, di questa Chiesa nella quale tante persone, zingari e non zingari, si sono impegnate con responsabilità e amore per lo sviluppo integrale del popolo zingaro; di questa Chiesa che desidera continuare a spalancare le sue porte, perché tutti possiamo sentirci a casa; una Chiesa nella quale potete crescere nella fede cristiana senza rinunciare ai valori migliori della vostra cultura”.

E’ un invito a percorrere la strada di alcuni beati gitani: “Guardiamo avanti con speranza, seguendo le orme della beata Emilia Fernández Rodríguez, la cestista, e di Ceferino Giménez Malla, lo zio Pelé. Pur non volendolo, furono e continuano a essere maestri di fede e di vita per zingari e non zingari, come tante persone umili che aprono con fiducia la loro piccolezza alla grandezza di Dio”.

Questi beati ricordano l’importanza della preghiera: “Svelando i misteri del Rosario, entrambi i beati ci ricordano l’importanza della preghiera, dell’incontro con Dio, fonte di gioia, fraternità, speranza e carità. Entrambi hanno rischiato e perso la vita per amore di Dio e per cercare il bene degli altri: lo zio Pelé per aver difeso un prete ingiustamente detenuto, la cestaia per aver protetto i suoi catechisti. Entrambi furono missionari umili e coraggiosi”.

(Foto:  Santa Sede)

Epifania del Signore: Dio si manifesta alle genti

L’Epifania è la ‘manifestazione’ di Gesù a tutte le genti; è la festa della vocazione missionaria della Chiesa istituita da Cristo Gesù. Con Abramo si era data vita al popolo ebreo, popolo di Dio, caratterizzato del ‘monoteismo’: credo in un Dio uno e unico ed Israele è il suo popolo. Con l’incarnazione del Verbo e la nascita di Gesù la benedizione di Dio è estesa a tutta l’umanità, chiamata ad essere il suo popolo.     

Nel Natale del Signore una grande luce è scesa sulla terra e da Betlem si è irradiata a tutto il mondo: in mezzo al popolo ebreo con gli angeli che invitarono i pastori alla grotta; in mezzo al mondo ancora pagano con una stella cometa apparsa in Oriente ed i Magi che intravidero in essa la chiamata di Dio  e subito partirono alla ricerca del Bambino Gesù. L’Epifania è l’evento che oggi la Chiesa celebra mostrando Gesù nell’Eucaristia: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo’; ecco la vera luce! 

L’Epifania è la manifestazione di Dio all’umanità; per manifestarsi si è incarnato, ha preso un corpo nel grembo della Santissima Vergine e fu mostrato ai Pastori e ai Magi. Lo stesso avviene nell’Eucaristia; è lo stesso Gesù che i Magi e i Pastori videro Bambino, oggi, sotto il velo del pane e del vino, nella Messa è mostrato al popolo: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo’. Nella prima Epifania è Gesù bambino incarnato; nella Messa è lo stesso Gesù che è morto poi in croce ed è risorto aprendo a noi le porte del regno dei cieli.

Da qui la necessità all’inizio del nuovo anno di purificare il nostro cuore, consapevoli che non siamo figli della terra ma del cielo; saremo da Lui accolti se purificati; è necessario convertirsi all’amore verso Dio e verso i fratelli in nome di Dio, che è amore. L’arrivo dei Magi a Betlem per adorare il Re dei Giudei, è il segno eclatante della manifestazione di Gesù come Re universale, Re di tutti i popoli.

L’arrivo dei Magi è un movimento di amore e di unione, opposto a quello avvenuto con la costruzione della torre di Babele, quando gli uomini vollero costruire una torre alta sino al cielo e Dio confuse le loro lingue e dovettero disperdersi.. Betlem è il richiamo del popolo di Dio (i pastori) e dei popoli pagani ( i Magi che vengono dall’oriente). Si passa così dalla dispersione alla riconciliazione, è il richiamo che ci ricorda la pentecoste e il dono delle lingue.

I Magi sono la primizia della chiamata alla fede, i primi pagani a ricevere l’annuncio della rivelazione dell’amore di Dio verso l’umanità. I Magi sono i veri ricercatori di Dio: camminano sulla terra guardando il cielo, la meta del viaggio è chiara: essi chiedono: ‘Dove è nato il re dei Giudei?’ E’ la stessa espressione che diventa ‘capo di accusa’ portata avanti dai Capi del popolo e dai Sommi sacerdoti contro Gesù davanti a Ponzio Pilato: ‘Dice di essere re; noi non abbiamo altro re che Cesare!’

I Magi arrivarono a Betlem, fecero i loro doni. oro, incenso e mirra. L’Epifania che oggi celebriamo è la manifestazione di Gesù presente in noi ogni volta che celebriamo la messa e ci avviciniamo alla Comunione. Infatti è lo stesso Gesù che nacque a Betlem. I magi si inginocchiano ed adorano lo stesso Dio che noi adoriamo nell’Eucaristia: i Magi videro il bambino  Gesù con Maria, sua madre, ed adorarono il Figlio di Dio incarnato; noi vediamo nell’Eucaristia il Pane e i Vino, frutto del lavoro dell’uomo, e sotto quelle apparenze adoriamo il Figlio di Dio incarnato per amore e presente in mezzo a noi.

La Messa che celebriamo è la suprema Epifania che si ripete, dove Gesù, vero Dio e vero uomo, mostra all’umanità  tutto il suo amore ed invita ogni credente: ‘Siete stanchi, affaticati, venite a me ed Io vi ristorerò’. Come Maria presentò il Bambino ai Magi ed essi adorarono il Figlio di Dio, così nella messa il sacerdote dice: ecco l’agnello i Dio che toglie i peccati del mondo. Amici carissimi, ogni celebrazione della messa è l’Epifania che si ripete: la Madonna ci aiuti a vivere con fede profonda il nostro essere cristiani.

Agenzia Fides: nel 2024 uccisi 13 missionari

13 persone nello scorso anno hanno donato la vita fino al tributo di sangue per annunciare il Vangelo: come ogni anno, il rapporto dell’Agenzia Fides, organo delle pontificie opere missionarie, presenta le storie dei missionari e degli operatori pastorali assassinati nel mondo. L’agenzia nel Dicastero per l’evangelizzazione, nell’opera di monitoraggio di quanti hanno dato la vita mentre, per fede, erano impegnati in un servizio alla Chiesa, considera un orizzonte più ampio e registra tutti i cattolici coinvolti in qualche modo nelle opere pastorali e nelle attività ecclesiali morti in modo violento, anche se non propriamente ‘in odio alla fede’.

Stando ai dati verificati dall’Agenzia Fides, nel 2024 nel mondo sono stati uccisi otto sacerdoti e cinque laici. Sei di loro hanno perso la vita in Africa e cinque in America, due continenti che, negli ultimi anni, ‘si sono alternati al primo posto di questa tragica classifica’, ha spiegato il rapporto. Nel dettaglio, in Africa sono stati assassinati due sacerdoti in Sudafrica e uno in Camerun, un catechista e un volontario in Burkina Faso, un laico nella Repubblica Democratica del Congo. Nel continente americano un prete è stato ucciso in Colombia, uno in Ecuador, un altro in Messico. Anche i laici sono stati colpiti a morte: un collaboratore parrocchiale in Brasile, un laico in Honduras.

C’è anche l’Europa nell’elenco: in Spagna Juan Antonio Llorente, frate francescano dell’Immacolata, è stato assassinato nel monastero dove viveva a Gilet. In Polonia è morto invece padre Lech Lachowicz, 72 anni, aggredito da un uomo che ha fatto irruzione nella canonica armato d’ascia. Nel 2024 non vi sono missionari uccisi in Asia ma sono diverse le nazioni del vasto continente dove gli operatori pastorali hanno rischiato la vita o sono stati gravemente feriti a causa di conflitti, disordini, criminalità.

Il dossier, curato da Fabio Beretta, mette in risalto le loro biografie, impegnati nella vita quotidiana: “Come evidenziano le informazioni, certe e verificate, sulle loro biografie e sulle circostanze della morte, i missionari e gli operatori pastorali uccisi non erano sotto i riflettori per opere o impegni eclatanti, ma operavano dando testimonianza della loro fede nella ordinarietà della vita quotidiana, non solo in contesti segnati dalla violenza e dai conflitti.

Le notizie sulla vita e sulle circostanze in cui è avvenuta la morte violenta di queste persone ci offrono immagini di vita quotidiana, in contesti spesso contrassegnati dalla violenza, dalla miseria, dalla mancanza di giustizia. Si tratta spesso di testimoni e missionari che hanno offerto la propria vita a Cristo fino alla fine, gratuitamente”.

Nel commentare queste vite ‘donate’ il direttore dell’Agenzia Fides, Gianni Valente, ha evidenziato che tali morti non è narcisismo: “I testimoni di Gesù morti ammazzati possono abbracciare con le loro vite offerte i propri stessi carnefici per puro dono di grazia, riverbero della propria gratuita configurazione alla passione di Cristo. Non certo per sforzo volontaristico di ‘autocontrollo’. Anche quest’anno, come accade spesso, la gran parte di missionari e operatori pastorali uccisi sono stati raggiunti dalla morte violenta mentre erano immersi nella trama ordinaria delle loro opere e dei loro giorni”.

La loro morte è una testimonianza di fede: “Ogni confessione di fede offerta fino al dono della propria stessa vita avviene non come eroica prestazione umana, ma solo in forza dello Spirito Santo. In ogni autentica dinamica cristiana nessuno può confessare il dono della fede e rendere testimonianza a Cristo se non nello Spirito Santo”.

Per questo è importante ‘fare’ memoria: “Fare memoria ogni anno dei missionari e degli operatori pastorali uccisi vuol dire riconoscere e celebrare questo mistero imparagonabile di gratuità. E aiuta anche a liberarsi da tutte le contraffazioni che pongono le sofferenze dei battezzati sotto lo stigma della paura, o della rivalsa verso qualsiasi nemico. E quando slogan e campagne sui cristiani perseguitati non lasciano intravvedere questo tesoro, questa dinamica vertiginosa, rischiano di confondere e aumentare la smemoratezza”.

Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio: Cristo è la nostra pace  

Il 1° gennaio è  giornata di preghiera per la pace; la liturgia celebra la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. In Maria si realizzano le attese di Israele e Maria apre all’umanità il futuro atteso da secoli, l’era della pace universale. La divina maternità di Maria è la pietra miliare che segna l’inizio dell’era nuova: a mezzanotte inizia il nuovo anno; noi cristiani siamo consapevoli che il tempo e la vita sono contrassegnati   dalla nascita di Cristo Gesù perché questo è il piano salvifico di Dio: ‘Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna’.

Iniziare da cristiani  un anno nuovo significa iniziarlo da ‘figli di Dio’, da riscattati da Cristo Gesù; non più schiavi del peccato ma veri figli della grazia. La Liturgia oggi inizia invocando la benedizione di Dio ed implorando, per intercessione di Maria, il dono della pace; la pace vera annunziata dagli Angeli, che non è una conquista dell’uomo o frutto di accordi politici: la pace vera è dono di Dio da implorarsi costantemente; una pace da portare avanti con gioia e pazienza, restando sempre docili all’insegnamento di Gesù.  

La pace non può esistere se non si promuove, a tutti i livelli, il riconoscimento della dignità della persona umana offrendo a tutti gli uomini la possibilità di vivere conforme a questa dignità. Ogni uomo, di qualsiasi colore, è persona, cioè essere dotato di intelligenza e volontà e, quindi, soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono  da questa natura; tali diritti e doveri sono universali, inviolabili, inalienabili. Non esiste la persona di serie A e la persona di serie B, tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio; questa è la verità chiave per la soluzione di tutti i problemi che riguardano la pace.

Educare alla pace significa aprire la mente e il cuore ad accogliere i valori espressi chiaramente nella enciclica ‘Pacem in terris’: la verità, la giustizia, l’amore, la libertà. Un vero progetto educativo deve coinvolgere la vita del singolo e quella della famiglia; è un progetto che dura tutta la vita e fa della persona un essere responsabile di sé e degli altri, capace di promuovere sempre il bene dell’uomo singolo e di tutti gli uomini. All’inizio di ogni anno ritorna sempre impellente il problema della famiglia, cellula viva della società dove ogni individuo realizza se stesso.

La famiglia naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, è la culla della vita e dell’amore, la prima ed insostituibile educatrice della vera pace. L’umanità è la grande famiglia: se vuole vivere in pace deve ispirarsi  ai valori ai quali si ispira la famiglia stessa. La nascita di Gesù a Bethlem, figlio di Maria legittimamente sposata con Giuseppe, è la risposta di Dio al mistero della pace.

Da qui la necessità  al primo dell’anno di rivolgere il pensiero alla Madonna, che invochiamo ‘Theotokos’ (Madre di Dio). Gesù poteva salvare l’uomo in mille modi, ma volle nascere in una famiglia, cellula insostituibile; farsi uomo in mezzo agli uomini assumendone la natura:

“Nella pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (insegnamento mirabile per ogni uomo). Maria, madre di Dio, è il titolo mirabile della reale grandezza di Maria.  Di lei si parla poco nel Vangelo ma non manca mai nei momenti decisivi della storia della salvezza: incarnazione di Gesù, la Pasqua, la Pentecoste.

Maria concepì per opera dello Spirito santo e presentò Gesù ai Pastori e ai Magi. Maria fu ai piedi della Croce per raccogliere il sangue di Cristo immolatosi per la nostra salvezza; Maria fu presente nel cenacolo il giorno della discesa dallo Spirito santo. Maria, madre di Cristo e della Chiesa, ispiri oggi propositi di dialogo, di riconciliazione, di pace nella famiglia e nel mondo intero. “Donna, sei tanto grande e tanto vali ,// che qual vuol grazia ed a te non ricorre //, sua disianza vuol volar senz’ali”. (Dante, Par. XXXIII, 13-15). Rivolgi a noi, Madre, gli occhi tuoi misericordiosi!

Papa Francesco: la cura illumina il futuro

Questa mattina, nella festa di san Giovanni della Croce, papa Francesco ha ricevuto in Aula Paolo VI l’Associazione Italiana contro le Leucemie Linfomi e Mieloma, in occasione per il suo 55^ compleanno, ricordando loro di non dimenticare la solidarietà e la prossimità per superare l’individualismo e ringraziandoli per l’attività di volontariato:

“Grazie per la vostra visita e soprattutto grazie per quello che fate. Oltre a finanziare la ricerca per la cura delle leucemie, dei linfomi e del mieloma, e lo sviluppo di centri specializzati sul territorio, offrite accoglienza a pazienti e familiari, cure a domicilio e prossimità a tante persone con migliaia di volontari. Prossimità, è una delle qualità di Dio: prossimo, compassionevole e tenero. E voi fate lo stesso: essere prossimi con tanta compassione e tanta tenerezza. Prossimità, non dimenticatevi questo. La vostra è una testimonianza di solidarietà e di vicinanza, ancora più importante in un mondo segnato dall’individualismo”.

Ed ha ‘consegnato’ loro tre parole, di cui la prima è ‘illuminare’, tema al centro del loro incontro, ‘Insieme illuminiamo il futuro: “Infatti la malattia spesso fa precipitare la persona e la sua famiglia nel buio del dolore e dell’angoscia, generando solitudine e chiusura. A livello sociale, è spesso percepita come una sconfitta, qualcosa da nascondere, eliminare: si scartano i malati in nome dell’efficienza e della forza, si emargina la sofferenza perché fa paura e ostacola i progetti”.

E’ stato un invito a mettere al ‘centro’ la persona: “In altre culture addirittura si eliminano i malati, si eliminano, e questo è brutto! Invece, è urgente rimettere al centro la persona malata, con la sua storia, le relazioni familiari, quelle amicali, quelle terapeutiche per trovare senso al dolore e dare risposta ai tanti ‘perché’. Anche quando tutto sembra perduto, è possibile sperare. Ma ci vuole qualcuno che porti un po’ di luce, una fiamma di speranza, con l’amicizia, la vicinanza e l’ascolto”.

Però per mettere al ‘centro’ la persona è necessario il dono: “La seconda parola è dono. Queste persone che portano un po’ di luce sono i “donatori”. La logica del dono è il principale antidoto alla cultura dello scarto. Ogni volta che si dona, la cultura dello scarto viene indebolita, anzi, annullata; e il consumismo, che apparentemente vorrebbe impossessarsi anche delle nostre vite, viene sconfitto da questa logica virtuosa”.

Da qui l’invito a ‘guardare’ la tenerezza di Dio incarnato in Gesù: “Il primo a donarsi è Dio stesso, nel suo amore creatore; è Gesù, nella sua Incarnazione. Tra pochi giorni sarà Natale: guardiamo a quel Bimbo donato al mondo perché tutti possiamo essere salvati. Traiamo forza dalla sua fragilità, conforto dal suo pianto, coraggio dalla sua tenerezza. Ecco di nuovo la parola tenerezza: non dimenticatela!”

Ed infine la piazza per essere accanto alle persone: “La terza parola è piazza. La vostra Associazione è presente nelle piazze, con un’opera di diffusione capillare. E’ l’impegno di non restare chiusi nel proprio orticello a coltivare solo i propri interessi, ma di animare il territorio, di essere segno tangibile, presenza visibile, mai invadente. Nella piazza si manifesta la volontà di stare con la gente, di condividere il dolore, di essere buoni samaritani. Questo è un dono che fate a tutta la società. Siete visibili ma non per voi stessi, per le persone che ne hanno bisogno”.

Ciò permette anche di sostenere la ricerca scientifica: “E così contribuite a sostenere la ricerca scientifica, ad aumentare la conoscenza che fa parte della migliore tradizione sanitaria italiana, e ad assicurare l’attenzione alle persone che hanno bisogno di sentirsi accompagnate nella terapia. Siete un tassello della costruzione di due speranze: speranza della cura, sempre, e speranza della terapia, nelle modalità più aggiornate”.

Inoltre ha incontrato musicisti e cantanti che nel pomeriggio si esibiscono sul palco dell’Auditorium della Conciliazione, il papa ha sottolineato  l’importanza di questo concerto di Natale: “Il Natale ci ricorda che la speranza è prima di tutto dono di Dio, e che come tale ‘si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità’. Ha bisogno perciò, da una parte, di affondare le sue radici nel terreno fertile della comunione con il Signore e, dall’altra, di crescere e fiorire in scelte concrete d’amore, così da colmare di senso il presente aprendo nuovi orizzonti per il domani”.

(Foto: Vatican News)

Papa Francesco: Maria Immacolata è una bellezza per noi

“In questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, sono vicino in modo particolare ai nicaraguensi. Vi invito ad unirvi in preghiera per la Chiesa e il popolo del Nicaragua, che celebra la Purissima, come Madre e Patrona, e innalza a Lei un grido di fede e di speranza. Che la Madre celeste sia per loro di consolazione nelle difficoltà e nelle incertezze, e apra i cuori di tutti, affinché si cerchi sempre la via di un dialogo rispettoso e costruttivo al fine di promuovere la pace, la fraternità e l’armonia nel Paese. E continuiamo a pregare per la pace, nella martoriata Ucraina, in Medio Oriente (Palestina, Israele, Libano, adesso la Siria), in Myanmar, Sudan e dovunque si soffre per la guerra e le violenze. Faccio appello ai Governanti e alla Comunità internazionale, perché si possa arrivare alla festa del Natale con un cessate-il-fuoco su tutti i fronti di guerra…  Oggi, mi viene al cuore chiedere a tutti voi di pregare per i detenuti che negli Stati Uniti sono nel corridoio della morte. Credo che sono 13 o 15. Preghiamo perché la loro pena sia commutata, cambiata. Pensiamo a questi fratelli e sorelle nostri e chiediamo al Signore la grazia di salvarli dalla morte”.

Sono gli appelli di papa Francesco al termine della recita dell’Angelus della festività dell’Immacolata Concezione, che ha concluso la celebrazione eucaristica con i nuovi cardinali, soffermandosi a contemplarLa in tre aspetti: “Maria figlia, Maria sposa e Maria madre. Prima di tutto guardiamo all’Immacolata come figlia. Della sua infanzia i Testi sacri non parlano. Il Vangelo ce la presenta invece, al suo ingresso sulla scena della storia, come una giovane ragazza ricca di fede, umile e semplice. E’ la ‘vergine’, nel cui sguardo si riflette l’amore del Padre e nel cui Cuore puro la gratuità e la riconoscenza sono il colore e il profumo della santità. Qui la Madonna ci appare bella come un fiore cresciuto inosservato e finalmente pronto a sbocciare nel dono di sé. Perché la vita di Maria è un continuo dono di sé”.

Essendo figlia è potuta diventare sposa, come è stata definita dalla costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “Il che ci porta alla seconda dimensione della sua bellezza: quella di sposa, cioè di colei che Dio ha scelto come compagna per il suo progetto di salvezza. ‘Serva’ non nel senso di ‘asservita’ e ‘umiliata’, ma di persona ‘fidata’, ‘stimata’, a cui il Signore affida i tesori più cari e le missioni più importanti. La sua bellezza allora, poliedrica come quella di un diamante, rivela una faccia nuova: quella della fedeltà, della lealtà e della premura che caratterizzano l’amore reciproco degli sposi”.

Mentre la terza dimensione è la bellezza della Madre: “Qual è questa terza dimensione della bellezza di Maria? Quella di madre. E’ il modo più comune in cui la raffiguriamo: con in braccio il Bambino Gesù, oppure nel presepe, chinata sul Figlio di Dio che giace nella mangiatoia. Sempre presente accanto a suo Figlio in tutte le circostanze della vita: vicina nella cura e nascosta nell’umiltà; come a Cana, dove intercede per gli sposi, o a Cafarnao, dove è lodata per il suo ascolto della Parola di Dio o infine ai piedi della croce (la mamma di un condannato), dove Gesù stesso ce la consegna come madre. Qui l’Immacolata è bella nella sua fecondità, cioè nel suo saper morire per dare la vita, nel suo dimenticare sé stessa per prendersi cura di chi, piccolo e indifeso, si stringe a Lei”.

Per il papa tale bellezza non è irraggiungibile: “Il rischio, però, sarebbe di pensare che si tratti di una bellezza lontana, una bellezza troppo alta, irraggiungibile. Non è così. Anche noi infatti la riceviamo in dono, nel Battesimo, quando veniamo liberati dal peccato e fatti figli di Dio. E con essa ci è affidata la chiamata a coltivarla, come la Vergine, con amore filiale, sponsale e materno, grati nel ricevere e generosi nel donare, uomini e donne del ‘grazie’ e del ‘sì’, detti con le parole, ma soprattutto con la vita (è bello trovare uomini e donne che con la vita dicono grazie e dicono ‘sì’); pronti a far posto al Signore nei nostri progetti e ad accogliere con tenerezza materna tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino”.

Per questo la Madre di Dio è una donna che è a ‘portata’ di tutti: “L’Immacolata allora non è un mito, una dottrina astratta o un ideale impossibile: è la proposta di un progetto bello e concreto, il modello pienamente realizzato della nostra umanità, attraverso cui, per grazia di Dio, possiamo tutti contribuire a cambiare in meglio il nostro mondo. Vediamo purtroppo, attorno a noi, come la pretesa del primo peccato, di voler essere ‘come Dio’, continui a ferire l’umanità, e come questa presunzione di autosufficienza non generi né amore, né felicità.

Chi esalta come conquista il rifiuto di ogni legame stabile e duraturo, infatti, non dona libertà. Chi toglie il rispetto al padre e alla madre, chi non vuole i figli, chi considera gli altri come un oggetto o come un fastidio, chi ritiene la condivisione una perdita e la solidarietà un impoverimento, non diffonde gioia né futuro”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: i carismi sono doni dello Spirito Santo

“L’altro ieri ho ricevuto una lettera di un ragazzo universitario dell’Ucraina, dice così: ‘Padre, quando mercoledì ricorderà il mio Paese e avrà l’opportunità di parlare al mondo intero nel millesimo giorno di questa terribile guerra, La prego, non parli solo delle nostre sofferenze, ma sia testimone anche della nostra fede: anche se imperfetta, il suo valore non diminuisce, dipinge con pennellate dolorose il quadro del Cristo Risorto.

In questi giorni ci sono stati troppi morti nella mia vita. Vivere in una città dove un missile uccide e ferisce decine di civili, essere testimone di tante lacrime è difficile. Avrei voluto fuggire, avrei voluto tornare a essere un bambino abbracciato dalla mamma, avrei voluto onestamente essere in silenzio e amore, ma ringrazio Dio perché attraverso questo dolore, imparo ad amare di più.

Il dolore non è solo un cammino verso la rabbia e la disperazione; se si fonda sulla fede è un buon maestro di amore. Padre, se il dolore fa male significa che ami; quindi, quando lei parlerà del nostro dolore, quando ricorderà i mille giorni di sofferenza, ricordi anche i mille giorni di amore, perché solo l’amore, la fede e la speranza danno un vero significato alle ferite’. Così ha scritto questo ragazzo universitario ucraino”.

Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha letto la lettera che uno studente ucraino gli ha inviato per ricordare i 1000 giorni di guerra nell’est europeo, invitando i fedeli a non ‘abbandonare’ questo popolo: “Una ricorrenza tragica per le vittime e per la distruzione che ha causato, ma allo stesso tempo una sciagura vergognosa per l’intera umanità! Questo, però, non deve dissuaderci dal rimanere accanto al martoriato popolo ucraino, né dall’implorare la pace e dall’operare perché le armi cedano il posto al dialogo e lo scontro all’incontro”.

Mentre la catechesi dell’udienza generale ha sviluppato ‘I carismi, doni dello Spirito per l’utilità comune’, continuando il ciclo di catechesi con lo Spirito Santo ‘protagonista’ nei sacramenti, nella preghiera e nella Madre di Dio: “E’ giunto, perciò, il momento di parlare anche di questo secondo modo di operare dello Spirito Santo che è l’azione carismatica. Una parola un po’ difficile, la spiegherò. Due elementi contribuiscono a definire cos’è il carisma”.

In due punti ha definito il carisma: “Primo, il carisma è il dono dato ‘per l’utilità comune’, per essere utile a tutti. Non è, in altre parole, destinato principalmente e ordinariamente alla santificazione della persona, ma al servizio della comunità. Questo è il primo aspetto. Secondo, il carisma è il dono dato ‘a uno’, od ‘ad alcuni’ in particolare, non a tutti allo stesso modo, e questo è ciò che lo distingue dalla grazia santificante, dalle virtù teologali e dai sacramenti che invece sono gli stessi e comuni per tutti. Il carisma è dato a una persona o a una comunità specifica. E’ un dono che Dio ti dà”.

Con un paragone il papa ha definito il carisma come ‘ornamento’, che rende bello, secondo una definizione della costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “I carismi sono i “monili”, o gli ornamenti, che lo Spirito Santo distribuisce per rendere bella la Sposa di Cristo. Si capisce così perché il testo conciliare termina con l’esortazione seguente. Benedetto XVI ha affermato: ‘Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibile l’inesauribile vivacità della santa Chiesa’. E questo è il carisma dato a un gruppo, tramite una persona”.

Con una citazione di sant’Agostino il papa ha sottolineato che tali ‘carismi’ hanno la propria importanza: “Aggiungiamo un’altra cosa: quando si parla dei carismi bisogna subito dissipare un equivoco: quello di identificarli con doti e capacità spettacolari e straordinarie; essi invece sono doni ordinari (ognuno di noi ha il proprio carisma) che acquistano valore straordinario se ispirati dallo Spirito Santo e incarnati nelle situazioni della vita con amore.

Una tale interpretazione del carisma è importante, perché molti cristiani, sentendo parlare dei carismi, sperimentano tristezza o delusione, in quanto sono convinti di non possederne nessuno e si sentono esclusi o cristiani di serie B. No, non ci sono i cristiani di serie B, no, ognuno ha il proprio carisma personale e anche comunitario”.

(Foto: Santa Sede)

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