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Cosi e Repossi raccontano Oskar Schindler per non dimenticare la Shoah

‘Chi salva una vita salva il mondo intero’: è questa l’incisione in ebraico sull’anello d’oro che gli ‘Schindlerjuden’ regalarono a Oskar Schindler il 2 maggio 1962, a Tel Aviv, al termine di un banchetto in suo onore. Sono trascorsi più di 50 anni da quando Israele lo invitò a piantare un albero nel ‘Giardino dei Giusti’ dello Yad Vashem, ma la vicenda e la personalità di questo imprenditore, passato alla storia per aver salvato più di 1000 ebrei dai campi di concentramento, continuano a essere oggetto di dibattito.

Estroverso, carismatico, amante della bella vita, spia per convenienza (fu reclutato dall’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco), nazista, salvatore di ebrei ed imprenditore di successo nella Polonia occupata (inaugurato a tempo di record il suo stabilimento: trasferitosi a Cracovia il 17 ottobre 1939, in meno di un mese riesce a farsi approvare la richiesta di locazione della Rekord): tutto questo è stato l’uomo al centro di ‘Oskar Schindler – Vita del nazista che salvò gli ebrei’ di Francesca Cosi e Alessandra Repossi:

“La sua tomba a Gerusalemme (in un cimiterino abbarbicato su un fianco del monte Sion, appena fuori dalla Città Vecchia) è ricoperta infatti dai sassolini lasciati, secondo il rituale ebraico, dai tanti che continuano a rendergli omaggio, mentre la sua fabbrica a Cracovia è stata trasformata nel Museo cittadino dell’occupazione (sono 45 sale che raccontano gli anni dal 1939 al 1945). Eppure l’enigma Schindler resta”.

Del ritratto di Cosi e Repossi (che va dall’infanzia ai successi economici, dalle relazioni politiche al rapporto con la moglie Emilie e ai continui tradimenti che le inflisse) sono molto interessanti le ‘liste’ originali degli ebrei da salvare, con il pretesto di assumerli come manodopera per la fabbrica. Pubblicate per concessione del Museo statale di Auschwitz-Birkenau, dimostrano infatti che non ci fu un’unica lista, come invece racconta il film di Spielberg, ma diverse liste.

Significativa è anche la parte del libro che racconta cosa accadde dopo la guerra e dopo il 1974, anno della morte di Oskar Schindler, con la ribalta del film e l’elevarsi della voce della vedova, arrivando fino al ritrovamento di una misteriosa valigia che, su un cartellino, portava il nome dell’uomo: “Fu aperta solo dopo diversi anni, ma del suo contenuto non si è mai scritto in Italia. Si è comunque aggiunto materiale biografico utile a una più precisa messa a fuoco di chi fu veramente Schindler, l’uomo”, scrivono le autrici, che studiano da tempo la Shoah nei suoi aspetti (dalla storia, alle testimonianze, ai luoghi) ed hanno visitato i principali campi di sterminio in Austria, Germania, Polonia e Italia.

Da queste visite è scaturita nel 2015 una mostra didattica rivolta alle scuole e realizzata con la consulenza dello storico Bruno Segre, dalla quale nel 2018 hanno tratto il libro ‘Shoah. Conoscere per non dimenticare’ (TS Edizioni).

Dalle autrici ci facciamo spiegare il motivo per cui hanno dedicato un libro ad Oskar Schindler:“Questo libro nasce principalmente da una necessità: nel 2024 ricorrevano i 50 anni dalla scomparsa di Schindler e in Italia mancava ancora una biografia completa a lui dedicata. La casa editrice TS Edizioni ha scoperto questa lacuna e ci ha proposto di colmarla scrivendo  quest’opera.

Abbiamo accolto molto volentieri questo invito, perché la figura di Schindler ci ha sempre affascinato e questa opportunità ci avrebbe consentito di approfondirne la conoscenza. Inoltre il nostro lavoro sulla Shoah, a cui negli anni abbiamo dedicato un altro libro, una mostra didattica per le scuole, una mostra fotografica e diverse traduzioni di testi letterari e saggistici, ci ha particolarmente motivato ad affrontare questa nuova sfida”.

Quale fu il motivo per cui un ‘nazista’ decise di salvare gli ebrei?

“Schindler era un uomo dalle mille contraddizioni che probabilmente aderì al nazismo non tanto per convinzioni ideologiche, quanto per convenienza: in quel periodo storico quello era il partito al potere, e far parte delle cerchie naziste poteva dare a un aspirante industriale come lui molti vantaggi, prima di tutto economici. Fu così che Schindler prese la tessera del partito nel 1938-39 e riuscì ad aprire la sua fabbrica, l’Emalia, nella Polonia occupata.

Lì scoprì che, se si avvaleva di manodopera ebraica, per ogni operaio che assumeva doveva pagare al Reich al giorno meno di quanto doveva pagasse gli operai polacchi all’ora, e questo lo spinse a prendere con sé, nel tempo, oltre 1000 ebrei. Poi però nel 1942 assistette alle violentissime deportazioni dal ghetto di Cracovia, che sorgeva vicino alla sua fabbrica, e che culminarono all’inizio del 1943 con la liquidazione del ghetto e dei suoi abitanti. Fu in quella fase che avvenne in lui il cambiamento: da allora si impegnò per salvare gli ebrei giorno dopo giorno, sfidando continuamente i nazisti a rischio della propria vita”.

Per quale motivo avete voluto visitare la sua tomba?

“Due anni fa abbiamo fatto un lungo viaggio in Terra Santa e poi altri a Cracovia e in Repubblica Ceca per seguire le tracce di Schindler. Sono tutti luoghi in cui ancora oggi si possono ritrovare segni del suo passato. La visita alla tomba di Schindler a Gerusalemme, che abbiamo descritto all’inizio del libro, è stata per noi un’esperienza particolarmente intensa.

E’ situata in un piccolo cimitero arroccato sul fianco del monte Sion, fuori dalla Città Vecchia, e si riconosce perché è ricoperta da tante pietruzze. Vengono lasciate da chi ancora oggi si reca a rendergli omaggio, seguendo l’usanza ebraica di deporre una pietra sulla tomba in segno di rispetto e memoria. Anche noi abbiamo voluto lasciare una traccia del nostro passaggio e rendere omaggio a quest’uomo così eroico”.

A 50 anni dalla sua morte quale memoria resta di Schindler?

“Tutti conoscono Oskar grazie al film ‘Schindler’s List’ di Steven Spielberg, che ha avuto il grande merito di diffondere nel mondo intero le gesta di quest’uomo; tuttavia, per esigenze di resa cinematografica e di sintesi, nel film la sua vicenda è stata semplificata e in certi casi stravolta, per questo ci sembrava necessaria una biografia che ne restituisse l’immagine a tutto tondo.

Per noi Schindler rappresenta un esempio proprio perché la sua figura è fatta di contrasti: era tutt’altro che un santo, anzi, aveva molti lati discutibili. Eppure ha compiuto un’impresa straordinaria, salvando oltre 1100 persone perseguitate che, senza il suo intervento, sarebbero finite nei campi di sterminio. Questo dimostra che ognuno di noi, con i propri pregi e difetti, può fare del bene: non serve essere perfetti o irreprensibili per agire in modo positivo. Che si tratti di un gesto straordinario, come quello compiuto da lui, o di qualcosa di piccolo, il bene è alla portata di tutti e rappresenta, a nostro avviso, l’unica vera risposta alla violenza che possiamo vedere intorno a noi”.

Quale significato riveste il riconoscimento di ‘giusti tra le nazioni’?

“E’ un riconoscimento che viene concesso dallo Yad Vashem di Gerusalemme ai non ebrei che durante la Shoah hanno messo a rischio la loro vita per salvare gli ebrei. Oskar Avrebbe dovuto riceverlo nel 1963, ma a causa di alcune polemiche uscite sulla stampa, la sua figura non sembrava così limpida; fu invitato a piantare un albero nel giardino dei Giusti, ma non ottenne il riconoscimento. Questo gli fu poi concesso postumo nel 1993, insieme alla moglie Emilie che lo aveva aiutato nel salvataggio degli ebrei”.

Oggi si conosce veramente la Shoah?

“La nostra esperienza ci dice che, per quanto la Shoah sembri una tragedia lontanissima nel tempo e quindi dimenticata, in realtà sono proprio i ragazzi nelle scuole che la studiano di più. Abbiamo incontrato diversi docenti e istituzioni che organizzano regolarmente cicli di letture, lezioni, tavole rotonde con chi, come noi, studia l’argomento da tempo. Ma intanto il tempo scorre e l’oblio è sempre in agguato. Il nostro impegno è quello di proporre a cadenza regolare pubblicazioni o lavori di altro genere sulla Shoah per mantenerne sempre viva la memoria”.

(Tratto da Aci Stampa)

Associazione.’ Bambino Gesù’ del Cairo: Il Giorno della Memoria inno alla dignità umana

Il giorno della memoria rischia di essere contaminato ed inficiato da erronee interpretazioni da parte di coloro che ritengono che la Palestina sia vittima della violenza di Israele, dimenticando che, a sua volta, Israele è vittima del fondamentalismo e che entrambi i popoli sono vittime dello stessa ingiustizia che vuole renderli popoli avversari.  Non si può offuscare il ricordo dell’olocausto subito dagli ebrei, sterminati dai nazisti, ponendo in luce che la Palestina attualmente sia vittima dello stesso odio da parte di Israele.

Il ricordo dell’olocausto deve essere scevro da confronti assurdi con i fatti bellici che coinvolgono, nel contempo, Israele e la Palestina, entrambe vittime del fondamentalismo più bieco. L’olocausto è stato il più tragico evento dell’umanità che ha visto lo sterminio di uomini, donne e bambini innocenti, colpevoli solo di essere ebrei.

La storia testimonia tale barbarie, non molto lontana, in quanto perpetrata nel secolo scorso, conclusosi solo pochi decenni orsono. Spiace osservare il tentativo di umiliare, ancora una volta, il popolo ebreo. Basta leggere i libri di storia per comprendere la realtà dei fatti. Quanta confusione si sta creando con l’intento di dar corso ad un nuovo olocausto nei confronti del popolo ebreo.

Forse con l’intento di sterminare il popolo ebreo definitivamente? Ci chiediamo cosa si nasconda dietro l’offuscamento della verità relativamente al conflitto che attualmente vede coinvolti due popoli vicini, la Palestina e Israele. E’ con un profondo senso di smarrimento che oggi affrontiamo il tragico evento della shoah, dello sterminio del popolo ebreo, proprio in quanto constatiamo amaramente che la lezione che tale dramma ha lasciato all’umanità sembra minacciata da una grave menzogna che vuole deturpare la realtà storica di un fatto che crea sgomento al solo ricordo.

Forse stiamo assistendo ad una nuova ondata di razzismo e di nazismo? Nell’epoca storica attuale, così confusa dall’imperante superficialità, che confonde il bene con il male, il valore dell’essere umano rischia di essere sommerso dalla menzogna, dalla negazione della verità, dal torpore della coscienza umana? Sicuramente no, in quanto le donne e gli uomini di buona volontà sapranno contrapporsi, con la forza della loro fede nel valore della dignità umana, a quelle minoranze che fomentano ancora la violenza più spietata.

Certamente sapremo inneggiare al valore della democrazia ogni giorno, dimostrando a chi dipinge provocatoriamente svastiche sui muri  che non ha compreso cosa significhi il valore della vita degli altri e neanche della propria vita, in quanto pervaso dal sentimento dell’odio che offusca la mente.

Sapremo diffondere la pedagogia dell’Amore, della Fraternità, della Pace, in tutti i modi, in tutti i luoghi, in ogni scuola, in ogni Chiesa. E, soprattutto, sapremo essere testimonianza, nel quotidiano, di amore verso l’altro, di rispetto e di tolleranza.

Riteniamo che questa sia l’unica via per scongiurare il razzismo e la morte della coscienza dell’essere umano. Sapremo dimostrare quotidianamente all’essere umano che è un Uomo e non un mostro. Il ritorno del mito del superuomo sembra volersi affermare. Con la violenza si vuole dimostrare il proprio  desiderio di potenza, che nessuno deve porre in discussione, pena la morte.

E’ il mito del superuomo che alcuni  nutrono nel proprio animo a determinare quei  gesti efferati di violenza e quell’ intolleranza che genera le guerre fratricide. Tale mito è alimentato dall’essere la società civile una società che pone al centro il denaro, il possesso e che aspira a tacitare i valori umani, unici valori che consentono ad ognuno di essere capace di autocoscienza rispetto agli effetti delle proprie azioni, se esse sono lesive o benevoli nei confronti degli altri. E’ forse tardi per riprendere in mano le sorti morali dell’essere umano?

No, certamente! Lo dimostrano tanti giovani che manifestano per un mondo migliore, i quali certamente, ogni giorno, sono testimoni autentici del ‘Giorno della Memoria’.

Desidero sottolineare l’importanza dell’impegno a cui esorta il Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, firmato nel 2019, a Abu Dhabi, da papa Francesco che rappresenta la Chiesa Cattolica e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb che rappresenta i musulmani sunniti d’Oriente e di Occidente.

Il suddetto Documento è foriero del dialogo interreligioso, che si prefigge la finalità autentica di essere una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, fondata sulla profonda comprensione della verità suprema che tutti gli esseri umani sono fratelli e che, per tale ragione, devono attingere ai valori del dialogo e della tolleranza, dai quali si genera la pace e, nel contempo, l’emancipazione umana a livello universale, al di là delle barriere religiose, delle barriere ideologiche e delle atroci barriere del razzismo.

Non vi è dubbio che, aderendo ai principi del Documento sulla ‘Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune’, si  potrà realizzare la Pace e quel  benessere materiale che tutti ingloba in quanto sorretto dal piano spirituale della vita, che conduce certamente oltre il razzismo e l’odio, che ancora affliggono amaramente l’umanità, lasciandola nell’ arretratezza e nella miseria morale, che è la più atroce forma di povertà, come il razzismo contro gli Ebrei ha dimostrato, che noi non solo condanniamo, ma, ogni giorno, combattiamo diffondendo la pedagogia dell’Amore.

27 gennaio: per non dimenticare la memoria

“Sabato prossimo, 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo e la condanna di quell’orribile sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi, avvenuto nella prima metà del secolo scorso, aiuti tutti a non dimenticare che le logiche dell’odio e della violenza non si possono mai giustificare, perché negano la nostra stessa umanità”: al termine dell’udienza generale di mercoledì scorso papa Francesco ha ricordato che oggi si commemora la Giornata della memoria, invitando a non dimenticare ed a non giustificare la violenza contro l’umanità.

Le ‘carte’ di Pio XII, la lettera su Auschwitz e Dachau

‘Le ‘carte’ di Pio XII oltre il mito. Eugenio Pacelli nelle sue carte personali. Cenni storici e inventario’,  è il titolo del volume di Giovanni Coco, che contiene un documento inedito sui campi di sterminio: si tratta di una lettera del 14 dicembre 1942, inviata dal gesuita tedesco, p. Lothar Konig al confratello, p. Robert Leiber, segretario personale di papa Pio XII, che contiene una statistica sui sacerdoti detenuti in campi di concentramento, e menziona i lager di Auschwitz e di Dachau, accennando al tragico destino degli ebrei.

Diocesi di Piacenza: don Beotti beato per l’accoglienza agli ebrei

Nell’ultimo sabato di settembre nel duomo di Piacenza, il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro, nell’omelia per la beatificazione del religioso ucciso dai nazisti nel 1944, ha sottolineato l’esempio luminoso di colui che, così come gli Ulma, ospitò e aiutò ‘chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti’.

Ricordare perché dimentichiamo spesso

Oggi si ricorda la liberazione di Auschwitz da parte della 60° Armata dell’Esercito sovietico e ritorna alla mente quello che ha scritto Primo Levi ne ‘La tregua’: “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles e io i primi a scorgerla (…. ) Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide”.

Maria Peri racconta Maria Marchesi, moglie del beato Odoardo Focherini

“A volte forse sembrerà che il cuore non possa reggere a tanta pena, ma il Signore certo è con noi anche quando più ci chiede e più ci prova, anzi allora ancora di più”: così scriveva Maria Marchesi in una delle molte lettere al marito, il beato Odoardo Focherini, che la nipote, prof.ssa Maria Peri, ha raccolto nel libro ‘Maria Marchesi. E fummo una nelle braccia dell’altro’: “Ricordo mia nonna anziana e malata. Volevo riscoprirla, capire di chi si era innamorata”.

Giorno della Memoria: mai dimenticare

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra in tutto il mondo il Giorno della Memoria: il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore del campo di concentramento, uno dei luoghi del genocidio nazista, liberandone i pochi superstiti.

Non c’è modo più efficace che ricordare quell’orrore, e farlo conoscere alle nuove generazioni, con il racconto di chi l’ha vissuto, come Liliana Segre, che al termine dello scorso anno ha raccontato ai ragazzi la sua deportazione nel campo di concentramento: “Dai vagoni piombati saliva un coro di urla, di richiami, di implorazioni: nessuno ascoltava. Il treno ripartì. Il vagone era fetido e freddo, odore di urina, visi grigi, gambe anchilosate; non avevamo spazio per muoverci. I pianti si acquietavano in una disperazione assoluta”.

Un minuzioso racconto del suo viaggio: “Io non avevo né fame, né sete. Mi prese una specie di inedia allucinata come quando si ha la febbre alta; quando riuscivo a riflettere pensavo che forse, senza di me, Papà avrebbe potuto scappare da San Vittore, saltare quel muro come aveva proposto un altro internato, Peppino Levi, o forse no. Mi stringevo a Lui, che era distrutto, pallido, gli occhi cerchiati di rosso di chi non dorme da giorni. Mi esortava a mangiare qualcosa, aveva ancora per me una scaglia di cioccolato; la mettevo in bocca per fargli piacere, ma non riuscivo a inghiottire nulla”.

Un racconto in treno: “Nel centro del vagone si formò un gruppo di preghiera: alcuni uomini pii, fra i quali ricordo il signor Silvera, si dondolarono a lungo recitando i Salmi; mi sembrava che non finissero mai: erano i più fortunati. Le ore passavano, così le notti e i giorni, in un’abulia totale: era difficile calcolare il tempo. Pochissimi avevano ancora un orologio e anche quei pochi privilegiati non lo guardavano più. Ogni tanto vedevo qualcuno alzarsi a fatica per cercare di capire dove fossimo, guardando dalle grate, schermate con stracci per riparare dal gelo quel carico umano. Si vedeva un paesaggio immerso nella neve, si vedevano casette civettuole, camini fumanti, campanili”.

Ed alla fine la scoperta della destinazione: “Anch’io e il mio Papà scendemmo e vedemmo per la prima volta, scritto con il gesso sul vagone: ‘Auschwitz bei Katowice’. Capimmo che quella era la nostra meta. Il treno ripartì quasi subito e la notizia della nostra destinazione gettò tutti in una muta disperazione. Fu silenzio in quel vagone in quegli ultimi giorni.

Nessuno più piangeva, né si lamentava. Ognuno taceva con la dignità e la consapevolezza degli ultimi momenti. Eravamo alla vigilia della morte per la maggior parte di noi. Non c’era più niente da dire. Ci stringevamo ai nostri cari e trasmettevamo il nostro amore come un ultimo saluto. Era il silenzio essenziale dei momenti decisivi della vita di ognuno. Poi, poi, all’arrivo fu Auschwitz e il rumore assordante e osceno degli assassini intorno a noi”.

Attraverso il racconto si comprende quanto sia importante ricordare; una recente ricerca Eurispes (ottobre 2020) rivela infatti che i negazionisti aumentano anche in Italia: in circa 15 anni la percentuale di chi non crede all’orrore della Shoah è passata dal 2,7% al 15,6% con un 16% che sostiene che la persecuzione sistematica degli ebrei ‘non ha fatto così tanti morti’.

Un’altra testimonianza arriva da don Patrick Desboisè, nato nel 1955 nella Borgogna francese (Saône-et-Loire), nipote di un deportato nel campo di concentramento di Rawa-Ruska, che riporta alla luce la storia del nonno cominciando il cammino di ricerca sulle tracce degli ebrei dell’Est, assassinati dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale:

“Tra il 1941 e il 1944, circa 1.500.000 di ebrei che vivevano in Ucraina, in seguito all’invasione tedesca dell’Unione sovietica, sono stati assassinati mediante fucilazione. Soltanto una minoranza di questi ebrei è stata deportata nei campi di sterminio nazisti. La quasi totalità è morta sotto il tiro delle pallottole degli Einsatzgruppen (unità mobili SS di massacro), delle Waffen-SS, della polizia nazista o dei suoi collaboratori dell’Est europeo.

Il fenomeno della Shoah per fucilazione, conosciuto e raccontato dagli storici, nelle sue linee essenziali, ma noto anche alle truppe alleate, non è mai stato ricostruito in modo sistematico, ed è rimasto fino a oggi poco studiato”.

Anche suor Maria Rosa Bernardinis, priora del monastero Santa Rita da Cascia, invita a riflettere sul valore della memoria: “La memoria è un dovere concreto, che ci parla del passato ma ci chiama ad agire nel presente, per costruire un futuro libero da odio, violenza e indifferenza. Facciamo memoria di ciò che è stato, per lasciare oggi un segno migliore nella storia, marchiata ancora da guerre e discriminazioni che attentano alla vita di tutti”.

La Madre priora sottolinea che il significato della memoria include anche un’azione per il cambiamento: “Il verbo zachar, che arriva dalla lingua ebraica, ricorre oltre 200 volte nella Bibbia. Il suo significato è sia ricordare che agire. La memoria, infatti, è una forza viva che ci fa scegliere cosa lasciare alla storia di oggi, sulla quale si regge già il domani del mondo.

Le milioni di vite sterminate dal regime nazista solo 80 anni fa, insieme ai tanti conflitti che affliggono il presente, ci dicono che non stiamo andando nella giusta direzione. Non basta condannare il male perché non si ripeta, ma occorre impegnarsi, tutti e ogni giorno, per fare il bene”.

D’altra parte l’esperienza della santa casciana è una chiara testimonianza: “Santa Rita, che ha vissuto un tempo di vendette, avrebbe potuto girarsi dall’altra parte o peggio arrendersi e dire che la vita era dura per pensare di cambiare il suo mondo e la sua gente.

Invece, no, Rita ha scelto di scrivere una storia diversa, illuminata dall’amore di Dio. Quella scelta ha cambiato tante storie, durante oltre cinque secoli e tutt’ora. Al pari la nostra scelta può cambiare la nostra vita e la storia dell’umanità, oggi e domani. Scegliamo, con Santa Rita, la strada dell’amore, dell’umiltà, del dialogo e della pace, per salvarci dall’odio che distrugge la vita”.

Ed  invita a non dimenticare gli attuali ‘olocausti’: “Per intercessione di Santa Rita preghiamo il Signore per tutte le vittime di genocidio nel mondo, quelle di ieri e quelle di oggi. Perché milioni di uomini, donne e bambini, anche in questo momento, vengono sterminati, torturati e trattati in modo disumano.

Come nei centri per migranti della Libia, che l’alto commissario Onu per i rifugiati ha definito campi di concentramento e dove recentemente una giovane eritrea è stata bastonata in una sala delle torture.

Chiediamo con forza a Dio di illuminare la coscienza di tutti noi e soprattutto di quella politica cieca e indifferente, che guarda solo al potere e ne giustifica ogni mezzo. Che il Signore doni a chi deve intervenire la volontà di cessare definitivamente questo inferno in terra”. 

(Foto: Conferenza episcopale polacca)

Liliana Segre: da domani non potrai più andare a scuola

‘Da domani non potrai più andare a scuola’: aveva 8 anni e sedeva a tavola con il papà e i nonni, la bambina Liliana Segre, quando le leggi razziali irruppero nella sua ‘piccola vita’; un destino che la insegue ancora oggi: “Chiesi subito: perché?.. Ricordo gli sguardi mentre cercavano di spiegarmi che eravamo ebrei e per gli ebrei c’erano nuove leggi’.

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