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Progetto Compiti@casa: gli studenti universitari diventano tutor online per i ragazzi delle medie

Stanno per partire i tutorati online attivati all’interno di Compiti@casa, un progetto selezionato da ‘Con i Bambini’ nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, per sostenere nello studio, nell’arco di tre anni, circa 1.600 allievi delle scuole secondarie di primo grado, compresi alunni con backgroud migratorio.

A fare loro da tutor saranno 840 studenti delle università coinvolte nel progetto che, selezionati tramite un apposito bando, opportunamente formati e remunerati, aiuteranno i ragazzi e le ragazze più giovani nelle materie scientifiche e umanistiche. Un’opportunità preziosa per chi è in situazione di difficoltà di apprendimento, disagio educativo, scarso rendimento scolastico, bassa partecipazione alla vita scolastica.

‘Compiti@casa’ è un progetto triennale che ha l’obiettivo di innovare lo studio a distanza e sviluppare metodologie didattiche capaci di motivare e sostenere gli alunni e le alunne in difficoltà. Ideato nel 2020 dalla Fondazione De Agostini e dall’Università di Torino, per questa edizione è finanziato da Fondazione De Agostini, Fondazione Con i Bambini, Fondazione Alberto e Franca Riva, UniCredit Foundation, Fondazione Comunità Novarese.

La partnership è costituita da Parsec cooperativa sociale (capofila, Roma), cooperativa sociale Raggio Verde (Novara), Traparentesi aps (Napoli), associazione I Tetti Colorati (Ragusa), Università di Torino (responsabile scientifico), Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università di Messina e 16 scuole che operano in contesti complessi delle quattro regioni coinvolte: Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia. E’ prevista una valutazione di impatto sociale affidata alla Fondazione Bruno Kessler.

Il progetto offre un sostegno all’apprendimento, realizzato a distanza utilizzando un ambiente digitale progettato e sviluppato dall’Università di Torino. I tutor sono selezionati tramite un bando e opportunamente preparati attraverso un percorso di formazione a cura dell’ateneo torinese. Per ognuno dei tre anni del progetto, le università coinvolte selezionano ognuna 70 tutor tra gli studenti dei propri corsi, 35 per l’area umanistica e 35 per l’area scientifica.

Il tutorato ha una durata complessiva di 15 settimane e si attiva nel secondo quadrimestre. In ogni appuntamento un tutor incontra due alunni che frequentano la stessa classe. Sono previsti due appuntamenti settimanali della durata di due ore ciascuno (un’ora per le materia umanistiche, un’ora per quelle scientifiche) per un totale complessivo di 60 ore per ogni alunno seguito.

La vicinanza generazionale dei tutor agli studenti delle scuole secondarie di primo grado facilita la comunicazione, sono giovani figure di riferimento che, in un’ottica di peer education, non solo portano novità in termini di metodologie e contenuti, ma sono capaci di accorciare le distanze comunicative e di amplificare gli effetti del supporto a distanza, facendo leva sulla costruzione di un rapporto di fiducia e reciprocità.

Le ragazze e i ragazzi che usufruiscono dei tutorati sono individuati dalle scuole secondarie di primo grado coinvolte, che scelgono 28 allievi per ogni anno di progetto, abbinati in coppie della stessa classe. Il progetto offre alle scuole coinvolte anche un’attività di segretariato socio-educativo: un servizio presente nell’istituto una volta a settimana, per tutto l’anno scolastico, gestito da un operatore e dal coordinatore del progetto, rivolto al corpo docente e al personale amministrativo ma anche alle famiglie, per aiutare nel disbrigo delle pratiche burocratiche correlate alla vita scolastica, facilitare le relazioni con gli altri servizi del territorio, sostenere le attività di orientamento scolastico.

“Di fronte a una generazione scarsa numericamente e afflitta, come da più parti sottolineato, da stati di ansia che ne compromettono un sano ingresso nella vita adulta”, dichiara Barbara Guadagni, responsabile del progetto, “risulta inaccettabile che molti studenti delle scuole medie vivano uno stato di frustrazione legato a uno scarso rendimento scolastico spesso motivato dalla povertà materiale e dalla povertà educativa delle loro famiglie. Il servizio che offriamo è teso a contrastare queste difficoltà, offrendo un supporto didattico e motivazionale facilmente fruibile nella versione online. Tutto ciò è reso possibile grazie alle risorse messe a disposizione a livello nazionale da una rete di fondazioni da tempo impegnate sul tema della povertà educativa”.

Il progetto è stato selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il Fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Per attuare i programmi del Fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD. www.conibambini.org”.

Don Raffaele Ponticelli racconta il Cuore di Cristo

“Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16). Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”:  scrive papa Francesco ad inizio dell’enciclica ‘Dilexit nos’.

Partiamo da questo incipit dell’enciclica papa per un dialogo sull’importanza del cuore con don Raffaele (Lello) Ponticelli, docente di psicologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, psicologo-psicoterapeuta, autore del libro ‘Cuore di Cristo Cuore di Uomo’ e membro della Commissione per l’Anno Santo dell’arcidiocesi di Napoli, che ha invitato a riflettere sul magistero pedagogico del papa:

“Riflettendo sul magistero pedagogico di papa Francesco mi è parso di individuare due passi concreti per avanzare in quell’educazione emotivo-affettiva che molti invocano: un passo è quello di percorrere la strada nei sentimenti di Cristo (lo disse al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015), l’altro è dato dall’acquisizione dello stile del Samaritano (qui la citazione è dall’enciclica ‘Fratelli tutti’), stile che sintetizza quei sentimenti in un’empatia che si eleva a compassione… Ancora papa Francesco, in un convegno sulla sfida educativa a Roma nel 2017, indicava come necessaria una alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani)”.

Allora, quanto è importante il cuore?

“Quanto la persona stessa e l’intero mondo! Il papa dedica il primo capitolo dell’enciclica ad esplorare quest’importanza, perché nel cuore è simboleggiato tutto il paradosso umano: mistero di limite e d’infinito, di drammatico e di bello, affascinante.  Il cuore è simbolo di tutta la persona, del sacrario suo più intimo, luogo di orientamenti e decisioni radicali dove si gioca la partita del tempo e dell’eternità. Gesù nel Vangelo ce lo ricorda (Mc7,14-23) e ci offre la medicina della misericordia e dell’amore di Dio per guarirlo dalla sclerosi (sclerocardia) e renderlo capace di amare alla Sua stessa maniera”.

Qual è la differenza tra il cuore di Cristo e il cuore dell’uomo?

“Cristo ha amato con cuore d’ uomo’, è scritto nella Costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’. Allora verrebbe da dire che non c’è alcuna differenza. Ma il Cuore di Cristo è anche il Cuore di Dio stesso: ama in modo imperituro, senza inquinamenti o riserve. Attraversato umanamente, come il nostro, da lotte (le tentazioni, l’esperienza del Getsemani) non s’è piegato, perché libero e unificato.

Il cuore umano invece soffre in se stesso una divisione, è baratro che può anche esser invaso dal male, dalla chiusura a Dio, agli altri, a se stesso. Perciò il Cuore di Cristo, in quanto Cuore di Dio e Cuore dell’uomo sognato da Dio, è paradigma di com’è chiamato a diventare il nostro cuore, per creazione e per redenzione. Non c’è che una tristezza al mondo: parafrasando Peguy, quella di non avere ancora in noi i sentimenti del Cuore di Cristo”.

Perché ‘solo con il cuore si vede bene’?

“Non con qualsiasi cuore! Anche ‘Il Piccolo Principe’ sarebbe d’accordo. Un cuore inquinato (dall’odio, dall’indifferenza…) potrebbe vedere in modo distorto o non vedere affatto! Si vede bene solo col cuore quando il cuore è nelle sue migliori condizioni, allora vede con l’occhio dell’amore allungando lo sguardo oltre l’apparenza, la superficialità…  Le sue ragioni vanno oltre la ragione (Pascal), superandola non per disprezzo, ma per luminosità e compassione, di cui il cuore è pur sempre capace”.

Di quanti cuori racconta nel libro?

“Di quelli che pulsano in ciascuno di noi, più o meno consapevolmente. Ma il libro desidera soprattutto lasciar intravedere il Cuore di Cristo e la ricchezza dei suoi sentimenti, affinché ciascuno possa sentirne l’eco, il fascino, la nostalgia e gioire della loro presenza che, talvolta segreta, ci fa amare come Cristo ama. Non a caso le domande per la riflessione personale e le briciole di meditazioni, poste alla fine d’ogni capitolo, sono un invito a scavare nei desideri del nostro cuore e scalare quelli del Cuore di Cristo, per diventare umile implorazione in una semplice giaculatoria”.

In quale modo è possibile imparare da Gesù la mitezza del cuore?

“Chiedendola nella preghiera e mettendosi continuamente alla scuola del Vangelo e dei Santi, con un discepolato permanente, faticoso e gioioso insieme, nella certezza che Gesù non ce lo avrebbe chiesto (imparate da me che sono mite e umile di cuore) senza darci i mezzi per apprenderne l’arte. Sono mezzi anzitutto quelli della grazia dei Sacramenti: l’Eucaristia, la Riconciliazione. Lo è l’accompagnamento spirituale ed ogni altro aiuto a riconoscere la propria aggressività, a gestirla rieducandosi allo stile di non violenza, amorevolezza, perdono: vero antidoto in una società spesso ostile e rancorosa. La mitezza di Gesù non è dabbenaggine ma occasione per la rivoluzione della tenerezza che disarma il cuore, la parola e le mani”.

Quale cuore occorre per contribuire alla costruzione della civiltà dell’amore?

Solo quello che permette allo Spirito di trapiantare in noi i sentimenti del Cuore di Cristo. E’ stata la consegna di Papa Francesco a Firenze, nel 2015: invitava la Chiesa italiana a contribuire ad un nuovo umanesimo tornando ai sentimenti di Cristo: umiltà, disinteresse, beatitudine”.

 Com’è possibile avere un cuore umile?

“C’è da ricordare, anzitutto, che l’umiltà passa per la via dell’umiliazione… Umile lo diventa un cuore che si abbassa e scende con la stessa umiltà di Dio. In Cristo Dio è sceso: da onnipotente ha accettato i limiti e l’onnidebolezza dell’amore, da creatore si è fatto creatura, da Re s’è fatto servo chinandosi ai nostri piedi per lavarli, da innocente s’è fatto peccato. Da Altissimo a Bassissimo. È disceso agli inferi, ora Risorto vive e non disdegna di vivere in noi donandoci la stessa sua umiltà quando accettiamo di seguirne le orme”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco al mondo artistico: raccontate la bellezza del Vangelo

“Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra. Oggi in Vaticano è stata celebrata l’Eucaristia dedicata in particolare agli artisti venuti da varie parti del mondo per vivere le Giornate giubilari.”: oggi è stato letto il testo preparato da papa Francesco, che di consueto viene detto prima della recita dell’Angelus, in occasione del Giubileo degli artisti, a cui non ha potuto partecipare a causa di una bronchite, per cui è stato ricoverato al Policlinico Gemelli.

Però nel breve testo ha ringraziato i fedeli ed ha invitato a pregare per la pace: “Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per la preparazione di questo appuntamento, che ci ricorda l’importanza dell’arte come linguaggio universale che diffonde la bellezza e unisce i popoli, contribuendo a portare armonia nel mondo e a far tacere ogni grido di guerra”.

Mentre nell’omelia per la celebrazione eucaristica de Giubileo degli Artisti, letta dal card. Josè Tolentino de Mendonça, il papa ha riflettuto sul loro ruolo di ‘custodi della bellezza’, capaci di ‘chinarsi sulle ferite del mondo’, come è scritto nel brano evangelico odierno: “Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama le Beatitudini davanti ai suoi discepoli e a una moltitudine di gente. Le abbiamo ascoltate tante volte eppure non cessano di stupirci…

Queste parole ribaltano la logica del mondo e ci invitano a guardare la realtà con occhi nuovi, con lo sguardo di Dio, che vede oltre le apparenze e riconosce la bellezza, persino nella fragilità e nella sofferenza… Il contrasto tra ‘beati voi’ e ‘guai a voi’ ci richiama all’importanza di discernere dove riponiamo la nostra sicurezza”.

Rivolgendosi direttamente agli artisti li ha invitati a ‘trasformare il dolore in speranza’ “Voi, artisti e persone di cultura, siete chiamati a essere testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini. La vostra missione è non solo di creare bellezza, ma di rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza”.

Il loro compito consiste di ‘aiutare l’umanità’: “Viviamo un tempo di crisi complessa, che è economica e sociale e, prima di tutto, è crisi dell’anima, crisi di significato. Ci poniamo la questione del tempo e quella della rotta. Siamo pellegrini o erranti? Camminiamo con una meta o siamo dispersi nel vagare? L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza”.

In questo compito l’arte diventa un incontro: “Ma attenzione: non una speranza facile, superficiale, disincarnata. No! La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio. Per questo l’arte autentica è sempre un incontro con il mistero, con la bellezza che ci supera, con il dolore che ci interroga, con la verità che ci chiama. Altrimenti, ‘guai’! Il Signore è severo nel suo appello”.

Infatti la missione dell’artista consiste nel raccontare la ‘grandezza’ di Dio: “Questa è la missione dell’artista: scoprire e rivelare quella grandezza nascosta, farla percepire ai nostri occhi e ai nostri cuori… L’artista è sensibile a queste risonanze e, con la sua opera, compie un discernimento e aiuta gli altri a discernere tra i differenti echi delle vicende di questo mondo.

E gli uomini e le donne di cultura sono chiamati a valutare questi echi, a spiegarceli e a illuminare la strada su cui ci conducono: se sono canti di sirene che seducono oppure richiami della nostra umanità più vera. Vi è chiesta una sapienza per distinguere ciò che è come ‘pula che il vento disperde’ da ciò che è solido ‘come albero piantato lungo corsi d’acqua’ ed è capace di dare frutto”.

In questo senso gli artisti sono i ‘custodi’ della bellezza: “Cari artisti, vedo in voi dei custodi della bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo, che sa ascoltare il grido dei poveri, dei sofferenti, dei feriti, dei carcerati, dei perseguitati, dei rifugiati. Vedo in voi dei custodi delle Beatitudini! Viviamo in un’epoca in cui nuovi muri si alzano, in cui le differenze diventano pretesto per la divisione anziché occasione di arricchimento reciproco. Ma voi, uomini e donne di cultura, siete chiamati a costruire ponti, a creare spazi di incontro e dialogo, a illuminare le menti e a scaldare i cuori”.

Per questo ha sottolineato che l’arte è necessaria per il mondo: “L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza. E la speranza non è mai scissa dal dramma dell’esistenza: attraversa la lotta quotidiana, le fatiche del vivere, le sfide di questo nostro tempo”.

E’ stato un invito agli artisti a partecipare alla ‘rivoluzione’ delle Beatitudini: “Nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, Gesù proclama beati i poveri, gli afflitti, i miti, i perseguitati. È una logica capovolta, una rivoluzione della prospettiva. L’arte è chiamata a partecipare a questa rivoluzione. Il mondo ha bisogno di artisti profetici, di intellettuali coraggiosi, di creatori di cultura”.

Quest’omelia letta si è conclusa con l’appello ad annunciare ‘un mondo nuovo’: “Lasciatevi guidare dal Vangelo delle Beatitudini, e la vostra arte sia annuncio di un mondo nuovo. La vostra poesia ce lo faccia vedere! Non smettete mai di cercare, di interrogare, di rischiare. Perché la vera arte non è mai comoda, offre la pace dell’inquietudine. E ricordate: la speranza non è un’illusione; la bellezza non è un’utopia; il vostro dono non è un caso, è una chiamata. Rispondete con generosità, con passione, con amore”.

(Foto: Santa Sede)

Mons. Savino scrive ai ragazzi in carcere: non siete soli

“Carissimi ragazzi, varcare la soglia di questo luogo mi riempie il cuore di emozioni contrastanti. Da una parte, sento il peso delle vostre storie, spesso intrecciate con il dolore, la solitudine, e talvolta la disperazione. A questo si aggiunge, troppo spesso, il peso dello stigma: un giudizio ingiusto che ferisce e separa, ma che non ha il potere di definire chi siete veramente. Dall’altra, intravedo in ciascuno di voi una luce, anche se talvolta nascosta o offuscata dalle ombre del passato. Parla di forza interiore, di un desiderio ardente di riscatto e di rinascita”: così inizia la lettera che il vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente Cei, mons. Francesco Savino, ha scritto ai giovani del carcere minorile di Catanzaro.

In modo particolare si è rivolto ai giovani migranti africani con l’invito a non perdere la fiducia, in quanto ogni luogo si può trasformare in ‘terra di resurrezione’: “Penso, in particolare, a chi viene da terre lontane, come l’Africa, ricche di storie e culture che portate con voi, spesso intrise di sfide e sacrifici. Questo bagliore, radicato in esperienze profonde, non si spegne, ma attende di essere alimentato dalla fiducia in un domani colmo di opportunità.

Per molti di voi questa terra, la Calabria, rappresenta una tappa forzata, un approdo non scelto, lontano dalle persone care. Eppure, permettetemi di dirvi che ogni luogo, anche il più inaspettato, può diventare una terra di resurrezione. E’ qui, in questo frangente della vostra vita, che avete l’opportunità di trasformare il dolore in forza, le ferite in cicatrici che raccontano non solo la sofferenza, ma anche la guarigione”.

Per questo possono trovare aiuto nelle persone, che offrono percorsi per la crescita personale, in modo da non farli sentire soli: “Non siete soli. La vostra presenza qui è accompagnata da mani pronte ad aiutare, da sguardi attenti e pieni di empatia, anche se talvolta il linguaggio della cura può sembrarvi lontano.

Mi riferisco al personale che, nelle sue diverse e variegate articolazioni, ogni giorno, si impegna con dedizione per offrirvi non solo regole e confini, ma anche opportunità di crescita, percorsi educativi, e soprattutto una speranza. A loro va il mio ringraziamento più sincero: il loro compito è arduo, spesso ingrato, ma è indispensabile per coltivare nuove prospettive e restituire dignità dove sembra non essercene affatto”.

Per questo mons. Savino invita a ricostruire la vita chiedendo di realizzare il loro sogno: “Non lasciate che il passato oscuri la luce del vostro futuro. Ogni uomo è più grande delle sue cadute, voi non siete i vostri errori, i vostri reati, e Dio vi guarda con l’amore di un padre che vede sempre in voi un figlio amato.

Questo è il momento di ricostruire, un passo alla volta, una vita nuova. Dentro di voi c’è una forza che forse non conoscete ancora, capace di guidarvi oltre ogni ostacolo. Avete mai pensato a quale segno volete lasciare nel mondo? Qual è il sogno che non avete ancora avuto il coraggio di inseguire?”

E’ anche un invito a riscoprire il valore di una ‘nuova’ famiglia e della fede: “Permettetemi di dirvi che, anche se sentite il peso dell’assenza o della distanza, qui non siete soli. Questo luogo può diventare una famiglia diversa, dove trovare nuovi punti di riferimento e sguardi che vi incoraggiano a credere in voi stessi e nel futuro.

E nella fede, se lo desiderate, troverete un Padre che non abbandona mai, che cammina accanto a voi anche nelle notti più buie. E’ Colui che accende stelle nel cielo delle vostre inquietudini e che, con mani amorevoli, trasforma il vostro dolore in forza e i vostri timori in nuove possibilità. La Sua luce vi guida, come un faro che illumina il cammino anche nei momenti più incerti”.

La lettera è anche un invito a costruire un futuro ‘diverso’: “La vostra presenza qui è una parentesi, non un punto finale. Ogni giorno è una nuova pagina da scrivere, un capitolo che potete riempire con scelte di speranza e cambiamento. Il passato, per quanto difficile o ingiusto, non ha il potere di definire per sempre chi siete o chi potrete diventare.

Ciò che conta è come decidete di affrontare il presente e costruire il futuro. La vostra vita ha un senso profondo, un potenziale che aspetta solo di emergere. E’ come un campo in attesa di essere coltivato: con impegno e coraggio, potete trasformare ogni sfida quotidiana in un passo verso una meta nuova e luminosa”.

Poi si rivolge anche alle loro famiglie, chiedendo di non lasciarli soli: “Un pensiero speciale va anche alle vostre famiglie, vicine o lontane, e a coloro che, per molteplici ragioni, hanno finito per allontanarsi da voi o lasciarvi soli. A loro voglio rivolgere un appello carico di speranza e fiducia: non smettete di credere in questi ragazzi, che sono sempre i vostri figli.

Anche nei momenti più difficili, il vostro affetto, la vostra preghiera e la vostra fiducia possono fare la differenza. Siate per loro un porto sicuro, una fonte di ispirazione che li incoraggi a credere in sé stessi e nelle loro capacità di rinascere. Non sottovalutate il potere di una presenza, anche silenziosa, che possa ridare forza e dignità ai loro cuori”.

Oltre ai ragazzi ed alle famiglie la lettera si rivolge agli educatori del carcere, chiedendo di aiutare questi giovani nel ‘rifarsi’ una vita: “Ed a voi, operatori, educatori, responsabili di questo istituto, voglio dire: non perdete la fiducia, non vi abbandoni la speranza. So che il vostro lavoro è spesso faticoso, carico di ostacoli e, talvolta, di delusioni. Ma ricordate: ogni gesto, anche il più piccolo, può lasciare un segno profondo nella vita di questi ragazzi.

Il vostro compito non è solo quello di mantenere ordine o di educare, ma di saper credere in un cambiamento anche quando tutto sembra remare contro. Vi siete mai chiesti quale segno lasciate nella vita di questi ragazzi? Ogni parola, anche sussurrata, può essere una scintilla che accende il loro futuro. Non accontentatevi mai di essere solo osservatori: siate protagonisti di una storia di rinascita. Coraggio!”

Infine anche alle Istituzioni ha chiesto di ‘investire’ nei progetti di recupero per il reinserimento nella società civile: “Ed a voi, uomini e donne delle Istituzioni, rivolgo un appello accorato: investite con coraggio e lungimiranza nelle persone, rafforzando le risorse umane e migliorando le infrastrutture carcerarie. Promuovete politiche che vadano oltre la gestione dell’emergenza, attivando percorsi di de-sovraffollamento e garantendo che le persone più fragili trovino risposte adeguate alle loro necessità”.

Un’accortezza particolare è chiesta per chi ha motivi di salute: “Tossicodipendenti, malati psichiatrici e affetti da AIDS meritano progetti di recupero in comunità terapeutiche e strutture specializzate, dove possano essere sostenuti con dignità e cura. Allo stesso modo, non dimenticate di investire nella formazione e nella riabilitazione, strumenti essenziali per restituire speranza e opportunità a chi ha vissuto l’ombra dell’esclusione sociale. Solo così potremo costruire un sistema che non si limiti a punire, ma che sappia anche rieducare, includere e far rinascere”.

Insomma è un invito ad essere ‘costruttori di orizzonti’: “Siate costruttori di orizzonti: insieme possiamo abbattere i muri della diffidenza, del pregiudizio e del dolore. Ricordate che ogni alba porta una nuova opportunità, come il sole che illumina anche il giorno più buio. Abbracciate il domani con coraggio, perché ogni passo in avanti è una vittoria contro il passato. Dio cammina accanto a voi come un padre premuroso che non abbandona mai i suoi figli”.

A Catania mons. Renna invita ad essere responsabili della speranza

“Carissimi fratelli e sorelle di Catania, nel cuore della nostra Città, accanto ai luoghi dove la nostra santa martire Agata soffrì atroci tormenti, fu imprigionata e spirò pregando, vi rivolgo questa sera una parola che non può che essere di speranza, in linea con il giubileo che stiamo celebrando in questo 2025”: con queste parole mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, si è rivolto alla città nella festa di sant’Agata.

Nel discorso alla città mons. Renna ha invitato a non perdere la speranza, che è comunitaria: “La nostra speranza è comunitaria, non deve lasciare indietro nessuno, e ci fa guardare in alto, verso Dio, così come ha fatto sant’Agata, donna di fede e di speranza. Da lei impariamo a guardare in alto verso il Signore; da lei impariamo a guardare avanti, verso il futuro, e attorno a noi, come fratelli e cittadini. Da lei impariamo a guardare in alto, anzitutto, cioè ad avere fede in un Dio che non ci abbandona mai, anche quando sembra tutto perduto”.

E’ stato un invito a risanare le ‘ferite’ come ha fatto sant’Agata: “Come Agata, nel momento della sua morte levò le braccia al cielo e si affidò al Padre, leviamo il nostro cuore al Signore, e sentiamo che la convinzione più bella che dobbiamo chiederle è la fiducia nella paternità di Dio, che ha cura anche dei capelli del nostro capo.

Le nostre lacrime, le nostre aspirazioni, soprattutto quelle di chi è sull’orlo della disperazione, non gli sono indifferenti, e la luce che deve spingere a ‘sperare contro ogni speranza’ sono le parole del ‘Padre Nostro’, che ci fanno chiedere che venga il suo regno, che ci sia donato il pane quotidiano, che il perdono risani le nostre divisioni e siamo liberati dal male, anche dal male della disperazione”.

E’ stato un invito a guardare ‘oltre’: “Dobbiamo guardare oltre i nostri limiti, oltre i mali di Catania e le ombre di guerra, di conflitto sociale e politico che avvolgono l’Europa, anche oltre la mancanza di fiducia tra istituzioni che in questo momento sta segnando la vita dell’Italia. Guardare avanti significa costruire insieme anche la strada che si apre davanti a noi: non basta sperare, ma occorre organizzare la speranza! E lo si può fare se di questo mondo e di questa Città ci prendiamo cura tutti. Ci sono le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e preghiamo e ci aspettiamo che abbia tanta passione, tanta concordia, tanta lungimiranza nei progetti che stanno realizzando per Catania”.

Uno sguardo al futuro per un richiamo alla responsabilità: “Ma le strade del futuro abbiamo il dovere di lastricarle di responsabilità anche noi! Responsabilità è la cura della famiglia e dell’educazione dei figli, sulla quale non mi stancherò di esortare, perché molti bambini sono lasciati a sé stessi dai genitori che forse si sono trovati troppo presto con la responsabilità di essere padri e madri. Vanno aiutati! Il futuro di voi ragazzi e ragazze non può essere quello di rimanere genitori a 15 anni, quando avete bisogno ancora di progettare il vostro domani”.

Avere speranza significa essere un popolo: “Oggi sant’Agata ci invita a guardarci attorno e a considerare che siamo un popolo che cammina con lei, alla sequela di Cristo. Si è popolo se si recupera la fiducia reciproca, se ciascuno fa la sua parte. L’idea che altri risolvino per noi i nostri problemi è deresponsabilizzante; quella che gli uomini soli al comando siano migliori di un popolo responsabile, porta al dispotismo. Accanto a te c’è un altro con il quale organizzare la speranza mettendo da parte cattiverie, chiacchiericcio, desideri insani di sopraffazione. Siamo devoti tutti, siamo cittadini, ma siamo soprattutto fratelli tutti!”

Infine un appello ad avere la forza della speranza: “Rivestiamoci della forza della speranza, che è la pazienza e la mitezza di chi ogni giorno organizza il bene comune, con lo sguardo rivolto a un bene più grande, quel premio eterno che fu la massima aspirazione della nostra sant’Agata. Sant’Agata ci prenda per mano per riscoprire la fede, con uno sguardo rivolto verso l’alto; ci aiuti a guardare avanti e a non scoraggiarci mai: a guardare attorno le persone, da trattare con la carità e la gentilezza con cui lei guarda ciascuno di noi. Da quegli sguardi di Agata impariamo la speranza!”

Speranza al centro dell’omelia nella celebrazione eucaristica mattutina: “La speranza di una martire sfida l’impossibile, così come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla d’indizione dell’anno giubilare… La speranza cristiana ha la pretesa di ‘non deludere’, perché è fondata in Dio e fa dire all’apostolo Paolo: ‘Chi potrà separarci dall’amore di Cristo?’, ma è anche la speranza di una comunità, non di una somma di individui che pensano solo a sé.

Questa virtù ha nutrito il cuore di Agata e l’ha portata a rimanere ferma e solida nelle sue scelte di fede di fronte alla tentazione di tirarsi indietro e di rinunciare persino al dono dell’esistenza per un bene più grande. La sua era la stessa speranza che noi rinnoviamo nel credo, quella in Cristo che è il crocifisso risorto: in lui vengono rese feconde tutte le aspirazioni di bene, di giustizia e di pace che noi coltiviamo”.

E’ un invito particolare per i giovani: “Care giovani mamme, avete un merito: non aver messo fine alla vita dei vostri piccoli con l’aborto. Ora prendetevi cura di essi, costruitevi un futuro sicuro, fate sì che i vostri figli siano più responsabili di voi. Voi ragazzi sappiate attendere per accogliere il dono della vita nascente, di un fidanzato, di uno sposo; a causa di queste precoci gravidanze per voi la scuola finisce molto presto, e vi precludete l’accesso a titoli di studio che vi renderebbero più indipendenti.

Un genitore che lascia che la propria figlia vada incontro a questo futuro o la spinge a questo per togliersi una bocca da sfamare, la condanna ad una povertà educativa che si perpetua di generazione in generazione”.

Ma anche per i genitori: “Cari genitori, abbiate cura dell’educazione morale dei vostri figli, non lasciateli in balia della leggerezza della loro età: dei sani ‘no’, ripagano; un’attenzione maggiore ai loro percorsi di studio fin da piccoli, al modo come vivono, deve essere l’investimento da fare sul loro futuro. E voi ragazze e ragazzi, non compromettete il vostro domani con irresponsabilità, perché vi troverete ad affrontare difficoltà più grandi di voi”.

Ed ai sacerdoti: “Miei cari sacerdoti, anche l’educazione cristiana deve fare la sua parte! Nelle nostre parrocchie non possiamo limitarci alla catechesi e non creare altre opportunità educative. Cari ragazzi, aspirate ad una vita bella e più completa: nei vostri occhi deve risplendere la stessa luce pura di sant’Agata”.

Ha concluso l’omelia con l’invito a camminare insieme: “La parola speranza pare che derivi da pes, che in latino significa «piede» e quindi ci spinge a camminare insieme, a tirare il cordone di sant’Agata, facendo progredire tutti, soprattutto coloro che sono indietro. Non aspettiamo solo che camminino gli altri, ma muoviamoci insieme: quest’Eucarestia che celebriamo in un’aurora che promette speranza è garanzia e forza per camminare come popolo che viene tenuto insieme dal Signore Gesù, con la sua santa martire Agata”.

Strenna Salesiana: speranza è far vivere il paradiso

Alcune settimane fa nella Casa Generalizia dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Roma don Stefano Martoglio, vicario generale dei Salesiani di Don Bosco, alla guida della Congregazione salesiana dopo le dimissioni del card. Ángel Fernández Artime, ha presentato la Strenna che accompagna in quest’anno la Famiglia Salesiana, intitolata ‘Ancorati alla speranza, pellegrini con i giovani’, in comunione con il cammino della Chiesa che vive il Giubileo, invito ad approfondire le ‘ragioni della nostra speranza’:

“Non è senza emozione che mi rivolgo a tutti e a ciascuno in questo tempo di grazia segnato da due importanti avvenimenti per la vita della Chiesa e per quella della nostra Famiglia: il Giubileo dell’anno 2025, iniziato solennemente il 24 dicembre scorso con l’apertura della porta santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, e la ricorrenza del 150° anniversario della prima spedizione missionaria voluta dal nostro padre don Bosco, partita l’11 novembre 1875 alla volta dell’Argentina e di altri paesi del continente americano”.

Quindi la Strenna ricorda, nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario della prima spedizione missionaria dei Salesiani di Don Bosco e l’inizio del Triennio verso il 150° dalla prima spedizione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di ravvivare lo slancio missionario che caratterizza non solo il missionario/la missionaria ad gentes, ma ogni cristiano/a, ogni comunità:

“Don Bosco da Valdocco getta il cuore oltre ogni confine, mandando i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda oltre ogni sicurezza umana, li manda per portare avanti ciò che lui aveva cominciato. Si mette in cammino con gli altri, sperando ed infondendo speranza. Li manda e basta e i primi (giovani) confratelli partono e vanno. Dove? Nemmeno loro sanno! Ma si affidano alla speranza, obbediscono.

Perché è la presenza di Dio che ci guida. In quell’obbedienza ricca di entusiasmo trova nuova energia anche la nostra attuale speranza e ci spinge a metterci in cammino come pellegrini. Ecco perché questo anniversario va celebrato: perché ci aiuta a riconoscere un dono (non una conquista personale, ma un dono gratuito, del Signore), ci permette di ricordare e, dal ricordo, di prendere forza per affrontare e costruire il futuro”.

Tale ricorrenza non può essere disgiunta dall’anno giubilare, in quanto Cristo è la speranza: “Siamo convinti che niente e nessuno potrà separarci da Cristo. Perché è a lui che vogliamo e dobbiamo rimanere aggrappati, ancorati. Non possiamo camminare senza la nostra ancora. L’ancora della speranza è, dunque, Cristo stesso, che porta le sofferenze e le ferite dell’umanità sulla croce in presenza del Padre.

L’ancora, infatti, ha la forma della croce, e per questo veniva raffigurata anche nelle catacombe per simboleggiare l’appartenenza dei fedeli defunti a Cristo Salvatore. Quest’ancora è già saldamente attaccata al porto della salvezza. Il nostro compito è quello di attaccare la nostra vita ad essa, la corda che lega la nostra nave all’àncora di Cristo”.

E la speranza non è un ‘fatto’ privato: “Tutti noi portiamo nel cuore delle speranze. Non è possibile non sperare, ma è anche vero che ci si può illudere, considerando prospettive e ideali che non si realizzeranno mai, che sono solo delle chimere e specchietti per le allodole. Molto della nostra cultura, specialmente occidentale, è piena di false speranze che illudono e distruggono o possono rovinare irrimediabilmente l’esistenza di singoli e di intere società”.

Quindi la speranza non significa solamente avere un pensiero positivo: “Secondo il pensiero positivo basta sostituire i pensieri negativi con altri positivi per vivere più felici… Conclusione, se bastasse la nostra volontà di pensare positivamente per essere felice, allora ognuno sarebbe l’unico responsabile della propria felicità. Paradossalmente, il culto alla positività isola le persone, le rende egoiste e distrugge l’empatia, perché le persone sono sempre più impegnate solo con sé stesse e non si interessano della sofferenza degli altri.

La speranza a differenza del pensiero positivo non evita la negatività della vita, non isola ma unisce e riconcilia, perché il protagonista della Speranza non sono io, focalizzato sul mio ego, trincerato esclusivamente su me stesso, il segreto della Speranza siamo noi. Per questo, sorelle alla Speranza sono l’Amore, la Fede e la Trascendenza”.

Ecco il motivo per cui la speranza è il fondamento della missione: “Coraggio e speranza sono un abbinamento interessante. Infatti, se è vero che è impossibile non sperare, è altrettanto vero che per sperare è necessario il coraggio. Il coraggio nasce dall’avere lo stesso sguardo di Cristo, capace di sperare contro ogni speranza, di vedere soluzione anche là dove apparentemente sembrano non esserci vie d’uscita.

E quanto è ‘salesiano’ questo atteggiamento! Tutto ciò richiede il coraggio di esser se stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni. Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa”.

Quindi ha richiamato il ‘sogno’ che san Giovanni Bosco fece nel 1881: “Il contenuto del sogno comporta certamente, nella mente di don Bosco, un importante quadro di riferimento per la nostra identità vocazionale. Ebbene, il personaggio del sogno, come noto, porta sulla parte frontale il diamante della speranza, che sta a segnalare la certezza dell’aiuto dall’alto in una vita tutta creativa, impegnata cioè a progettare quotidianamente delle attività pratiche per la salvezza, soprattutto della gioventù. Insieme agli altri simboli legati alle virtù teologali, emerge la fisionomia di una persona saggia e ottimista per la fede che lo anima, dinamica e creativa per la speranza che lo muove, sempre orante e umanamente buono per la carità che lo permea”.

Per tale motivo don Bosco è stato ‘uno dei grandi della speranza’: “Il suo spirito salesiano è tutto permeato dalle certezze e dall’operosità caratteristiche di questo dinamismo audace di Spirito Santo. Mi soffermo brevemente a ricordare come don Bosco abbia saputo tradurre nella sua vita l’energia della speranza sui due versanti: l’impegno per la santificazione personale e la missione di salvezza per gli altri; o meglio (e qui risiede una caratteristica centrale del suo spirito) la santificazione personale attraverso la salvezza degli altri”.

Da tali elementi costitutivi della speranza derivano alcuni frutti, di cui il primo è la gioia: “Lo spirito salesiano assume la gioia della speranza per una affinità tutta propria. Persino la biologia ce ne suggerisce qualche esempio. La gioventù che è speranza umana (e quindi suggerisce una certa analogia con il mistero della speranza cristiana), è avida di gioia. E noi vediamo don Bosco tradurre la speranza in un clima di gioia per la gioventù da salvare… Una gioia che procede, in definitiva, dalle profondità della fede e della speranza”.

Un altro frutto è la pazienza: “Ogni speranza comporta un indispensabile corredo di pazienza. La pazienza è un atteggiamento cristiano, legato intrinsecamente con la speranza nel suo non breve ‘non-ancora’, con i suoi guai, le sue difficoltà e le sue oscurità. Credere alla risurrezione e operare per la vittoria della fede, mentre si è mortali e immersi nel caduco, esige una struttura interiore di speranza che porta alla pazienza…

Lo spirito salesiano di Don Bosco ci ricorda sovente la pazienza. Nell’introduzione alle Costituzioni Don Bosco ricorda, alludendo a san Paolo, che le pene che dobbiamo sopportare in questa vita non hanno confronto con il premio che ci attende: ‘Era solito dire: coraggio! La speranza ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe mancare’… La speranza è madre della pazienza e la pazienza è difesa e scudo della speranza”.

Il terzo frutto della speranza è la sensibilità educativa: “Non dobbiamo rinchiudere il nostro sguardo dentro le pareti di casa. Siamo stati chiamati dal Signore a salvare il mondo, abbiamo una missione storica più importante di quella degli astronauti o degli uomini di scienza… Siamo impegnati nella liberazione integrale dell’uomo. Il nostro animo deve aprirsi a visioni molto ampie. Don Bosco voleva che fossimo ‘all’avanguardia del progresso’ (e si trattava, quando disse questa frase, di mezzi di comunicazione sociale)”.

Da qui deriva la sua ‘magnanimità’ verso i giovani: “Il suo cuore palpitava con quello della Chiesa universale, perché si sentiva quasi investito della responsabilità di salvezza di tutta la gioventù bisognosa del mondo. Voleva che i Salesiani sentissero come propri tutti i più grandi e urgenti problemi giovanili della Chiesa per essere disponibili ovunque. E, mentre coltivava la magnanimità dei progetti e delle iniziative, era concreto e pratico nella loro realizzazione, con il senso della gradualità e con la modestia degli inizi”.

Per questo san Giovanni Bosco ha sollecitato sempre gli adulti a raccontare ai giovani il paradiso: “Il mondo ha urgente bisogno di profeti che proclamino con la vita la grande verità del Paradiso. Non un’evasione alienante, ma un’intensa realtà stimolante! Dunque, nello spirito di don Bosco è costante la preoccupazione di curare la dimestichezza con il Paradiso, quasi a costituirne il firmamento della mente, l’orizzonte del cuore salesiano: lavoriamo e lottiamo sicuri di un premio, guardando alla Patria, alla casa di Dio, alla Terra promessa”.

La ‘Strenna’ si conclude con l’invito ad invocare la Madre di Dio: “In questo cammino siamo invitati a volgere lo sguardo a Maria, la quale si fa presente come aiuto quotidiano, come Madre precorritrice e ausiliatrice. Don Bosco è sicuro di questa sua presenza tra noi e vuole dei segni che ce lo ricordino. Per Lei ha edificato una Basilica, centro di animazione e diffusione della vocazione salesiana. Voleva la Sua immagine nei nostri ambienti di vita; vincolava ogni iniziativa apostolica alla Sua intercessione e ne commentava con commozione la reale e materna efficacia…

Lei ci testimonia che sperare è affidarsi e consegnarsi, ed è vero tanto per l’esistenza come per la vita eterna. In questo cammino la Madonna ci prende per mano, ci insegna come fidarci di Dio, come consegnarci liberamente all’amore trasmesso da suo Figlio Gesù”.

(Tratto da Aci Stampa)

I vescovi ai ragazzi: pellegrini di speranza anche a scuola

“Cari studenti e cari genitori, è vicino il momento in cui dovranno essere effettuate le iscrizioni al primo anno dei diversi ordini e gradi di scuola, un appuntamento che comprende anche la scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Cogliamo l’occasione per invitarvi ad accogliere questa possibilità, grazie alla quale nel percorso formativo entrano importanti elementi etici e culturali, insieme alle domande di senso che accompagnano la crescita individuale e la vita del mondo. Il tutto, in un clima di rispetto e di libertà, di approfondimento e di dialogo costruttivo”: è un invito a studenti e genitori a partecipare all’insegnamento delle religione cattolica a scuola il messaggio che la presidenza della CEI invia in questi giorni di iscrizioni e scelte scolastiche.

Un ‘percorso formativo’ dedicato alla speranza, che passa anche attraverso la cultura: “Mentre vi scriviamo, muove i primi passi il Giubileo del 2025, che papa Francesco ha voluto dedicare al tema ‘Pellegrini di speranza’. Si tratta di un evento dai forti significati non solo religiosi, ma anche culturali e sociali, a conferma di come il messaggio cristiano parli all’uomo di oggi non meno di quanto abbia inciso in passato nella storia e nella cultura nazionale e mondiale. Il Giubileo, infatti, è tra le altre cose sinonimo di riconciliazione, di pace, di dignità umana, di giustizia, di salvaguardia del creato, beni essenziali di cui sentiamo un urgente bisogno”.

La speranza è il fulcro per educare, a cui occorre trovare ragioni: “Il tema della speranza provoca in modo speciale il mondo dell’educazione e della scuola, luoghi in cui prendono forma le coscienze e gli orientamenti di vita e si pongono le basi delle future responsabilità. Quale speranza dà senso all’esistenza? Dove è possibile riconoscere e trovare ragioni di vita e di speranza?.. Sono domande a cui la scuola non può essere estranea e alle quali dà spazio l’insegnamento della religione cattolica”.

Ed anche i professori sono testimoni di speranza: “Testimoni di speranza sono infatti i docenti di religione, che uniscono alla competenza professionale l’attenzione ai singoli alunni e alle loro domande più profonde. Siamo molto grati a tutti gli insegnanti che, mentre offrono le ragioni della speranza che li muove, accompagnano coloro che stanno crescendo a scoprire la bellezza e il senso della vita, senza cedere alle tentazioni dell’individualismo e della rassegnazione, che soffocano il cuore e spengono i sogni”.

Questo è il cammino per vivere un anno giubilare, grazie anche agli insegnanti di religione cattolica: “Il cammino dei prossimi mesi (anche grazie all’Irc) ci aiuti a ritrovare la fiducia e il coraggio di aprire le famiglie, le scuole e tutte le comunità a nuovi orizzonti di collaborazione e di speranza”.

L’associazione Non si tocca la Famiglia celebra il decimo anniversario

Dopo un decennio di battaglie a difesa della famiglia, della vita e della libertà di educazione, questa associazione prolife ha voluto organizzare un evento sul tema ‘Dieci anni di passione’, che si svolgerà oggi e domani a Pomezia (Roma).

“Dopo questo arco temporale, ci prepariamo ad un momento formativo da vivere con tutti coloro che hanno seguito le nostre tracce, spesso lasciate su sentieri tortuosi e ripidi in cui abbiamo tentato di gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo, per tutelare la famiglia, la vita e la libertà di educazione”, ha spiegato Giusy D’Amico, docente e presidente di ‘Non si tocca la Famiglia’. “Ora è il momento di fermarci e fare il punto insieme, ricalcolare il percorso e proseguire il cammino più motivati di prima, sapendo che molti sono stati i traguardi raggiunti e che ancora di più sono le sfide che ci attendono”.

Questo evento vedrà la partecipazione di numerosi esponenti politici e religiosi, docenti, medici, esperti e genitori. Dopo i saluti istituzionali del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e dell’europarlamentare Antonella Sberna, interverranno Chiara Iannarelli, consigliere della Regione Lazio, don Gabriele Mangiarotti, sacerdote della diocesi di San Marino-Montefeltre e redattore responsabile del sito ‘Cultura Cattolica’, e noti esponenti prolife come Mario Adinolfi, presidente del Popolo della Famiglia, e Massimo Gandolfini, presidente dell’associazione Family Day.

Il programma – che sarà aperto dagli interventi di Giusy D’Amico e Nicola Di Matteo, presidente e vicepresidente di Non si tocca la Famiglia – prevede alcune sessioni sui temi ‘Dialoghi in famiglia’, ‘Scuola e educazione’ ed ‘Officina del fare e del pensare’. Prevista anche una sessione sul ‘Manifesto europeo per proteggere i ragazzi dall’ideologia transgender’, che vedrà collegamenti in diretta streaming da Italia, San Marino, Francia, Belgio, Polonia, Ungheria, Spagna, Gran Bretagna, Messico, Stati Uniti e Russia. A conclusione dell’evento, è prevista la votazione per l’elezione delle nuove cariche direttive dell’associazione. Ulteriori informazioni su www.nonsitoccalafamiglia.org.

Marcia della pace a Pesaro per perdonare i debiti

Si svolge oggi a Pesaro la 57ª marcia nazionale per la pace, organizzata dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la Caritas Italiana, l’Azione Cattolica, Pax Christi Italia, il Movimento dei Focolari, l’Agesci, le Acli, Libera con l’Arcidiocesi di Pesaro e di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado.

La marcia inizia alle ore 15.30 all’Anfiteatro del Parco Miralfiore ed arriva alla Cattedrale di Pesaro, dove alle ore 21 sarà celebrata la Santa Messa, presieduta da Mons. Sandro Salvucci, Arcivescovo di Pesaro e di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, e trasmessa in diretta da Tv2000. Lungo il percorso si alterneranno testimonianze e letture di brani che richiamano il messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace sul tema: ‘Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace’ con le testimonianze di alcune esperienze di accoglienza, dialogo e nonviolenza presenti sul territorio nazionale.

Senza dimenticare i diversi contesti di conflitto, in particolare la Terra Santa, la Siria e l’Ucraina, hanno spiegato i promotori: “In questa stagione segnata da guerre insensate vogliamo sintonizzarci con lo stile giubilare invocato da Papa Francesco: per costruire la pace occorre generare perdono e saper rimettere i debiti. Senza giustizia sociale non c’è pace. Senza riconoscimento dell’altro non c’è futuro. Marceremo a Pesaro, città della cultura 2024, per ricordare a tutti la necessità di educare a una cultura della pace, fatta di incontro, di amicizia sociale e di relazioni rinnovate. Il Giubileo ci converta per trasformare l’arma del credito in debito di riconciliazione e di giustizia sociale e ambientale”.

Quest’anno c’è anche la Fiaccola della pace, portata da una delegazione del pellegrinaggio Macerata-Loreto. Il percorso si snoda su un tracciato cittadino di oltre 5 km con tre tappe di riflessione. Si inizia con il tema del perdono, presso il monumento alla Resistenza, a ottant’anni dallo sfondamento della linea gotica che passava proprio da Pesaro. Interverrà Giorgio Pieri, del progetto CEC (Comunità educanti con i carcerati) della Comunità Papa Giovanni XXIII. Poi sarà la volta del racconto di Lassina Doumbia, un migrante che permetterà di pensare alle nostre responsabilità nei confronti delle popolazioni sfruttate.

La seconda tappa, presso la chiesa di Santa Maria del Porto, metterà al centro il tema del debito, con l’intervento di Gabriele Guzzi, economista dell’Università di Cassino, e la testimonianza di EJohn Mpaliza, attivista congolese e fondatore di ‘Peace Walking Man Foundation’. L’ultima tappa si terrà presso la sfera grande di Pomodoro e toccherà il tema del disarmo, con don Fabio Corazzina e Elio Pagani di Pax Christi. Durante la marcia ci saranno altri momenti di ascolto come la testimonianza di Alberto Capannini, volontario dell’operazione ‘Colomba’ in Ucraina.

Infatti nel messaggio per tale giornata della pace papa Francesco ha richiamato ciascuno alla responsabilità: “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità”.

A tutti il papa propone un ‘cammino di speranza’ fatto di “tre azioni possibili, che possano ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza, affinché si superi la crisi del debito e tutti possano ritornare a riconoscersi debitori perdonati”. Infine l’appello ad utilizzare “almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico”.

(Foto: Caritas)

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