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Statio Peregrinorum: molti turisti ‘lenti’ hanno visitato la basilica di san Francesco ad Assisi

Continua a crescere ancora il turismo lento dei pellegrini che giungono ad Assisi per visitare la basilica di San Francesco e fare un’esperienza spirituale di fronte alle reliquie del Santo, come testimoniano le statistiche elaborate dalla ‘Statio Peregrinorum’, presentate nei giorni scorsi da Roberta Gallina e Samantha Cesaretti, componenti dell’associazione ‘Sentieri di felicità’, da fra Jorge Fernánde e da fra Rafael Normando, coordinatori della ‘Statio Peregrinorum’.

Infatti dalle statistiche è emerso che il numero totale dei pellegrini segna un nuovo record: 4483 (4227 nel 2023), che narra un equilibrio tra uomini e donne (rispettivamente 49,4% e 50,06%) ed un’ulteriore crescita degli arrivi in gruppo (38,5%, 34,2% nel 2023) rispetto a quelli in solitaria (61,5%, 65,8% nel 2023). Rimangono quasi invariate le modalità di percorrenza dei cammini: 96,9% a piedi, 2,9% in bicicletta.

Gli italiani passano dal 51% del 2023 al 49,85% del 2024. Per quanto riguarda la provenienza dei pellegrini stranieri, l’11,95% arriva dalla Germania, il 5,62% dagli Stati Uniti e il 5,18% dalla Francia. Anche se gli ultrasessantenni rimangono la maggioranza (52,9% rispetto al 59% del 2023), tornano a crescere le fasce più giovani: 35,3% per la fascia 30-60 anni (32,1% nel 2023), 8,9% per la fascia 18-30 (6,3% nel 2023), 3% per la fascia under 18. Riguardo all’occupazione, il 21,12% dei pellegrini è in pensione (21,29% nel 2023), l’11,99% sono studenti (8,52% nel 2023) e l’8,48% insegnanti (8,62% nel 2023).

La motivazione principale che spinge ad intraprendere un cammino rimane quella religiosa (41,41% rispetto al 46,73% del 2023), quella culturale riguarda l’1,89% dei casi, e nel 22,8% dei casi troviamo altre motivazioni. In questo modo la ‘Via di Francesco’ si conferma il cammino francescano maggiormente percorso dai pellegrini con l’80,93% (81,4% nel 2023), a cui seguono il ‘Cammino di Assisi’ con il 5,34%, la ‘Via Lauretana’ con il 2,79%, Di qui passò Francesco con il 2,33%, ‘Cammino Francescano della Marca’ con il 2,28%, ‘Vézelay-Assisi’ 2,21%, Altri 1,89%.

A tal proposito fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento, ha detto che tale crescita turistica è molto importante: “Nella nostra epoca e nel nostro contesto culturale segnati dall’impatto della tecnologia e dallo stile di vita che da essa scaturisce, è molto significativo il trend in crescita del turismo lento e del pellegrinaggio a piedi, come opportunità di tornare all’essenziale. E la ricerca dell’essenziale, da che mondo è mondo, è il primo passo di ogni cammino spirituale autentico”.

Tali cammini sono l’essenza del francescanesimo: “San Francesco, l’uomo che è stato pellegrino nei campi, nei borghi e nei castelli del suo tempo per invitare gli uomini e le donne a focalizzare la loro vita intorno a Colui e a ciò che non passa e non ‘arrugginisce’, continua a invitare tante persone (anche attraverso il turismo lento) a compiere questo itinerario, che mentre è fisico, è allo stesso tempo interiore. E noi suoi figli e discepoli siamo felici e onorati di poter accogliere, sostenere e valorizzare coloro che hanno questo coraggio e si mettono in cammino”.

A tal proposito il vescovo delle diocesi di Gubbio e di Città di Castello, mons. Luciano Paolucci Bedini, ha sottolineato che è necessario coinvolgere maggiormente i giovani in queste esperienze: “Non possiamo dimenticare che dietro i numeri delle statistiche ci sono anzitutto i volti delle persone, che sono ciò che davvero conta. in secondo luogo, prendendo atto di un turismo lento che riguarda soprattutto degli ultrasessantenni, dovremmo interrogarci e impegnarci maggiormente, come società e agenzie educative, per un maggior coinvolgimento dei giovani in questo tipo di esperienze, che sono sempre e comunque anche un viaggio interiore in profondità”.

(Foto: Statio Peregrinorum)

David Rondoni: san Francesco aveva ‘simpatia’ per la vita

“Altissimo, onnipotente, buon Signore, tue sono le lodi, la gloria e l’onore e ogni benedizione. A te solo, Altissimo, si confanno e nessun uomo è degno di ricordarti. Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente messèr fratello sole, il quale diffonde la luce del sole, e tu ci illumini per mezzo suo, e lui è bello, raggiante con gran splendore; di te, Altissimo, reca il significato. Lodato sii, mio Signore, per sorella luna e le stelle; le hai formate in cielo chiare e preziose e belle. Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per ogni movimento del vento, per il nuvolo, il sereno e ogni tempo per il quale alle tue creature dà i sostegno. Lodato sii, mio Signore, per sorella acqua, che è molto utile, umile, preziosa e casta. Lodato sii, mio Signore, per fratello fuoco, per il quale illumini la notte, ed egli è bello, giocoso, robusto e forte”.

Il ‘Cantico delle creature’ è stato composto nel 1224 da san Francesco d’Assisi ed è una lode a Dio e alle sue creature che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine del Creatore: oggi, 800 anni dopo, quelle parole continuano ad essere un invito a riconoscere la sinfonia del creato e il canto che vibra nel cuore di ognuno di noi, come prova il libro ‘Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco’, scritto da un poeta, David Rondoni, e da un monaco tanatologo, p. Guidalberto Bormolini.

Abbiamo incontrato David Rondoni, presidente del comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, a Tolentino all’edizione di ‘Di-Vento’ festival, che si è interrogato sugli ‘invisibili’, leggendo alcuni suoi testi tratti da ‘Gli invisibili, tra Assisi e la stazione Termini’, spiegando il motivo per cui si è occupato degli ‘invisibili’: “Sono stato invitato da amici a dare un piccolo contributo s questo tema, riallacciandomi all’esperienza di san Francesco che si occupò degli invisibili, che nel suo tempo erano i lebbrosi, avvicinandosi a loro, mentre la società del tempo li schifava. Il ‘gancio’ è stato questo. Ho letto alcune mie poesie dedicate a tanti invisibili, che sono intorno a noi e sono invisibili per chi ha paura di guardare”.

Per quale motivo san Francesco si è ‘innamorato’ proprio degli invisibili?

“E’ il segno che l’abbraccio di Cristo non lascia fuori nulla:ciò che è inguardabile per la società è guardato da Dio. San Francesco sottolinea questo sguardo di Dio”.

In quale modo san Francesco ha coniugato lo spirito con la carne?

“Lui non ha coniugato. Il cristianesimo è credere in Dio incarnato, quindi Gesù ha legato per sempre nella sua persona la possibilità che ciò che è spirito e ciò che è carne vivessero insieme. Vivere insieme è un destino positivo, perché lo scandalo dei cristiani è che non credono solo all’eternità dell’anima ma anche nella resurrezione del corpo. Non sappiamo in quale forma, ma sono sicuro che io rivedrò mio padre e mia madre. Questo è il privilegio dato all’esperienza, perché l’uomo non può fare alcuna esperienza senza carne. Pensare di ‘salvare’ solo l’aspetto spirituale dell’uomo sarebbe una cavolata”.

Allora quale era la spiritualità di san Francesco?

“Una grande simpatia per la vita. La spiritualità di san Francesco, a differenza dei catari, che disprezzavano il mondo per amare Dio, legava insieme l’amore per Dio e l’amore per il mondo, in quanto le creature sono segno di Dio. Non a caso il francescanesimo è un’esplosione di vita in tutti i saperi umani, dall’arte all’economia ed alla medicina: la spiritualità di san Francesco è un grande amore per la vita”.

Quale significato dare alla parola ‘humile’?

“Leopardi come san Francesco diceva che l’uomo nella natura deve essere come un mendicante. Vuol dire non ritenere che la natura dipenda da te. Tu sei piccolo. E poi c’è l’ ‘Altissimu’, prima di tutto la sproporzione, prima di tutto il senso della sproporzione. Quest’idea che noi salviamo la natura fa sorridere e sembra che tutto dipenda dall’uomo. Siamo una pulce, siamo semmai una pulce in mezzo alle forze della natura. Quindi pensare che sia tutto merito o colpa nostra fa un pò ridere, bisogna volare più bassi e ammettere anche di avere un limite”.

Dopo 800 anni quale è l’attualità del Cantico delle Creature?

“Uno degli elementi che risalta in evidenza è quello per cui san Francesco non chiama la natura ‘buona’ o ‘cattiva’, perché la natura è ciò che esiste. San Francesco, vedendo dietro le creature il segno di chi le ha create, cioè Dio, riesce a vedere un ‘buono’ anche nella natura. Ma non è un’esaltazione della natura, ma un’esaltazione di Dio: Laudato sii mi Signore per le creature. Questo ‘per’ è importantissimo”.   

Ed a Greccio san Francesco ‘inventò’ il presepe: “L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano: è questa la ‘storia’ che il presepe racconta. Un racconto di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, riprodusse nella grotta di Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora, c’è sete di un amore che vinca la ‘folla delle solitudini’ e stemperi l’accanirsi dei conflitti.’’Fare il presepe’ è perciò oggi più che mai un messaggio di pace e di speranza, un gesto d’amore, che può parlare al cuore di tutti”.

Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’

“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.

A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.

Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.

In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?

“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.

Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?

“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.

Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?

“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.

Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?

“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.

L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?

“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”. 

(Foto: Azione Cattolica Italiana)

La bellezza dei Cammini Lauretani nel racconto della prof.ssa Francesca Coltrinari

Dalla fine del 1500 la principale via verso Loreto è stata la ‘Via Lauretana’, che, costruita come strada commerciale e postale, collegava Roma al porto di Ancona, e si impose come percorso privilegiato anche per i pellegrini che intendevano testimoniare la fede, unendo in un unico percorso i tre centri spirituali della cristianità: Roma, Loreto ed Assisi. Con la Via Francigena e la Via Romea, la Via Lauretana era il maggior itinerario di fede in Italia.

La Via Lauretana (https://camminilauretani.eu) non era l’unica via per raggiungere Loreto; da nord a sud, da est ed ovest, si intrecciava un fitto reticolo di connessioni, deviazioni e percorsi alternativi: i ‘Cammini Lauretani’. Itinerari di fede come la Via di Jesi, la Via Clementina, la Via Aprutina, la Via di Visso-Macereto, il percorso da Loreto ad Ancona, oltre alle connessioni con le vie del pellegrinaggio internazionale (Via Francigena, Via Romea), formavano con la Via Lauretana una grande rete di itinerari regionali ed interregionali, unendo sotto il segno di Maria le innumerevoli bellezze d’arte e storia, di fede e di paesaggio.

Alla prof.ssa Francesca Coltrinari, docente di storia dell’arte all’università di Macerata, chiediamo di raccontarci questi ‘cammini lauretani: “I Cammini Lauretani sono un itinerario turistico-culturale che intende far rivivere l’esperienza del pellegrinaggio fra Roma e Loreto. Propone di percorrere la ‘via lauretana’ che univa le due città passando per Assisi. Nel tratto marchigiano erano documentati due itinerari: uno più antico che passava per Camerino-Castelraimondo- Sanseverino-Treia e poi lungo l’attuale strada Regina conduceva a Recanati e Loreto e la via postale che da Colfiorito si dirigeva poi verso Tolentino, Macerata, Recanati e Loreto”.

Per quale motivi i Cammini lauretani attraggono i pellegrini?

“Per molti motivi; i principali sono l’attrazione della reliquia di Loreto (la casa di Nazareth dove avvenne l’Annunciazione), la bellezza artistica e paesaggistica del percorso. In linea generale il turismo religioso attrae a molti livelli, tra cui c’è chi lo fa naturalmente per un’esperienza spirituale, oppure prettamente culturale o di gusto culinario. Essendo una storica dell’arte la mia attenzione si focalizza sulla parte storica ed artistica del percorso, caratterizzato da tante presenze di immagine lauretane, oppure di altri santi come a Tolentino con la presenza di san Nicola”.

Allora quali sono le opere d’arte che si possono trovare nei cammini lauretani?

“Molte, perché anche nei centri minori lungo il percorso ci sono opere d’arte significative, mentre gli stessi centri urbani che si incontrano sono opere esse stesse. Volendo sintetizzare, per il tratto marchigiano, si possono indicare Tolentino, con la basilica di san Nicola che conserva il cappellone, un ambiente affrescato nel 1325 circa da pittori della scuola di Giotto, come Pietro da Rimini, con le storie della vita di san Nicola; Macerata, con il suo centro urbano racchiuso nelle mura cinquecentesche perfettamente conservate, la torre dell’orologio del XVI secolo, ripristinato nel 2018 con un carosello di magi e il Palazzo Buonaccorsi; Recanati, con le opere di Lorenzo Lotto e la stessa Loreto, arricchita da capolavori dei maggiori artisti italiani che avevano lavorato anche per i papi, fra il 1400 ed il 1700”.

Esiste un rapporto tra l’Abbadia di Fiastra e Loreto?

“La storia dell’Abbadia di Fiastra inizia nel XIII secolo ed è un’abbazia benedettina, i cui monaci hanno bonificato queste zone, che erano paludose, rendendole fertili ed ha conservato fino ad oggi il rapporto con la natura che è evidente per chi visita. Dal punto di vista artistico si può ammirare la chiesa medievale. Nel XVI secolo l’abbazia fu ‘amministrata’ dai Gesuiti, che stavano anche a Loreto. Quindi, essendo tappa fondamentale nella via lauretana, si è creato un collegamento tra i due luoghi”.

Tanto famoso, il Santuario di Loreto, che nel XVI secolo fu visitato anche dai giapponesi: per quale motivo?

“Perché Loreto era riconosciuta come il secondo luogo santo d’Italia, dopo Roma, ed anche per il motivo per cui i giapponesi erano stati evangelizzati dai gesuiti, che a Loreto si erano stabiliti fin dal 1554, considerandolo ‘il secondo occhio’ della Sede apostolica”.

In quale modo gli artisti erano ‘attratti’ dai cammini lauretani?

“Loreto offriva l’opportunità di lavorare per committenti importanti (papi, principi, alti prelati) e garantiva che le opere fossero poi viste da moltissime persone che venivano da ogni parte del mondo. Alcuni erano attratti anche dal santuario per cui ritenevano il loro contributo artistico anche un atto religioso. Fra questi il pittore veneziano Lorenzo Lotto (1480-1556) che scelse di farsi ‘oblato’, quindi offrendosi e dedicandosi completamente alla santa casa, a cui lasciò i suoi dipinti e in cui morì”.

Quindi è un percorso che può interessare tutti?

“Sicuramente, perché mettere valore per un turista vuol dire creare qualità per chi ci vive, che può diventare turista del proprio territorio”.

Infine, nel Rinascimento quale importanza ebbe la produzione artistica di Tolentino, prima grande città marchigiana per chi giunge da Roma?

“Tolentino ebbe importanti figure di livello internazionale nel campo della cultura e della politica; le principali sono l’umanista Francesco Filelfo, attivo nelle maggiori corti del 1400, come quella di Milano, ed il condottiero Niccolò Maurizi, che combatté per la Repubblica di Firenze e mandò a Tolentino il portale scolpito della basilica di san Nicola. Nell’arte, importante il santuario di san Nicola che conservava il corpo del primo santo dell’ordine agostiniano e quindi divenne un punto di riferimento per tutto questo ordine religioso”.

((Tratto da Aci Stampa)

Alessandra Vitez presenta le mostre del Meeting: l’arte è sempre alla ricerca dell’essenziale

Ormai aperto il Meeting dell’Amicizia fra i Popoli, giunto alla 45^ edizione, in programma fino a domenica 25 agosto con il titolo ‘Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?’, caratterizzata da tavole rotonde, mostre, spettacoli, iniziative culturali, sportive e per ragazzi e trasmessa in diretta su più canali digitali e in più lingue, presentato dal presidente della Fondazione del Meeting, Bernhard Scholz:

“Essenziale è ciò che genera una vita piena, libera e responsabile e una vita sociale feconda e solidale… Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme polarizzazioni, gli antidoti essenziali sono l’incontro, il dialogo e il confronto. A maggior ragione vogliamo realizzare di nuovo un Meeting che mette a tema le grandi sfide di questo momento storico in un clima di rispetto reciproco, attraverso uno scambio e una condivisione di esperienze e di conoscenze”.

Durante la presentazione degli avvenimenti il presidente della Fondazione ha sottolineato l’importanza culturale delle mostre nella ‘struttura’ del meeting: “Le mostre di questo Meeting sono un invito a riscoprire ciò che è essenziale, a prendere maggiore consapevolezza di ciò che rende la nostra vita più vera e più creativa, ciò che sostiene la nostra esistenza, soprattutto in questo momento di crescente conflittualità e di tante sfide decisive per il nostro futuro”.

I temi delle mostre saranno la storia dei giubilei in vista del Giubileo del 2025, l’opera del fotografo statunitense Curran Hatleberg, con 65 scatti originali, l’opera del pittore americano vissuto in Italia William Congdon (con un importante inedito) e l’opera letteraria dello scrittore svedese Pär Lagerkvist (premio Nobel 1951 per la Letteratura). Altre mostre presenteranno l’attualità di Alcide De Gasperi, la storia dei coniugi austriaci Franz e Franziska Jägerstätter (Franz, martire del nazismo, proclamato beato nel 2007 da papa Benedetto, oggetto anche del film ‘The Hidden Life’ di Terrence Malick) e la tregua di Natale sul fronte occidentale nel Natale del 1914 (raccontata nel 2005 dal film ‘Joyeux Noël’ di Christian Carion).

Un’altra mostra presenterà iniziative sociali nella società civile russa di oggi; di tema sociale anche altre due mostre, una sulla rinascita dei borghi italiani ed una sulla Fondazione Progetto Arca di Milano. Un’esposizione sarà dedicata alla vita del Servo di Dio Enzo Piccinini, medico modenese molto caro al pubblico del Meeting.

La mostra scientifica, a cura dell’Associazione Euresis, avrà a tema le speciali condizioni emerse nell’evoluzione dell’Universo che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. La Terra Santa infine sarà al centro di un’esposizione sulle due basiliche della Trasfigurazione sul monte Tabor e del Getsemani, mentre la mostra sulla ‘Fuga in Egitto’ presenterà i luoghi dove è passata la Sacra Famiglia e che sono oggetto di una devozione che unisce cristiani e musulmani.

Per approfondire i temi di alcune mostre abbiamo intervistato la dott.ssa Alessandra Vitez, responsabile dell’ufficio Mostre del meeting, chiedendo il motivo per cui il Meeting pone tale domanda: “E’ una domanda provocatoria di cui abbiamo bisogno perchè ci costringe a non rifugiarci nella rassegnazione e indifferenza, nelle considerazioni ideologiche che ci rendono la vita priva di gusto.

Il Meeting pone questa domanda perchè desideriamo fare esperienza di una vita vissuta nello scoprire e riscoprire quella essenzialità che ci permette di affrontare la realtà così come si presenta. Non significa ridurre tutto ad una sintesi minima ma vivere una vita piena, feconda, e ricca della diversità di chi si incontra come un bene prezioso al proprio cammino umano”.

Per quale motivo per Congdon l’essenziale è visibile agli occhi?

“Rovesciare la famosa frase tratta del Piccolo Principe di Antoine de SaintExupéry (‘l’essenziale è invisibile agli occhi’) non è un gioco, è l’essenza della pittura di William Congdon, esponente dell’action painting di New York, uno dei più grandi artisti del ‘900. Dopo un lungo viaggiare e dipingere si stabilisce in Italia, prima a Venezia, poi ad Assisi ed infine a Gudo Gambaredo nella Bassa milanese, dove muore nel 1998. Per lui dipingere è una ‘avventura dello sguardo’ che arriva a cogliere l’essenza di ciò che si vede. Guai a dargli di pittore astratto; infatti egli dice di sé: Sono sempre partito da un oggetto concreto che colpisce il mio occhio… io dipingo quel che vedo e non come vedo”.

Invece, cosa offre ai visitatori la mostra sui Giubilei?

“Il Giubileo è un tempo che non ci spinge implacabile verso il futuro ma si piega sul nostro bisogno e proclama di voler risanare le ferite nascoste. Ci stringe in un abbraccio di perdono e di misericordia accogliente per spalancarci ad una promessa di bene che è un destino di speranza per tutti. Con la mostra siamo invitati a varcare la Porta che segna l’ingresso in una possibilità di vita cambiata, risollevata dal peso delle sue fragilità, dei suoi limiti, dalle ombre del male che ci infliggiamo a vicenda.

E’ una possibilità straordinaria di salvezza che arriva fino a toccare il cuore dell’esistere quotidiano nel mondo, è una grazia fuori dal comune, introdotta dal realismo umano della fede cristiana nella storia degli ultimi sette secoli: una grazia da mendicare, di cui rendersi degni con i gesti, i passi concreti, aderendo a dei segni visibili capaci di diventare un ponte di collegamento tra la terra e il cielo. Ci attende di nuovo al varco nel prossimo 2025”.

Ed allora in quale modo l’arte si confronta con i Giubilei?

“Le opere pittoriche svolgono la funzione di accompagnare il pellegrino che si avvicina al Giubileo perché le immagini veicolano gli sguardi, illuminano traiettorie, muovono domande. L’artista capta le vibrazioni che animano la sua epoca, si fa profetico interprete del mondo che lo circonda, senza mai smettere di ‘cercare’. Il ‘desiderio’, talvolta, diventa inquietudine e rovello. E possiamo cogliere un segno che rende evidente la meravigliosa capacità dell’uomo di trasformare l’esperienza in cultura, cultura che risponde alla grande domanda su che cosa voglia dire diventare vivi per davvero”.

Infine, per quale motivo il Meeting ha scelto le fotografie di Curran Hatleberg?

“Il mondo della fotografia ci interessa particolarmente e siamo sempre alla ricerca di una prospettiva originale da cui guardare attraverso l’obiettivo. E’ stato il nostro amico Luca Fiore, critico d’arte e giornalista, ad introdurci alla conoscenza di Hatleberg, che sarà con noi per tutta la settimana del Meeting.

Hatleberg ha frequentato la Florida per un paio d’anni, tornando a visitare le stesse famiglie incontrate casualmente per trascorrere del tempo con loro. Questo rapporto di prossimità gli ha permesso di entrare nel mondo di queste persone, di accedere ai loro momenti di intimità e di vulnerabilità.

Di loro non conosceva nulla, ma era curioso di entrare nella vita quotidiana; è incredibile come capiti che in situazioni davvero dure, dal punto di vista sociale e personale, dentro l’inquadratura appare qualcosa che apre ad una possibilità. La fotografia può diventare un’ottima scusa per far incontrare persone che appartengono a mondi diversi e dar loro l’opportunità di condividere qualcosa”.

(Tratto da Aci Stampa)

Mons. Mosciatti: la santità dà la carica per vivere nella realtà

“Uno degli inni liturgici della festa del nostro patrono san Cassiano così lo descrive: ‘Con zelo insegni ai giovani l’arte di scriver celere e con parole esplicite Cristo verace predichi’. Colpisce di Cassiano la caratteristica di un uomo che ha svolto con diligenza ed entusiasmo il proprio compito, avendo a cuore di insegnare un lavoro ai giovani, ma nello stesso tempo la presenza di Cristo nella sua vita lo ha reso annunciatore del significato del vivere, tanto da parlarne in maniera, dice l’inno, esplicita, chiara e verace” mons. Giovanni Mosciatti, vescovo di Imola, ha definito il patrono della città, san Cassiano come annunciatore di vita nella celebrazione per la festa del patrono.

E’ un tratteggio di una santità quotidiana: “Certamente Cassiano ha vissuto pienamente la sua esistenza nell’operosità e nella creatività del lavoro, ma nell’adesione a Gesù Cristo ha anche trasmesso il significato profondo di quel lavoro e un gusto di vita nuova”.

Quindi i santi vivono nella realtà: “Così è il cristiano: una persona attenta alla realtà e capace di declinare nella vita quotidiana la passione e il gusto per la vita che Gesù ha portato. Con Lui la vita acquista il suo pieno valore e diviene degna di essere vissuta, in ogni suo aspetto”.

Un paragone che potrebbe essere giusto anche per il tempo di oggi: “Oggi viviamo in un tempo secolarizzato e sembra che la proposta cristiana non susciti interesse, ma non è venuto meno il bisogno dell’uomo, il suo irriducibile desiderio di significato. Ce lo dice la nostra esperienza quotidiana.

rSe lasciamo parlare il cuore ci accorgiamo che veramente siamo definiti da un’inquietudine che si manifesta in mille modi. Siamo interconnessi digitalmente 24 ore su 24, ma ci si accorge di uomini e donne spesso sprofondati nella solitudine, con legami solo passeggeri ed evanescenti”.

Il cristianesimo non estranea la gente dalla realtà, perché esso è un avvenimento: “Ciò di cui abbiamo bisogno è però più vicino di quello che pensiamo. Così vicino da identificarsi in un pezzo di pane che possiamo mangiare, in una persona che possiamo abbracciare. Il cristianesimo continua ad accadere come un avvenimento presente…

Questa situazione presenta molte analogie con il paganesimo romano del II-III secolo dopo Cristo. I cristiani di allora non scommisero su una vittoria culturale o politica, rischiarono una testimonianza gratuita che si trasmetteva da persona a persona. In questo modo, in 300 anni, riuscirono a mutare il volto del più grande impero della storia. Così come ci testimonia Cassiano”.

La gente si convertì non per una teoria, ma per una presenza, come quella di san Cassiano nella terra imolese: “Non credettero perché Cristo diceva delle cose, non credettero perché fece miracoli, fino a risuscitare i morti. Tant’è che molti videro ma questa non cambiò la loro vita. Credettero per una presenza carica di proposta, per una presenza carica di significato.

La testimonianza di Cassiano è allora un invito per noi a lasciarci colpire da quello stesso avvenimento. Un invito a verificare se quella presenza carica di significato basta per vivere. Perciò il problema è davvero quello del riaccadere di esperienze di fede, personali e comunitarie, in modo che l’uomo di oggi possa incontrare, di nuovo, o per la prima volta, il cristianesimo. Possa sperimentare il fascino della realtà di Cristo nella vita, come duemila anni fa”.

L’omelia del vescovo imolese è un invito a non preoccuparsi dell’inadeguatezza della propria  testimonianza: “La testimonianza è innanzitutto di Cristo in noi, attraverso il cambiamento che provoca nella nostra vita e a cui io acconsento liberamente… Abbiamo bisogno di qualcosa che non dipenda dalle nostre capacità o dai nostri progetti, ma che riaccada nella nostra vita ed allarghi la misura del nostro cuore”.

In fondo Cristo si è fatto uomo: “Perciò l’incontro con Cristo è l’imbattersi in una realtà umana diversa. Ti imbatti in una realtà umana che ha una differenza di vita che tu percepisci.

Cominciarono ad accorgersi di Cassiano e ad accusarlo dicendogli: ‘Tu sei diverso dagli altri, c’è qualcosa di diverso’. Ecco, l’incontro è l’imbattersi in una diversità, che ti attrae. E’ la modalità con cui Cristo si rende presente agli uomini. E ti attrae perché corrisponde di più al tuo cuore”.

(Foto: Diocesi di Imola)

Papa Francesco ai ministranti: Gesù è ‘con te’

“Piazza San Pietro è sempre bella, ma con voi è ancora più bella! Vielen Dank di essere venuti a Roma; forse per qualcuno di voi è la prima volta. Willkommen! Mi colpisce il tema del vostro pellegrinaggio: ‘Con te’. ‘Mit dir’. ‘With you’. ‘Avec toi’. Sapete perché mi colpisce? Perché dice tutto in due parole. E’ bellissimo, e lascia spazio alla ricerca, a trovare i significati possibili”: con tali parole ieri pomeriggio papa Francesco ha ricevuto in udienza in piazza San Pietro, i partecipanti al XIII Pellegrinaggio dell’Associazione Internazionale dei Ministranti fino al 3 agosto, sul tema: ‘Con te’.

Sono giovani di almeno 88 diocesi in rappresentanza di circa 20 nazionalità, tra cui: Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina e Ungheria. Dopo un momento di preghiera, il papa ha espresso alcune impressioni sul titolo:

“Con te. E’ un’espressione che racchiude il mistero della nostra vita, il mistero dell’amore. Quando un essere umano viene concepito nel grembo, la mamma gli dice o le dice: ‘Non temere, io sono con te’. Ma misteriosamente anche la mamma sente che quella piccola creatura le dice, alla mamma: ‘Sono con te’. E questo, in modo diverso, vale anche per il papà! Pensando a voi, e adesso guardandovi, questo ‘con te’ si riempie di nuovi significati! Vorrei dirvi quelli che ho trovato più belli e importanti”.

Il titolo del convegno è un chiaro rimando alla celebrazione eucaristica, dove Gesù si manifesta: “La vostra esperienza di servizio nella Liturgia mi fa pensare che il primo soggetto, il protagonista di questo ‘con te’ è Dio. Gesù ha detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’. E questo si realizza al massimo nella Messa, nell’Eucaristia: lì il ‘con te’ diventa presenza reale, presenza concreta di Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo”.

Tale ‘esperienza’ comunionale permette di fare esperienza di Gesù: “Il sacerdote vede accadere ogni giorno questo mistero tra le sue mani; e anche voi lo vedete, quando servite all’altare. E quando riceviamo la santa Comunione, possiamo sperimentare che Gesù è ‘con noi’ spiritualmente e fisicamente. Lui ti dice: ‘Io sono con te’, ma non a parole, lo dice in quel gesto, in quell’atto d’amore che è l’Eucaristia. E anche tu, nella Comunione, puoi dire al Signore Gesù: ‘Io sono con te’, non a parole, ma col tuo cuore e col tuo corpo, col tuo amore. Proprio grazie al fatto che Lui è con noi, anche noi possiamo essere veramente con Lui”.

In questo modo si realizza anche uno ‘scambio’ con il mondo: “Se tu ministrante custodisci nel tuo cuore e nella tua carne, come Maria, il mistero di Dio che è con te, allora diventi capace di essere con gli altri in modo nuovo. Anche tu (grazie a Gesù, sempre e solo grazie a Lui) anche tu puoi dire al prossimo ‘sono con te’, ma non a parole, ma nei fatti, con i gesti, con il cuore, con la vicinanza concreta (non dimenticate la vicinanza concreta) piangere con chi piange, gioire con chi gioisce, senza giudizi, senza pregiudizi, senza chiusure, senza esclusioni. Anche con te, che non mi sei simpatico; con te, che sei diverso da me; con te, che sei straniero; con te, da cui non mi sento capito; con te, che non vieni mai in chiesa; con te, che dici di non credere in Dio”.

(Foto: Santa Sede)

Caritas italiana racconta l’impegno volontario dei giovani

Nella prima settimana di giugno a Roma è stato presentato il secondo rapporto della Caritas italiana sul volontariato nel contesto dell’incontro dei referenti diocesani Caritas del volontariato; mentre nello scorso marzo era stato pubblicato il rapporto ‘Tutto è possibile. Il volontariato in Caritas’ con i dati dei volontari Caritas attivi nelle diocesi e nelle parrocchie italiane: 84.248 persone.

Dal Rapporto emerge che nello scorso anno sono 13.732 i giovani tra i 16 e i 34 anni che fanno volontariato in Caritas, nelle parrocchie e nei servizi diocesani. In maggioranza sono ragazze, hanno un titolo di studio medio-alto, in maggioranza hanno un lavoro. Non tutti si dichiarano cattolici e solo un terzo abbondante è impegnato a livello ecclesiale. Circa il 40 per cento dei giovani fa servizio anche in altre realtà associative e tre quarti di loro donano più di cinque ore settimanali.

Dall’indagine emerge che sono 13.732 i giovani tra i 16 e i 34 anni che fanno volontariato nelle Caritas, nelle parrocchie e nei servizi diocesani, in maggioranza donne (70,3%); il 38,5% hanno un titolo di studio medio-alto, di cui il 38,5% è laureato ed il 29,2% ha un titolo di scuola media superiore. Di questi non sono tutti studenti; infatti il 46,1% lavora ed il 38,5% studia, mentre il 12.3% è disoccupato.

L’83,1% si dichiara cattolico, ma solo il 38,5% ha altri impegni nella dimensione ecclesiale; ed il 73,8% dedica al volontariato più di 5 ore alla settimana. Inoltre il 40% fa volontariato anche presso altre realtà sociali, non solamente cattoliche, pubbliche e private. I giovani volontari sono entrati in contatto con la Caritas soprattutto perché frequentavano parrocchie o associazioni cattoliche (41,5%) oppure perché conoscevano personalmente operatori o responsabili di servizi (35,4%); il 25% di loro ha fatto il Servizio Civile o l’Anno di volontariato sociale.

Nel volume si parla anche delle varie proposte di volontariato di Caritas Italiana o sviluppate sui territori. 22 le diocesi coinvolte nell’analisi quantitativa, 421 i progetti di volontariato giovanile sostenuti nell’ambito del Progetto nazionale ‘Servizio. nonviolenza, cittadinanza’ (tra il 2006 e il 2023), 181 progetti di Anno di volontariato sociale, 240 le ‘Proposte diversificate’ in 97 Caritas diocesane. Il Servizio civile, dal 2001 (anno in cui fu istituito il Servizio civile nazionale su base volontaria), ha visto la partecipazione di circa 14mila volontari, in progetti in Italia e all’estero.

Il direttore della Caritas nazionale, don Marco Pagniello, ha sottolineato il valore del volontariato: “L’esperienza del volontariato in Caritas, in particolare va oltre il sem­plice fare: tocca l’anima, invitando i giovani a guardare oltre sé stessi per abbracciare una visione più ampia di solidarietà e fraternità universale, a partire dai più poveri. In questo modo, il volontariato diventa non solo un’opportunità di crescita personale, ma anche un mezzo per costruire una società più giusta e solidale”.

Ed ha raccontato l’esperienza del volontariato nella Caritas nel ricordo di mons. Nervo: “L’esperienza del volontariato in Caritas, in particolare, va oltre il semplice fare: tocca l’anima, invitando i giovani a guardare oltre sé stessi per abbracciare una visione più ampia di solidarietà e fraternità universale, a partire dai più poveri. In questo modo, il volontariato diventa non solo un’opportunità di crescita personale, ma anche un mezzo per costruire una società più giusta e solidale.

 Questo rende giustizia ad una delle intuizioni di don Giovanni Nervo che, parlando dell’identità del volontario, affermava che ‘essere volontari significa portare nei servizi alla persona un supplemento d’anima’. Il volontariato giovanile è in grado di portare al servizio questo abbondante supplemento d’anima: i giovani, con il loro entusiasmo e la loro capacità empatica sono in grado di umanizzare i servizi, soprattutto laddove gli operatori appaiono schiacciati dal peso di una domanda sociale sempre più complessa e urgente”.

(Foto: Caritas Italiana)

Nessuna coppia è esente da tentazioni: dal romanzo ‘L’arte di rovinare i matrimoni’

Quando mi dicono che il Paradiso e l’Inferno non esistono, mi viene in mente che le persone, forse, non hanno occhi abbastanza aperti per vedere che queste due realtà sono già presenti qui, sulla Terra, in mezzo a noi. Ognuno, se ci pensa bene, avrà fatto esperienza di entrambi.

L’inferno è la solitudine, l’odio, il rancore, la non accettazione di sé e dell’altro, l’invidia, la miseria. Dove c’è la guerra, dove c’è la violenza, dove avvengono soprusi, stupri, umiliazioni, dagli atti di bullismo ai crimini più efferati… lì è già l’inferno. Come negare che un campo di concentramento è l’inferno in terra? Come negare che a Gaza, o in tutti quei paesi dove i bombardamenti sono all’ordine del giorno, non ci sia già l’inferno?

Se siamo cristiani, saremo consapevoli che è il diavolo – spirito di divisione e di distruzione – che si serve delle nostre membra per uccidere, per sterminare? Ed il Paradiso? Il Paradiso è pace, comunione, gioia, condivisione, unità. Chi non ha mai fatto esperienza di trovarsi così bene con qualcuno da pensare che il tempo si fosse fermato?

Il Paradiso è già qui, sul volto di due innamorati che si cercano e si rispettano, nel sorriso di un bambino che si sente al sicuro tra le braccia della mamma, nelle mani di un infermiere che cura una persona malata, nella quiete di una serata in allegria. Il Paradiso è già qui ogni volta che Gesù si dona sull’altare, ogni volta che ci perdoniamo, che facciamo anche un solo piccolo passo per far crescere il Regno di Dio.

Ho deciso di ambientare il mio romanzo ‘L’arte di rovinare i matrimoni. La missione di un giovane apprendista diavolo”(Mimep Docete, 2023) a tratti in Cielo, a tratti sulla Terra, a tratti all’Inferno, cercando di mostrare che Dio e il diavolo si sfidano qui, sulla terra. Il primo ci chiama a sé per condurci all’amore e alla pienezza, l’altro, il nemico, ci chiama sé per condurci alla disperazione.

La trama è fantasiosa (ovviamente, non esistono università all’inferno) ma le tematiche non lo sono affatto.

Protagonisti sono due diavoli che hanno lo scopo di distruggere una famiglia, così da poter ricevere finalmente un’agognata laurea. La narrazione serve a ricordare che ogni coppia è esposta a tentazioni e difficoltà. Quando una coppia decide di sposarsi deve avere bene in mente che la vita insieme sarà una corsa ad ostacoli e che la grazia del Sacramento nuziale aiuta proprio a vincere quelle tentazioni che il male ci metterà davanti. Perché le metterà: questa è una certezza matematica.

Chiara e Luca si amano, si amano davvero, ma dopo aver sperimentato il Paradiso in mezzo a loro, ecco arrivare il momento della prova. Ecco che il male sembra addirittura prendere il sopravvento.

Tutto, ad un certo punto, sembra finito tra di loro… Anche il lettore arriva a non vedere più soluzioni. Ricostruire quel rapporto, ormai, sembra impossibile… si sono fatti troppo male.

Luca e Chiara, però, hanno fede, una fede vera e genuina, assopita ma radicata. Capiranno, quindi, che l’amore può morire, sì, ma in Cristo risorge sempre. Il libro vuol mettere in luce tutte le fatiche che un matrimonio negli anni può dover affrontare e al tempo stesso mostrare che l’indissolubilità è un dono ricevuto il giorno delle nozze, dono da accogliere, perché possa fruttare.

Nel romanzo si vuol mostrare, inoltre, a tratti anche con ironia, che la famiglia è il contesto ideale per crescere nella santità. Amare Dio nell’altro, perdonare l’altro in Dio, accogliersi come Lui ci accoglie è possibile. Anche oggi, anche nel tuo matrimonio. Inizia da oggi!

Torna la festa degli oratori estivi di Roma a Zoomarine

Immancabile con l’arrivo dell’estate e la conclusione delle scuole, l’avvio in moltissime parrocchie di Roma degli oratori estivi, che stanno accogliendo, già da questa settimana, migliaia di bambini e ragazzi. Come tradizione, i gruppi si ritroveranno giovedì 20 giugno per la tradizionale Festa degli Oratori Estivi presso il parco divertimenti di Zoomarine alle porte di Roma per una giornata, affidata all’organizzazione del Centro Oratori Romani, all’insegna del divertimento, ma anche dell’incontro e della condivisione che contraddistingue sempre l’esperienza estiva degli oratori.

Gli oratori verranno accolti a partire dalle ore 9.30 dagli animatori e la Festa degli Oratori Estivi 2024 verrà inaugurata anche quest’anno ufficialmente dal Vescovo ausiliare del settore sud, don Dario Gervasi, che porterà il saluto a bambini, ragazzi e ai tanti animatori a servizio di questo appuntamento che da oltre 10 anni accompagna l’esperienza estiva delle parrocchie. All’interno del parco divertimenti bambini e animatori potranno godere di tante attrazioni, colorando con la loro presenza gioiosa ogni spazio disponibile, sperimentando anche in questa occasione la bellezza di sentirsi parte della grande famiglia dell’oratorio

A Roma moltissime parrocchie offrono ogni estate questa gioiosa proposta pastorale alle famiglie del territorio, accogliendo nelle varie zone della città, dal centro alla periferia, da nord a sud migliaia di bambini e ragazzi. La diocesi di Roma ha realizzato anche quest’anno il sussidio per l’estate dal titolo ‘L’Isola del Tesoro’ adottato da moltissime comunità con l’intento di proporre, in uno speciale cammino di crescita, un’avventura estiva capace di coinvolgere piccoli e grandi, nella ricerca di un tesoro per il quale valga la pena spendere tutte le energie a partire dai propri talenti. 

I gruppi di animatori, in gran parte composti da adolescenti entusiasti, da settimane si stanno preparando per organizzare al meglio accoglienza e attività (tra giochi, catechesi, preghiera, laboratori ma anche tornei e gite) coadiuvati da giovani responsabili, adulti e sacerdoti, tutti a servizio di un progetto che sostiene le famiglie e regala ai più piccoli qualche settimana di gioia ed allegria. Il sussidio 2024, progetto del Servizio di Pastorale Giovanile diocesano e coordinato dal COR, è stato realizzato negli ultimi mesi da una ampia redazione con la partecipazione di ACR Roma, Agesci Regione Lazio e Anspi Roma, insieme a giovani animatori, e sacerdoti delle parrocchie romane. Tutti i materiali sono disponibili sul sito insieme al modulo per iscriversi alla festa del 20 giugno (https://www.oresroma.org/attivita/festa-ores ).

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