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Carlo Acutis e il suo amico Gesù

E’ presto per pensare ai regali di Natale? Forse sì, ma chissà che non ci sia tra voi qualcuno che gradirebbe già qualche idea, per non trovarsi, poi, all’ultimo, con l’acqua alla gola. E allora, se siete tra coloro che si muovono in anticipo, lasciate che vi proponga un libro, adatto per i bambini dai sette anni in su, dedicato a Carlo Acutis, il beato millennial, prossimo alla canonizzazione: Carlo Acutis e il suo amico Gesù  (Mimep Docete).

Ecco la trama. Lucia, la mamma di due gemelli, Filippo e Alessia, decide di raccontare ai suoi figli ogni sera un episodio della vita di questo giovane per aiutarli a conoscere meglio Gesù attraverso i gesti di Carlo e ad entrare nel mistero dell’Eucaristia, in vista della loro prima comunione.

Filippo e Alessia, allora, scoprono cosa ha fatto questo ragazzino originario di Milano e morto a soli 15 anni nel 2006, a causa di una leucemia fulminante. Scoprono che Carlo è stato un giovane cristiano appassionato del Vangelo e del Santissimo Sacramento, davanti al quale riponeva tutta la sua vita, scoprendo di sentirsi ‘leggero’ nell’affrontare la vita con Gesù. Veniva da una famiglia ricca, ma il suo ‘mito’ era san Francesco, il poverello di Assisi, che era riuscito a cercare l’essenziale, avendo così un cuore libero dalla schiavitù del possedere.

Anche Carlo voleva spogliarsi del superfluo, condividere con gli altri ciò che aveva, e lo faceva con i piccoli grandi gesti di un bambino (ad esempio, usava la sua paghetta per donare sacchi a pelo ai senzatetto di Milano). ‘Non io, ma Dio’, ripeteva, certo che la felicità fosse spostare lo sguardo da noi stessi al Signore e, come conseguenza di questa relazione intima, sugli altri.

Carlo insegna a questi due gemellini che la santità non è una questione di luoghi, età, possibilità, ma di cuore: si può essere santi ovunque, basta essere uniti a Dio in tutto ciò che facciamo, basta non perdere – in questo mondo iperconnesso – la connessione più importante, quella con il Padre. Il libro vuole mostrare un modello di vita semplice e al tempo stesso straordinario, per piccoli o grandi.

Vi ho incuriosito? Vi aspetto tra le pagine di ‘Carlo e il suo amico Gesù!’ Dall’introduzione del libro: ‘Mamma: tu sei proprio sicura che quando fai la comunione ricevi il corpo di Gesù?’

Alessia è una bambina molto riflessiva, non ama fare le cose senza pensare. Da tempo, soprattutto con l’avvicinarsi della data in cui riceverà quel sacramento, si interroga su come sia possibile che in un pezzetto di Pane si nasconda proprio Dio!

La mamma la guarda con dolcezza e annuisce. Lucia pensa davvero che nell’Eucaristia ci sia Gesù. Ci crede perché ha sperimentato la gioia, la speranza, la forza che entrano nel cuore quando viene in lei il Signore. Sa che Cristo è vivo, in quel piccolo e prezioso pezzettino di pane e che ogni comunione è una carezza per l’anima. Capisce, però, che si tratta di un mistero grande e che la figlia possa avere dei dubbi. Così, dopo aver parlato a lungo con la figlia, quella sera, pensa ad un modo per aiutare i suoi bambini a capire meglio questo grande regalo. Sa che i catechisti e il parroco li hanno preparati molto bene, ma sente il desiderio di donare qualcosa di unico anche lei, per questa occasione particolare.

Ecco che Lucia decide di scrivere per loro la storia di un ragazzino speciale, che ha vissuto un rapporto intimo e bellissimo con Gesù. Volete sapere di chi stiamo parlando? Lo scoprirete nelle prossime pagine, leggendo il racconto che Lucia ha voluto condividere con Filippo e Alessia, ma che ora è anche per ognuno di voi.

Dal Sinodo una sollecitudine per vivere le relazione

“Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, di conoscerti con aria da professore, di raggiungerti con regole sportive, di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato… Facci vivere la nostra vita, non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l’universo di amore”: con questi versi di Madeleine Delbrêl papa Francesco ha concluso la seconda sessione del Sinodo, il cui documento è stato approvato in tutti i 155 capitoli.

Il Documento finale è formato da cinque parti. Alla prima, intitolata ‘Il cuore della sinodalità, segue la seconda parte, ‘Insieme, sulla barca di Pietro’ “dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri”; la terza parte, ‘Sulla tua Parola’, “identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione”.

La quarta parte, ‘Una pesca abbondante’ “delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiano profondamente”; infine, la quinta parte, ‘Anche io mando voi’, “permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria”. In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione.

Fin dall’introduzione la guida del documento è la Resurrezione, vero centro della Chiesa: “Ogni nuovo passo nella vita della Chiesa è un ritorno alla sorgente, un’esperienza rinnovata dell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua. Come loro anche noi, partecipando a questa Assemblea sinodale, ci siamo sentiti avvolti dalla Sua misericordia e toccati dalla Sua bellezza. Vivendo la conversazione nello Spirito, in ascolto gli uni degli altri, abbiamo percepito la Sua presenza in mezzo a noi: la presenza di Colui che, donando lo Spirito Santo, continua a suscitare nel Suo Popolo una unità che è armonia delle differenze”.

E’ proprio Gesù risorto che conduce la Chiesa nelle ferite della storia: “Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali.

Le loro sofferenze sono risuonate in mezzo a noi non solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche nella voce di molti, personalmente coinvolti con le loro famiglie e i loro popoli in questi tragici eventi. Nei giorni in cui siamo stati riuniti in Assemblea, tante, troppe guerre hanno continuato a provocare morte e distruzione, desidero di vendetta e smarrimento delle coscienze”.

Ed il cuore della sinodalità, come quello della Chiesa, è la celebrazione eucaristica: “La celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto alla domenica, è la prima e fondamentale forma con cui il Santo Popolo di Dio si riunisce e si incontra… Per questo la Chiesa, Corpo di Cristo, impara dall’Eucaristia ad articolare unità e pluralità: unità della Chiesa e molteplicità delle assemblee eucaristiche; unità del mistero sacramentale e varietà delle tradizioni liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri.

Nulla più dell’Eucaristia mostra che l’armonia creata dallo Spirito non è uniformità e che ogni dono ecclesiale è destinato all’edificazione comune. Ogni celebrazione dell’Eucaristia è anche espressione del desiderio e appello all’unità di tutti i Battezzati che non è ancora piena e visibile. Dove la celebrazione domenicale dell’Eucaristia non è possibile, la comunità, pur desiderandola, si raccoglie intorno alla celebrazione della Parola, dove Cristo è comunque presente”.

Proprio questi contesti diversi, in cui vivono i cristiani, consentono la Chiesa ad essere missionaria: “Ribadiamo l’impegno della Chiesa Cattolica a proseguire e intensificare il cammino ecumenico con altri cristiani, in forza del comune Battesimo e in risposta alla chiamata a vivere insieme la comunione e l’unità tra i discepoli per cui Cristo prega nell’Ultima Cena. L’Assemblea saluta con gioia e gratitudine i progressi nelle relazioni ecumeniche lungo gli ultimi sessant’anni, i documenti di dialogo e le dichiarazioni che esprimono la fede comune”.

Nel documento è sottolineata anche la persecuzione a cui i cristiani sono sottoposti: “In ogni luogo della terra, i Cristiani vivono fianco a fianco con persone che non sono battezzate e servono Dio praticando una diversa religione. Per loro preghiamo in modo solenne nella liturgia del Venerdì Santo, con loro collaboriamo e lottiamo per costruire un mondo migliore, e insieme a loro supplichiamo l’unico Dio di liberare il mondo dai mali che lo affliggono… In alcune regioni, i Cristiani che si impegnano nella costruzione di rapporti fraterni con persone di altre religioni subiscono persecuzioni. L’Assemblea li incoraggia a perseverare nel loro impegno con speranza”.

Per questo le relazioni sono necessarie: “Viviamo in un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia, da crescenti tendenze autocratiche e dittatoriali, dal predominio del modello di mercato senza riguardo per la vulnerabilità delle persone e della creazione, e dalla tentazione di risolvere i conflitti con la forza piuttosto che con il dialogo.

Pratiche autentiche di sinodalità permettono ai Cristiani di elaborare una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire così un contributo peculiare alla ricerca di risposte a molte delle sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune”.

Quindi anche le relazioni sono forma di testimonianza: “Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. E’ una sfida al crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune.

Allo stesso modo, sfida un comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non permette loro di essere soggetti del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune. Sinodalità ed ecologia integrale assumono entrambe la prospettiva delle relazioni e insistono sulla necessità della cura dei legami: per questo si corrispondono e si integrano nel modo di vivere la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo”.

Questa relazione si trasforma in missione, che prende vigore dalla celebrazione eucaristica: “La formazione dei discepoli missionari comincia con l’Iniziazione Cristiana e si radica in essa. Nella storia di ognuno c’è l’incontro con molte persone e gruppi o piccole comunità che hanno contribuito a introdurci nella relazione con il Signore e nella comunione della Chiesa: genitori e familiari, padrini e madrine, catechisti e educatori, animatori della liturgia e operatori nell’ambito della carità, Diaconi, Presbiteri e lo stesso Vescovo…

Nella Messa, infatti, essa accade come grazia donata dall’alto, prima che come esito dei nostri sforzi: sotto la presidenza di uno e grazie al ministero di alcuni, tutti possono partecipare alla duplice mensa della Parola e del Pane. Il dono della comunione, missione e partecipazione (i tre assi portanti della sinodalità) si realizza e si rinnova in ogni Eucaristia”.

Il documento sottolinea che la Resurrezione termina con un banchetto: “Vivendo il processo sinodale abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di rapporti autentici e di legami veri…

Il significato ultimo della sinodalità è la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si effonde fuori di sé per donarsi al mondo. Camminando in stile sinodale, nell’intreccio delle nostre vocazioni, carismi e ministeri, e, andando incontro a tutti per portare la gioia del Vangelo, possiamo vivere la comunione che salva: con Dio, con l’umanità intera e con tutta la creazione. Inizieremo allora già adesso a sperimentare, grazie alla condivisione, il banchetto di vita che Dio offre a tutti i popoli”.

‘Raccontami di Carlo’: un libro per scoprire come Carlo Acutis interpella proprio te!

I santi non sono supereroi, sono persone che hanno bussato al cuore di Dio. E alle quali è stato aperto. A cosa serve parlare di santi o pregarli? Non ci basta Gesù? Da tempo mi occupo di raccogliere storie e testimonianze di persone che hanno seguito Cristo, le racconto nei miei libri, perché credo che faccia bene leggerle.  Una persona, una volta, mi ha detto che facendo questo potrei ‘distogliere la mia attenzione’ da Dio e condurre altri in questa ‘distrazione’.

Ho risposto che scrivo di loro non perché essi siano la destinazione, ma perché ci aiutano, come dei cartelli stradali quando cerchiamo di raggiungere un luogo. Non sono la luce, ma indicano la luce.

Scrivo di loro perché sono dei compagni in un viaggio comune. È bello pensare a un Dio che ama vederci camminare insieme. È affascinante che fa giungere la sua Provvidenza attraverso le relazioni che viviamo. Gesù stesso, nel nascere, non è venuto al mondo da solo, scendendo da una nube, ma attraverso un grembo, ovvero attraverso un’altra persona.

E se in Dio la morte non esiste più (perché l’ha vinta con la Risurrezione), come non pensare che la comunione e l’aiuto reciproco continuano anche con chi abita già in Cielo? Uno degli amici santi che merita di essere conosciuto è Carlo Acutis, giovane milanese morto nel 2006. A lui ho dedicato due romanzi, un libro per bambini, una parte in uno dei diari della felicità e, ora, è stato appena pubblicato un testo biografico con l’aggiunta di testimonianze di persone che Carlo lo hanno conosciuto, dal vivo o dopo la sua nascita in Cielo.

Il libro, edito con Punto famiglia Editrice, si intitola ‘Raccontami di Carlo’. Nel testo trovate la storia di Davide e Adriana, due genitori che hanno dovuto salutare il loro figlioletto Michele di soli sette anni e che tramite Carlo hanno ricevuto la grazia della serenità. “Andrà tutto bene”, queste le parole che Adriana aveva sentito nel suo cuore, prima ancora di sapere che il figlio fosse malato, quando aveva pregato davanti a una reliquia del giovane Acutis, che fino a quel momento non conosceva se non per sentito dire.

Da quel momento, è iniziato il doloroso iter della malattia, ma insieme a quel calvario è arrivata la grazia non solo per sopportare il peso, ma anche per diventare testimoni della resurrezione. Poi c’è la storia di Ludovica, che grazie a Carlo trova la forza di vivere gesti concreti di carità, proprio sull’esempio di questo giovane, che si è sempre spogliato dei beni e dell’egoismo, per donare agli altri.

Tra le altre storie, anche quella di  Donata, a cui Carlo è stato sempre antipatico per la ‘troppa perfezione’, finché non ha capito che quell’invidia era segno che doveva coltivare di più il suo rapporto con Gesù… Oggi con Carlo condivide l’amore autentico per l’Eucaristia.

Nel testo, oltre alle testimonianze, trovate un itinerario per approfondire la spiritualità di Carlo e conoscere il suo segreto per una vita piena. E voi conoscete la storia di questo giovane che verrà dichiarato santo nel Giubileo del 2025? Cosa dice a voi la storia di Carlo Acutis? Siete disposti a lasciarvi scomodare da questo ragazzino semplice, profondo, pieno di doni e soprattutto umile?

Siete disposti a seguire la strada che lui ha seguito? Siete disposti ad essere tutti di Gesù?

Per approfondire: RACCONTAMI DI CARLO… | Libreria Francescana

Luigi Anataloni: Giuseppe Allamano era un missionario con gioia

“Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho tratto il tema dalla parabola evangelica del banchetto nuziale. Dopo che gli invitati hanno rifiutato l’invito, il re, protagonista del racconto, dice ai suoi servi: ‘Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze’. Riflettendo su questa parola-chiave, nel contesto della parabola e della vita di Gesù, possiamo mettere in luce alcuni aspetti importanti dell’evangelizzazione. Essi si rivelano particolarmente attuali per tutti noi, discepoli-missionari di Cristo, in questa fase finale del percorso sinodale che, in conformità al motto ‘Comunione, partecipazione, missione’, dovrà rilanciare la Chiesa verso il suo impegno prioritario, cioè l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”.

Partendo dall’incipit del messaggio di papa Francesco per la 98^ Giornata mondiale Missionaria , in programma domenica 20 ottobre, dal titolo ‘Andate ed invitate al banchetto tutti’, abbiamo chiesto al missionario della Consolata, Luigi Anataloni, direttore responsabile della rivista ‘Missioni Consolata’ , di raccontarci il motivo per cui il papa ha scelto questo tema evangelico del banchetto nuziale per la giornata missionaria:

“Penso che con questo messaggio il papa voglia dare un respiro ottimistico alla missione oggi. Oggettivamente noi stiamo vivendo una situazione di violenza e di morte come quella che ha colpito i servi del primo invio, bastonati, umiliati e uccisi. La realtà attorno a noi è dura: abbandono della fede, chiese vuote, denatalità, scelte di morte della società, guerre diffuse e tragiche, cambiamento climatico, povertà, chiusure di cuore e confini, disinformazione e fake news, depressione e suicidi giovanili… chi più ne ha più ne metta.

Rinnovare l’invito ad ‘andare e invitare tutti al banchetto’ è molto bello e profondo. È un atto di fiducia nell’umanità, è un dire che Dio non molla mai gli uomini, e sempre loro vicino e crede in loro. E’ ricordare a tutti che noi siamo fatti per il ‘banchetto’, che è festa, gioia, condivisione, bellezza, fraternità, accoglienza di tutti e ciascuno. E’ un messaggio di grande coraggio e di speranza, senza fuggire dalle tante e profonde problematiche che attanagliano il mondo”.

Con quale caratteristica si può rivolgere l’invito?

“Tre le dimensioni coinvolte: il compito di andare e invitare è proprio di ogni cristiano dal battesimo; l’invito è per tutti, con preferenza verso i poveri e gli scarti di ogni società; l’obbiettivo è un banchetto, non una mensa dei poveri o la sala di un ristorante dove ognuno ha il suo spazio privato. Banchetto è festa, incontro, interazione, è sentirsi tutti parte viva, è essere felici che anche gli altri, tutti, ci siano.

Allora invitare a questo banchetto richiede capacità di andare oltre gli stereotipi, il sentire che non si può essere felici da soli, che questo mondo è un giardino che ci è stato donato perché lo godiamo insieme, dove anche i ‘cagnolini’ hanno diritto di condividere la festa. Questo richiede fantasia, coraggio, creatività nel proporre vie nuove e parlare il linguaggio di chi si vuole invitare. Missione è davvero il contrario del ‘si è sempre fatto così’”.

Missione ed Eucarestia: quale rapporto esiste?

“La missione porta all’Eucarestia; l’Eucarestia nutre e stimola la missione. Una comunità che davvero celebra l’Eucarestia e la vive come momento di ascolto della Parola di Dio per correggersi e ricaricarsi per le sfide del quotidiano, come incontro con il Signore che è lì in mezzo, come festa di famiglia e di comunità dove tutti si sentono a casa, accolti e amati. Chi vive davvero l’Eucarestia così, non può restare chiuso in se stesso come se fosse una setta, un club privato.

Chi davvero ‘dimora’ nel Signore sente il bisogno di correre a dirlo anche a tutti gli altri: ‘Abbiamo visto il Signore’, il bisogno di gridare: ‘venite alla festa’. Chi lo riconosce nello ‘spezzare il pane’ non può tenere la notizia per sé e corre anche nella notte per condividere la bella notizia. Il banchetto dell’Eucarestia diventa bello e vero nella misura in cui sempre più gente partecipa”.

Nella giornata missionaria sarà canonizzato il beato Giuseppe Allamano: perché tale canonizzazione è un dono per la missione della Chiesa?

“Per il motivo che questa canonizzazione diventa un segno di speranza e di incoraggiamento in questi nostri tempi difficili. Allamano ha maturato il suo impegno sacerdotale e missionario nella Torino di fine 1800 dominata dalla massoneria e dall’anticlericalismo. E’ stato una persona che pur ben cosciente della sua fragilità fisica e non è stato lì a piangersi addosso, ma senza clamore, con l’impegno quotidiano, con tanta fede e con occhi vigili sulla realtà della sua città, ha operato una vera rivoluzione.

Ha fatto di un santuario che era ridotto a un rudere il centro propulsore del rinnovamento spirituale di tutta la città, coinvolgendo ricchi e poveri, uomini e donne senza distinzione. Ha poi messo il fuoco nei giovani preti che lui ha seguito nei primi anni dopo l’ordinazione, facendoli diventare autentici pastori e apostoli nella chiesa locale senza rassegnarsi a riempire dei buchi per sopravvivere (in un tempo i cui i preti erano tanti)”.

Per quale motivo fondò gli Istituti Missionari della Consolata?

“Una delle ragioni può essere quella di aiutare altri a realizzare quel sogno missionario che era nato nel suo cuore dall’incontro da ragazzo, nell’oratorio di don Bosco, con il card. Massaia, allora ‘mitico’ apostolo dell’Etiopia, sogno che la sua salute gli aveva impedito di concretizzare. Ma forse è una interpretazione da favola. La realtà è che il contatto con il card. Massaia gli aveva aperto il cuore oltre i confini dell’Italia, probabilmente aiutato in questo anche da don Bosco, che ha sempre avuto una visione universale del servizio a cui erano chiamati i Salesiani. Questa visione universale ha trovato alimento nella sua vita di fede e nel suo rapporto con la Consolata, che era diventata ‘migrante’ con i tantissimi migranti piemontesi in Argentina, Brasile e altri paesi dell’America Latina. Un’altra ragione gli è venuto dal vivere con i preti giovani, appena ordinati, spesso desiderosi di farsi missionari, ma che trovavano un muro di diniego nei loro vescovi, troppo preoccupati di non impoverire la loro ‘forza lavoro’. Per Allamano la missione non è un sovrappiù, che per di più drena energie e mezzi dalla Chiesa locale, ma è la dimensione naturale della vocazione della Chiesa; quindi, è naturale che un sacerdote o un cristiano o una cristiana desiderino partire, e partano, per la missione. La fondazione dei Missionari, e delle Missionarie poi, è stata la sua riposta a questa convinzione profonda che ha fatto incontrare il grido dei poveri con la dimensione apostolica della vocazione di ogni cristiano e di tutta la Chiesa”.

La sua storia racconta l’allegria che metteva in ogni sua azione: allora in cosa consisteva la sua pedagogia della gioia?

“La domanda mi spiazza un po’ perché non ho mai pensato Allamano da questo punto di vista. Ma grazie per essa. Allamano non era un tipo chiassoso e non amava esibirsi, ma non era certo una persona triste, anzi sapeva comunicare nella semplicità una serenità profonda. Questa sua serenità gli veniva dal suo rapporto speciale con la Consolata e quindi prima con il Signore. Lui dice che non ha mai perso il sonno per i problemi che doveva affrontare, come quando è diventato rettore giovanissimo del seminario teologico e poi ha ricevuto l’incarico di gestire un santuario che era fatiscente e da ricostruire spiritualmente e materialmente. Pur essendo ufficialmente debole di salute, ha avuto una vita piena: si è occupato dei poveri, degli operai, delle servette strappate alla campagna e spesso schiavizzate in città, della stampa cattolica e di tanto altro. Ha insegnato nell’università cattolica del tempo, ha seguito ordini di suore poi fondato i due istituti, con tutto quello che questo gli ha richiesto materialmente e spiritualmente. Ma non ha mai perso la pace interiore e la gioia. La fonte della gioia, della serenità per lui aveva due radici: fidarsi del Signore e della Consolata e fare ‘bene il bene, senza fare rumore’. La gioia per lui nasce dal fatto di saper stare al proprio posto ed essere quello che sei chiamato ad essere, servo del Signore, della Consolata e della Chiesa, non padrone. E fare il tuo dovere, semplicemente senza ansie o preoccupazioni di visibilità e riconoscimenti”.

Per quale motivo invitava missionari e missionarie a santificarsi?

“Il suo detto più famoso è ‘prima santi e poi missionari’. E’ semplicemente la logica del mettere l’essere prima del fare. Essere santi vuol dire essere profondamente radicati nel Signore. Senza di questo la missione rischia di diventare un mestiere come tanti, che si può fare anche senza lasciarsi coinvolgere più di tanto. La missione non è una professione da fare a ore, ma trova la sua radice fondante nell’essere ‘in-con-per’ Cristo, nell’imitarlo, nel diventare trasparenza di Lui. Allora essere santi è la base della missione, diventando tutto a tutti, amando come Gesù ha amato, andando con lui verso i più poveri, i più lontani, i più emarginati. Missione è amore, vissuto anzitutto nella propria vita e che diventa quindi un amore donato e condiviso da persone che, alimentate da questo Amore, diventano a loro volte fontane di acqua viva. E con più doni, con più ricevi”.

(Tratto da Aci Stampa)

Assisi ricorda il beato Carlo Acutis

“La violenza e la guerra, incredibilmente ancora praticate su così vasta scala, sembrano dirci che la cultura della morte abbia la meglio nel mondo. In realtà, nonostante tutto, l’uomo ha un bisogno irresistibile di vita. Desidera una vita piena, soprattutto piena di gioia. E non si accontenta di tempo limitato: vuole vivere per sempre”: sabato 12 ottobre nel Santuario della Spogliazione di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, ha presieduto la Messa nella memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, evidenziando che lui ha scelto la vita eterna”.

Infatti la domanda che il giovane ricco ha posto a Gesù è stata la stessa di Carlo Acutis: “Se pensiamo che anche Carlo era figlio di genitori facoltosi, viene spontaneo sentire riecheggiare questa domanda sulle sue labbra. Egli amava la vita in tutti i sensi. Tutto gli era caro, dalla natura allo sport, dalla musica al computer.

Aveva però compreso che le cose della terra, pur belle, sono passeggere. La risposta di Gesù al giovane ricco gli era entrata nel cuore: se vuoi la vita eterna, osserva i comandamenti. E Carlo i comandamenti di Dio li osservava. Li sentiva, quali sono, non catene che imprigionano, ma una segnaletica che assicura alla nostra vita un orizzonte e una meta”.

Il beato Carlo Acutis si lascia prendere dallo sguardo di Gesù, che non era stato colto dal ‘giovane ricco’: “Che cosa ci fu in quello sguardo è impossibile dirlo. Dovette essere uno di quegli sguardi che ti stringono come un abbraccio facendoti sentire unico al mondo, amato più di tutti, guarito fin nell’intimo, pieno di cielo.

Di fronte a quello sguardo, che certamente anche Carlo ha sperimentato, le vie si divaricano: il giovane del Vangelo si fa scuro in volto e volge le spalle, intrappolato dai suoi molti beni: Carlo, sceglie Gesù. Si innamora di quello sguardo intenso e divino, vedendolo nell’Eucaristia, sentendo che l’Ostia santa è veramente Gesù, da incontrare, adorare, mangiare, diventando una sola cosa con lui”.

Ecco il modo di guardare da altra angolazione la vita: “Quando si incontra Gesù, tutta la vita cambia. Non cambiano le cose che fai, cambia come le fai. Le cose restano le stesse, ma profumano di cielo. Possono essere, come fu nella vita di Carlo, i compiti di scuola o una partita di calcio, una melodia suonata al sassofono o una passeggiata in montagna, la realizzazione di un video clip o il prendere parte a una discussione, portare i cani a passeggio o accompagnare la mamma a fare la spesa, e mille altre cose proprie del quotidiano”.

In questo modo l’eternità entra nella vita quotidiana: “Ma nel passeggero puoi mettere l’eterno, e la vita si trasfigura. Si illumina persino su un letto di ospedale, mentre si muore. Può succedere quello che avvenne qui, dove Francesco passò, alla fine della sua vita, molti giorni prima di scendere alla Porziuncola incontro a ‘sorella Morte’. Qui, ai frati che lo attorniavano, chiese di cantare senza sosta il Cantico di Frate Sole. Anche Carlo, spogliato dalla leucemia di tutti i suoi sogni, si abbandonò all’abbraccio di Gesù”.

Ed il beato Acutis si lasciò ‘spogliare’ da Gesù come fece san Francesco: “Al Santuario della Spogliazione ricordiamo che Francesco si spogliò fino alla nudità, per dire che Gesù era il suo ‘tutto’ e compiere, leggero e nudo, la missione che gli era stata affidata di ‘riparare la Chiesa’. A Carlo è stato chiesto di lasciarsi spogliare addirittura della vita e della giovinezza, per fare con Gesù, non su questa terra, ma dal cielo, un lavoro che ha dell’incredibile, come influencer della santità, della gioia, della vita piena”.

Inoltre ha sottolineato l’imminente canonizzazione: “La Provvidenza ha voluto che la proclamazione della sua santità (la ‘canonizzazione’) avvenisse nell’anno del Giubileo che tra qualche mese comincerà. Sarà l’anno in cui dovremo recuperare, stando al tema indicato dal Papa, la speranza fondata su Gesù. Carlo è ancora beato. Ma ormai il segno dal cielo è arrivato, perché egli possa essere dichiarato Santo.

Un segno arrivato con la guarigione di una ragazza del Costa Rica, come tra qualche ora proprio un cantante del Costa Rica, Martin Valverde, ci ricorderà. Carlo sarà dunque presto ‘san’ Carlo. Ma questo titolo non lo sbalzerà ad un’altezza irraggiungibile. Al contrario, continueremo a sentirlo, proprio come si sente un amico, semplicemente, Carlo!”

Quindi per tale ricorrenza mons. Sorrentino ha composto una nuova preghiera, che potrà essere recitata da subito: “Carlo, sorriso di cielo per questa terra ferita e senza pace, noi lodiamo Dio per la tua vita semplice, gioiosa e santa. Tu hai accolto con fiducia di essere spogliato della tua giovinezza

per dedicarti in cielo, con Gesù e Maria, a una missione di amore senza confini. Riposando col tuo corpo mortale dove Francesco d’Assisi si spogliò d’ogni bene terreno, tu gridi con lui al mondo che Gesù è tutta la nostra gioia. Giovane pieno di sogni, attratto dalla natura, dallo sport, da internet, ma ancor più rapito dal miracolo di Gesù realmente presente nell’Ostia Santa, aiutaci a credere che egli è lì vivo e vero, mistica ‘autostrada’ che conduce al cielo, e insegnaci a contemplarlo con Maria,

nei misteri del Santo Rosario. Spiegaci, Carlo, che, al di là delle mode, solo Gesù, unendoci a sé, ci rende ‘originali e non fotocopie’, liberi davvero. Ottienici di saperlo incontrare in ogni creatura, ma soprattutto nei poveri, perché l’umanità sia più giusta e fraterna, ricca di bellezza e di speranza, a gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

Inoltre venerdì 11 ottobre nella città è stata inaugurata la mostra sui miracoli eucaristici realizzata dal beato Carlo Acutis, già stata presentata in 5 continenti e in 10.000 parrocchie, compresi alcuni santuari mariani come Fatima, Lourdes, Guadalupe, alla presenza di Andrea Acutis, padre del giovane beato millennial, che ha ricordato la passione del figlio per il tema dei miracoli in un’epoca in cui internet non era così diffuso ed anche viaggiare non si poteva fare con la stessa facilità di oggi:

“Se uno scopre che il Paradiso è la cosa più bella che si possa desiderare e che la nostra vita è destinata a questo, le altre cose si ‘ordinano’ in modo diverso… Carlo volle fare una mostra che aiutasse le persone a capire questi segni: non ci dovrebbe essere bisogno di segni, ma il Signore conosce la nostra debolezza e ogni tanto ci aiuta a fare attenzione a queste cose”.

(Foto: Diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino)

La diocesi di Bolzano e Bressanone festeggia 60 anni di vita

Il 6 agosto 1964 a Castel Gandolfo papa Paolo VI firmava tre bolle pontificie, riguardanti le diocesi di Trento e di Bolzano: la bolla ‘Quo aptius’ stabiliva che i territori dell’arcidiocesi di Trento situati nella Provincia di Bolzano fossero uniti alla diocesi di Bressanone, che da allora porta il nome di Bolzano-Bressanone; la bolla ‘Tridentinae Ecclesiae’ fissava Trento sede metropolitana e Bolzano-Bressanone diocesi suffraganea; infine la bolla ‘Sedis Apostolicae’ trasformava l’amministratura apostolica Innsbruck-Feldkirch in diocesi di Innsbruck.

Infatti dal 1964 i confini della diocesi di Bolzano-Bressanone e dell’arcidiocesi di Trento coincidono con i confini delle due Province e Innsbruck e la diocesi è diventata una diocesi autonoma, come ricorda in una lettera mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano e Bressanone:

“Sono passati 60 anni: un motivo per ricordare e riflettere. Ben tre volte la nostra diocesi ha cambiato nome nel corso della sua lunga storia: Sabiona, Bressanone, Bolzano-Bressanone. Questo fatto da solo dimostra quanto gli sconvolgimenti, la tradizione e il cambiamento, la continuità e la discontinuità caratterizzeranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Il nostro Dio è un Dio della storia: è sempre in cammino con il suo popolo, e quindi con noi, la sua Chiesa”.

Nel messaggio mons. Muser invita a non perdere le radici della fede, pur essendo sempre in cammino: “Credere in Dio non inizia mai nello spazio vuoto e non parte mai da zero. Siamo dentro una storia, una storia di benedizione con tutti i suoi fallimenti, le sue crisi e le sue notti, ma anche con la promessa di vita e di salvezza. La fede comprende radici comuni, una comunità viva nel presente e la trasmissione di questa fede alle generazioni future. Penso in particolare ai bambini e ai giovani, che hanno bisogno della fede, dell’esempio e dei racconti di fede degli adulti”.

Quindi la fede è necessaria per offrire un ragionamento il più possibilmente obiettivo: “Questa fede ci protegge dal trionfalismo e dai punti ciechi e acritici, ma anche da giudizi ingiusti e ostentati sulla storia. Questa fede ci dà il coraggio di non giustificare, sorvolare o minimizzare tutto ciò che è accaduto nella storia, ma anche di essere abbastanza umili da non contrapporre con orgoglio e presunzione il presente al passato”.

Ed ha rivolto un ringraziamento ai predecessori: “Con gratitudine ricordo i miei predecessori che hanno contribuito a plasmare il cammino della nostra diocesi di Bolzano-Bressanone: il vescovo Josef Gargitter, il vescovo Wilhelm Egger e il vescovo Karl Golser. Li nomino in rappresentanza di tutti i sacerdoti, di religiose e religiosi, di insegnanti di religione, di donne e uomini, madri e padri, bambini, giovani e anziani che in questi 60 anni hanno dato un volto al Vangelo e al cammino della nostra Chiesa locale. Sono stati tanti e a loro dobbiamo molto!”

Quindi ha ricordato che la Chiesa è immersa nella vita sociale: “Nel corso della sua storia, la Chiesa non è mai stata un’entità statica e fissa. Come la luna, ha fasi crescenti e calanti. La posizione della Chiesa nella società odierna sta conoscendo grandi sconvolgimenti. Anche la società, con la sua dimensione sociale e politica, sta vivendo grandi sfide e tensioni. Le preoccupazioni per la salvaguardia del creato e le domande pressanti sollevate dai focolai di crisi e di guerra nel mondo rendono le persone preoccupate e spesso persino scoraggiate. Alle domande aperte sul piano sociale e antropologico vengono date risposte sempre più divergenti. Forme di ecclesialità finora familiari si stanno sgretolando”.

In questi 60 anni anche la Chiesa ha cambiato ‘aspetto’ ed i credenti diminuiscono: “La domanda di Dio, del Dio biblico, del Dio di Gesù Cristo è diventata nella nostra società una priorità secondaria o di terz’ordine. Abbiamo ancora bisogno di lui, lo cerchiamo ancora, lo amiamo ancora?  Non pochi ritengono che la Chiesa sia sostituibile e non necessaria. Anche le sue due grandi fonti di forza, la Parola di Dio e i sacramenti, hanno perso attrattività e consenso. Le nostre celebrazioni eucaristiche e tutte le altre forme di culto sono molto meno partecipate e apprezzate rispetto a 60 anni fa”.

Però tale situazione potrebbe tramutarsi in speranza: “Come Chiesa siamo diventati più piccoli, meno importanti e meno influenti. Speriamo che questo cambiamento sia caratterizzato dalle parole che il grande Giovanni Battista, precursore di Gesù, poteva dire di se stesso: ‘Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca’. Allora non dobbiamo avere paura. Allora sperimenteremo di nuovo il sollievo e la speranza: si tratta di Lui, non di noi”.

E questo è stato il suo ringraziamento: “Vorrei ringraziare tutti coloro che nella situazione attuale danno un volto alla nostra Chiesa locale. Sono ancora molti! La nostra Chiesa vive della loro fede, della loro speranza, del loro impegno, della loro fedeltà e della loro preghiera. Per questo non ho paura del futuro, nonostante tutto e attraverso tutto. Abbiamo Lui nella nostra barca e Lui, il Crocifisso e Risorto, di certo non la abbandona!”

Ed infine un augurio di vita santa: “La lunga storia della nostra diocesi di Sabiona, Bressanone e Bolzano-Bressanone non ha donato solo grandi momenti, santi e martiri, tra cui vorrei citare Josef Freinademetz e Josef Mayr Nusser a nome di tutti loro. Ci sono anche ore e periodi bui, colpe e fallimenti. Anche questo fa parte della nostra memoria, della nostra identità. Se vogliamo plasmare il futuro, dobbiamo imparare dalla storia e affrontarla senza pregiudizi…

Auguro uno sguardo fedele alla storia della nostra diocesi e uno sguardo fedele dietro questa storia. Allora potrà essere chiaro quanto il nostro Dio si metta in relazione con l’umanità, quanto voglia e abbia bisogno di noi, di quale grandezza siano capaci le persone credenti e quanto Dio possa scrivere dritto anche sulle righe storte degli uomini.

Auguro che alla nostra Chiesa locale, all’arcidiocesi di Trento e alla diocesi di Innsbruck, alle quali siamo legati da una lunga storia, non manchino mai persone pronte a scrivere e a continuare a scrivere il piano di salvezza di Dio per l’umanità”.

(Foto: diocesi di Bolzano – Bressanone)

XXI Domenica Tempo Ordinario: Signore, tu hai parole di vita eterna!

Il Vangelo descrive la reazione della folla e di alcuni discepoli di Gesù al discorso  a Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani: ‘Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane avrà la vita eterna’. La folla rispose a Gesù. ‘Questo linguaggio è duro’; cioè incomprensibile, inaccettabile! Chi può intenderlo? La risposta di Gesù è assai ferma: ‘Questo vi scandalizza?  Allora se vedeste il figlio dell’uomo salire là dov’era prima?’ 

Per la folla il linguaggio è duro sia per l’intelligenza, che non riesce a cogliere il grande mistero dell’Eucaristia; sia per la volontà del popolo  che non intendeva accogliere Gesù come Figlio di Dio. Gesù non cambia anzi ribadisce: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. L’Eucaristia è il grande mistero dell’amore di Dio: un amore incommensurabile, vero, gratuito e l’uomo, dinnanzi ad esso, non può rimanere passivo; il monologo deve diventare dialogo o, come si dice: amore con amore si paga.

L’uomo è chiamato a dare una risposta; è necessario operare una scelta: o accettare la proposta divina o andare via. Il Vangelo evidenzia che molti andarono via, Gesù non si scompone anzi dice ai dodici: se volete, potete andare via anche voi. Nella vita ogni uomo , ricco o povero, ignorante o dotto, è chiamato nella vita a fare la sua scelta nel nome di Dio; come Cristo Gesù ha amato la Chiesa dando la vita per essa, così nella famiglia lo sposa per la sposa e viceversa; sono scelte fondamentali.

La vita non è e non può essere uno scherzo; è quanto di bello, di nobile Dio ha realizzato  prima con la creazione, poi con la redenzione operata da Gesù, che è morto in croce per salvarci, ed ha istituito l’Eucaristia come cibo e nutrimento dell’anima per la vita eterna.

Accettare la proposta di Gesù è entusiasmante per chi ha fede. Gesù conosce bene l’esigenza del cuore umano, la debolezza dell’uomo e perciò il bisogno di una scelta generosa, di un ‘sì’ che coinvolga il credere e l’operare, l’intelligenza e la volontà. Da qui le parole di Gesù agli apostoli: scegliete! Volete restare e rimanere con me o andarvene? I dodici rimasero e Pietro, a nome di tutti, disse. ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna’.

Anche se il discorso di Gesù appare duro, non ammette eccezioni, gli Apostoli hanno operato la propria scelta. Il tema della scelta oggi interpella ciascuno di noi: essere cristiani   comporta il diritto di invocare Dio ‘Padre nostro’; se Dio è padre, è necessario per noi vivere da figli, da fratelli tra di noi: non c’è alternativa. Non si può piegare un ginocchio davanti a Dio e l’altro davanti a Satana, al denaro, al gretto egoismo, al mero piacere per il piacere.

A Cafarnao i Discepoli scelsero Cristo ; noi, comunità cristiana, davanti all’Eucaristia dobbiamo operare la nostra scelta e rimanere fedeli alla scelta operata. Nella nostra scelta non può coesistere il doppio giuoco: nessuno può servire due padroni; con Dio non c’è compromesso, né doppio giuoco; Dio è Padre, che ti ama, e amore con amore si ripaga. Dio un giorno ci dirà: rendi conto della tua vita: cosa hai fatto della tua intelligenza? Della tua volontà? Dei carismi ricevuti e dei talenti a te affidati? 

Come verdi il processo ci sarà e sarà inevitabile. Non importa quello che dice la gente, o l’amico, o l’ammiratore; Gesù non giudica per sentito dire ma sarà la mia, la tua coscienza a dover rispondere. Amico che ascolti o leggi, è necessario essere uomini ricolmi di fede e di umiltà, come Maria, e con l’apostolo Pietro dire: ‘Signore, tu solo hai parole di vita eterna! Ma tu, Signore, sostieni sempre la mia fede’.   

XX Domenica Tempo Ordinario: tutti invitati al grande banchetto della vita!

Il tema della Liturgia è chiaro sin dalla prima lettura: ‘La Sapienza ha imbandito la tavola: venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che  ho preparato’. Il tema del banchetto è presente attraverso i suoi elementi costitutivi: il pane e il vino; mangiare e bere. Il sacramento dell’Eucaristia si rifà sempre alla cena pasquale degli ebrei durante la quale Gesù istituì l’Eucaristia utilizzando i mezzi a disposizioni: pane e vino ed ordinò ai suoi Apostoli. ‘Fate questo in memoria di me’. Nella Messa celebrata sono riunite due mense: quella della Parola e quella del Pene e Vino.

La lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica. Cristo Gesù si dà a noi in due modi; ascoltando la sua Parola ‘non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’: le folle che andavano dietro a Gesù per ascoltarlo dimenticavano persino di andare a casa per mangiare. Nell’ultima cena poi Gesù istituisce l’Eucaristia: segno visibile di nutrimento  per l’anima: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. 

A questo banchetto siamo invitati tutti, senza alcuna discriminazione, è un banchetto in cui regna  solo l’amore, la fratellanza, l’accoglienza: è l’immagine del regno di Dio creato per la salvezza di tutti. La Messa è il convito della salvezza a cui tutti  siamo invitati.  Partecipare a questo banchetto non è opzionale ma indispensabile per la salvezza eterna. Chi si astiene dal partecipare volontariamente e senza motivo agisce in disaccordo con  la parola e la volontà di Cristo. 

Dalla parola di Dio e dall’Eucaristia il credete riceve nutrimento e vita. L’Eucaristia, come vedi, è un mistero che noi accettiamo con gratitudine e gioia come un miracolo d’amore, come dono incomparabile e prezioso.  Un dono concreto e fisico da fare ripugnanza a quanti ascoltano e non hanno fede e, perciò, replicano. ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’ Chi ha fede in Dio, accetta il suo messaggio di amore: ‘Io  sono il pane vivo disceso dal cielo’, mangiando il quale si ha la vita eterna; è il nutrimento dell’anima che vuole vivere  secondo Dio.

Gesù spiega inoltre che questo pane è la sua carne offerta in sacrificio di redenzione; è il frutto dell’amore di Dio verso l’uomo  per il quale Gesù muore in croce offrendo la sua vita in riscatto per tutti. Un dono visibile: il suo corpo sacrificato; il corpo di Gesù, che riceviamo nella Eucaristia, è l’espressone chiara della sua personalità, della sua relazione con gli altri. Cristo infatti si è manifestato agli uomini nella carne e il popolo ha riconosciuto Gesù nel suo corpo e da questo si sono sentiti accolti, ascoltati, perdonati.

Gesù con il suo corpo rivela la sua divinità e la sua umanità. ‘Sono il pane vivo disceso dal cielo: il mio corpo è vero cibo, il mio sangue vera bevanda’.  Questa parola è dura, dissero alcuni e se ne andarono; Gesù, rivolto ai suoi discepoli, disse: se volete, potete andare via anche voi, ma l’apostolo Pietro rispose: ‘Signore, tu hai parole di vita eterna’.

Tutto ciò che si dice della personalità di Gesù nel Vangelo è presente nell’Eucaristia: è  lo stesso Gesù che attraverso l’Eucaristia nutre quanti credono in Lui. Per chi non crede nessuna prova è sufficiente; per chi crede l’Eucaristia è la vita di Cristo in noi e riceverla significa condurre uno stile di vita contrassegnata dalla sua presenza. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno.

Da non dimenticare che Gesù nell’ultima cena, prima di celebrare l’Eucaristia, lava i piedi agli Apostoli; bisogna essere puliti, prima di ricevere questo pane, sia nel corpo che nell’anima. Per questo la Liturgia inizia sempre chiedendo perdono a Dio  dei peccati.

‘Sono speciale’: nuovo brano della pop rock band Kantiere Kairòs con l’etichetta discografica La Gloria

“La canzone parla del sentirsi amati da Dio. Per Dio ciascuno di noi è speciale, al punto che per Lui è valsa la pena morire per ciascuno di noi in croce. Che ci vuole bene oltre ogni misura, che ci ama personalmente di un amore particolare in una relazione specifica», spiega il gruppo cosentino di musica cristiana”.

Gabriele Di Nardo (batterista), Davide Capitano (basso), Giuseppe Di Nardo (chitarre) e Antonello Armieri (voce e chitarra acustica) hanno iniziato a lanciare i loro #SONOSPECIALE PER LUI… sui profili della band, raccontando in che modo e quando si sono sentiti amati da Dio in maniera speciale.

“Prendere consapevolezza della propria normalità rende felici e fa stare bene. Quando guardo la mia storia da un’altra prospettiva mi rendo conto che forse non è tutto sbagliato. Guardo indietro e vedo le rovine di una vita disordinata, per meglio dire ‘sfiduciata’, dalle nostre parti diremmo un ‘Kantiere sempre aperto’, scrive Gabriele.

Ma basta cambiare prospettiva: un altro punto di vista mi fa cogliere dettagli che fra quelle rovine non vedevo. Oggi Qualcuno mi ha detto che sono ‘il migliore del mondo’ ed è in quell’istante che ho capito che stavo guardando nella direzione sbagliata. La mia vita ‘banalmente normale’ per qualcuno è davvero importante. Vorrei che anche tu provassi solo per un istante a guardare con occhi diversi la tua vita per scoprire quanto importante tu sia per gli altri”.

Riflette Davide: “C’è stato un momento della mia vita in cui mi sentivo invincibile e pieno di forza, ma non mi rendevo conto della pochezza delle mie azioni. Ho preso consapevolezza della mia ‘povertà’ quando un giorno mi sono trovato davanti a Gesù Eucarestia, travolto da un abbraccio di emozioni indescrivibili. A 36 anni, dopo più di 10 passati a lodarLo, mi sento speciale, particolarmente in questi giorni, perché sono stato testimone del miracolo della vita con l’arrivo di mia figlia Chiara”.

Incalza Jo: “A quasi 50 anni, rifletto sui passaggi decisivi della mia vita, belli e dolorosi. Ogni esperienza, apparentemente scollegata dalle altre, è in realtà un tassello di un mosaico più grande. Mi rendo conto che c’è una mano amorevole che guida quest’opera, portandomi a vivere con serenità e fiducia, sicuro che tutto concorra al mio bene. Comprendo così che anche il dolore ha un senso: Dio può anche deludere le nostre aspettative, succede! Ma, per dirla con le parole di Epicoco, lo fa solo per realizzare i nostri sogni! Lui ci conosce più di noi stessi e sa di cosa abbiamo veramente bisogno! Questo mi fa sentire speciale!”

“Per gran parte della mia esistenza mi sono sentito nel posto sbagliato, inadeguato, in ritardo rispetto a ciò che avrei potuto ottenere, fuori posto. Cercavo conferme ed approvazioni in situazioni, luoghi e persone che non potevano dissetare quella sete di vita che solo Dio può dare, testimonia Antonello. Ho capito di essere speciale e che Dio mi ama a prescindere dai miei difetti e limiti, in seguito ad una profonda e sincera confessione a Medjugorje, dopo la quale mi sono sentito finalmente libero, accolto, amato e non giudicato.

Ho preso coscienza che il primo passo per tutte le guarigioni è sapermi voluto da Dio, desiderato da Lui. Certo, ho dovuto sperimentare la fiducia in Lui, perché i Suoi piani non erano i miei, e c’ho messo anni, diversi anni a mollare la presa. Ma Lui era lì, sempre, paziente e fedele. Voleva donarmi molto più di quello che Gli chiedevo. Oggi, se chiudo gli occhi, sento nel cuore la Sua voce che dice: Sei speciale, perché sono morto per te!”

Si può inserire la propria testimonianza, raccontando in quale momento della propria vita ci si è sentiti amati da Dio in modo speciale, con un post sui propri canali usando l’hashtag #sonospeciale e il tag del profilo del Kantiere Kairòs. Il brano ‘Sono speciale’ è disponibile su tutte le piattaforme on line da ieri 10 agosto.

XIX Domenica Tempo Ordinario: Io sono il pane vivo disceso dal cielo

Il brano del Vangelo focalizza tre temi, al centro c’è l’azione salvifica di Cristo Gesù; nessuno si può salvare se non per mezzo di Cristo; la nostra fede in Lui è un dono speciale  di Dio all’uomo che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza. Dio non dimentica mai l’uomo e si rivolge a lui donando Gesù, vero uomo e vero Dio. Accettare Cristo, dono di Dio, significa avere la vita eterna: ‘a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio’.

Mosè aveva impetrato la manna dal cielo con la preghiera; Elia nel deserto fu sfamato da Dio con la focaccia inviata con un angelo; Gesù non è venuto per portarci un dono dal cielo ma Egli stesso è il vero dono del Padre: dono riservato a quanti, innestati a Cristo Gesù con il battesimo, vivono la grazia di Dio  con fede e amore. Avere fede in Lui, accoglierlo è l’unica cosa necessaria; è l’unica via da percorrere. Nel viaggio della vita Gesù ci offre se stesso, dono del Padre; vero pane del viaggio per arrivare alla grande meta.

‘Io sono i pane vivo disceso dal cielo’ è la grande rivelazione che Gesù offre alla sua Chiesa; Gesù ci invita a bandire dalla vita tutto ciò che viola la carità (odio, egoismo, sopraffazione) e ci indica la via da seguire: essere disponibili ed aiutare il prossimo per riscattarsi da tutte le ingiustizie sofferte. Ci sentiamo deboli? Alimentiamo allora la nostra anima con Gesù che è ‘il pane vivo disceso dal cielo’. 

Gli ebrei avevano mangiato i cinque pani moltiplicati , erano rimasti affascinati e volevano farlo re; Gesù li smonta e li spinge  in altra direzione: procuratevi il cibo che dura per la vita eterna; poi continua: ‘Io sono il pane della vita’ dono di Dio all’uomo. Gesù vuole che tale verità venga da tutti conosciuta perché a tutti sia offerta la salvezza. La salvezza infatti è la risultante di due componenti: una divina, l’altra umana; Gesù è il dono del  Padre, ma è altresì necessario l’assenso dell’uomo, l’accoglimento libero e responsabile di questo dono mirabile.

Credere in Cristo non è un fatto teorico, una adesione concettuale, ma significa accettare Cristo con fede e amore. L’adesione a Gesù non si ferma ad una fede astratta o all’amore teorico ma giunge ala comunione perfetta con il sacramento dell’Eucaristia. Questa è il cibo per l’uomo in pellegrinaggio verso la casa del Padre, cibo prefigurato dalla manna del deserto .

‘Io sono il pane della vita’: queste parole di Gesù risvegliano in noi stupore e gioia per il dono dell’Eucaristia; nel Vangelo la gente rimane scandalizzata, si strappa le vesti dicendo:  questo Gesù noi lo conosciamo, è il figlio di Maria, del fabbro Giuseppe, come può dire: sono ill pane disceso dal cielo?  Ed io e tu, amico che ascolti, ci scandalizziamo? Gesù è sempre quell’uomo dinanzi al quale ‘i ciechi vedono, i muti parlano, i morti risuscitano’, Egli è veramente il Figlio di Dio che ci ha salvati; colui che ha aperto per noi le porte del regno dei cieli: nell’Eucaristia ci è dato il pegno della gloria futura.

Nel sacrificio eucaristico, nella celebrazione della Messa si perpetua in forma incruenta il sacrificio di Gesù in croce per la salvezza di tutti gli uomini. Il grande sant’Agostino, filosofo e teologo, evidenzia anche l’aspetto sociale dell’Eucaristia: come diversi chicchi di grano formano l’unico pane, come diversi acini di uva danno vita all’unico vino che, consacrati sono l’Eucaristia, così è necessario uscire dalla propria individualità per riscoprirsi fratelli e sorelle alimentati dallo stesso pane celeste. Gesù è veramente il pane della vita; la Madonna, la Vergine Maria nel cui seno il Verbo si fece carne, ci aiuti a crescere e a nutrire sempre la nostra anima di questo pane vivo disceso del cielo.

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