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Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in Estonia, a fine dicembre, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.
Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese: “Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.
Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.
Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.
La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.
Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.
Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…
In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.
L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.
Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.
Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.
Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.
Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.
Il racconto è proseguito con la sua visita natalizia in Libano: “Ho trascorso la settimana scorsa in Libano. Con uno dei miei fratelli di quel Paese abbiamo visitato i cristiani in diversi luoghi per festeggiare con loro il Natale. Sapete che il Medio Oriente è attualmente dilaniato dalla guerra. Abbiamo tanti amici lì e la nostra visita è stata un piccolo segno di solidarietà nei loro confronti”.
Quindi ha raccontato l’accoglienza offerta dal popolo libanese: “La generosità dell’accoglienza in un Paese dove c’è stata tanta distruzione mi ha tolto il fiato. In molte parti del Paese gli edifici sono in rovina, ma le persone stanno dimostrando un’incredibile resilienza. Questa resilienza è un modo per resistere alla violenza che è stata scatenata. C’è tanta incertezza oggi. La guerra potrebbe tornare. Nonostante ciò, le persone che abbiamo incontrato hanno condiviso la gioia del Natale. La loro fede è la luce che splende nelle tenebre”.
Ma nonostante la guerra i giovani libanesi non hanno perso la speranza: “Abbiamo anche incontrato uno sceicco musulmano nel sud del Paese. La sua casa è stata distrutta e alcuni villaggi vicini sono ancora inaccessibili. Le bombe cadevano ancora quando seppellì anche i morti cristiani aspettando che il sacerdote venisse a compiere i riti necessari.
Quando ho parlato con i giovani libanesi durante i recenti bombardamenti, ho potuto percepire la loro speranza per un futuro di pace e giustizia. Il loro coraggio era palpabile, anche se la disperazione non era lontana… Questo è quello che ho sentito molto forte ascoltando questi giovani. Gli incontri della scorsa settimana hanno confermato ciò che avevo sentito in precedenza”.
Però l’invito del priore di Taizè è stato quello di non scoraggiarsi: “Gesù stesso è nato nella povertà, in un tempo in cui nulla era chiaro nel paese in cui avrebbe vissuto. Anche noi possiamo trovarci in situazioni in cui non vediamo la strada da seguire. Potremmo sentirci arrabbiati e impotenti riguardo a certe realtà, ma questo può spingerci all’azione?.. I gesti più semplici possono diventare indicatori del nostro desiderio di speranza”.
A tale meditazione è seguita la testimonianza di Marta ed Andriana, provenienti da Leopoli: “Sarò sincero, non è sempre facile mantenere la speranza quando vediamo questa ingiustizia che dura da così tanto tempo… Ma ciò che ci aiuta a non perderla è la fede. Crediamo che ciò che non è possibile per gli esseri umani sia possibile per Dio. C’è sempre l’alba dopo una notte buia. Crediamo che Lui sia sempre con chi soffre e che senta anche il nostro dolore. Sappiamo anche che Egli non ci lascia soli in questa difficile situazione”.
Mentre Marta ha chiesto di intensificare la preghiera: “Pregate per tutte le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra crudele e ingiusta, che hanno perso i loro cari e le loro case, per i nostri soldati che ci proteggono ogni giorno a rischio della loro vita. Possa ogni famiglia ritrovarli sani e salvi a casa. Per tutti coloro che sono stati catturati, feriti, dispersi, che provano dolore fisico o mentale, sofferenti e bisognosi. Grazie per le vostre preghiere, le sentiamo tutti!”
Le meditazioni di questo incontro europeo si sono basate sulla lettera scritta dal priore di Taizé, ‘Sperare oltre la speranza’: “In un tempo in cui è facile lasciarsi scoraggiare da ciò che vediamo nel mondo e nella società, siamo disposti ad ascoltarci gli uni gli altri e a scoprire cosa è stato depositato gli uni nei cuori degli altri? Per scrivere questa lettera ho passato molto tempo ad ascoltare i giovani che vivono in zone di guerra. Sono rimasto colpito dal loro coraggio e dalla loro resistenza. Molti dei miei interlocutori mi hanno raccontato l’importanza della loro fede di fronte alla dura realtà della loro esistenza”.
Perciò la riflessione si è concentrata sulla preghiera del Magnificat, in cui la Madre di Dio si trova ad affrontare una situazione, in cui è chiesto di dare una risposta: “Vivendo in un paese occupato, capì l’importanza della fede in Dio e seppe dire ‘sì’ a ciò che Dio le chiedeva. Va a trovare sua cugina Elisabeth, anche lei in attesa di un parto improbabile. Come Maria, ognuno di noi ha bisogno di persone come Elisabetta che confermino ciò che abbiamo capito che Dio ci chiedeva, ma non abbiamo osato credere”.
La Sua risposta è conseguenza di una ‘visione’ della realtà, che permette di vivere la speranza: “La conferma della cugina suscita in Maria il suo canto di lode. Vede che Dio esalterà gli umili e che i potenti saranno rovesciati dai loro troni. La sua visione è quella di un mondo che, sotto il segno dell’amore misericordioso di Dio, sia un mondo di giustizia e di pace dove a nessuno manca nulla. Quando sento queste parole, qualcosa in me osa credere che le situazioni possano cambiare e la mia speranza rinasce”.
Un’ultima sottolineatura; le decorazioni della pista di pattinaggio di Tondiraba, luogo delle preghiere serali, sono state ispirate dal lavoro dell’artista estone Anu Raud: “I formati e i motivi utilizzati per la decorazione ci immergono nell’inverno e nel freddo, riunendo diversi elementi della campagna e della cultura estone. Al centro di tutto c’è una scena semplice: la nascita di Gesù. Nel freddo e nella neve, una casa calda, una mangiatoia accogliente. La culla diventa il centro che ci riunisce per una preghiera comune, il calore che ci avvolge nel cuore dell’inverno. Siamo nel bel mezzo dei giorni bui di novembre in Estonia, e stiamo aspettando la luce, stiamo aspettando la nascita di un re, la nascita di Gesù”.
(Tratto da Aci Stampa)
Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.
Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese:
“Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.
Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.
Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.
La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.
Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.
Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…
In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.
L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.
Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.
Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.
Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.
Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.
Sono le ‘umili’ testimonianze che rendono credibile la fede: “Più che cercare la spettacolarità, non sono forse i gesti umili di ascolto reciproco, di fiducia e di amicizia che comunicano l’essenziale del Vangelo e ci aiutano a entrare sempre più profondamente nel mistero di comunione che è il Corpo di Cristo, la Chiesa?
Da molti anni la nostra comunità di Taizé vive un pellegrinaggio di fiducia. Di tanto in tanto, questo pellegrinaggio diventa visibile, come adesso durante il nostro incontro europeo a Tallin, ma anche nel villaggio di Taizé con gli incontri settimanali dei giovani. E’ un modo per incoraggiarci a vicenda nel nostro cammino quotidiano di fede, un modo per lasciare che Cristo rinnovi la nostra speranza affinché possiamo affrontare le sfide che incontriamo ovunque siamo”.
Per tale ragione all’inizio di tale ‘pellegrinaggio’ europeo il presidente dell’Estonia, Alar Karis per tale ‘raduno’ sul tema della speranza: “Il motto dell’incontro (pellegrinaggio di fiducia) si riferisce a ciò che spesso manca nel mondo di oggi, cioè la fiducia tra persone, paesi e nazioni. Voi giovani potete dare un contributo significativo affinché la fiducia nel futuro sia maggiore di quella odierna.
La fiducia è la base di tutto, quindi è importante non solo parlarne, ma agire di conseguenza, ciascuno secondo le proprie possibilità. La fiducia alimenta anche la fiducia in se stessi e il coraggio di cui hanno bisogno i bambini, i giovani e gli adulti. Confidando gli uni negli altri e lavorando insieme, possiamo anche sperare che l’Europa di domani abbia il vostro volto e sia progettata da voi. Sarà unita e forte”.
(Foto: Taizè)
Dalla Lettonia un invito alla speranza con il canto del Magnificat

A Tallinn si sono riuniti molti giovani per contribuire a ridare speranza all’Europa ed al mondo, come ha sottolineato nelle meditazioni serali frère Matthew, priore di Taizè: “Siamo molto felici di essere riuniti in questi giorni a Tallinn. Siete venuti in Estonia come pellegrini, da quasi tutti i paesi d’Europa ed oltre, per pregare e condividere, segno di speranza nel nostro continente oggi. Sei stanco per i lunghi viaggi, quindi prometto di non parlare troppo a lungo”.
Ed ha ricordato la sua prima visita molti anni fa: “Ricordo la mia prima visita a Tallinn trent’anni fa. Quando arrivai alla stazione di Baltijaam con un altro fratello, un gruppo di giovani ci stava aspettando. Cantavano e portavano fiori. Il calore della loro accoglienza mi ha toccato molto e non l’ho mai dimenticato”.
Le parole del priore di Taizé è stato un invito ai giovani a non sentirsi appagati: “Viviamo in un’altra epoca, ma non c’è ancora dentro di noi il desiderio di uscire dalla nostra zona di comfort, che esprime la nostra aspirazione alla comunione con gli altri? Ci aiuta a comprendere che siamo chiamati a qualcosa di più grande di ciò che vediamo a prima vista”.
Le meditazioni di questo incontro europeo si baseranno sulla sua lettera ‘Speranza oltre la speranza’: “In un tempo in cui è facile lasciarsi scoraggiare da ciò che vediamo nel mondo e nella società, siamo disposti ad ascoltarci gli uni gli altri e a scoprire cosa è stato depositato gli uni nei cuori degli altri? Per scrivere questa lettera ho passato molto tempo ad ascoltare i giovani che vivono in zone di guerra. Sono rimasto colpito dal loro coraggio e dalla loro resistenza. Molti dei miei interlocutori mi hanno raccontato l’importanza della loro fede di fronte alla dura realtà della loro esistenza”.
La riflessione si è concentrata sulla preghiera del Magnificat, in cui la Madre di Dio si trova ad affrontare una situazione, in cui è chiesto di dare una risposta: “Vivendo in un paese occupato, capì l’importanza della fede in Dio e seppe dire ‘sì’ a ciò che Dio le chiedeva. Va a trovare sua cugina Elisabeth, anche lei in attesa di un parto improbabile. Come Maria, ognuno di noi ha bisogno di persone come Elisabetta che confermino ciò che abbiamo capito che Dio ci chiedeva, ma non abbiamo osato credere”.
La risposta è conseguenza di una ‘visione’ della realtà, che permette di vivere la speranza: “La conferma della cugina suscita in Maria il suo canto di lode. Vede che Dio esalterà gli umili e che i potenti saranno rovesciati dai loro troni. La sua visione è quella di un mondo che, sotto il segno dell’amore misericordioso di Dio, sia un mondo di giustizia e di pace dove a nessuno manca nulla. Quando sento queste parole, qualcosa in me osa credere che le situazioni possano cambiare e la mia speranza rinasce”.
Attraverso una citazione del teologo Gutierrez frère Matthew ha invitato i giovani a ‘cantare’ il Magnificat: “In questi giorni vi invito a cantare il canto di Maria. Mentre lo cantate, pregae per le situazioni che vorreste vedere cambiate. Ricordiamo le persone che vivono sotto regimi oppressivi e che desiderano giustizia e pace. Ricordo bene la rivoluzione cantata del 1991 che permise all’Estonia di riconquistare la propria indipendenza. Molti giovani con cui ho parlato durante la preparazione della Lettera mi hanno parlato dell’importanza del canto per rinnovare la speranza e dare loro il coraggio di perseverare”.
Quindi sperare vuol dire anche ricordare: “Ci vuole coraggio per sperare… Non possiamo dimenticare il passato, ma possiamo guardarlo per costruire l’oggi e costruire passo dopo passo il nostro futuro. Non è così che Dio opera? Attraverso lo Spirito Santo, Dio è costantemente all’opera in noi e intorno a noi, trasforma le nostre ferite e corona le nostre gioie. Non dimentichiamo il passato, ma osiamo sperare oltre ogni speranza”.
Inoltre molto sono stati i messaggi inviati; il patriarca Bartolomeo ha invitato i giovani ad essere speranza nel mondo: “In un mondo segnato da divisioni, conflitti e incertezze, voi siete portatori di nuova speranza. Riunendovi per pregare, condividere e riflettere insieme, manifestate la realtà dell’amore di Dio, che trascende i confini e unisce i cuori in autentica comunione. Attraverso il vostro esempio mostrate che la fede cristiana è una forza trasformatrice capace di portare pace e speranza anche nei momenti più bui. Inoltre, vi invitiamo a pregare in particolare per i paesi e le regioni devastati dalla guerra e dai conflitti, in particolare per l’Ucraina e il Medio Oriente”.
E’ stato un invito ad essere ‘costruttori di comunione’: “Siete chiamati ad essere artigiani di comunione, a costruire ponti dove ci sono muri e ad illuminare il mondo con le vostre azioni e le vostre parole. Preghiamo affinché questo Incontro Europeo sia fonte di ispirazione, rinnovamento spirituale e abbondanti grazie per ciascuno di voi. Il Signore vi guidi e vi rafforzi nel vostro cammino di fede e di testimonianza. Confidiamo che questa esperienza rafforzi in voi il desiderio di servire la Chiesa e la società con generosità e dedizione alla luce del nuovo anno che ci aspetta”.
Mentre il presidente dell’Estonia, Alar Karis, ha affermato che i giovani possono offrire un valido contributo per la ‘costruzione’ dell’Europa: “Voi giovani potete dare un contributo significativo affinché la fiducia nel futuro sia maggiore di quanto non lo sia oggi. La fiducia è la base di tutto, quindi è importante non solo parlarne, ma agire di conseguenza, ciascuno secondo le proprie possibilità. La fiducia alimenta anche la fiducia in se stessi e il coraggio di cui hanno bisogno i bambini, i giovani e gli adulti. Confidando gli uni negli altri e lavorando insieme, possiamo anche sperare che l’Europa di domani abbia il vostro volto e sia progettata da voi. Sarà unita e forte”.
Infine le decorazioni della pista di pattinaggio di Tondiraba, luogo delle preghiere serali, sono state ispirate dal lavoro dell’artista estone Anu Raud. Nata nel 1943, Anu Raud è una nota artista tessile estone. Vive e lavora in una fattoria nella campagna vicino a Tartu. Trae ispirazione dai motivi tradizionali del Paese, dall’osservazione dell’ambiente circostante e dalla vista fuori dalla finestra. E’ inoltre attivamente impegnata nella promozione dell’arte e della cultura popolare estone.
I formati e i motivi utilizzati per la decorazione ci immergono nell’inverno e nel freddo, riunendo diversi elementi della campagna e della cultura estone. Al centro di tutto c’è una scena semplice: la nascita di Gesù. Nel freddo e nella neve, una casa calda, una mangiatoia accogliente. La culla diventa il centro che ci riunisce per una preghiera comune, il calore che ci avvolge nel cuore dell’inverno.
Quando la comunità di Taizè ha presentato il progetto di decorazione ad Anu Raud, lei ha risposto: ‘Siamo nel bel mezzo dei giorni bui di novembre in Estonia, e stiamo aspettando la luce, stiamo aspettando la nascita di un re, la nascita di Gesù’.
(Foto: Comunità di Taizè)
Da Gorizia: la speranza è motivo di vita

“In realtà, lo sappiamo tutti, il proverbio dice il contrario: ‘Finché c’è vita, c’è speranza’. Si tratta di uno dei molti proverbi dedicati alla speranza che, per altro, è presente anche nella Bibbia: ‘finché si resta uniti alla società dei viventi, c’è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto’, afferma il saggio Qoélet. Come non ricordare tra i tanti, per esempio, un altro detto popolare che collega vita a speranza: ‘la speranza è l’ultima a morire’. Interessante la relazione che la cultura diffusa presenta tra vita e speranza (non si parla anche di ‘speranza di vita’?), una relazione che esprime una caratteristica fondamentale dell’essere umano: può vivere solo se esiste un motivo… per vivere. Un motivo che più che una causa è uno scopo, una meta. Se manca, è difficile vivere”.
E’ l’inizio della lettera pastorale, ‘Finché c’è speranza, c’è vita’, che l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, ha scritto ai fedeli in preparazione del giubileo in un anno in cui Gorizia e Nova Gorica sono capitale europea della cultura: “Anche nella società italiana ci sono molte persone che si impegnano per gli altri, c’è una diffusa solidarietà, una forte azione del volontariato, un impegno educativo anche in situazioni difficili, una maturazione del senso di dignità di tutti. Non mancano giovani che si impegnano, che studiano, che hanno progetti positivi di vita.
Le stesse comunità cristiane sono vive, hanno ancora persone che si danno da fare per gli altri, ci sono ancora giovani che vedono la vita come vocazione. Nelle due lettere pastorali degli ultimi due anni, dove il tema della speranza è stato rilevante, ho cercato di ricordare molti segni di speranza a partire da quelli che ho potuto constatare direttamente nelle nostre unità pastorali in occasione della breve visita pastorale di due anni fa. Diverse realtà positive sono state elencate anche negli incontri di decanato già citati. Non tutto è nero, quindi. Neppure qui da noi”.
E la speranza non può essere disgiunta dalla Chiesa: “Forse non ci si pensa, ma Chiesa e speranza sono realtà intrecciate anche nel loro destino: la Chiesa finirà quando cesserà la speranza perché ci sarà la realtà del Regno di Dio. Il Regno di Dio dove non sarà più necessaria la fede e neppure la speranza, ma ci sarà solo la carità, la pienezza dell’amore perché Dio “sarà tutto in tutti” (1Cor 15, 28)”.
Inoltre propone alcune ragioni riguardo al battesimo:“Mi limito a richiamare quale sia il motivo per cui proporre il Battesimo dei bambini e a suggerire l’avvio di un itinerario di tipo catecumenale. Ho scritto volutamente ‘proporre’ perché oggi non basta attendere la richiesta del Battesimo da parte dei genitori, ma occorre avere il coraggio di proporlo a chi è diventato papà o mamma. Una proposta che spetta non tanto ai sacerdoti, ma a chi, credente, è in relazione sincera e cordiale con i genitori: i nonni, gli amici, i vicini di casa, i colleghi di lavoro”.
Ecco il motivo per cui il battesimo è una proposta di speranza: “La prima è stata già citata: l’esistenza o la creazione di una relazione vera e umanamente empatica con i genitori. Non si può proporre per così dire ‘a freddo’ il Battesimo di un bimbo o di una bimba da poco venuto o venuta al mondo. All’interno di una relazione calda e accogliente, si può trovare il momento giusto per parlare del Battesimo e magari per favorire il contatto con il parroco e la comunità parrocchiale.
Ma ciò esige una seconda condizione: che si sia convinti che l’essere cristiani è un tesoro prezioso che non si può tenere per sé. La terza condizione è quella di saper motivare l’importanza del Battesimo. Anche sapendo rispondere alle solite obiezioni: non c’è tempo, è difficile trovare il padrino o la madrina, la festa costa troppo, è meglio che scelga lui o lei da grande… Ma soprattutto proponendo il Battesimo come segno di speranza per il bambino o la bambina: che cosa c’è di meglio per il suo futuro che essere figlio/figlia di Dio, essere per tutta la vita nelle mani di un Padre buono”.
Ed infine uno sguardo al 2025: “Nel 2025 Nova Gorica e Gorizia saranno insieme ‘capitale europea della cultura’. Un fatto particolarmente significativo perché la prima volta si avrà una capitale europea della cultura a cavallo di un confine. Un confine particolare: tracciato un po’ a caso dopo la Seconda guerra mondiale, in un territorio gravemente ferito da due guerre mondiali, in una regione che da secoli vede la compresenza di più culture e di più lingue. Si tratta di qualcosa di straordinario che interpella la nostra comunità diocesana e non solo le comunità cristiane di Gorizia e Nova Gorica. A noi tocca in particolare richiamare alcuni valori e proporre alcune iniziative rivolte a chi abita a Gorizia e dintorni e anche a chi passerà da noi il prossimo anno, magari facendo sosta a Gorizia nel suo cammino verso Roma in occasione del Giubileo”.
Un’Europa che ha bisogno di valori: “Tra i valori da proporre ci sono anzitutto quelli che stanno o dovrebbero stare alla base dell’Europa. In questo senso, già alcuni anni fa, ho proposto di capovolgere i termini e chiamare Nova Gorica e Gorizia ‘capitale della cultura europea’. I valori sono quelli della libertà, della pace, della riconciliazione, del dialogo, della dignità delle persone e così via. Insomma, i valori che soli possono dare una prospettiva di speranza all’Europa. Valori che sono costati sangue e sono maturati in Europa dopo grandi tragedie che il nostro territorio ha vissuto in prima persona.
Nel nostro piccolo, con le poche risorse che abbiamo, cercheremo di riproporre questi valori in particolare ai giovani, ma anche a tutti coloro che verranno qui da noi, in particolare con alcuni incontri, alcune pubblicazioni, alcune mostre, ma soprattutto con la proposta di ‘cammini’ e di incontri significativi. Non mancheranno anche alcune specifiche iniziative di carattere religioso”.
Ed ha concluso la lettera con un richiamo al ‘Portico del mistero della seconda virtù’ di Charles Péguy: “La speranza, quella piccola ma fondamentale virtù cristiana, sarà allora la nostra guida durante quest’anno. Se è riposta in Dio, non saremo certo delusi”.
(Foto: Arcidiocesi di Gorizia)
Per non dimenticare il naufragio di Lampedusa

Dal 2014, i morti e dispersi nel Mediterraneo sono stati in media circa 8 al giorno, pari a oltre 30.300 (secondo i dati di ‘Mediterranean/Missing Migrants Project’), molti dei quali bambini, bambine e adolescenti. In un contesto mondiale sempre più incerto, caratterizzato da guerre, persecuzioni, violenze, povertà estrema, crisi umanitarie, chi fugge per raggiungere un futuro possibile in Europa continua a rischiare la propria vita e quella dei propri figli, in mancanza di vie legali e sicure.
E per l’ong Save the Children, che ricorda oggi il naufragio avvenuto al largo di Lampedusa nel 2013, non è cambiato nulla: “Undici anni dopo il drammatico naufragio del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa, in cui morirono 368 persone, purtroppo poche cose sono cambiate. In questi anni si sono susseguite le notizie di imbarcazioni affondate e di persone annegate, tra le quali troppo spesso vi erano bambini e bambine”.
Per scongiurare il ripetersi di tali tragedie, l’Organizzazione non Governativa continua a chiedere l’apertura di canali regolari e sicuri per raggiungere l’Europa e un’assunzione di responsabilità condivisa dell’Italia, degli altri Stati membri dell’Unione Europea e delle istituzioni europee affinché attivino un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare le persone in pericolo, agendo nel rispetto dei principi internazionali e dando prova di quella solidarietà che è valore fondante dell’Unione Europea:
“Con guerre e conflitti che avanzano in maniera estremamente rapida, quella a cui assistiamo con profondo rammarico è una mancanza di impegno nei confronti dei trattati internazionali e del sistema globale di protezione dei rifugiati, richiedenti asilo da parte delle istituzioni europee e degli Stati Membri. L’approccio securitario e l’irrigidimento dei confini non fanno che rendere le condizioni di bambini e adolescenti, e tra loro dei minori stranieri non accompagnati, più precarie e pericolose”.
Infatti nella scorsa primavera il Parlamento ed il Consiglio europeo hanno approvato il pacchetto di riforme del Patto europeo Asilo e Migrazione, norme che minano il diritto di asilo di minori e famiglie, come ha dichiarato Antonella Inverno, responsabile ‘Ricerca, Analisi e Formazione’ di Save the Children: “L’Unione e gli Stati membri dovrebbero ora concentrarsi sulla sua attuazione con un approccio incentrato sul rispetto dei diritti umani e dei diritti dei minori. Al contrario assistiamo alla stipula di accordi, come quello con l’Albania, che mettono le persone a rischio di detenzione prolungata e automatica, di mancato accesso a procedure di asilo eque e di ritardato sbarco. Le frontiere interne ed esterne dell’Unione Europea sono diventate luoghi di transito pericolosi, dove violenze, soprusi e violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, così come accade sulle rotte che conducono in Europa”.
Quindi i dati: in quest’anno sono giunte in Italia via mare 48.646 persone rifugiate e migranti, di cui 5.542 minori stranieri non accompagnati; e nel sistema di accoglienza italiano al 31 agosto 2024 risultano presenti 20.039 minori stranieri non accompagnati-Msna, in calo rispetto al 31 agosto 2023, quando ce n’erano 22.599, ma in aumento rispetto allo stesso periodo di rilevazione del 2022 (17.668), secondo il secondo il ‘Cruscotto’ del Ministero dell’Interno aggiornato al 28 settembre.
Così nell’isola è stato realizzato, all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola, in accordo con il Dipartimento ‘Libertà Civili’ del Ministero dell’Interno e la Prefettura di Agrigento, uno Spazio Sicuro a misura di minori, giovani donne e madri gestito da Save the Children, in partnership con Unicef e in collaborazione con Unhcr e con ‘D.i.Re’, nell’ambito del progetto Leaving Violence. Le attività sono realizzate in cooperazione con la Croce Rossa Italiana, ente gestore dell’hotspot.
Anche il ‘Safe Space’ è uno spazio a misura di minori, adolescenti e donne, volto a fornire supporto anche psicosociale a persone in situazioni di vulnerabilità. Rappresenta un luogo sicuro dove bambini e bambine possono giocare, partecipare alle attività, conoscere i loro diritti, interagire, socializzare, esprimere le loro opinioni, ma anche un luogo focalizzato sul supporto al ruolo genitoriale, sull’identificazione dei minori vulnerabili e delle famiglie che hanno bisogno di ulteriore sostegno.
Papa Francesco in Belgio: una vergogna gli abusi della Chiesa

In Belgio papa Francesco è stato accolto dai reali e dalle autorità civili, non dimenticando il dramma degli ‘abusi’ elogiando la centralità del Paese nella storia europea: “Quando si pensa a questo Paese, si evoca contemporaneamente qualcosa di piccolo e di grande, un Paese occidentale e al tempo stesso centrale, come se fosse il cuore pulsante di un gigantesco organismo”.
Ed ha definito il Belgio un ‘ponte’ per l’Europa: “Per il fatto di essere sulla linea di faglia tra mondo germanico e mondo latino, confinante con Francia e Germania, che più avevano incarnato le antitesi nazionalistiche alla base del conflitto, esso apparve come luogo ideale, quasi una sintesi dell’Europa, da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale”.
Un ‘ponte’ indispensabile per la pace: “Si direbbe che il Belgio sia un ponte: tra il continente e le isole britanniche, tra l’area di matrice germanica e quella francofona, tra il sud e il nord dell’Europa. Un ponte, per permettere alla concordia di espandersi e di far indietreggiare le controversie. Un ponte dove ciascuno, con la sua lingua, la sua mentalità e le sue convinzioni, incontra l’altro e sceglie la parola, il dialogo, la condivisione come mezzi per relazionarsi.
Un luogo dove si impara a fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale da cui partire e a cui ritornare, dove promuovere validi interscambi e cercare insieme nuovi equilibri, costruire nuove sintesi. Il Belgio è un ponte che favorisce i commerci, mette in comunicazione e fa dialogare le civiltà. Un ponte dunque indispensabile per costruire la pace e ripudiare la guerra”.
Ed ha spiegato il motivo per cui il Belgio è necessario per l’Europa: “L’Europa ha bisogno del Belgio per portare avanti il cammino di pace e di fraternità tra i popoli che la compongono. Questo Paese ricorda a tutti gli altri che, quando (sulla base delle più varie e insostenibili scuse) si comincia a non rispettare più confini e trattati e si lascia alle armi il diritto di creare il diritto, sovvertendo quello vigente, si scoperchia il vaso di Pandora e tutti i venti incominciano a soffiare violenti, squassando la casa e minacciando di distruggerla. In questo momento storico credo che il Belgio ha un ruolo molto importante. Siamo vicini a una guerra quasi mondiale”.
Ed ha sottolineato che la pace è una missione: “La concordia e la pace, infatti, non sono una conquista che si ottiene una volta per tutte, bensì un compito e una missione – la concordia e la pace sono un compito e una missione -, una missione incessante da coltivare, da curare con tenacia e pazienza. L’essere umano, infatti, quando smette di fare memoria del passato e di lasciarsene istruire, possiede la sconcertante capacità di tornare a cadere anche dopo che si era finalmente rialzato, dimenticando le sofferenze e i costi spaventosi pagati dalle generazioni precedenti. In questo la memoria non funziona, è curioso, sono altre forze, sia nella società sia nelle persone, che ci fanno cadere sempre nelle stesse cose”.
Per questo è necessaria la memoria: “In questo senso il Belgio è quanto mai prezioso per la memoria del continente europeo. Essa infatti mette a disposizione argomenti inoppugnabili per sviluppare un’azione culturale, sociale e politica costante e tempestiva, coraggiosa e insieme prudente, che escluda un futuro in cui nuovamente l’idea e la prassi della guerra diventino un’opzione percorribile, con conseguenze catastrofiche”.
Ed in questa ‘memoria’ storica si inserisce la Chiesa: “La Chiesa Cattolica vuole essere una presenza che, testimoniando la propria fede in Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni una speranza antica e sempre nuova; una presenza che aiuta tutti ad affrontare le sfide e le prove, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, ma con la certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di bene e non è destinato alla dissoluzione e al nulla”.
Ed ha ricordato che la Chiesa è ‘santa e peccatrice’: “In questa perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra vive la Chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze. Penso alle drammatiche vicende degli abusi sui minori (alle quali si sono riferiti il Re e il Primo Ministro), una piaga che la Chiesa sta affrontando con decisione e fermezza, ascoltando e accompagnando le persone ferite e attuando in tutto il mondo un capillare programma di prevenzione”.
Ed a proposito di abusi il papa ha detto che essi sono una vergogna: “Fratelli e sorelle, questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi sui minori. Noi pensiamo al tempo dei santi Innocenti… ma oggi nella Chiesa c’è questo crimine; la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana. E mettere tutte le condizioni perché questo non succeda più.. Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo; gli altri chiedano perdono per la loro parte. Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione”.
Un altro scandalo sottolineato è stato quello delle ‘adozioni forzate’: “Sono stato rattristato da un altro fenomeno: le ‘adozioni forzate’, avvenute anche qui in Belgio tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso… Spesso la famiglia e altri attori sociali, compresa la Chiesa, hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest’ultimo venisse adottato. Ci furono persino casi nei quali ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione. E questo succede oggi in alcune culture, in qualche Paese”.
Concludendo il discorso papa Francesco si è soffermato a riflettere sul motto del viaggio, ‘In cammino, con speranza’: “Mi fa riflettere il fatto che Espérance sia scritto con la maiuscola: mi dice che la speranza non è una cosa, che durante il cammino si porta nello zaino; no, la speranza è un dono di Dio, forse è la virtù più umile (diceva lo scrittore) ma è quella che non fallisce mai, non delude mai. La speranza è un dono di Dio e si porta nel cuore! Ed allora voglio lasciare questo augurio a voi e a tutti gli uomini e le donne che vivono in Belgio: possiate sempre chiedere e accogliere questo dono dallo Spirito Santo, la speranza, per camminare insieme con Speranza nella strada della vita e della storia”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco in Lussemburgo chiede impegno per l’Europa

“A motivo della sua particolare posizione geografica, sul confine di differenti aree linguistiche e culturali, il Lussemburgo si è trovato spesso ad essere al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee; per ben due volte, nella prima metà del secolo scorso, ha dovuto subire l’invasione e la privazione della libertà e dell’indipendenza”: papa Francesco questa mattina è stato ricevuto dai reali di Lussemburgo nel viaggio apostolico, che fino a domenica 29 settembre lo condurrà anche in Belgio.
Nel discorso alle autorità del Paese, dove il pil pro capite è il più alto nel mondo, nel cuore dell’Europa il papa ha evidenziato l’impegno per ‘costruire’ l’Europa: “Ammaestrato dalla sua storia (la storia è maestra della vita), a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il vostro Paese si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose. Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia”.
Ha anche evidenziato l’essenzialità della democrazia: “A sua volta, la solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale. In effetti, non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario.
Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione. Il Lussemburgo è un Paese dalle porte aperte, una bella testimonianza di non discriminazione e non esclusione”.
Ricordando il viaggio apostolico compiuto nel 1985 da san Giovanni Paolo II ha rimarcato l’importanza della Dottrina Sociale della Chiesa: “La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo. Anch’io mi sono inserito nella scia di questo magistero approfondendo due grandi tematiche: la cura del creato e la fraternità. Lo sviluppo, infatti, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali: tutti, tutti fratelli”.
Quindi proprio in questo Paese il papa ha ribadito la necessità di aiutare i Paesi più poveri: “La ricchezza (non dimentichiamolo) è una responsabilità. Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le Nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento. Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose.
Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati. E voi siete un modello di questo”.
Inoltre ha sottolineato l’inconsistenza dell’Europa, che ancora una volta è in guerra: “Purtroppo, si deve constatare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte. Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra. Siamo smemorati in questo”.
Per il papa la guerra è causa di una dimenticanza dell’umanità: “Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le Nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali. Saranno questi valori a impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale. Il Lussemburgo è proprio al centro della capacità di fare l’amicizia ed evitare queste strade. Io direi: è una delle vostre vocazioni”.
E proprio questo Paese può mostrare l’utilità della pace: “Il Lussemburgo può mostrare a tutti i vantaggi della pace rispetto agli orrori della guerra, dell’integrazione e promozione dei migranti rispetto alla loro segregazione (e su questo vi do tante grazie: quello spirito di accoglienza dei migranti e anche dare loro un inserimento nella vostra società, questo arricchisce), i benefici della cooperazione tra le Nazioni a fronte delle nefaste conseguenze dell’indurimento delle posizioni e del perseguimento egoistico e miope o addirittura violento dei propri interessi”.
Il discorso del papa è terminato con un appello all’aumento demografico: “E mi permetto di aggiungere una cosa. Ho visto la percentuale delle nascite: per favore, più bambini, più bambini! È il futuro. Non dico più bambini e meno cagnolini (questo lo dico in Italia), ma più bambini!
Vi è infatti un impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace”.
Questo è il significato del motto di questa visita: “Per servire: con questo motto sono venuto tra voi. Esso si riferisce direttamente ed eminentemente alla missione della Chiesa, che Cristo, Signore fattosi servo, ha inviato nel mondo come il Padre aveva inviato Lui. Ma permettetemi di ricordarvi che questo, il servire, è anche per ognuno di voi l’alto titolo di nobiltà.
Il servizio è per voi anche il compito principale, lo stile da assumere ogni giorno. Il buon Dio vi conceda di farlo sempre con animo lieto e generoso. E coloro che non hanno fede lavorino per i fratelli, lavorino per la patria, lavorino per la società. Questa è una strada per tutti, sempre per il bene comune!”
(Foto: Santa Sede)
La Comunità di Sant’Egidio invita tutti a Parigi ad ‘imaginer la paix’

Fino a martedì 24 settembre la Comunità di Sant’Egidio invita i leaders delle religioni ed i rappresentanti degli Stati a Parigi per partecipare all’Incontro internazionale ‘Imaginer la Paix – Imagine Peace’: “In un momento di grave crisi mondiale, per i tanti conflitti in corso, come in Ucraina ed a Gaza, e il rischio di un loro allargamento a livello globale, la Comunità di Sant’Egidio promuove, insieme all’arcidiocesi di Parigi, l’Incontro internazionale ‘Imaginer la Paix – Imagine Peace’. Per tre giorni dall’Europa e da altri continenti, si darà appuntamento nella capitale francese un ‘popolo della pace’ di diverse generazioni, con l’obiettivo di confrontarsi e di far sentire la propria voce, quella di chi non si rassegna di fronte alle troppe vittime innocenti, alle migliaia di sfollati e alle devastazioni provocate dalla guerra”.
Partendo da questo invito della Comunità di Sant’Egidio e della diocesi di Parigi a partecipare all’incontro internazionale per la pace, che si svolgerà a Parigi, chiediamo allo storico Roberto Morozzo della Rocca, docente di storia contemporanea all’Università ‘Roma Tre’, se è ancora possibile immaginare la pace: “Certamente la pace non è solo immaginabile ma anche indispensabile per poter vivere. Oggi chi vuole la pace viene deriso da politici e opinionisti come ingenuo se non addirittura come complice di asseriti nemici. Al contrario, il pacifismo è profondamente realista perché si basa sulla conoscenza della guerra, fenomeno orribile e disumano”.
In un mondo in guerra è possibile continuare la strada del dialogo?
“Vi sono poteri forti che non vogliono il dialogo ma solo lo schiacciamento dei loro presunti competitori e nemici. Tuttavia il dialogo esiste, continua e non ha alternative se non la distruzione bellica. I due principali scenari di guerra attuali, Ucraina-Russia e Israele-Palestina, sembrano animati da contendenti disposti a combattere fino all’ultimo sangue, quasi preferiscano l’annientamento a qualsiasi compromesso. Concepiscono soltanto la sconfitta dell’avversario. Ed hanno alleati esterni che la pensano come loro e su questo hanno per così dire messo in gioco la loro faccia e il loro prestigio. Apparentemente non esistono soluzioni strategiche. Ma il dialogo può fare miracoli in quanto si sottrae all’orgoglio dei politici e alla dogmatica dei propagandisti, si rivolge ad esseri umani con le loro fragilità e i loro dubbi e si svolge faccia a faccia”.
L’Europa ha ancora un ruolo nella ‘costruzione’ della pace?
“Potrebbe averlo facilmente se solo avesse una classe dirigente di livello, capace magari di ricordare lutti e rovine della seconda guerra mondiale, da cui ha preso le mosse lo stesso progetto di integrazione europea. Oggi la classe dirigente europea appare molto modesta, esprime istintivi protagonismi soggettivi, inconfessati risentimenti nazionalisti, frenesie belliciste che mascherano povertà di visione e mancanza di responsabilità. Rimpiango Angela Merkel e altri prima di lei, capaci in varia misura di diplomazia, ascolto, magnanimità, comprensione delle ragioni altrui, senza manicheismi”.
Quale ruolo hanno le fedi per coltivare la pace?
“Le comunità religiose e i loro esponenti sono fondamentali per custodire la pace che sta al cuore dei loro libri sacri o per meglio dire della rivelazione divina variamente manifestata, a cui si rifanno. Beninteso questo vale se non subiscono il traino e il fascino delle culture secolari quali che siano, culture che oggi tendono a esaltare l’aggressività, l’insulto, le armi. Non è facile per gli uomini di religione smarcarsi dalla cultura circostante, dalla pressione del mainstream, dallo Zeitgeist”.
Nel 1986 papa san Giovanni Paolo II sottolineava la necessità di pregare per la pace: in un mondo in guerra quale valore ha la preghiera?
“Enorme. Noi pensiamo istintivamente di essere i protagonisti della storia, di plasmarla, di finalizzarla. Siamo prometeici. Ma le Scritture ci fanno capire ad ogni pagina che la terra è di Dio e che il Signore determina la storia. Noi non siamo soli con noi stessi, preda delle nostre passioni, e sappiamo, per averlo sperimentato almeno qualche volta nella vita, che solo il timore di Dio può darci pace. Chi prega crea pace, e Dio ne ascolta la preghiera tanto più se insistente”.
Dopo 38 anni di incontri lo ‘spirito’ di Assisi è ancora vivo?
“Il dialogo interreligioso ha compiuto progressi enormi in questi decenni. Parliamo di un dialogo quasi inesistente in passato che oggi è praticato da tanti. Lo spirito di Assisi è spirito di pace, quella pace disprezzata dai vertici politici delle potenze ma agognata dai popoli. Difficile trovare qualcosa di più corrispondente ai desideri della stragrande maggioranza dell’umanità”.
Monsignor Pighin: il cardinale Costantini antesignano del dialogo tra Santa Sede e Cina

“Di fronte specialmente ai Cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee”: così, nei suoi memoriali, il card. Celso Costantini ricordava un tratto qualificante della sua missione di primo delegato apostolico in Cina dal 1922 al 1933.
Negli ultimi decenni la memoria di questa figura geniale e profetica della Chiesa cattolica del secolo scorso è stata valorizzata da mons. Bruno Fabio Pighin, professore ordinario nella Facoltà di Diritto Canonico S. Pio X di Venezia e delegato episcopale per la causa di canonizzazione del cardinale. Ed un volume curato dal prof. Pighin, intitolato ‘Il Cardinale Celso Costantini e la Cina. Costruttore di un ‘ponte’ tra Oriente e Occidente’, esplora aspetti poco conosciuti del cardinale friulano.
Il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, nella prefazione al volume, aggiunge dettagli preziosi: “Quel percorso ha tracciato una direzione, sulla quale la Chiesa prosegue tutt’oggi, come avvenuto con l’Accordo provvisorio tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese riconfermato nel 2022. Tale Accordo, già auspicato da papa Benedetto nel 2007 e firmato sotto il pontificato di papa Francesco nel 2018, riguarda la nomina dei vescovi in Cina, in continuità ideale coi sei primi Vescovi cinesi, consacrati a Roma da Pio XI e dallo stesso Costantini nel 1926”.
Da mons. Pighin ci facciamo spiegare da dove nasce l’idea di pubblicare quest’opera: “L’iniziativa è stata voluta dall’associazione ‘Amici del Cardinale Celso Costantini’, promotrice dell’esposizione permanente dedicata a ‘Celso Costantini e la Cina’, inaugurata nel 2023 nel Museo diocesano di arte sacra di Pordenone, che intende custodire, valorizzare e rendere fruibili, anche per i posteri, i tesori culturali inestimabili legati all’insigne porporato pordenonese, molti dei quali provenienti dalla terra di Confucio”.
Quali sono i contenuti di questa pubblicazione?
“Il testo presenta un originale mosaico letterario, nel quale si evidenziano tre polarità che interagiscono tra loro. Anzitutto emerge la figura geniale di Celso Costantini, oggi riscoperta nei suoi vari profili di vescovo e poi cardinale, di scrittore, scultore, protagonista nell’arte sacra del secolo scorso, di diplomatico e di artefice di carità e di pace. Il secondo filone, intrecciato con il primo, illustra le gesta da lui compiute in Cina, dove rifondò la comunità cattolica con propri vescovi, valorizzò la grande civiltà cinese nella liturgia e nell’arte cristiana e sviluppò il dialogo con le autorità del più grande Stato dell’Asia. La terza dimensione attraversa l’intera pubblicazione con 150 fotografie di valore storico-artistico. In esse viene documentato il patrimonio culturale da lui lasciato e ora esposto permanentemente nel Museo diocesano di Pordenone”.
Per quale motivo il card. Celso Costantini è stato un costruttore di ‘ponte’ tra Oriente ed Occidente?
“Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina, ha creato una svolta ai rapporti della Chiesa cattolica con la terra di Confucio e poi, da segretario di Propaganda Fide, più in generale con l’Estremo Oriente. Ha inaugurato la ‘decolonizzazione’ religiosa trattando la Cina con tutta la dignità che meritava, su un piano di uguaglianza, riconoscendone la sua grande cultura e civiltà con la quale si mise in dialogo. Il suo impegno potrebbe essere definito oggi di carattere ‘transculturale’, nella consapevolezza che il Vangelo si ‘coniuga’ con ogni cultura e funge da veicolo anche per i rapporti socio-culturali a livello mondiale”.
Quale contributo offrì il card. Costantini al Concilio sinense?
“Il Primo Concilio Cinese tenutosi a Shanghai nel 1924 sarebbe stato semplicemente impensabile senza l’opera svolta per esso dal card. Celso Costantini. Anzitutto egli fece compiere una svolta di 180 gradi alla preparazione dell’assise, ponendo le basi della futura opera di evangelizzazione in Cina, mentre in precedenza l’impegno mirava a comporre un compendio delle disposizioni emanate negli ultimi tre secoli. Nella fase della celebrazione conciliare egli fu il grande protagonista nel condurlo a buon fine. Gli atti prodotti sono splendidi, grandiosi e originali nella loro forma e nel loro contenuto, considerati ovviamente nel loro contesto di un secolo fa. Infine il card. Costantini fu l’artefice principale della loro pronta attuazione, prima ancora che i decreti conciliari fossero revisionati dalla Santa Sede e poi pubblicati nel 1929”.
Per il card. Costantini cosa significava ‘evangelizzare’?
“Per il card. Celso Costantini ‘evangelizzare’ voleva dire l’opposto di ‘conquistare’, perché significava far risuonare la bellissima notizia portata da Gesù Cristo all’umanità. Il punto centrale stava nel favorire una relazione diretta delle persone con il Risorto, al fine di sperimentare il suo amore salvifico per ogni essere umano, chiamato alla dignità di diventare figlio di Dio”.
Il dialogo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese ha portato all’accordo per la nomina dei vescovi cinesi: si può dire che il card. Costantini fu antesignano di questo dialogo?
“Il card. Celso Costantini fu più di un ‘antesignano’ di questo dialogo. Infatti, i rapporti tra la Repubblica Cinese e la Santa Sede non sono iniziati oggi, ma si collocano in un tracciato storico. Le piene relazioni diplomatiche tra lo Stato più grande dell’Asia e la Sede Apostolica, stabilite nel 1946, ebbero nel card. Costantini il principale protagonista. Esse furono poi congelate con l’avvento della rivoluzione maoista. Oggi si sta verificando un disgelo fra i due soggetti di diritto internazionale, il quale impone di affrontare problemi simili a quelli risolti con l’apporto determinante del card. Costantini. Si noti poi che l’accordo in vigore tra le due parti sovrane sulla nomina dei vescovi cinesi riguarda i presuli con i successori di quelli portati alla dignità episcopale dallo stesso card. Costantini”.
Cosa è stato il ‘metodo’ Costantini?
“Alcuni storici contemporanei hanno individuato nell’opera di Celso Costantini un metodo nuovo e originale a livello politico e diplomatico della Santa Sede. Detto metodo si basa sull’opportunità di muoversi verso una metà ben chiara tramite percorsi parziali ma sanificativi, ampliando gradualmente le aree condivise e utilizzando canali di dialogo non solo diplomatici, ma anche sociali e culturali. Questo è congeniale alla Santa Sede perché, a differenza degli altri soggetti di diritto internazionale territorialmente delimitati, essa gode di dimensioni planetarie nel governo della Chiesa cattolica che è universale”.
(Tratto da Aci Stampa)
Meeting 2024, la pace anche in Terra Santa passa attraverso la famiglia ed il perdono

All’udienza generale di mercoledì 27 marzo papa Francesco aveva ricordato la storia di Bassam Aramin e Rami Elhanan, uno israeliano ed uno arabo, a cui, anni fa, sono state uccise le figlie di 10 anni (Abir nel 2007) e di 13 anni (Smadar nel 1997); però dopo questa tragedia si sono uniti e portano avanti un percorso di riconciliazione nell’associazione ‘Parents Circle Families Forum’, organizzazione ‘di base’ di famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso i propri familiari a causa del conflitto in Terra Santa e che sono animati dal desiderio di una pace duratura. La loro storia è raccontata interamente nel libro pluripremiato dello scrittore irlandese Colum McCann, dal titolo ‘Apeirogon’, che prende il nome da un poligono dal numero infinito di lati.
Nel video proiettato al Meeting dell’Amicizia tra i popoli, in corso a Rimini, papa Francesco aveva esortato i fedeli a riflettere sulla storia di questi due papà e a guardarla come faro in questi tempi feriti della storia, esprimendo al contempo la sua personale gratitudine: “Loro non guardano all’inimicizia della guerra, ma l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione”. Terminato il video i protagonisti dell’incontro ‘Una speranza per tutti’ l’applauso delle 10.000 persone è scattato spontaneo per Rami Elhanan, israeliano, padre di Smadar, per Bassam Aramin, palestinese, padre di Abir, e per Colum McCann, autore del romanzo ‘Apeirogon’, che narra la storia dei due padri.
Smadar Elhanan (1983-1997), figlia tredicenne di Rami, fu vittima di un attacco terroristico suicida palestinese in un locale di Ben Jeuda Street, nel centro di Gerusalemme, dove rimasero uccise altre 7 persone e venti rimasero ferite: “Mia figlia era piena di gioia ed energia, nuotava, ballava e suonava il piano e tutti la chiamavano principessa”.
La figlia di Bassam, Abir Aramin (1997-2007), fu colpita alla nuca all’uscita di scuola da un proiettile di gomma, sparato non incidentalmente da una pattuglia di soldati israeliani. Morì il 16 gennaio nello stesso ospedale dove era nata (e dove tredici anni prima era nata Smadar), assistita fino all’ultimo da una equipe di disperati medici. Bassan e la famiglia vivevano ad Anata: una città palestinese nella Cisgiordania sotto l’occupazione israeliana e rinchiuso nella prigione di Hebron per 7 anni. Una volta uscito dalla prigione era stato tra i fondatori del movimento ‘Combattenti per la pace’. Incontrò per la prima volta l’israeliano Rami telefonandogli perché aveva bisogno di unirsi ai genitori di ‘Parents Circle’, di cui Rami faceva parte.
Il ‘Parents Circle-Families Forum’ (PCFF) è un’organizzazione no-profit di famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso i propri familiari a causa del conflitto, fondato nel 1995 dall’israeliano Yitzhak Frankenthal, dopo che, nel luglio 1994, suo figlio diciannovenne Arik, mentre era soldato, venne rapito e ammazzato da militanti di Hamas. Il PCFF, con due uffici (uno in Israele e uno a Beit Jala) opera secondo il principio che un processo di riconciliazione è un prerequisito per raggiungere una pace duratura.
Rami Elhanan ha raccontato la sua storia, affermando che era vittima dell’educazione israeliana, ma quando conobbe Aramin si accorse che anche i palestinesi erano esseri umani ed è possibile vivere civilmente attraverso il dialogo ed in ogni goccia di sangue versato pulsa il mondo: “Se odi il tuo nemico non fai altro che uccidere te stesso. Quando lo scopri il tuo nemico diventa come te ed è è il primo passo per cercare di capire chi è il tuo nemico e cerchi sempre un modo più efficace per conoscerlo. Quando capisci e credi che alla fine devi sederti e parlare insieme mi sono chiesto il motivo per cui devo aspettare ed ho detto che era ora di sedersi e di parlare adesso insieme prima di continuare ad ucciderci”.
Mentre Bassam Aramin ha sottolineato che non è facile essere palestinese ed ha auspicato la fine dell’occupazione della Cisgiordania: “Non è facile essere palestinese. Non è facile scoprirci e conoscerci. Siamo esseri umani, cioè qualche volta ci si nasconde agli altri, ma conoscendo l’altro si vede qualcosa di molto diverso. Ho conosciuto l’altra parte, quando ho visto un film sull’Olocausto. Ero in prigione e, guardando quel film, volevo divertirmi, perché per me era una sorta di vendetta, perché volevo vedere gli altri torturati od uccisi. Eppoi ho iniziato a piangere, perché erano uccisi milioni di persone innocenti. Per me era una cosa troppo grande, perché non mi aspettavo di vedere queste atrocità. Dopo 25 anni questo film mi ha spinto a conseguire una laurea con il tema sull’Olocausto”.
Invece l’autore Colum Mc Cann ha sottolineato ch la narrazione di storie salva il mondo, in quanto il cambiamento è possibile solo se ci crede: in questo modo la luce riesce a sconfiggere il buio: “Il tempo passato in Irlanda del Nord, tra Dublino e Derry, dove sono nato e cresciuto, è stato cruciale per me. Il processo di pace irlandese mi ha fornito una comprensione più profonda delle dinamiche in Medio Oriente. Questi incontri hanno il potenziale per riformulare le strategie di pace esistenti e creare opportunità per una risoluzione duratura”.
Al termine dell’incontro è stato ‘tributato’ un lungo applauso alle madri, ricordando il loro dolore nel vedere morire i propri figli, con l’invito ai presenti a non restare in silenzio attraverso un proverbio: “Se si parla si muore; se si rimane in silenzio si muore. Parla e muori”. Proprio per questo la Fondazione del Meeting per l’Amicizia tra i popoli ha deciso, su richiesta del card. Pizzaballa, una parte delle offerte per sostenere l’organizzazione degli eventi riminesi alle necessità della Terra Santa.
Ma c’è un’altra storia raccontata nei giorni precedenti da Mishy Harman, fondatore, direttore e voce di Israel Story, il podcast più famoso d’Israele, e da Federica Sasso, giornalista, operatrice Rossing Center for Education and Dialogue; lui ebreo e lei cattolica; entrambi marito e moglie, che hanno raccontato la loro vita familiare e lavorativa a Gerusalemme dopo gli eventi del 7 ottobre scorso: “Fondamentale è continuare a parlarsi ed ad ascoltarsi, cercando di sentire la sofferenza dell’altro”.
Però il Meeting dell’Amicizia tra i popoli non ha dimenticato la guerra in Ucraina con un collegamento da Kiev con il Nunzio apostolico a Kiev, mons. Visvaldas Kulbokas, durante l’incontro ‘Se vuoi la pace, prepara la pace’: “Sostenere la società civile in Ucraina, rafforzarla. E poi spiegare cosa è pace. Di fronte alle emergenze le istituzioni hanno capacità limitate, ma le persone sono più in grado di reagire in modo adeguato, rispetto alle istituzioni. Le persone non rimangono intrappolate nelle procedure, nelle regole”, a cui hanno partecipato Oleksandra Matvijcuk, avvocata ucraina e premio Nobel per la Pace 2022, Angelo Moretti, portavoce del Movimento europeo di azione nonviolenta-Mean (nella foto di apertura), Lali Liparteliani ed Anastasia Zolotova, direttrici della Ong ucraina ‘Emmaus’.
Lali Liparteliani ha condiviso la sua esperienza personale di fuga dalla guerra con i suoi figli, descrivendo il dolore e la perdita che accompagnano la condizione di profughi: “L’esperienza di essere profughi è un dolore costante, un allontanamento da tutto ciò che si conosce e si ama”.
(Tratto da Aci Stampa)