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Michele Zanzucchi: alto il rischio di conflitto in Medio Oriente

“Seguo con grandissima preoccupazione quanto sta accadendo in Medio Oriente, e auspico che il conflitto, già terribilmente sanguinoso e violento, non si estenda ancora di più. Prego per tutte le vittime, in particolare per i bambini innocenti, ed esprimo vicinanza alla comunità drusa in Terra Santa e alle popolazioni in Palestina, Israele, e Libano… Gli attacchi, anche quelli mirati, e le uccisioni non possono mai essere una soluzione. Non aiutano a percorrere il cammino della giustizia, il cammino della pace, ma generano ancora più odio e vendetta. Basta, fratelli e sorelle! Basta! Non soffocate la parola del Dio della Pace ma lasciate che essa sia il futuro della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero! La guerra è una sconfitta!”
Partendo dall’appello di domenica scorsa dopo la recita dell’Angelus da parte di papa Francesco per la pace in Medio Oriente dialoghiamo con il prof. Michele Zanzucchi, già direttore della rivista ‘Città Nuova’ e docente di comunicazione all’università ‘Sophia’ di Loppiano ed all’università ‘Gregoriana’ di Roma: “Come rispondere se non che l’instabilità è la nota che da ottant’anni, e forse più, sta occupando i pensieri e le azioni di chi vive in quella regione? Tale instabilità è dovuta a molteplici ragioni, la principale delle quali è la presenza di troppe potenze globali e locali in lotta per questioni di geopolitica, ma anche per il possesso delle risorse di idrocarburi, come di acqua e di minerali preziosi, le tanto citate ‘terre rare’.
L’instabilità è accentuata dalla questione israeliana, che ha avuto origine da una gestione poco illuminata del post-colonialismo, per la cattiva coscienza di chi aveva vinto (o perso) la Seconda guerra mondiale. L’eredità indicibile della Shoah ha impedito quella lucidità che avrebbe forse permesso di evitare un conflitto epocale come quello israelo-palestinese. Il solo tentativo di vera pace nella regione, gli Accordi di Oslo, è stata spazzata via sì dall’assassino del presidente Rabin, ma soprattutto dagli interessi che quella pace aveva osato toccare”.
Quanto è destabilizzante per il mondo il conflitto in Medio Oriente?
“Ovviamente non si può rispondere che lo è in sommo grado. Si può addirittura dire che l’instabilità nel Medio Oriente ha delle conseguenze globali, anche in terre da lì lontanissime. La comunità internazionale, anche per la progressiva e ininterrotta delegittimazione delle istanze internazionali, Onu in testa, e per la progressiva creazione di organismi intermedi (i vari G6, G7, G8 e via dicendo), ha creato destabilizzazione più che trovare soluzioni ai singoli problemi. Anche perché i vari ‘G’ non hanno che la legittimazione della forza, non certo del diritto. Il mondo soffre di questa mancanza di coordinamento internazionale, soprattutto dopo le tragedie della pandemia e delle ultime guerre e per il sorgere di problemi di governance mondiale per via della rivoluzione digitale”.
‘Tornare in Libano suscita inevitabilmente sorpresa. Accompagnato dallo stillicidio degli spacci di agenzia sui lanci di missili da parte di Hezbollah contro Israele e delle reazioni dell’esercito con la stella di Davide, fatte di bombardamenti e lanci di ogni sorta di ordigni, mentre imperversa una invisibile cyberwar, una guerra digitale, un visitatore mal avvertito avrebbe il terrore di finire nel pentolone infernale della tenzone che dal 1948, praticamente ininterrotta, imperversa su quella che era e resta una parte della Terra Santa, ‘terra di latte e di miele’ di biblica memoria’: qualche mese fa lei scrisse così in un articolo per la rivista ‘Città Nuova’ a conclusione di una sua visita in Libano. E se ‘scoppia’ il Libano cosa può succedere?
“Dio ci preservi da una tale sciagura che, oltre a destabilizzare nuovamente il Paese dei cedri, che non ha ancora sanato le ferite della lunga guerra (in)civile, provocherebbe un conflitto realmente globale, perché una guerra tra Israele ed Hezbollah vorrebbe dire aprire un conflitto tra Iran e Israele, e tra i rispettivi alleati. Il rischio attuale di apertura delle ostilità in modo generalizzato (in realtà dal 7 ottobre sono migliaia i colpi di missili, mortai e droni che hanno viaggiato al di sopra delle teste dell’Unifil, la forza di interposizione che dal 2006, per un’intuizione importante di Romano Prodi e del suo amico Massimo Toschi) porterebbe a un aumento delle ostilità in Siria, in Iraq, probabilmente anche nel Kurdistan e chissà ancora dove. Il che ci avvicinerebbe a una guerra mondiale militare generalizzata”.
Ma quale è la visione dell’Occidente per il Medio Oriente?
“Non c’è nessuna visione, questa è la realtà. Si riesce solo a ipotizzare scenari di dominio e non di collaborazione tra popoli e culture. L’Europa è assente, se non con qualche apprezzato intervento pacificatore, a livello locale. Servirebbe una visione che, attualmente, solo le autorità religiose più illuminate, come papa Francesco o il patriarca Bartolomeo riescono ad avere”.
Anche un po’ più lontano dal Medio Oriente, nelle repubbliche del Caucaso il fondamentalismo si sta ‘ravvivando’: stiamo vivendo la terza guerra mondiale?
“Bisogna fare attenzione a non fare amalgama non corrette. Le questioni caucasiche (anzi cis-caucasiche) sono innanzitutto interne alla Confederazione russa, al contrasto esistente da decenni tra movimenti di liberazione nazionale locali musulmane, contrastate dalle autorità del Cremlino e dai loro alleati locali, come Ramzan Kadyrov. Il fondamentalismo islamista (Daesh e simili) ha la sua importanza, ma non credo che le questioni del Daghestan e della Cecenia, così come dell’Inguscezia e dell’Ossezia del Nord, o anche della Cabardino-Balcaria, abbiano una valenza globale. A proposito della Terza guerra mondiale a pezzi, credo che l’espressione fortunata proposta da Bergoglio nel viaggio di ritorno dalla Corea e a Redipuglia non sia più di attualità, perché siamo già in presenza di una guerra mondiale generalizzata; solo che essa si sta svolgendo su livelli diversi, commerciale, industriale (la produzione di armi), di intelligenze, digitale, mediatica… e anche militare”.
‘Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a
un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di paradigma tecnocratico’.Al G7 di giugno scorso papa Francesco ha parlato di un ‘paradigma tecnocratico’: come limitarlo?
“La questione è grave, quando un manipolo di enormi gruppi del digitale hanno assunto una potenza straordinaria, superando i budget di Stati importanti come la Spagna o la Svizzera. Queste imprese cercano di detenere non solo la ricchezza, ma anche le chiavi scientifiche atte a incrementare il loro potere economico. Pensiamo alle ricerche sul DNA, pensiamo all’intelligenza artificiale, pensiamo allo sfruttamento dei cieli. La questione va regolata, ma soprattutto nella governance mondiale bisogna integrare Stati, società civile e settore privato”.
Da Loreto giovani europei sulle orme delle stimmate di san Francesco d’Assisi

Dal 28 luglio al 3 agosto a Loreto si svolgerà il XIV Campo ecumenico dei giovani europei, come ha raccontato don Francesco Pierpaoli, parroco della diocesi di Fano-Fossombrone- Cagli-Pergola, ideatore dei Campi ecumenici dei giovani di Loreto: “Tutto nasce dal desiderio di incontrare Gesù nei propri fratelli e di imparare a chinarsi su quelli più bisognosi. Da qui il segnale che il mondo può cambiare veramente anche davanti all’impossibile, come la guerra che sta dilaniando ormai da più di due anni la nostra Europa”.
Quest’anno questo campo ecumenico sarà l’occasione per riflettere sugli 800 anni a La Verna delle stimmate di san Francesco d’Assisi, con le sollecitazioni di p. Damiano Angelucci, un frate minore cappuccino delle Marche, basandosi sul libro di Antonio Rosmini, ‘Delle cinque piaghe della Santa Chiesa’: la paura, l’attrazione del piacere, la fatica di capirsi con il Signore, l’incomprensione con i fratelli e Sorella Morte.
Al campo parteciperanno luterani dalla Svezia, ortodossi dalla Romania e dall’Ungheria, greco cattolici dall’Ucraina e cattolici dall’Italia: “Avviene come per il soffione che spinto dal vento porta il seme lontano dalla propria terra, magari non ci accorgiamo ma quel seme prima o poi germoglia e fiorisce in maniera inattesa. Quel seme è Gesù e il vento lo Spirito Santo”.
Per quale motivo sono sorti i campi ecumenici dei giovani europei?
“Questa esperienza nasce a Loreto, dove san Giovanni Paolo II nel 1995 convocò i giovani per pregare per la pace nell’ex Yugoslavia, che indicò la città mariana come ‘capitale’ spirituale dei giovani d’Europa e la casa di Maria come la casa del ‘sì’ e quindi la casa in cui vivono in pace uomini e donne. Da quell’esperienza è nata la volontà, partendo dai giovani, di ricomporre l’unità e la comunione, non solo dal punto di vista ecumenico (sono presenti alcune confessioni europee), ma anche da un punto di vista sociale e culturale, perché abbiamo cercato di vivere con i giovani soprattutto la diversità come opportunità. La diversità non è divisione, ma è ricchezza, in quanto quello che non conosco non mi deve mettere paura, ma al contrario devo ascoltarlo. L’idea dei campi ecumenici parte da qui, dove i giovani sono il soggetto di questo cammino di unità, che è la preghiera di Gesù: ‘che tutti siano uno’. Il nome che abbiamo dato al progetto è quello che all’epoca ci indicò il papa: ‘Eurhome’ (‘Europa casa’) che derivava da ‘Eurhope (‘Europa speranza’) con la speranza che l’Europa sia la casa in cui tutti possano vivere in pace”.
‘Da Loreto questa sera abbiamo compiuto un singolare pellegrinaggio dall’Atlantico agli Urali, in ogni angolo del Continente, dovunque si trovano giovani in cerca di una ‘casa comune’. A tutti dico: ecco la vostra Casa, la Casa di Cristo e di Maria, la Casa di Dio e dell’uomo! Giovani dell’Europa in marcia verso il 2000, entrate in questa casa per costruire insieme un mondo diverso, un mondo in cui regni la civiltà dell’amore!’: così diceva nel 1995 san Giovanni Paolo II proprio da Loreto. Tale messaggio è ancora attuale?
“E’ ancora attuale e lo sarà finché esiste l’umanità sulla terra, perché basta poco per riaccendere quella divisione (purtroppo con l’invasione della Russia in Ucraina l’Europa lo sta sperimentando): basta poco affinchè la fraternità lasci lo spazio agli interessi economici. Quindi occorre che i giovani diventino l’oggi di questo mondo nuovo. Ascoltiamoli, perché nel loro cuore c’è questo desiderio profondo di pace e di fraternità”.
Quali percorsi ecumenici si possono aprire?
“Intanto è necessaria un’esperienza ecumenica che parta dal ‘basso’, dall’amicizia. Ma i giovani stanno bene insieme? A Loreto viviamo insieme per una settimana da quasi 15 anni (anglicani, luterani, ortodossi, cattolici), allora perché siamo divisi? E’ chiaro che sorgono le domande, però le strade sono innanzitutto quelle dell’amicizia e della fraternità. Quindi credo che anche i principi teologici e dottrinali possano essere liberati da ‘questioni’ che non hanno niente a cosa fare con il Vangelo, ma sono semplicemente il frutto, purtroppo, di una divisione che abbiamo nel cuore. Il Vangelo e l’Eucarestia non possono dividerci; Gesù lava i piedi a tutti i suoi apostoli; Gesù offre la prima Eucarestia proprio a Giuda. In questo senso dobbiamo vedere come nella fraternità il sentiero dell’ecumenismo si apre davanti a noi. Tutto questo non riguarda solamente le confessioni religiose, ma soprattutto l’accoglienza di culture e modi di vivere diversi, vivendole come arricchimento personale”.
Per preparare quest’appuntamento una delegazione ecumenica nello scorso maggio si è recata nella diocesi greco cattolica di Samir-Drohobich in Ucraina, in cui esiste una comunità capace di prendersi cura delle persone in difficoltà, grazie ai giovani volontari della Caritas per far fronte al gran numero di bisognosi, che può ospitare fino a 2.800 persone gratuitamente: quale è la situazione?
“La situazione è quella di un popolo in guerra, cosa che, essendo nato nel 1961, non ho mai vissuto. Vivere in un clima di guerra è come vivere sapendo che hai un tumore: tutto quello che fai sembra normale, ma ha una malattia. Abbiamo incontrato una popolazione provata, sapendo che un uomo tra 18 e 60 anni può essere chiamato per ‘andare’ in prima linea, sapendo che 200 ucraini al giorno possono morire al fronte. Però davanti a questi segni di morte la comunità cristiana sta avendo una creatività nella cura ai bambini orfani, alle famiglie senza tetto ed ai mutilati: là dove esiste questo ‘peccato’ abbonda questo amore straordinario. Ho vissuto questo in Ucraina. I giovani dell’Ucraina verranno al campo ecumenico e parteciperanno con questa ‘ricchezza’ spirituale. Nello stesso tempo sono grati, perché siamo andati a trovarli e siamo stati con loro. Mi auguro che la pace possa arrivare per questo popolo che ha una fede profonda ed autentica”.
La riflessione del campo sarà incentrata sulle stimmate di san Francesco nella ricorrenza dell’ottavo centenario: cosa sarà proposto ai giovani?
“Quest’anno sono 800 anni che la Chiesa ricorda (26 settembre 1224) il momento in cui san Francesco d’Assisi a La Verna ricevette queste ‘ferite’, che fecero di lui un ‘alter Christi’, una persona che aveva vissuto Gesù sulla terra, in quanto il santo è l’attualizzazione di Gesù sulla terra. Con p. Damiano Angelucci, frate cappuccino delle Marche, abbiamo pensato di prendere queste ‘ferite’ di Gesù e di dire non solo quali sono le ferite, ma anche in quale modo san Francesco le ha curate nella sua vita. P. Damiano nominerà le cinque piaghe: piaga della paura verso il ‘diverso’; piaga della gratificazione personale; piaga della ‘fatica’ di comprendere la Parola di Dio; piaga dell’incomprensione con i fratelli; piaga di ‘sorella’ morte. Davanti ad ogni ferita san Francesco si pone come colui che si prende cura per rimarginare le ferite. Le cicatrici rimangono, però le ferite sono curate e conducono alla vita”.
(Tratto da Aci Stampa)
I vescovi europei tracciano le linee di una Chiesa missionaria

L’Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, dal titolo ‘Pellegrini di speranza. Per una Chiesa Sinodale e missionaria’, si è svolta a Belgrado dal 24 al 27 giugno su invito di mons. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e vice presidente del CCEE. In questa assemblea è stato eletto il nuovo segretario generale del CCEE il Rev. Antonio Ammirati, finora vice segretario generale e portavoce del CCEE, che prende il posto del Rev. Martin Michaliček, segretario generale dal 2018. A don Martin, i vescovi hanno espresso la gratitudine per la disponibilità e per il lavoro fatto in questi anni a servizio delle Chiese che sono in Europa.
Al card. Robert Francis Prevost, prefetto del dicastero per i vescovi, è stata affidata la relazione principale dell’Assemblea plenaria dal titolo: ‘La dimensione evangelizzatrice e missionaria della Chiesa in Europa’, in quanto il futuro della fede sta nella presenza di persone che credono nel loro cuore in Gesù Cristo incarnato. Un meraviglioso e grande segno di questa verità si realizza nel culto eucaristico: “La luce della fede risplende quando il culto eucaristico è degnamente celebrato con fede e devozione. Finché ci sarà l’Eucaristia, finché il Banchetto del Signore sarà celebrato con amore, ci sarà un futuro per la fede perché troviamo Gesù incarnato nell’Eucaristia”.
Parlando del ruolo della Chiesa, comunità di credenti che mediante il battesimo sono resi partecipi del mistero pasquale di Cristo, ha sottolineato: “Il futuro della fede non è una questione di numeri, ma di amore. Non ci saranno più cristiani in futuro o in qualsivoglia momento perché siamo riusciti a trovare la risorsa pubblicitaria o di marketing più efficace, ma perché abbiamo veramente imparato ad amare e non abbiamo avuto paura di metterlo in pratica. Per questo motivo, il nostro agire non può essere ispirato ai criteri di una campagna di proselitismo. Piuttosto, dobbiamo sempre lasciarci muovere e sospingere dalla carità”.
Nella prolusione il card. Prevost ha espresso preoccupazione per la perdita di fede in Europa: “La nostra preoccupazione per il futuro della fede in Europa è quindi la preoccupazione di essere sempre più vicini alla gente, soprattutto a coloro che rappresentano la carne sofferente di Cristo. Il mistero dell’incarnazione che rende possibile l’Eucaristia e la Chiesa, rende possibile anche l’identificazione di Cristo nei poveri. Gesù Cristo si è incarnato e questo mistero raggiunge la carne di tutti coloro che soffrono: i poveri, gli affamati, i migranti, i malati, i disoccupati, coloro che soffrono per la guerra”.
Infatti, “il problema del futuro della fede in Europa riguarda anche il modo in cui stiamo affrontando il flagello della guerra che affligge popoli fratelli dalla prospettiva della fede. La pace non è solo il risultato di un vincitore nel conflitto; molto di più, la pace è il risultato di aver accolto nel cuore colui che sa come portarla veramente. Evangelizzare quando c’è un mondo in guerra significa lavorare per la pace. Ricordiamo le parole del Signore: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Nella prolusione, mons. Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE, ha ricordato l’apertura della nuova sede del CCEE a Roma, voluta per rafforzare la collaborazione e lo scambio dei vescovi europei tra loro e con la Santa Sede e per dare un nuovo impulso pastorale e uno slancio ecumenico, in particolare nell’anno giubilare e durante il cammino sinodale. Significativo è stato l’incontro dei membri del CCEE con il Patriarca della Chiesa Ortodossa Serba, Sua Santità Porfirije.
Nel benvenuto iniziale mons. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e vice presidente del CCEE, ha descritto l’attuale contesto religioso e sociale della Serbia, con 6.300.000 abitanti dei quali 300 mila sono cattolici organizzati in una arcidiocesi, tre diocesi e un’eparchia greco-cattolica: un paese multiculturale e multietnico dove cultura del dialogo e cooperazione sono alla base della convivenza civile.
Nell’aprire i lavori, mons. Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE, ha ricordato le tante situazioni di conflitto, in modo particolare l’Ucraina, il popolo armeno e gli abitanti della Terra Santa e ha rinnovato l’appello ai ‘Responsabili delle nazioni di fermare la guerra e lavorare per una pace giusta. Non vogliamo rassegnarci alla guerra, non ci stancheremo mai di pregare per la pace’.
Ha rinnovato la gratitudine a papa Francesco per l’incontro familiare e per le sue preziose indicazioni, in occasione dell’udienza concessa alla presidenza del CCEE per fare il punto sulle attività del Consiglio e individuare le priorità per la Chiesa nel Continente:
“A Papa Francesco abbiamo presentato anche le iniziative in ambito ecumenico che, come CCEE, stiamo portando avanti: l’aggiornamento della Carta Ecumenica europea del 2001, il cui testo ci verrà presentato in questa assemblea per eventuali suggerimenti prima della firma ufficiale che prevediamo di fare nella domenica della Divina Misericordia del 2025, anno in cui la data della Pasqua coincide per tutti i cristiani; e il primo incontro con il Consiglio direttivo della Conferenza permanente delle Chiese ortodosse orientali in Europa (OCE) guidato dal suo presidente, l’arcivescovo armeno Khajag Barsamian”.
In preparazione alla seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità, mons. Grušas si è soffermato sul ruolo che gli Organismi continentali e le Conferenze Episcopali possono avere per vivere e far crescere la sinodalità e su quale sia il valore di un’assemblea continentale, invitando i vescovi “a ripensare il ruolo del CCEE e il suo impegno per l’evangelizzazione in Europa; a valutare una eventuale suddivisione in aree geografiche che accresca la collaborazione fra i vescovi della stessa regione europea così da facilitare l’ascolto delle nostre comunità e assicurare un maggior servizio al territorio”.
Infine, ha invitato tutti a prepararsi per il Giubileo ormai alle porte perché “sia un evento di grazia per le nostre comunità e i nostri Paesi e sia l’occasione per testimoniare che Cristo è l’unica speranza per l’uomo. La speranza non delude, ci ricorda il Santo Padre nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025: La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino”.
(Foto: CCEE)
San Benedetto di Norcia: memoria per l’Europa

“Stiamo vivendo in un contesto storico segnato da conflitti, migrazioni, grandi trasformazioni e cambiamenti climatici, il tutto accompagnato da una generale e sempre più diffusa indifferenza dei cittadini, come si è visto nelle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo”: lo hanno scritto il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, gli abati di Santa Giustina e di Praglia, rispettivamente dom Giulio Pagnoni e dom Stefano Visintin, e l’abbadessa di San Daniele, madre Maria Chiara Paggiaro, in un messaggio congiunto per la festa di san Benedetto da Norcia, co-patrono d’Europa.
Il messaggio è un invito a ritrovare la propria identità: “L’Europa è in costante ricerca della propria identità e desidera creare un’unità nuova e duratura e per questo sono sicuramente importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma non sono sufficienti. Infatti, la costruzione di un’identità non può prescindere da un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del continente. Senza questa prospettiva, c’è il pericolo sempre più concreto di cedere all’antica tentazione autoreferenziale che nega l’Altro e che cerca di salvarsi da sé; utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato un drammatico regresso nella storia dell’umanità”.
Per questo nel giorno della sua ricorrenza gli estensori del messaggio ricordano che san Benedetto ha stimolato la rinascita della cultura ‘europea’: “In questo contesto internazionale, nel giorno in cui ricorre la festa di san Benedetto da Norcia, co patrono d’Europa, ricordiamo il ruolo che il fondatore del monachesimo in Occidente ha avuto nella nascita di un mondo nuovo, in un’epoca (V-VI sec. d.C.) di profonda crisi e che, per certi versi, è molto simile alla nostra”.
E’ una memoria che non può essere sottovalutata: “Questa memoria può aiutarci innanzitutto a ricercare il fondamento dell’esistenza, ossia Dio. Benedetto realizzò un’opera religiosa e spirituale capace di innestare un modello di esistenza sociale e comunitaria teso alla valorizzazione e allo sviluppo di ogni persona, a prescindere dalle differenze sociali, culturali, etniche o nazionali. In questo modo egli evidenziava ciò che unisce gli esseri umani, ciò che lega gli uni agli altri e li rende tutti fratelli e sorelle; li rende una società”.
Ed è stato proprio il messaggio evangelico promotore della fraternità: “Il messaggio evangelico che ancora oggi vive nel monachesimo Occidentale ci sprona alla costruzione di una fraternità universale e può aiutarci a rielaborare un modo nuovo di guardarci e quindi di porci in relazione tra di noi e con gli altri Paesi. L’idea d’identità nazionale propria dell’Italia e di tante le altre nazioni europee si fonda su una concezione etnica dell’appartenenza nazionale. L’enfasi viene infatti posta sull’omogeneità: unità di lingua, di cultura, di storia, di religione, di discendenza. La rappresentazione di un Paese con una forte impronta nazionalistica può quindi rendere difficile il dialogo e la collaborazione tra Stati. Proprio qui può inserirsi la profezia cristiana: accompagnare la società contemporanea europea a ragionare sulla ricchezza delle differenze”.
Infine hanno ricordato che san Benedetto è stato mosso in quest’opera rigeneratrice dalla forza spirituale: “La prima motivazione che ha guidato Benedetto non era civilizzatrice, né culturale, ma religiosa e spirituale. Una spiritualità in cui scorre la linfa evangelica, che condensa saggezza ed esperienza umana con l’intuito dei bisogni dei tempi. Una spiritualità incarnata, che permette anche a noi oggi di riscoprirci persone e popoli uniti nelle diversità. San Benedetto, senza negare la complessità delle differenze, ci insegna come considerarle una ricchezza e non un elemento di scontro, ponendo al primo posto la pari dignità e il pari valore di tutti gli esseri umani”.
Mentre l’abate di Montecassino, dom Luca Fallica, ha ripreso l’espressione della lettera apostolica ‘Pacis Nuntius’, scritta da san Paolo VI, sui messaggeri di pace: “Il primo elemento qualifica san Benedetto, ma anche i suoli discepoli, monaci e monache di ogni generazione e di ogni latitudine, come ‘messaggeri di pace’. Il termine italiano, e ancor più l’originale latino che traduce ‘nuntius’ evidenzia il tema della ‘parola’. La pace va annunciata, proclamata, anche attraverso la parola. Certo, occorre essere testimoni e costruttori di pace con tutta la propria vita, con i suoi gesti coerenti e le sue opere efficaci. Rimane pur vero che una rilevanza particolare occorre riconoscerla alla parola. Anche quando essa ci può sembrare vana, inefficace, non ascoltata”.
E’ un invito a seguire la Regola di san Benedetto: “Beati i pacifici, beati cioè gli operatori, i facitori di pace. Nella sua Regola, san Benedetto è molto attento a dare indicazioni preziose su cosa significhi operare la pace. Sul come farlo. E si tratta di indicazioni utili non solo ai monaci, ma a ogni persona, nel contesto nel quale vive. Torniamo a metterci alla sua scuola, alla scuola della Regola. In essa il sostantivo latino pax, ‘pace’, ritorna otto volte. Val la pena ripercorrere rapidamente i passi nei quali risuona”.
E la pace è un rimando all’ospitalità: “E’ importante che si parli di pace laddove si parla di ospitalità. Ci mette in guardia sulla tentazione di cercare una pace per vie di esclusione, tra eguali, tra coloro che sono accomunati da elementi identitari e di consuetudine di vita, o condividono le medesime esperienze esistenziali e le stesse visioni. Non c’è pace possibile laddove non si rimane aperti allo straniero, al diverso, a colui che sopraggiunge dall’esterno sempre sorprendendoti e anche sconvolgendo le tue abitudini consolidate.
Anche con lui occorre scambiare la pace, e san Benedetto raccomanda di farlo dopo aver pregato insieme, per evitare gli inganni del diavolo, anche quell’inganno che ci illude che la pace sia opera nostra e possa radicarsi nelle nostre risorse e qualità, quando invece è dono di Dio e trova la sua origine fontale nella relazione con lui, di cui la preghiera è espressione principale e principiante. Cerca davvero la pace chi sa cercare veramente Dio, nulla anteponendo alla preghiera e all’amore di Cristo. Neppure le proprie pretese o presunzioni di sé”.
Nel 1964 san Paolo VI ha proclamato con la lettera apostolica ‘Pacis Nuntius’ ha proclamato san Benedetto patrono d’Europa: “Col libro, poi, ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti monasteri attinsero denominazioni e vigore, salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere”.
Nella lettera apostolica san Paolo VI ha ricordato la cura che il santo ebbe per reintrodurre il motivo della cura del lavoro: “Fu con l’aratro, infine, cioè con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe, che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famoso motto ‘ora et labora’, nobilitò ed elevò la fatica umana”.
Per tali ragioni la Chiesa lo proclamò ‘padre’ dell’Europa’: “Giustamente perciò Pio XII salutò san Benedetto ‘padre dell’Europa’; in quanto ai popoli di questo continente egli ispirò quella cura amorosa dell’ordine e della giustizia come base della vera socialità. Lo stesso Predecessore Nostro desiderò che Dio, per i meriti di questo grande santo, assecondasse gli sforzi di quanti cercano di affratellare queste nazioni europee. Anche Giovanni XXIII, nella sua paterna sollecitudine, desiderò vivamente che ciò avvenisse”.
Fabrizio Venturi, Direttore Artistico del Sanremo Cristian Music Festival: ‘Siamo in Europa!’

L’intento e lo spirito sono identici a quelli che hanno animato il Sanremo Cristian Music Festival, ossia realizzare un connubio creativo tra la canzone e la fede e tra la canzone e la lode a Dio attraverso la musica. Dal 22 giugno 2024 il Festival della Canzone Cristiana diventa internazionale: “Tutti gli anni a venire, dopo il Sanremo Cristian Music Festival, continueremo a varcare la soglia italiana, raggiungendo l’Europa. Abbiamo chiuso l’accordo con Italimpianti Spa, multinazionale leader nel campo dell’energia riciclabile, che sarà lo Sponsor Ufficiale delle cinque date europee del Festival, che vedranno la Francia, il Belgio, la Germania, l’Olanda ed il Lussemburgo teatro dell’evento.
E’ quasi tutto pronto per la prima edizione dell’European Festival della Canzone Cristiana. Mi accingo con entusiasmo ad ascoltare le canzoni degli artisti che parteciperanno, convinto che si tratti di voci e canzoni lodevoli” ha sottolineato il Direttore artistico del Festival della Canzone Cristiana Fabrizio Venturi, il quale ha aggiunto inoltre: “Italimpianti ha in ognuno dei cinque Paesi sopra elencati una grande struttura, con ampi spazi esterni , nei quali verranno montati gli imponenti palchi che ospiteranno il Festival della canzone Cristiana. La prima tappa è Lussemburgo, già in calendario per sabato 22 e domenica 23 giugno 2024, alle ore 21.00”.
Il bando della partecipazione al Festival è stato promosso dall’Ufficio Stampa di Italimpianti Spa e divulgato dalle radio e dalle TV di ogni Paese ospitante la kermesse musicale. Saranno 16 gli artisti in gara, i quali canteranno in inglese, nonché famosi ospiti nazionali. La tappa di ogni singolo Paese vedrà due vincitori, i quali parteciperanno di diritto al Festival della Canzone Cristiana Sanremo 2025, che, come nelle sue tre passate edizioni, si svolgerà negli stessi giorni in cui si svolge il Festival della Canzone Italiana: un festival nel festival, una staffetta musicale oramai conosciuta ed attesa da tutti gli italiani.
“Il grande successo raggiunto dal Festival della Canzone Cristiana di Sanremo ha spalancato le porte ad artisti della Christian Music italiana, dando voce per la prima volta a questo genere musicale anche in Italia, come avviene da sempre in altri Paesi del mondo, primo tra questi gli Stati Uniti d’America, facendo del Sanremo Cristian Music Festival la prima vetrina della musica cristiana italiana, un vero e proprio festival della Christian music, non inquinato dalla partecipazione di artisti appartenenti ad altri generi, come, invece, si verifica in altri eventi similari”, ha ribadito Venturi, il quale ha concluso: “Ebbene, sospinto da questo grande successo, il Festival della Canzone Cristiana vola anche in Europa. Appare evidente che vi sia un crescendo, come del resto auspicato sin dalla prima edizione di questo grande Festival”.
Cambiare lo sguardo per una nuova Europa e una nuova Italia

In questa accesa campagna elettorale pochissimo abbiamo sentito parlare di giovani e fragilità, eppure sono questi alcuni dei punti principali su cui si può valutare l’investimento effettivo di una società rispetto al proprio futuro. Ormai da sette anni mi ritrovo a camminare a fianco a molti giovani all’interno di quel boschetto di disperazione ed è su di loro che oggi sento il bisogno di puntare un faro di luce.
I figli di Rogoredo hanno braccia segnate da domande senza risposte, pelle marchiata da una ricerca che non ha coordinate logiche, parole non dette, silenzi frastornanti e urla logoranti che scandiscono ore di attesa, secondi di tregua e innumerevoli minuti di paura. Oggi Rogoredo non è più la stazione, non è più la sede di Sky, non è più nemmeno ‘il boschetto’. Oggi Rogoredo è un disarmante rito, un atroce stile di vita, un terribile quesito esistenziale che non può lasciarci silenziosi e indifferenti.
Occuparsi di questi figli vuol dire incontrare quegli occhi, sostenere quelle schiene, stringere quelle mani, asciugare quelle lacrime, accompagnare quei passi che restano invisibili alle passerelle di chi si limita ad osservare e a pensare il ‘non luogo’ senza vedere le persone, a parlare dei giovani senza dedicare loro tempo. Come restare indifferenti a tale dramma? Ciò che sta accadendo ci mette di fronte ad una diversità esistenziale che ci interroga profondamente, ad una diversità di ‘scelte’ che ci obbliga a chiederci se, e come, entrarci in contatto.
Oggi Rogoredo è una lacerante domanda a cui dobbiamo dare ascolto e risposta, prima che il suo grido diventi così forte e profondo da trasformarsi solo in un fastidioso e indifferente rumore di fondo. Oggi Rogoredo è la punta dell’iceberg di un disagio che sempre più attanaglia i nostri giovani, invischiandoli in ragnatele di solitudine da cui non trovano via di scampo.
Il tema giovanile e quello dell’attenzione alla cura e al disagio non possono oggi passare in secondo piano quando si tratta di pianificare il futuro del nostro Paese. Per poter essere portatori di proposte credibili è necessario essere pronti ad investire pensiero e risorse in questa necessaria avventura che è l’accompagnamento dei nostri giovani verso il loro futuro.
Quali alternative concrete offrire loro? Quali possibilità? Quali valori guidano oggi la loro crescita? Dove sperimentano relazioni efficaci, attività promozionali, esperienze di volontariato che possano offrire loro chiavi di lettura e di approccio al mondo diverse? Il problema non è mai il sintomo ma la causa di esso, soffermarci sul tema droga diventa quindi pericoloso e riduttivo.
E’ sempre più fondamentale porsi le domande giuste ed essere pronti ad offrire le risposte necessarie a questo dilagante disagio, che non ha più nomi né confini, ma per farlo è fondamentale far ritornare questi temi all’interno della prima pagina delle agende politiche. Perché non sappiamo quando un giovane che oggi trova nella droga la sua strada deciderà di accendere la lampadina del suo cambiamento, la nostra mission oggi deve essere quella di esserci quando quel giovane sarà in ricerca dell’interruttore.
Card. Zuppi: la Chiesa invita a costruire il bene comune

Nella conferenza conclusiva della 79^ assemblea generale della CEI l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, rispondendo alle domande, ha sottolineato che nelle riforme costituzionali occorre prudenza nel rispetto della Carta Costituzionale: “Gli equilibri istituzionali vanno toccati sempre con molta attenzione. Qualche vescovo si è soffermato su questo, esprimendo preoccupazione A titolo personale posso dire che è necessario tenere presente lo spirito della Costituzione, scritta da forze politiche non omogenee che però avevano di mira il bene comune”.
Risposta che ha ripreso il Documento conclusivo sul bene comune: “Alcuni progetti legislativi rischiano di accrescere il gap tra territori oltre che contraddire i principi costituzionali. E’ in gioco il bene comune che può e deve essere promosso sostenendo la partecipazione e la democrazia, valori al centro della 50^ Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio”.
E, citando la lettera scritta congiuntamente dalla Cei e dalla Comece, ha espresso preoccupazione per la situazione in Europa: “Siamo preoccupati, perché l’Europa rischia di dimenticare l’eredità straordinaria di chi ha combattuto per la libertà dal nazifascismo. L’auspicio è che la scelta sia per un futuro maggiore, e non minore, dell’Europa. L’augurio è che l’Europa si ricordi delle sue radici: perché non ci sia più guerra. Non una tregua, ma la pace, la capacità di risolvere i conflitti non con le armi… I conflitti finiscono quando impariamo a stare insieme”.
Pace, come è espresso nel documento finale, è una preoccupazione con l’invito a lavorare per costruire la pace, “senza reticenze e con passi concreti quali, ad esempio, la scelta di non investire su realtà che finanziano la produzione e il commercio di armi, come peraltro suggerito e indicato nel documento ‘La Chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance’ elaborato nel 2020 dalle Commissioni Episcopali per il servizio della carità e la salute e per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace”.
Quindi un ruolo importante è rivestito dalla cultura, che è uno spazio “in cui far dialogare in modo critico e costruttivo la rivelazione cristiana con le domande e le acquisizioni di oggi in una dinamica di mutuo apprendimento. In questo ambito si sente come cruciale una attenzione ai linguaggi, non per un semplice lavoro di adattamento e condiscendenza, ma per assumere il vissuto umano come luogo teologico”.
Perciò occorre una nuova visione formativa: “Sulla questione formativa, è stato evidenziato che, a partire dall’iniziazione cristiana, essa non può più limitarsi ai bambini e ai ragazzi, ma è chiamata a diventare un processo continuo di crescita nella vita cristiana di tutti i battezzati, soprattutto dei ministri ordinati, con un focus particolare sulla formazione liturgica. Infine, la corresponsabilità: coinvolge la riflessione, ad esempio, sugli organismi di partecipazione, sui ministeri, sul ruolo delle donne nella Chiesa, sulla gestione delle strutture, sulla trasparenza e le sue forme concrete di attuazione”.
Per questa realizzazione occorre la profezia: “In un tempo di forti contrapposizioni e di depotenziamento della verità, occorre avere il coraggio della profezia, non per imporre un punto di vista, ma per dare un contributo culturale di speranza”. I vescovi hanno rinnovato l’appello del presidente della Cei ad ‘aiutare la discussione critica delle ideologie, dei miti, degli stili di vita, dell’etica e dell’estetica dominanti’, in quanto fede e cultura sono due dimensioni che necessitano l’una dell’altra.
Inoltre i vescovi hanno rinnovato “l’impegno a compiere ogni passo perché la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili porti alla promozione di ambienti sicuri. In questa prospettiva, i Vescovi, sensibili e vicini al dolore delle vittime di ogni forma d’abuso, hanno ribadito la loro disponibilità all’ascolto, al dialogo e alla ricerca della verità e della giustizia” con la nomina di Chiara Griffini presidente del Servizio Nazionale per la tutela dei minori.
Concetti enucleati nell’omelia della celebrazione eucaristica: “Il nostro mondo è così deformato dall’onnipotenza dell’io, dal perseguire stoltamente i propri affari, attività che enfatizza e deprime, senza cercare la risposta alla vera domanda di chi sarà quello che accumuliamo. Questi poi facilmente provocano e animano le discussioni infinite su chi è il più grande, spingono ad affermare e verificare (a volte ossessivamente) la propria considerazione, ad occupare i primi posti nelle sinagoghe o moltiplicare i saluti nelle piazze, antesignani dei digitali link.
Le passioni dell’io senza l’amore per Dio e per il prossimo finiscono per farci dimenticare il nostro limite e rendono sconsiderati perché siamo sempre vapore che appare per un istante e poi scompare, come tante esaltazioni che lasciano l’amaro del fallimento, della disillusione”.
(Foto: Santa Sede)
I vescovi europei all’Europa per la rinascita di un nuovo umanesimo

Un appello a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai giovani che per la prima volta andranno a votare: “Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà”. Questa è la ‘lettera all’Unione Europea’ scritta in occasione della Giornata dell’Europa (9 maggio) congiuntamente dal card. Matteo Zuppi (presidente della Conferenza episcopale italiana) e da mons. Mariano Crociata (presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea), ricordando i principi ispiratori dei ‘padri fondatori’ con un tono confidenziale:
“Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il COVID lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti”.
Dopo un excursus storico i presidenti dei due organi confessionali hanno ricordato il senso della comunità: “Cara Unione Europea, sei un organismo vivo; perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione”.
L’Europa deve ‘ritrovare’ un’anima: “Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita”.
E’ un richiamo alla cura della pace, come hanno ammonito i papi e Robert Schuman all’inizio del percorso dell’unità europea: “In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato.
Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero! Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra”.
Ricordano che l’Europa è nata per eliminare i nazionalismi: “Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro”.
Invece lo stare insieme implica l’elaborazione di ideali comuni: “Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi”.
Quindi appartenere ad uno Stato ed all’Europa non è in contrapposizione: “Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri”.
Ed hanno sottolineato l’apporto del cristianesimo nella costruzione dell’Europa: “Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica”.
Non manca un passaggio sull’accoglienza dei migranti, sottolineando che spesso l’Italia è sola in questo compito: “Chi accoglie genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti”.
In fondo l’accoglienza implica anche una rete relazionale: “Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità”.
Insomma la lettera è anche un appello a non disertare il voto per un nuovo umanesimo europeo: “Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea”.
Siena ha ricordato santa Caterina copatrona dell’Europa

“Instancabile fu l’impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa… Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo.
Di qui l’urgenza della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro ‘proprietà’: consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di mantenervi ‘la santa e vera giustizia’, facendosi ‘padri dei poveri’. L’esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica”.
Con queste parole, tratte dal motu proprio ‘Spes Aedificandi’ del 1^ ottobre 1999 San Giovanni Paolo II proclamava santa Caterina da Siena (con a Santa Brigida di Svezia e Santa Teresa Benedetta della Croce) patrona d’Europa.
Ed a distanza di 25 anni Siena le ha dedicato due giorni di festeggiamenti conclusisi con il dono dell’olio per la lampada votiva, che quest’anno è stato offerto dal comune di Teramo, in rappresentanza dei comuni d’Italia, e dal comune di Castellina in Chianti, in rappresentanza dei comuni dell’arcidiocesi. Al termine il grande corteo, guidato dalle contrade senesi, è arrivato alla basilica di san Domenico dove è stata celebrata la messa solenne, presieduta dal card. Lazzaro You Heung-Sik, prefetto del Dicastero per il clero, concelebrata dal card. Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, e da mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo-Atri.
Nell’omelia il cardinale coreano ha sottolineato come Caterina “fosse una donna totalmente innamorata di Dio, una donna eucaristica, una mistica forte e straordinaria, dotata di grande coraggio e franchezza che ha vissuto, in pienezza, il comune sacerdozio battesimale di tutti i cristiani e che ha amato la Chiesa… La nostra patrona è stata instancabile costruttrice di unità, di comunione, di ponti. Domandiamoci: siamo anche noi promotori di unità e di pace, di dialogo e di ricostruzione e di riconciliazione nella Chiesa e nella società”.
Il card. You Heung-Sik ha evidenziato come in molti paesi del mondo ci siano terribili guerre che portano sofferenza, distruzione e morte e come fare la guerra sia troppo più facile rispetto al costruire la pace. In tale contesto emerge santa Caterina che “è stata donna della concordia e che ha avuto il coraggio di parlare apertamente e di scrivere alle autorità del tempo. Papa compreso…
Lei donna del Vangelo ha saputo stare dalla parte giusta, ha saputo creare pace nei suoi ambienti, ha saputo comunicare con le parole giuste. Aveva un carisma che toccava il cuore e anche una capacità non comune di convincere gli altri. Ha avuto a cuore l’unità e la riforma della Chiesa”.
Mentre nel messaggio alla città il card. Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle-Montalcino, ha affidato l’Europa alla santa senese: “L’Europa è sì l’unione a cui siamo abituati, ma è un continente geograficamente più grande, che mette insieme anche altre nazioni, anche quelle che ora ci stanno creando dei problemi. Noi vogliamo che Caterina interceda per tutta l’Europa, soprattutto dove si soffre e si muore, e che aiuti tutti noi a diventare cittadini di un continente”.
Al termine il cardinale ha impartito la benedizione con la reliquia della santa alla città, all’arcidiocesi, all’Italia ed all’Europa: “L’augurio a tutta la città e alla diocesi è di sentirci in modo sempre più forte cittadini del mondo, di una casa comune, l’unione nella differenza. Siena resta una città particolarmente aperta, una città dell’accoglienza: lo percepii il primo giorno che arrivai quasi cinque anni fa, capii che Siena era e poteva continuare a essere una città che accoglie”.
(Foto: Arcidiocesi di Siena-Colle-Montalcino)