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Prima domenica di Quaresima: Gesù è tentato nel deserto

La Quaresima è l’operosa preparazione alla pasqua di risurrezione. Gesù, vero uomo e vero Dio, evidenzia al cristiano la via regia da seguire per una vera rinascita nello spirito. Le tentazioni, a cui volle sottoporsi Gesù, sono un insegnamento per noi e vertono su ciò che è essenziale per l’uomo: per i nostri progenitori, che obbedivano solo a Dio, satana li spinge a fare a meno di Dio: ”Se mangiate il frutto proibito, diventate come Dio: conoscitori del bene e del male!” ( un peccato di orgoglio e di superbia; e l’uomo scoprì infine solo di essere nudo, di avere perduto tutto).

Nei riguardi di Gesù le tentazioni vertono sulla sua vera identità: “Se sei figlio di Dio … se sei il Messia…: tre tentazioni che toccano il campo economico, politico e religioso: le tre strade che il mondo propone come essenziali all’uomo impreparato.  La qualità di una persona si misura dalle tentazioni da cui è provato. Le tentazioni rivelano la misura della nostra fedeltà alla Parola di Dio; la vittoria sul male è garantita, come insegna Gesù, dal ricorso alla Parola di Dio.

La prima tentazione: Gesù è nel deserto, ha fame? ‘Se sei figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane’. Gesù non discute con il diavolo ma contrappone la parola di Dio: ‘Sta scritto: non di solo pane vive l’uomo!’ Sappiamo bene infatti che è proprio vero: senza pane non si vive; ma senza religione ci si ammazza! ‘homo homini lupus’.  La seconda tentazione: Satana escogita la tentazione politica, la gloria umana: tutto è in mio potere; io te lo darò se ti prostri dinanzi a me e mi adori!  Gesù risponde con la Parola di Dio: ‘Sta scritto: ti prostrerai solo davanti al Signore Dio tuo; lui solo servirai’. La terza tentazione: il tentatore conduce Gesù sul pinnacolo del Tempio e lo invita a qualcosa di spettacolare: gettati giù perchè sta scritto che Dio manderà i suoi angeli e ti sosterranno perchè il tuo piede non inciampi! Gesù risponde: ‘Sta scritto: non metterai alla prova il Signore Dio tuo’.

Il diavolo infine si allontanò da Lui. Gesù, come vedi, non dialoga con il tentatore ma alle sfide diaboliche risponde subito con la ‘Parola di Dio’.  Non tentare  giammai il Signore Dio tuo stando a braccia conserte o aspettando che venga a salvarti, ma agisci come se tutto dipendesse da te e, quando hai fatto tutto il possibile, come se tutto dipendesse da Lui. Dio infatti ha creato la persona umana con l’intelligenza e la volontà. Gesù non dialoga con il tentatore ma alle sfide diaboliche risponde solo con la parola di Dio.

Nel deserto Gesù ci insegna che il digiuno è necessario, ma il vero digiuno che vuole il Signore non è tanto quello corporale, che consiste solo nello astenersi da questo o da quel cibo, ma il vero digiuno è quello radicale che porta l’uomo a rinnegare se stesso perchè trionfi l’opera di Dio: ‘chiunque  vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso’. Sono necessari fede ed umiltà, mettere da parte orgoglio e superbia nella piena consapevolezza di quello che abbiamo e siamo: siamo dono di Dio e a Dio l’onore e la gloria.

Questo è vero digiuno: pulizia ed iniziare una vita nuova alla luce della parola di Dio, che è l’anima dell’ascesi cristiana. La Quaresima è iniziata con l’imposizione della cenere e le parole scandite dalla Liturgia: ‘Ricordati, uomo, che sei polvere e polvere ritornerai’. Questo non per scoraggiarci, per deprimerci ma per aprire gli occhi e il cuore alla verità della vita e alla prospettiva della Pasqua di risurrezione. La Santissima Vergine, Madre di Gesù e nostra, che conservava la parola di Dio nel suo cuore, ci aiuti a riflettere sull’insegnamento di Gesù: via, verità e vita.

A Modena chiusa la fase diocesana di beatificazione di Enzo Piccinini

“Ciò che oggi celebriamo, ed è la prima cosa che vorrei dire, ci rende infatti, ancora più profondamente e consapevolmente grati per il dono del carisma ricevuto attraverso don Giussani. Oggi infatti, per la prima volta, un suo figlio nella fede, un membro della Fraternità e nostro carissimo amico, compie un passo decisivo che pone il suo percorso verso la santità ancor più nelle mani della Chiesa, corpo vivo di Cristo e garante del nostro cammino. Un percorso verso la santità che oggi, come sapete, vede coinvolti anche altri appartenenti alla nostra storia, a cominciare dallo stesso don Giussani. Quanta grazia ci è accordata in questo momento storico!”

Con queste parole il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, nei saluti al termine della celebrazione, ha ricordato Enzo Piccinini nella chiusura della fase diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione: “La seconda cosa, che capisco essere all’origine della nostra gioia, sta nel legame profondissimo che univa in vita, e unisce tuttora, Enzo e Giussani. Enzo ci ha comunicato in modo travolgente ‘la passione per l’uomo e la passione per Cristo come compimento dell’uomo’, per usare le parole di papa Francesco su don Giussani. Passioni che in Enzo sorgevano dallo strabordare dell’avvenimento di Cristo nella sua vita, attraverso il legame con don Giussani e l’appartenenza alla compagnia sorta attorno a lui”.

Mentre mons. Erio Castellucci, arcivescovo abate di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, nell’omelia nel Duomo di Modena ha espresso gratitudine per la chiusura diocesana di questa causa di beatificazione: “La gratitudine che supera il ‘dovuto’ non è data automaticamente con la fede in Cristo; la si guadagna con la fede in Cristo vivo”. Molti nel movimento di Comunione e Liberazione ricordano ancora oggi Enzo per una frase, quasi un ‘testamento’ od ‘una lettera d’amore’, come l’ha descritta mons. Castellucci: “E’ una gratitudine che caratterizza la mia vita, perciò non ho paura di darla tutta’.

Quella gratitudine che era già ‘nel profondo’ della ‘passione, indomabile, debordante e talvolta esagerata’, della vita di Piccinini, come ben documentano la sua biografia: “Ho fatto tutto per essere felice e il più recente Amico carissimo. Giussani, in quell’episodio, ‘spostando l’asse del rimprovero’, riesce a fargliela riscoprire, ma con una consapevolezza forse nuova: ‘Ci credi che Cristo è vivo?’, gli aveva detto. A lui che quella gratitudine ‘per Cristo vivo e per la Sua Chiesa’ già la viveva, ‘per il Signore nella sua vita, per la sua sposa, per i suoi figli, per una compagnia in cammino, per gli eventi di ogni giorno’. E’ questa la testimonianza di Enzo che la Chiesa locale riconosce come evangelica e consegna al discernimento della Chiesa universale”.

(Foto: Fondazione Enzo Piccinini)

Papa Francesco: la quaresima è un cammino verso la speranza

“Con il segno penitenziale delle ceneri sul capo, iniziamo il pellegrinaggio annuale della santa Quaresima, nella fede e nella speranza. La Chiesa, madre e maestra, ci invita a preparare i nostri cuori e ad aprirci alla grazia di Dio per poter celebrare con grande gioia il trionfo pasquale di Cristo, il Signore, sul peccato e sulla morte, come esclamava san Paolo: ‘La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?’ Infatti Gesù Cristo, morto e risorto, è il centro della nostra fede ed è il garante della nostra speranza nella grande promessa del Padre, già realizzata in Lui, il suo Figlio amato: la vita eterna”.

Con queste parole inizia il messaggio quaresimale di papa Francesco, intitolato ‘Camminiamo insieme nella speranza’, esortando i fedeli a confrontarsi concretamente con coloro che, nelle loro comunità, vivono in situazioni di vulnerabilità, fisica o spirituale, cioè a mettersi in cammino, che implica una conversione:

“E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione?

Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre. Questo è un buon ‘esame’ per il viandante”.

Quindi rispondere a tali domande è fondamentale per comprendere il significato di un cammino insieme: “Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi”.

Tale cammino implica una tensione verso l’unità: “Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio; significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza”.

Per questo il papa ha chiesto se nella vita si vive quotidianamente la sinodalità: “In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni… Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità”.

Infine è possibile intraprendere tale cammino se si è sorretti dalla speranza, riprendendo l’insegnamento di papa Benedetto XVI: “Lasperanza che non delude, messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale… Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto e vive e regna glorioso. La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!”

E’ un invito a credere che la speranza è ‘àncora’ dell’anima, proponendo per il periodo quaresimale la riflessione su alcune domande: “Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati?

Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?”

Da Trieste mons. Trevisi invita a curare la vita spirituale

“… si apre un anno ricco di prospettive. Qui ne tratteggio alcune, a partire dalla convinzione che il Signore ci accompagna. Che non siamo soli. Che guardiamo al futuro consapevoli di essere con lo Spirito Santo: e dunque di aprire cuore e intelligenza per cogliere una parola, anzi una Presenza che getta luce e speranza e che responsabilizza. Abbiamo bisogno di rielaborare quanto papa Francesco ci ha detto. Non possiamo archiviare il mandato ricevuto. Dobbiamo ripensare e rimeditare, anche con il supporto di quanto vissuto nella ‘Settimana sociale dei Cattolici in Italia’ che si è tenuta dal 3 al 7 luglio 2024. Siamo chiamati con la Chiesa universale a vivere il Giubileo del 2025: ‘Pellegrini di speranza’è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.

E’ l’inizio della lettera pastorale (‘Io sono con te’) del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.

Nella lettera il vescovo di Trieste ha evidenziato una realtà, quella che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore).

E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.

Partendo da questa evidenza gli abbiamo chiesto di raccontare la genesi di questa lettera: “La fede cristiana al suo centro ha Dio, come ci è rivelato in Gesù Cristo. Non una dottrina, non una serie di regole morali, ma Dio che ci viene incontro dentro una storia che ha il suo culmine nel Signore Gesù, il Figlio Unigenito che si fa carne umana e ci rivela il volto misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Nel mio motto episcopale (‘Admirantes Iesum’) ho invitato a guardare a Gesù con ammirazione, a tenere fisso lo sguardo su di Lui ma con meraviglia. La mia prima Lettera pastorale (da un versetto del Salmo 33) l’ho intitolata: ‘Guardate a Lui e sarete raggianti’. E già portava nella direzione di essere con lo sguardo su Dio, anzi su Gesù che ne è la Rivelazione compiuta. Da lì poi la declinazione dei vari cantieri sinodali, dei vari impegni di rinnovamento della nostra Chiesa.

Nella Lettera pastorale di quest’anno (‘Io son con te’) ho ancora riproposto di partire dalla presenza di Dio in ogni stagione della storia e della vita. ‘Io sono con te’ è un’espressione che (con le sue varianti) ritorna continuamente: inizio dalla trama di famiglia di Isacco e Giacobbe e colgo come questa promessa viene continuamente ripetuta. Ad Isacco: ‘Io sarò con te e ti benedirò’; ‘Non temere, perché io sono con te…’. A Giacobbe ‘Io sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai, non ti abbandonerò’.

E da qui sono partito a rintracciare che a Mosè, a Giosuè, a Gedeone, al popolo di Israele, a Geremia, fino ad arrivare a Maria e agli apostoli questa promessa viene ripetuta: talvolta al singolare, talvolta al plurale, talvolta al presente (sono con te/con voi) e talvolta al futuro (sarò con te/con voi)”.

E’ iniziato il Giubileo: come essere ‘pellegrini di speranza’ nella ferialità?

“Per me vivere la speranza significa camminare sapendo che Dio non ci abbandona ma ci protegge, è con me, con noi, ovunque ci accompagna. Dentro i vissuti concreti che ci contraddistinguono saper scorgere che Dio rimane con noi e ci consente di essere segno della sua misericordia: un anticipo rispetto alla pienezza che ci attende in Paradiso. E così in ogni nostro incontro, in ogni nostro giorno, noi possiamo restare stupiti che Dio passa anche attraverso la nostra piccolezza, il nostro essere ‘servi inutili’. E per mezzo dello Spirito saper dare la nostra adesione, come Maria, ad un Dio ricco di misericordia, ma che vede la nostra piccolezza, che però è preziosa, e dunque siamo chiamati ad amarlo nei nostri fratelli e sorelle, soprattutto nei più fragili”.

Perché non si deve temere di incontrare Gesù?

“Tutti noi conosciamo persone tristi, amareggiate, che hanno perso il gusto della vita. Io penso che con Gesù possiamo ritrovare la preziosità di quel che siamo. Noi siamo gli amati da Dio e la prova è che il suo Figlio per me si è dato totalmente, fino alla croce. E io posso (con l’aiuto dello Spirito Santo) dare l’occasione a Dio di mostrare la sua premura per ogni persona che incontro. La mia testimonianza è essere segno di Lui, della sua vicinanza a chiunque”.

In quale modo la preghiera può nutrire?

“Una ragazza diceva: ‘Mi avete insegnato a dire le preghiere ma non a pregare’. Penso questa sia una sfida urgente: vivere Gesù non come una dottrina o come una pagina di storia passata, ma come un tu con cui incontrarsi e vivere un’amicizia, una condivisione di speranze e progetti. Scrutare una pagina di Vangelo, fermarsi in silenzio ad adorare l’Eucaristia, ritornare come i due discepoli di Emmaus a raccontare che il cuore ardeva mentre quel viandante parlava (ed era Gesù). Tante le esperienze di preghiera che riaccendono entusiasmo e motivazioni per la vita concreta. Si tratta di una preghiera che non si riduce ad una formula, ma che è una relazione capace di illuminare la vita e le scelte da prendere”.

In quale modo è possibile nutrire una fede inquieta?

“Incontrando Gesù ed evitando che resti un personaggio da museo, ma un Qualcuno di vivo che mi porta a percorrere le strade delle mie responsabilità, anche passando attraverso il suo perdono. E farlo insieme, combinando momenti di solitudine e di silenzio con momenti comunitari (il nostro essere Chiesa) in cui usciamo da nostre autoreferenzialità e derive unicamente emotive”.

Quindi per quale motivo invita a prendersi cura della vita spirituale?

“Trovo strano che i genitori si preoccupino che i figli vadano a scuola o facciano sport (che alimentino la loro intelligenza e si prendano cura del loro corpo), ma che non si ingegnino ad aiutarli a prendersi cura della loro coscienza, del loro cuore e dunque della loro vita spirituale. L’aumento di giovani che hanno disturbi depressivi, alimentari, atti di autolesionismo… dovrebbe portarci a comprendere che oggi è indispensabile prendersi cura della propria vita spirituale: e lì si incontra il mistero di quello che siamo e speriamo, ma anche il mistero di un Dio che cerchiamo e che ci cerca”.

(Tratto da Aci Stampa)

Terni festeggia san Valentino: è un esempio di speranza

Celebrata stamattina nella basilica di san Valentino a Terni da mons. Francesco Antonio Soddu la solennità del patrono di Terni e degli innamorati e copatrono della diocesi di Terni-Narni-Amelia, concelebrata dal vicario generale della diocesi mons. Salvatore Ferdinandi e dal padre Provinciale dei Carmelitani Scalzi padre Gabriele Biccai, dal parroco della basilica padre Josline Peediakkel, dai sacerdoti della diocesi e dai padri carmelitani: “La festa liturgica del nostro santo patrono in quest’anno santo ci offre una serie di spunti sui quali meditare e altrettante vie da percorrere per rendere sempre migliore, più bella la nostra vita e quella di coloro con i quali ci troviamo a condividere l’esistenza”.

Il vescovo ha sottolineato che l’amore di Dio è sempre presente: “Il nostro san Valentino, come del resto tutti i santi, con la sua vita ci insegna che proprio entro le esperienze terribili del mondo, segnato dall’egoismo umano, si inserisce sempre il germe bello e buono dell’amore di Dio il quale non soffoca né muore mai nonostante gli infiniti venti contrari e gli pseudo amori, quelli tossici che inquinano il nostro tempo. E questo avviene perché Dio stesso, con il dono del proprio Figlio, si è spinto oltre ogni limite dell’amore”.

Una sottolineatura importante è stata messa sulla fede: “La fede cristiana è un qualcosa di più, anzi direi che è qualcosa di altro, di veramente unico: essa è anzitutto un dono, il dono che Dio fa di sé stesso. E attraverso questo dono ci viene data una vita rinnovata dall’amore che proviene da lui che è per essenza amore. Ed è attraverso l’accoglienza di questo dono che saremo resi capaci di percorrere pure sentieri ardui e di raggiungere vette umanamente impossibili”.

Il tema giubilare si collega alla festa di san Valentino: “Il tema del Giubileo ‘pellegrini di speranza’ unito alla figura di san Valentino si arricchisce per noi di una esperienza di vita, anzi di un respiro di vita, che si identifica con lo stesso amore di Dio. La speranza infatti non delude perché lo Spirito di Dio è stato riversato nei nostri cuori”.

In questo senso il santo ternano è un ‘esempio’ di speranza: “San Valentino ci insegna come considerare il nostro cuore in relazione alla speranza. Egli incarna quanto papa Francesco, parlando del cuore di Gesù nell’enciclica Dilexit nos dice in riferimento a quanto debba essere il nostro cuore…

Chi è ripieno di questo spirito, chi cioè si mette nelle mani di Dio e rimane inondato del suo amore; chi vive l’esperienza dell’amore non può tenere nascosta questa sorta di energia, che in sé stessa tende ad esondare al di là di ogni possibile limite, arrivando tuttavia a non perdersi, quanto piuttosto a fecondare o rianimare le aree più desertiche o inaridite a causa della mancanza dello stesso amore”.

Dio dona amore per la salvezza di tutti: “Il nostro san Valentino, come del resto tutti i santi, con la sua vita ci insegna che proprio entro le esperienze terribili del mondo, segnato dall’egoismo umano, si inserisce sempre il germe bello e buono dell’amore di Dio il quale non soffoca né muore mai nonostante gli infiniti venti contrari e gli pseudo amori, quelli tossici che inquinano il nostro tempo.

E questo avviene perché Dio stesso, con il dono del proprio Figlio, si è spinto oltre ogni limite dell’amore. La donazione del Figlio Gesù Cristo per la nostra salvezza è il miracolo più grande che si possa immaginare e desiderare”.

Ed ai giovani ha rivolto l’esortazione ad essere protagonisti dell’amore: “La giovinezza porta con sé in modo naturale l’entusiasmo, lo slancio, la freschezza, ma anche i tentennamenti e le incertezze. Ma è proprio nel fiore della giovinezza che Dio chiama a collaborare, chiama ad essere profeti. Non dire sono giovane, quindi incapace, perché non si potrà mai fallire se si accoglie e trasmette genuinamente la fede data in dono. Se ami veramente non puoi aver timore. In tutto questo san Valentino è stato ottimo discepolo, maestro e pastore”.

Ha terminato l’omelia con l’invito ad essere ‘scaldati’ dal patrono ternano: “Come Dio nel suo Figlio ha raggiunto l’eccesso dell’amore, Valentino con l’intera sua vita ha trasmesso i palpiti di un cuore sano a favore dei più bisognosi, dei giovani e di quanti qui a Terni lo accoglievano come il Pastore buono. Voglia S. Valentino scaldare i sentimenti dei nostri cuori, affinché lo Spirito Santo che vi è stato riversato sia sempre collocato dalla nostra volontà al posto d’onore che gli spetta e produca continuamente germi di speranza attraverso il contributo delle nostre buone opere”.

Mentre nel pontificale mons. Soddu aveva invitato a non avere paura: “In questo anno santo san Valentino ci esorta a non avere paura del fuoco purificatore di Dio; ci esorta ad accogliere la sua misericordia e a farla diventare operativa nella nostra vita, trasformata dal fuoco del suo amore. Ciascuno di noi, mediante il battesimo, è stato toccato e completamente inondato di questo amore, siamo stati rivestiti di Cristo perché possiamo essere suoi testimoni nel mondo e quindi costruttori di pace. Si prenda dunque il largo in compagnia degli apostoli e di san Valentino, successore degli apostoli e nostro celeste patrono”.

E san Valentino non ha mai abbandonato il suo popolo: “San Valentino seguendo questa onda benefica di amore ne è il testimone. Egli prende le nostre vicende umane e le alloggia sulla barca di Simone affinché da lì ed insieme con loro possiamo apprendere i segreti del Regno, ossia la vita buona e bella del Vangelo. Interceda san Valentino per la nostra città, per l’intera nostra Diocesi e regione affinché seguendo lo Spirito d’amore del Padre sappiamo convergere nell’unità della famiglia dei figli di Dio”.

Al termine della celebrazione è stato inaugurato il pannello audio guida sulla Basilica e sulla figura di san Valentino, un pannello sensoriale che consentirà a tutti, anche a coloro che hanno difficoltà sensoriali, di conoscere le bellezze architettoniche e storiche della basilica e di conoscere la vita di San Valentino, attraverso le varie sezioni dedicate alla pianta della basilica e la sua facciata, il tutto stampato in adduzione, un inchiostro particolare che consente di percepire anche con il tatto, oltre a dei Qrcode con una guida e con tutte le spiegazioni fornite con il linguaggio dei segni.

(Foto: diocesi di Terni)

Riccardo Rossi racconta la Serva di Dio Luisa Piccarreta

“Figlia mia, oggi è la mia Nascita e son venuto per renderti felice colla mia presenza: Mi sarebbe troppo duro non rendere felice in questo giorno chi vive nella mia Divina Volontà, non darle il mio primo bacio e dirti ‘ti amo’, come contraccambio del tuo, e stringendoti forte al mio piccolo Cuore, farti sentire i miei palpiti che sprigionano fuoco, che vorrebbero bruciare tutto ciò che alla mia Volontà non appartiene; ed il tuo palpito facendo eco nel mio Mi ripete il tuo gradito ritornello:  ‘La tua Volontà regna come in Cielo così in terra’. Ripetilo sempre se mi vuoi rendere felice e quietarmi il mio pianto infantile. Guarda il tuo amore Mi ha preparato la culla d’oro, e gli atti nella mia Divina Volontà Mi hanno preparata la vestitina di luce, non ne sei contenta?”

Partiamo da questo pensiero ricavato dagli scritti della serva di Dio, Luisa Piccarreta, ‘comunicatole’ da Gesù il 25 dicembre 1928, per ‘scoprire’ la sua ‘figura’, in quanto lo scorso 10 agosto è stato rilasciato il nulla osta per la ripresa della sua Causa di Beatificazione, come è stato comunicato dal postulatore, mons. Paolo Rizzi:

“La Causa di Beatificazione della Serva di Dio Luisa Piccarreta non è mai stata chiusa, ma è sempre stata pendente presso il Dicastero della Cause dei Santi, il quale ne aveva sospeso temporaneamente l’iter canonico poiché il Dicastero per la Dottrina della fede, al cui studio erano stati sottoposti la spiritualità, il pensiero e gli scritti della Serva di Dio, nel 2019 segnalava che gli scritti presentavano alcune ambiguità di natura teologica, cristologica e antropologica che, pur non essendo di per se stessi errori dottrinali, richiedevano un’ulteriore valutazione.

Le risposte chiarificatrici della Postulazione ai menzionati rilievi, con il supporto di un teologo esperto in mistica, hanno consentito al Dicastero per la Dottrina della Fede di concludere che negli scritti e nel pensiero della Serva di Dio non si ravvisano affermazioni palesemente difformi dalla dottrina della Chiesa e nel giugno 2024 ha rilasciato il nulla osta per la ripresa della Causa, notificato formalmente dal Dicastero delle Cause dei Santi a questa Postulazione l’8 luglio 2024”.

Per comprendere meglio chi era Luisa Piccarreta abbiamo chiesto di raccontarci la sua vita al  giornalista Riccardo Rossi, volontario alla Missione ‘Speranza e Carità’ di fratel Biagio Conte: “Nacque a Corato, in Puglia, il 23 aprile del 1865 e morì il 4 marzo 1947. Aveva diversi fratelli, un padre e una madre buoni. Luisa fin da piccola era intensamente devota a Gesù. Sempre in tenera età sognava il demonio, in risposta, Luisa pregava tanto. Già a 12 anni comincia a sentire la voce di Gesù. All’età di 22 anni si è offerta come vittima perpetua”.

In quale modo viveva la volontà di Dio?

“Lei aveva il dono di vedere e parlare con Gesù che le ha chiesto di scrivere tutti i colloqui avuti con Lui, in modo che tutti leggendoli e meditandoli potessero capire che Gesù vuole la nostra volontà per darci la Sua Divina Volontà. Sono 36 diari: ‘Il Regno della Mia Divina Volontà in mezzo alle creature, Libro di Cielo. Il richiamo delle creatura nell’ordine, al suo posto e nello scopo per cui fu creata da Dio’. Quest’obbedienza le è costata molto perché non avrebbe voluto che tutti leggessero i suoi colloqui con Gesù”.

In quale modo il letto è diventato per lei un luogo di ‘contemplazione’?

“Lei ha vissuto circa 60 anni in un letto, pienamente abbandonata alla volontà di Dio Padre. Si è offerta come vittima, per assolvere lo stesso compito di Gesù, mitigare la Divina Giustizia nei confronti degli uomini. Successivamente il Signore le ha dato un nuovo incarico di girare spiritualmente nella Divina Volontà per preparare ed ottenere la venuta e il trionfo del suo Regno”. 

Quale era la spiritualità di Luisa Piccarreta?

“I suoi scritti non descrivono solo un itinerario di vita spirituale, ma sono la proclamazione del Decreto o Progetto eterno di Dio, che annuncia il compimento del suo Regno: il Regno della sua Volontà. Lei ha vissuto negli ultimi tempi, completamente immersa nella Divina Volontà, tanto da diventare rifermento per tutti noi che vogliamo vivere come Adamo ed Eva prima del Peccato Originale, o come ha vissuto la Madonna, immersi nel Divin Volere”. 

Come sei venuto a conoscenza della sua vita?

“Un mio amico, Nunzio, mi ha donato nella quaresima del 2022, il libro ‘Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo’ di Luisa Piccarreta e mi ha detto che leggendolo fuso in Gesù si potevano avere più doni, ma mi colpì molto il fatto che poteva guarirmi dalle mie ferite spirituali dell’infanzia. L’ ho letto, fuso in Gesù, per vari mesi.

Quando ho partecipato ad un cenacolo a ottobre del 2022 dei Piccoli Figli di Palermo, con la meditazione del Libro di Cielo, ho sentito che la Trinità era accanto a me quando ero piccolo e mio padre mi picchiava e nel mentre ho sentito oltre il dolore anche la gioia. Ho capito di avere avuto un miracolo di guarigione spirituale e che posso testimoniare, in particolare ai giovani, che Gesù non ci lascia mai soli”.

E quanto è stata importante la sua conoscenza per la tua vita?

“Fondamentale direi. Fratel Biagio, in collina, vicino all’Oasi della Speranza, mi aveva predetto che siccome ero stato molto vicino a lui sarei stato perseguitato e mi disse pure che anche io come lui, sono un martire spirituale. Nell’approcciare il ‘Libro di Cielo’ ho capito che le persecuzioni, sono in realtà predilezioni dell’amore di Dio che opera così per purgare le nostre anime verso la santità e per realizzare tante grazie.

Ho capito che proprio quando vieni colpito e quello il momento per migliorare nella fede, è facile avere fede quando tutto va bene, invece è nella prova che si misura. Da quando leggo questi libri ho avuto tanti doni, di più che in oltre vent’anni di vita cristiana. Ho capito che la cosa più importane non è pregare con tante parole e intenzioni, ma solo per l’Avvento del Regno di Dio, per affrettare la venuta di Gesù sulla terra”.

(Tratto da Aci Stampa)

A Catania mons. Renna invita ad essere responsabili della speranza

“Carissimi fratelli e sorelle di Catania, nel cuore della nostra Città, accanto ai luoghi dove la nostra santa martire Agata soffrì atroci tormenti, fu imprigionata e spirò pregando, vi rivolgo questa sera una parola che non può che essere di speranza, in linea con il giubileo che stiamo celebrando in questo 2025”: con queste parole mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, si è rivolto alla città nella festa di sant’Agata.

Nel discorso alla città mons. Renna ha invitato a non perdere la speranza, che è comunitaria: “La nostra speranza è comunitaria, non deve lasciare indietro nessuno, e ci fa guardare in alto, verso Dio, così come ha fatto sant’Agata, donna di fede e di speranza. Da lei impariamo a guardare in alto verso il Signore; da lei impariamo a guardare avanti, verso il futuro, e attorno a noi, come fratelli e cittadini. Da lei impariamo a guardare in alto, anzitutto, cioè ad avere fede in un Dio che non ci abbandona mai, anche quando sembra tutto perduto”.

E’ stato un invito a risanare le ‘ferite’ come ha fatto sant’Agata: “Come Agata, nel momento della sua morte levò le braccia al cielo e si affidò al Padre, leviamo il nostro cuore al Signore, e sentiamo che la convinzione più bella che dobbiamo chiederle è la fiducia nella paternità di Dio, che ha cura anche dei capelli del nostro capo.

Le nostre lacrime, le nostre aspirazioni, soprattutto quelle di chi è sull’orlo della disperazione, non gli sono indifferenti, e la luce che deve spingere a ‘sperare contro ogni speranza’ sono le parole del ‘Padre Nostro’, che ci fanno chiedere che venga il suo regno, che ci sia donato il pane quotidiano, che il perdono risani le nostre divisioni e siamo liberati dal male, anche dal male della disperazione”.

E’ stato un invito a guardare ‘oltre’: “Dobbiamo guardare oltre i nostri limiti, oltre i mali di Catania e le ombre di guerra, di conflitto sociale e politico che avvolgono l’Europa, anche oltre la mancanza di fiducia tra istituzioni che in questo momento sta segnando la vita dell’Italia. Guardare avanti significa costruire insieme anche la strada che si apre davanti a noi: non basta sperare, ma occorre organizzare la speranza! E lo si può fare se di questo mondo e di questa Città ci prendiamo cura tutti. Ci sono le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e preghiamo e ci aspettiamo che abbia tanta passione, tanta concordia, tanta lungimiranza nei progetti che stanno realizzando per Catania”.

Uno sguardo al futuro per un richiamo alla responsabilità: “Ma le strade del futuro abbiamo il dovere di lastricarle di responsabilità anche noi! Responsabilità è la cura della famiglia e dell’educazione dei figli, sulla quale non mi stancherò di esortare, perché molti bambini sono lasciati a sé stessi dai genitori che forse si sono trovati troppo presto con la responsabilità di essere padri e madri. Vanno aiutati! Il futuro di voi ragazzi e ragazze non può essere quello di rimanere genitori a 15 anni, quando avete bisogno ancora di progettare il vostro domani”.

Avere speranza significa essere un popolo: “Oggi sant’Agata ci invita a guardarci attorno e a considerare che siamo un popolo che cammina con lei, alla sequela di Cristo. Si è popolo se si recupera la fiducia reciproca, se ciascuno fa la sua parte. L’idea che altri risolvino per noi i nostri problemi è deresponsabilizzante; quella che gli uomini soli al comando siano migliori di un popolo responsabile, porta al dispotismo. Accanto a te c’è un altro con il quale organizzare la speranza mettendo da parte cattiverie, chiacchiericcio, desideri insani di sopraffazione. Siamo devoti tutti, siamo cittadini, ma siamo soprattutto fratelli tutti!”

Infine un appello ad avere la forza della speranza: “Rivestiamoci della forza della speranza, che è la pazienza e la mitezza di chi ogni giorno organizza il bene comune, con lo sguardo rivolto a un bene più grande, quel premio eterno che fu la massima aspirazione della nostra sant’Agata. Sant’Agata ci prenda per mano per riscoprire la fede, con uno sguardo rivolto verso l’alto; ci aiuti a guardare avanti e a non scoraggiarci mai: a guardare attorno le persone, da trattare con la carità e la gentilezza con cui lei guarda ciascuno di noi. Da quegli sguardi di Agata impariamo la speranza!”

Speranza al centro dell’omelia nella celebrazione eucaristica mattutina: “La speranza di una martire sfida l’impossibile, così come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla d’indizione dell’anno giubilare… La speranza cristiana ha la pretesa di ‘non deludere’, perché è fondata in Dio e fa dire all’apostolo Paolo: ‘Chi potrà separarci dall’amore di Cristo?’, ma è anche la speranza di una comunità, non di una somma di individui che pensano solo a sé.

Questa virtù ha nutrito il cuore di Agata e l’ha portata a rimanere ferma e solida nelle sue scelte di fede di fronte alla tentazione di tirarsi indietro e di rinunciare persino al dono dell’esistenza per un bene più grande. La sua era la stessa speranza che noi rinnoviamo nel credo, quella in Cristo che è il crocifisso risorto: in lui vengono rese feconde tutte le aspirazioni di bene, di giustizia e di pace che noi coltiviamo”.

E’ un invito particolare per i giovani: “Care giovani mamme, avete un merito: non aver messo fine alla vita dei vostri piccoli con l’aborto. Ora prendetevi cura di essi, costruitevi un futuro sicuro, fate sì che i vostri figli siano più responsabili di voi. Voi ragazzi sappiate attendere per accogliere il dono della vita nascente, di un fidanzato, di uno sposo; a causa di queste precoci gravidanze per voi la scuola finisce molto presto, e vi precludete l’accesso a titoli di studio che vi renderebbero più indipendenti.

Un genitore che lascia che la propria figlia vada incontro a questo futuro o la spinge a questo per togliersi una bocca da sfamare, la condanna ad una povertà educativa che si perpetua di generazione in generazione”.

Ma anche per i genitori: “Cari genitori, abbiate cura dell’educazione morale dei vostri figli, non lasciateli in balia della leggerezza della loro età: dei sani ‘no’, ripagano; un’attenzione maggiore ai loro percorsi di studio fin da piccoli, al modo come vivono, deve essere l’investimento da fare sul loro futuro. E voi ragazze e ragazzi, non compromettete il vostro domani con irresponsabilità, perché vi troverete ad affrontare difficoltà più grandi di voi”.

Ed ai sacerdoti: “Miei cari sacerdoti, anche l’educazione cristiana deve fare la sua parte! Nelle nostre parrocchie non possiamo limitarci alla catechesi e non creare altre opportunità educative. Cari ragazzi, aspirate ad una vita bella e più completa: nei vostri occhi deve risplendere la stessa luce pura di sant’Agata”.

Ha concluso l’omelia con l’invito a camminare insieme: “La parola speranza pare che derivi da pes, che in latino significa «piede» e quindi ci spinge a camminare insieme, a tirare il cordone di sant’Agata, facendo progredire tutti, soprattutto coloro che sono indietro. Non aspettiamo solo che camminino gli altri, ma muoviamoci insieme: quest’Eucarestia che celebriamo in un’aurora che promette speranza è garanzia e forza per camminare come popolo che viene tenuto insieme dal Signore Gesù, con la sua santa martire Agata”.

Papa Francesco invita a lasciarsi convertire dalla misericordia di Gesù

“Il Giubileo è per le persone e per la Terra un nuovo inizio; è un tempo dove tutto va ripensato dentro il sogno di Dio. E sappiamo che la parola ‘conversione’ indica un cambiamento di direzione. Tutto si può vedere, finalmente, da un’altra prospettiva e così anche i nostri passi vanno verso mete nuove. Così sorge la speranza che mai delude. La Bibbia racconta questo in molti modi. E anche per noi l’esperienza della fede è stata stimolata dall’incontro con persone che nella vita hanno saputo cambiare e sono, per così dire, entrate nei sogni Dio. Infatti, anche se nel mondo c’è tanto male, noi possiamo distinguere chi è diverso: la sua grandezza, che coincide spesso con la piccolezza, ci conquista”.

Oggi nella seconda udienza giubilare  papa Francesco, incontrando pellegrini e fedeli, ha offerto loro  la figura di Maria Maddalena, ‘guarita’ dalla misericordia di Gesù: “Nei Vangeli, la figura di Maria Maddalena emerge per questo su tutte le altre. Gesù l’ha guarita con la misericordia e lei è cambiata. Sorelle e fratelli, la misericordia cambia, la misericordia cambia il cuore. E Maria Maddalena, la misericordia l’ha riportata nei sogni di Dio e ha dato nuove mete al suo cammino”.

Il papa ha sottolineato un verbo, quello del voltarsi, come suggerisce il racconto evangelico: “Il Vangelo di Giovanni racconta il suo incontro con Gesù Risorto in un modo che ci fa pensare. Più volte è ripetuto che Maria si voltò. L’Evangelista sceglie bene le parole! In lacrime, Maria guarda dapprima dentro il sepolcro, quindi si volta: il Risorto non è dalla parte della morte, ma dalla parte della vita. Può essere scambiato per una delle persone che incontriamo ogni giorno”.

Il voltarsi è legato al nome: “Poi, quando sente pronunciare il proprio nome, il Vangelo dice che di nuovo Maria si volta. E’ così che cresce la sua speranza: ora vede il sepolcro, ma non più come prima. Può asciugare le sue lacrime, perché ha ascoltato il proprio nome: solo il suo Maestro lo pronuncia così. Il mondo vecchio sembra ci sia ancora, ma non c’è più”.

Attraverso una domanda il papa ha invitato i fedeli a riconoscere la voce di Gesù: “Quando noi sentiamo che lo Spirito Santo agisce nel nostro cuore e sentiamo che il Signore ci chiama per nome, sappiamo distinguere la voce del Maestro? Cari fratelli e sorelle, da Maria Maddalena, che la tradizione chiamò ‘apostola degli apostoli’, impariamo la speranza.

Si entra nel mondo nuovo convertendosi più di una volta. Il nostro cammino è un costante invito a cambiare prospettiva. Il Risorto ci porta nel suo mondo, passo dopo passo, a condizione che non pretendiamo di sapere già tutto”.

E’ un invito a lasciarsi convertire: “Un io troppo sicuro, troppo orgoglioso ci impedisce di riconoscere Gesù Risorto: anche oggi, infatti, il suo aspetto è quello di persone comuni che rimangono facilmente alle nostre spalle. Persino quando piangiamo e ci disperiamo, lo lasciamo alle spalle. Invece di guardare nel buio del passato, nel vuoto di un sepolcro, da Maria Maddalena impariamo a voltarci verso la vita. Lì il nostro Maestro ci attende. Lì il nostro nome è pronunciato”.

Ed ha assicurato che nella vita ognuno ha un ‘posto’: “Perché nella vita reale c’è un posto per noi, sempre e dovunque. C’è un posto per te, per me, per ciascuno. Nessuno può prenderlo, perché è stato pensato da sempre per noi. È brutto, come si dice nel parlato volgare, è brutto lasciare la sedia vuota. Questo posto è per me, se io non ci vado… Ognuno può dire: io ho un posto, io sono una missione! Pensate questo: qual è il mio posto? Qual è la missione che il Signore mi dà? Che questo pensiero ci aiuti a prendere un atteggiamento coraggioso nella vita”.

(Foto: Santa Sede)

Da Novara mons. Brambilla invita a vivere la divina leggerezza della vita in speranza

“Bisogna dire che sperare è vivere in speranza, al posto di concentrare la nostra attenzione ansiosa sui pochi spiccioli messi in fila davanti a noi, su cui febbrilmente, senza posa, facciamo e rifacciamo il conto, morsi dalla paura di trovarcene frustrati e sguarniti. Più noi ci renderemo tributari dell’avere, più diverremo preda della corrosiva ansietà che ne consegue, tanto più tenderemo a perdere, non dico solamente l’attitudine alla speranza, ma alla stessa fiducia, per quanto indistinta, della sua realtà possibile.

Senza dubbio in questo senso è vero che solo degli esseri interamente liberi dalle pastoie del possesso sotto tutte le forme sono in grado di conoscere la divina leggerezza della vita in speranza”: da questo pensiero del filosofo francese Gabriel Marcel è partita la riflessione del vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, per la festa patronale di san Gaudenzio, che si è snodata intorno a due domande: ‘Cosa possiamo sperare? Come dobbiamo sperare?’

Partendo dal brano evangelico, in cui si narra la presenza di Gesù dodicenne nel Tempio, il vescovo di Novara ha sottolineato che fede e speranza si ricevono: “La fede e la speranza non si inventano, ma si ricevono nel cuore del popolo santo e della propria famiglia: prima che un compito, sono un dono, anzi sono la grazia della festa. Solo mettendosi dentro la ‘consuetudine’, conoscendola ed amandola, si apre lo spazio per l’inedito di Dio e il gioco della nostra libertà…

La prima cosa che ci dice il racconto di Nazareth è questa: se si vuole partire per l’avventura della vita, bisogna piantare le radici nella propria terra. Così ha fatto Gesù, di cui il racconto poco prima dice che ‘cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Lui’. Su questo terreno ricco di minerali preziosi e succhi vitali (la sapienza e la grazia), irrompe la novità della speranza!”

E’ stato un invito ad allenarsi alla speranza: “Noi mettiamo al mondo figli come miracolo della vita, ma dobbiamo allenarli all’avventura della divina leggerezza della speranza. Ecco, allora, cosa significa sperare: la spes latina e l’elpís greca, che sembrano venire dalla radice indoeuropea vel-, si pongono nell’orizzonte del ‘volere’.  Per volere e decidere bisogna abitare un’attesa e una tensione verso un ‘non ancora’… In tal modo, la speranza è sorretta dalla fiducia, talvolta può attendere solo ciò che appare, può persino sbagliare mèta, ma fin quando essa spera, punta su qualcosa che ha da venire, è in comunione con una certezza che la precede e le viene incontro”.

E’ stato un invito ad insegnare il modo in cui essere nella speranza: “Insegniamo ai figli le azioni e le opere che anticipano il futuro: diciamo ai nostri adolescenti e giovani di osare, sperimentare, provare per trovare la loro strada. La speranza è avventura e rischio, è prova ed errore, è cercare un maestro e una guida che non leghi a sé, ma ti liberi per custodire il tuo sogno e per trovare il tuo cammino. La speranza è la virtù dei forti, è la postura dei nani che si mettono sulle spalle dei giganti del passato, per vedere meglio e oltre loro”.

Riprendendo la lettera di san Pietro il vescovo di Novara ha sottolineato che la speranza richiede la passione: “La speranza rende beati a caro prezzo coloro che sono ‘ferventi nel bene’ ed hanno ‘passione per la giustizia’, che lottano per cambiare la vita delle famiglie e costruire i legami della città, coloro che operano anche quando sono criticati o si mette in dubbio la loro buona fede. L’Apostolo proclama anzitutto la beatitudine di coloro che soffrono per la giustizia, richiamando una delle più caratteristiche beatitudini di Gesù. Colpisce che la beatitudine trovi riscontro nella vita delle comunità che devono soffrire per le persecuzioni”.

Eppoi ha tratteggiato tre atteggiamenti per vivere la speranza, di cui il primo passo riguarda la centralità di Cristo e di Dio nella vita personale: “In questo anno giubilare la speranza viva ci chiede anzitutto di mettere in ordine le cose della nostra esistenza, di porre al primo posto ciò che deve stare al centro, il Signore e le cose decisive della vita, del lavoro e della famiglia. Il Giubileo è un anno di riposo della terra, di ricostruzione dei legami, di remissione dei torti e dei debiti, di riconciliazione tra i popoli… Bisogna ridare ordine alla nostra vita mettendo al centro il primato dell’anima e dello spirituale, della carità e della compassione!”

Un ulteriore passo richiama alla testimonianza personale e civile: “Ecco il messaggio della Prima lettera di Pietro: al centro della nostra vita c’è una speranza a caro prezzo, che è Gesù sofferente divenuto il Signore Risorto! È la “speranza vivente”, cuore dell’esistenza cristiana (in voi) e della comunità cristiana (fra voi)! Oggi è diventata una testimonianza difficile nella vita familiare, lavorativa e sociale: vincono i poli estremi della contrapposizione o della mimetizzazione. Anche noi cristiani abbiamo paura che ‘rendere ragione’ della nostra fede e delle nostre convinzioni non ci faccia sentire accettati dagli altri, oppure orgogliosamente vogliamo far valere la nostra differenza, spacciandola subito per la speranza cristiana”.

Il terzo aspetto riguarda lo stile della vita: “Non dimentichiamo che il carattere disarmato e disarmante dello stile cristiano, anche di fronte alle calunnie riguardo al nostro essere e agire nella luce e nello stile di Cristo, è stato il fattore più importante per il diffondersi del Cristianesimo nei primi quattro secoli. La ‘gentilezza’ del tratto, su cui anche la nostra città di Novara ha investito molto, deve accompagnarsi al rispetto per la dignità delle donne e degli uomini, riconosciuta davanti a Dio, e per una coscienza pura e trasparente”.

Insomma, è un invito ad essere abitati da una ‘speranza viva’: “E’ quella che ogni giorno fa prevalere la fiducia sul sospetto, la tenerezza sulla rigidità, la vicinanza sulla solitudine, l’interesse sul menefreghismo, la compassione sulla rigidità, la generosità sull’egoismo, l’accoglienza sull’esclusione, la fiducia nel prossimo piuttosto che la rivalità sfrenata, la vita semplice e operosa anziché che la ricchezza sfarzosa e ostentata. In una parola la ‘speranza viva’ è l’umile vittoria della vita sulla morte, perché l’abbiamo ricevuta in dono e non possiamo non regalarla agli altri. Questa è la divina leggerezza della vita in speranza!”

(Foto: diocesi di Novara)

Epifania in Marocco

‘I miracoli sono sempre compiuti dagli uomini uniti’. Ecco, uno dei ‘Proverbi del mondo’ che i Re Magi distribuivano a piene mani al termine della celebrazione dell’Epifania. La saggezza delle nazioni. I fedeli della parrocchia Saint Augustin di Settat (Marocco), in terra d’Islam, mostravano tutta la loro curiosità e il loro stupore. Era, infatti, la prima volta di un’esperienza così. Già all’inizio della celebrazione non mancava la sorpresa.

I Magi, come per miracolo, avevano preceduto tutti davanti alle porte della chiesa, arrivati per primi. Ad ognuno, poi, mettevano nelle mani una stella… pardon, un lumino e una preghiera. Iniziava la messa, i canti della corale dei giovani universitari subsahariani trasformavano la nostra cappella in una vera cattedrale. D’ora in poi i miracoli, come le stelle, non si contavano più… Nell’omelia si seguivano passo dopo passo le sette tappe del cammino di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre: fede, audacia, curiosità, umiltà, condivisione, incontro e gioia.

Tappe ricordate perfino nei Proverbi dei Magi, vere pillole di saggezza: ‘Vola solo chi osa farlo…’,  oppure ‘Viaggiare non è scoprire nuove terre, ma aprire nuovi occhi’… Così, tutti, al seguito dei Magi, durante l’offertorio portavano la loro stella sull’altare. Miracolo! Un’infinità, decine e decine di piccoli lumi, allora, scintillavano come stelle, dando un tocco di magia alla celebrazione dei tre pellegrini provenienti dall’Oriente, appassionati della luce.

Sì, la grotta di Betlemme, invasa dalla luminosità degli angeli, forse era più oscura… Ai piedi dell’altare, l’incenso fumava come un vulcano in piena attività. Sulle labbra dei fedeli sembrava di leggere un’unica, corale invocazione: ‘Salga a te, Signore, la mia preghiera come questo incenso!’ E come davanti alla grotta, ciascuno nella preghiera di intercessione nominava ad alta voce i nomi e i volti di coloro che portava nel cuore… Mistero della fede.

Sì, incontro con Dio nel silenzio e nella preghiera di una comunità. Sapore intimo dell’Epifania. Alla fine, all’uscita della chiesa, invece, torte e succhi di frutta aspettavano con impazienza… Ma soprattutto vi era l’attesa tombola di sardine. Le sardine fresche, qui, dalle rive dell’Atlantico è una vera golosità, un dono di Dio, preziose più dell’oro di Melchiorre.

Così, l’allegria e il buon umore raggiungevano il loro apice, mentre fioccavano i flash insieme ai re Magi, ovviamente sulla via del ritorno… per portare alle case dei vicini musulmani il loro originale saluto. Sì, come una eco, in fondo, risuonava in ognuno un ultimo messaggio di Betlemme: ‘Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore’.

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