Tag Archives: fede

Mons. Trevisi: san Giusto un innamorato della sua città

Ieri Trieste ha festeggiato il patrono san Giusto, martirizzato il 2 novembre 303 durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano per le sue opere ed elemosine, fu denunciato di empietà (sacrilegium) da alcuni suoi concittadini. Secondo la legge romana il giudice doveva verificare di persona l’accusa. Perciò Giusto fu convocato nello studio privato (consistorium) del magistrato ed invitato a sacrificare agli dèi romani, a cui oppose un fermo rifiuto. Nella scrupolosa osservanza delle procedure, il magistrato Manazio mandò Giusto in carcere per una pausa di riflessione. Il giorno seguente Giusto, nuovamente esortato a sacrificare, rifiutò; venne quindi fustigato e, poiché persisteva nel suo rifiuto, condannato alla morte per annegamento.

Nell’omelia per il pontificale della festa patronale mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, ha rappresentato il patrono come cittadino: “Mi piace pensare a san Giusto come a un cittadino che non ha fatto mancare il suo apporto per costruire la città. La tradizione ce lo presenta come un uomo conosciuto per le sue opere e le sue elemosine. La fede non si riduce a un sentimento ma è vita che si esprime in tutte le dimensioni, e dunque anche nelle opere e pure nella carità verso i poveri. Nella settimana sociale siamo stati sollecitati a prenderci cura della città, a partecipare attivamente e nelle forme più svariate e in tutte le direzioni. Il papa ha parlato della crisi della democrazia come di un cuore ferito, infartuato”.

Ed ha sottolineato l’importanza data da san Giusto per le opere di carità: “Mi piace pensare a San Giusto come a un cittadino che si è dato da fare con le opere e con la carità. Non viene ricordato come uno che si distingueva per le polemiche ma come uno che viveva facendo del bene, prendendosi cura dei poveri”.

Quindi ha invitato la comunità ad imparare dal patrono: “Talvolta, è così in tutto il mondo e anche a Trieste, si rischia di scivolare in riletture dove tutto è polemica e scontro. Dove fatichiamo a convertirci ad uno stile di confronto sereno e aperto, a un dialogo delle buone pratiche che non devono essere interpretate contro qualcuno, ma a favore del Bene comune, a favore di chi rischia di essere scartato… A me piace una comunità cristiana che sull’esempio di San Giusto è parte viva della città e si spende coraggiosamente per le persone vulnerabili. Non con lo spirito partitico, di una parte contro l’altra, ma nella ricerca delle tracce del Dio incarnato nella storia di tanti crocifissi che ci abitano a fianco, che ci camminano a fianco”.

San Giusto ha compiuto le opere di carità in quanto la fede rende liberi: “La fede in Gesù mi rende libero dalla preoccupazione del mio successo individuale, e dunque libero di prendermi cura dei fratelli. Libero di rischiare la vita nell’amore, come Gesù. Liberi anche di andare oltre i pregiudizi del tempo, per osare con Gesù lo scandalo dell’amore evangelico. Fino a dare totalmente noi stessi: nell’essere appassionati per la vita, per il bene comune, per la pace e la giustizia, per dare compagnia ai malati, nel rilanciare attenzione alle famiglie, nell’affrontare l’inverno demografico, nello sfidare l’emergenza freddo”.

Per questo mons. Trevisi ha chiesto ai fedeli di imparare a credere in Gesù, che rende liberi, dall’esempio di san Giusto: “Da san Giusto (il chicco di grano, caduto in terra e che dà molto frutto) impariamo a credere in Gesù smisuratamente: Gesù ci rivela il volto del Padre e dunque il volto del vero Dio: il Dio che ci ama e vuole la nostra vita, la nostra pienezza di vita; ed è Lui che ci rivela come guardare ai fratelli e uscire dallo stereotipo dello scontro, dell’essere gli uni contro gli altri. Credere in Gesù ci fa liberi dalle ideologie, liberi dal consenso a tutti i costi (anche a prezzo delle menzogne), liberi di spenderci nell’amore, fino a dare la vita”.

E per questa fede liberante è stato martirizzato: “Di fronte alle prepotenze del suo tempo san Giusto non è indietreggiato. Ha continuato a professare la sua fede in Gesù Cristo e a vivere spargendo buone opere e carità. Non possiamo continuare a ripetere che i nostri sono tempi difficili, quasi a giustificarci di una fede vissuta con mediocrità, anteponendo ad essa lo spirito del mondo. San Giusto vive la sua appartenenza a Gesù fino a morire martire, cioè a morire amando Dio ed il prossimo. Oggi assistiamo a tante persone che muoiono uccidendo sia nelle guerre come nella criminalità organizzata ma anche in relazioni malate che ci sono talvolta tra uomini e donne. E altre persone che muoiono mentre il mondo resta indifferente e distratto!”

San Giusto invita ad una fede coraggiosa:  “Niente di meno di questo: dare la vita con Gesù, nel nome di Gesù. San Giusto questo insegna anche oggi a tutta Trieste. Non una fede mediocre, non una fede tiepida e accomodante. Invece una fede viva, appassionata, radicale, coraggiosa, entusiasta, contagiosa… Come ci insegnano anche tanti cristiani del nostro tempo, martiri in tante parti del mondo anche in questo nostro tempo”.

Mentre nella veglia di preghiera mons. Trevisi aveva invitato i cittadini alla carità: “Troverete così il vostro modo personale di vivere la carità, senza ipocrisia, detestando il male, con affetto fraterno, gareggiando nella stima reciproca. Abbiamo bisogno di giovani che non sono pigri nel fare il bene. Che non sono lieti nella speranza… premurosi nell’ospitalità. A questo riguardo invito a divenire volontari nel dormitorio di via Sant’Anastasio. Trovate l’emozione del fare un puzzle con dei bambini che hanno bisogno di recuperare la loro infanzia perduta. Oppure sogno di poter rilanciare volontariato giovanile con i bambini al Burlo. E vi educheranno a quello che dice san Paolo: a rallegrarvi con chi è nella gioia e a piangere con quelli che sono nel pianto!”

XXXI  domenica Tempo ordinario: il grande comandamento è amare

Un Dottore della Legge pone a Gesù una domanda: Quale è il primo di tutti i comandamenti?  Il primo non in senso cronologico, ma quello che sintetizza in sé tutti i comandamenti. Gesù risponde con le parole stesse della Bibbia: ‘Ascolta Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, co tutte le forze’; Gesù poi aggiunge quello che Egli chiama ‘secondo comandamento: amerai il prossimo tuo come te stesso!’  Dio è amore: il comandamento essenziale allora non può essere che ‘amare’: amare Dio è l’opzione fondamentale, è la scelta  fondamentale e nasce con la Fede e la Speranza.

Cristo Gesù non è venuto ad abolire l’antica legge ma a completarla; amare Dio come prima cosa, amore del prossimo come completamento dell’amore di Dio: ami veramente Dio se ami il prossimo. Gesù, come vedi, non chiede un amore soggettivo, ma un amore oggettivo; non richiede quel sentimento che sente o che prova una persona che ama; Gesù chiede di fare la volontà di Dio, ci chiede azioni reali e concrete e non sentimenti: l’amore cristiano è carità perchè scaturisce da Dio come il raggio dal sole; deve essere espressione vera dell’amore di Dio  nel nostro cuore e nella nostra vita. Ecco perchè Gesù dice: se uno mi ama osserverà la mia parola (Gv. 14, 23), ‘Se mi amate osserverete i miei comandamenti’.

Non è dunque un amore su comando; l’amore vero deve essere libero e non si ottiene per imposizione dall’esterno; l’amore è frutto della scelta di Dio, che ci amati per primo e amandoci ci ha conferito la grazia per amare Dio e amare i fratelli. L’amore, prima di essere un comandamento, è la risposta ad una esperienza di amore. Dio è amore e amando crea e creando ama; da questa esperienza nasce spontaneo il comandamento che non è una imposizione ma la risposta naturale a Dio, che ci ha amato per primo.

Amore con amore si paga! L’amore che conta non è quello che si ferma ad un sentimento vuoto ma quello che si concretizza nella stessa realtà creata dove Gesù, il Verbo eterno, ha assunto la natura umana, ha sofferto in croce offrendosi vittima al Padre per amore dell’uomo, per aprire agli uomini le porte del Regno dei cieli. Cristo Gesù è venuto non per abolire la legge antica anzi dirà: neppure una iota verrà cancellata.

L’amore segna il vertice della vita cristiana: Dio non è solo il Signore da adorare, temere, obbedire ma è l’oggetto del nostro amore totale (ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze), ama il prossimo tuo perchè figlio di Dio, fratello nostro per il quale lo stesso Cristo è morto in croce per salvarlo. Gesù conclude così la Vecchia Alleanza ed instaura la Nuova.

La novità riguarda la parola ‘prossimo’. Chi è il prossimo d’amare? Prossimo non è solo il familiare, l’amico o uno del gruppo ma tutti costituiscono il prossimo perchè per tutti Gesù si è incarnato, è morto in croce, ha dato la sua vita. Gesù vuole tutti salvi ed ha fatto dell’umanità la sua nuova famiglia.     

Per l’ebreo prossimo era solo l’altro ebreo; per l’islamico è l’altro islamico; per il cristiano prossimo è ogni uomo. Questo amore deve avere il carattere della interiorità, nel senso che non dobbiamo amare per convenienza, per utilità o dovere, ma amare perchè l’altro è tuo fratello, figlio dell’amore eterno di Dio.

Dio è amore e noi, davanti a Dio, saremo giudicati solo sull’amore: ‘Ama et fac quod vis’: chi ama non offenderà mai Dio o il fratello. Lo diciamo nel ‘Padre nostro’: perdona a noi come noi perdoniamo i nostri debitori; (cioè “con la stessa misura con la quale misurate, dice Gesù, sarete misurati”. Ama di cuore e troverai sempre Dio grande e misericordioso. Se un sorriso  viene dal cuore è cortesia, se è solo esteriorità è ipocrisia. 

Come amare concretamente Dio? La via più breve è amare il fratello in nome di Dio, superando così ogni frontiera di risentimento, di odio, di vendetta. Questo significa essere cristiano: un amore che si oppone alla logica del mondo dove esiste solo la logica del più forte, la legge che fa del mondo una foresta dove ‘homo homini lupus’. Da qui la risposta assai chiara di Gesù alla domanda: quale è il più grande comandamento?

Una risposta categorica: ‘Amerai…’, un verbo al futuro per indicare una storia mirabile: l’amore infatti assicura il futuro del mondo; senza amore non c’è futuro.    Ascoltiamo, cari amici, la parola del Signore: se non l’ascolti la rimpiangerai; se la disprezzi, sarà la tua rovina, la tua condanna.  E’ la parola che ti rimette in equilibrio perchè ti permette di ritrovare te stesso. La Madonna, la donna del ‘sì’, dell’amore, ci aiuti ad essere veri uomini e cristiani.

Suor Botindari: a Roma la ‘Notte dei Santi’ con il beato Acutis

Oggi al Santuario del Divino Amore di Roma si svolgerà la prima edizione della ‘Notte dei Santi’, un’iniziativa serale e notturna proposta ai ragazzi e i giovani della diocesi di Roma con l’obiettivo di stare bene insieme, non solo divertendosi, ma riflettendo sulla bellezza della santità. La celebrazione eucaristica sarà presieduta dal card. Enrico Feroci, rettore del Santuario del Divino Amore, e da mons. Dario Gervasi, vescovo ausiliare del Settore Sud della diocesi di Roma.

A suor Vincenzina Botindari, francescana missionaria del Cuore Immacolato di Maria, chiediamo il motivo, per cui la Chiesa festeggia tutti i Santi: “La festa di tutti i santi viene celebrata perché i fedeli abbiano dei forti punti di riferimento per ridare senso al cammino di fede, che verte verso la vita eterna. I santi sono testimoni di un incontro fatto, vissuto e portato a compimento. Sono l’immagine di quello che Dio realizza per la sua Chiesa: l’alpha e l’omega (inizio e fine)

Loro stessi, i santi, hanno camminato come noi sulle strade di questo mondo, spesso li scopriamo uomini fragili capaci di ridere o piangere, ma sempre orientati verso l’unico bene: Dio, il paradiso e tutto ciò che richiama la vita eterna. In questo caso possiamo pensare a san Filippo Neri, che spingeva i giovani attraverso la loro innocenza verso Dio. Sicuramente in lui non c’era nulla di costruito o programmato, ma aveva una piena fiducia nella provvidenza intesa come nutrimento dell’anima e del corpo. Fra poco inizia il Giubileo; ecco i santi ci mostrano questa lampada della speranza: non abbiate paura, continuate a camminare”.

Perché il beato Carlo Acutis è al centro di questo momento di preghiera?

“L’evento della ‘notte dei santi’ che si terra al Santuario del Divino Amore, che per i romani ha un significato particolare, grazie all’invito del rettore mons. Enrico Feroci: giovedì 31 ottobre alle ore 21.00 propone un altro testimone molto più recente, che è il beato Carlo Acutis. Un testimone della fede molto più vicino ai giovani e alla loro quotidianità. Cosa testimonia oggi Carlo Acutis ai giovani? Sicuramente che Dio e in quel quotidiano semplice fatto di scuola, studio, sport o attività digitali come tanti dei nostri ragazzi. Penserai e dov’è la straordinarietà di questo ragazzo? Aver fatto spazio a Dio, si è fidato di Lui a tal punto da far diventare Gesù il suo punto fermo. La straordinarietà di Carlo la vedremo solo dopo la sua morte, e non sono i miracoli che sta concedendo a molti, ma aver riportato molti allo Straordinario”.

In quale modo è possibile raccontare la santità ai giovani?

“La Chiesa cattolica oggi ha avviato diversi processi di trasmissione della fede vogliamo parlarne di alcuni. Abbiamo già detto che i santi ci indicano da sé la via da seguire con la loro stessa vita, sono in effetti testimoni credibili, che smuovono anche le coscienze, pensiamo al beato Pino Puglisi, ma andiamo avanti.

Una delle nuove vie di comunicazione della fede è sicuramente la musica, che conserva da sempre nella storia un grande potere educativo per comunicare non solo la poesia dell’amore, ma già da qualche decennio essa è uno dei canali per veicolare la fede e il messaggio della Chiesa Cattolica”.

Perché parlare dei santi ai giovani?

“Parlare dei santi è una necessità, in quanto è un racconto della vita eterna. Parlare dei santi è un ‘servizio’, che racconta l’annuncio di una santità nel quotidiano. Avremo una ‘presenza’ del beato Carlo Acutis, perché la diocesi di Assisi ci ha concesso le reliquie del cuore del beato. Questo sarà un momento speciale, perché in un momento in cui sembra quasi che la fede abbia un momento di ‘calo’, in realtà ci sono i giovani che diventano santi. Sembra un’utopia raggiungere la santità, ma il beato Acutis lo ha fatto senza grandi manifestazioni esteriori; semplicemente ha incontrato Dio ed ha compreso che la sua quotidianità doveva essere intessuta di questa presenza”.

Come si svolge questa serata?

La notte dei santi che si svolge giovedì 31 ottobre al Divino Amore utilizzerà questi canali: la catechesi di don Fabio Rosini sulla Santità; la testimonianza portata da p. Marco Gaballo parroco del Santuario della Spoliazione in Assisi; la christian music delle band del Kantiere Kairos e di Lorenzo Belluscio/music&faith e Marco Mammoli, che per anni ci ha fatto cantare l’inno della giornata mondiale della gioventù del 2000 tenutasi a Roma; l’arte degli artisti per Dio nella persona di Erika Fossati che donerà alla notte dei santi i volti della santità. Con collaborazioniimportanti per testimoniare come comunità la fede ai nostri ragazzi: il Vicariato di Roma attraverso l’ufficio di pastorale giovanile nella persona di don Alfredo Tedesco direttore dello stesso ufficio; Centro Diocesano missionario nella persona del direttore, p. Giulio Albanese affinchè i giovani possano riconoscersi missionari in cammino verso la santità; OFS LAZIO ed infine i canti del maestro Ambrogio Sparagna. Non possiamo dimenticare la preziosa collaborazione dei Francesclaun, giullari di Dio, che animeranno la notte dei santi dei più piccoli per far conoscere e sperimentare anche a loro la gioia dei santi”.

Ed Halloween?

“Ce ne siamo completamente disinteressati, abbiamo l’urgenza di comunicare la fede ai nostri ragazzi!”

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco: lo Spirito Santo è consolante

“E non dimentichiamo i Paesi in guerra; non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, Myanmar. Fratelli e sorelli non dimentichiamo che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta. Non dimentichiamo questo e preghiamo per la pace e lottiamo per la pace”: anche oggi al termine dell’udienza generale papa Francesco ha invitato a pregare per la pace. Ed in lingua polacca ha ricordato il beato don Popiełuszko nel 40° anniversario del suo martirio: “Questo Beato, che ha insegnato a vincere il male con il bene, vi sostenga nel costruire l’unità nello spirito della verità e del rispetto per la dignità della persona umana”.

Mentre nell’udienza generale ha continuato il ciclo delle catechesi sullo Spirito Santo, incentrando la meditazione sul tema: ‘Credo nello Spirito Santo’, tratto dal capitolo 14 del vangelo di Giovanni apostolo: “Con la catechesi di oggi passiamo da ciò che sullo Spirito Santo ci è stato rivelato nella Sacra Scrittura a come Egli è presente e operante nella vita della Chiesa, nella nostra vita cristiana.

Nei primi tre secoli, la Chiesa non ha sentito il bisogno di dare una formulazione esplicita della sua fede nello Spirito Santo. Per esempio, nel più antico Credo della Chiesa, il cosiddetto Simbolo apostolico, dopo aver proclamato: ‘Credo in Dio Padre, creatore del cielo e della terra, e in Gesù Cristo, nato, morto, disceso agli inferi, risorto e asceso al cielo’, si aggiunge: ‘nello Spirito Santo’ e niente di più, senza alcuna specificazione”.

La precisazione fu resa necessaria a causa di eresie fin dai primi secoli della Chiesa: “Ma fu l’eresia a spingere la Chiesa a precisare questa sua fede. Quando questo processo iniziò (con Sant’Atanasio nel quarto secolo) fu proprio l’esperienza che essa faceva dell’azione santificatrice e divinizzatrice dello Spirito Santo a condurre la Chiesa alla certezza della piena divinità dello Spirito Santo. Questo avvenne nel Concilio Ecumenico di Costantinopoli, del 381, che definì la divinità dello Spirito Santo con le note parole che ancora oggi ripetiamo nel Credo”.

Quindi lo Spirito Santo è ‘uguale’ a Dio, cioè ‘consustanziale’: “Dire che lo Spirito Santo ‘è Signore’ era come dire che Egli condivide la “Signoria” di Dio, che appartiene al mondo del Creatore, non a quello delle creature. L’affermazione più forte è che a Lui si deve la stessa gloria e adorazione che al Padre e al Figlio. È l’argomento dell’uguaglianza nell’onore, caro a san Basilio Magno, che fu l’artefice principale di quella formula: lo Spirito Santo è Signore, è Dio.

La definizione conciliare non era un punto di arrivo, ma di partenza. E infatti, superati i motivi storici che avevano impedito una affermazione più esplicita della divinità dello Spirito Santo, questa verrà tranquillamente proclamata nel culto della Chiesa e nella sua teologia”.

Purtroppo tale definizione provocò ulteriori divisioni: “La Chiesa latina ben presto integrò questa affermazione aggiungendo, nel Credo della Messa, che lo Spirito Santo procede ‘anche dal Figlio’. Siccome in latino l’espressione ‘e dal Figlio’ si dice ‘Filioque’, ne è nata la disputa conosciuta con questo nome, che è stata la ragione (o il pretesto) per tante dispute e divisioni tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente”.

Non addentrandosi in questa diatriba il papa ha invitato ad un cammino insieme: “Non è certo il caso di trattare qui tale questione che, del resto, nel clima di dialogo instauratosi tra le due Chiese, ha perso l’asprezza di un tempo e oggi permette di sperare in una piena accettazione reciproca, come una delle principali ‘differenze riconciliate’. A me piace dire questo: ‘differenze riconciliate’. Fra i cristiani ci sono tante differenze: questo è di questa scuola, dell’altra; questo è protestante, quello… L’importante è che queste differenze siano riconciliate, nell’amore di camminare insieme”.

Quindi ha sottolineato che lo Spirito Santo è ‘vivificante’: “Superato questo scoglio, oggi possiamo valorizzare la prerogativa per noi più importante che viene proclamata nell’articolo del Credo, e cioè che lo Spirito Santo è ‘vivificante’, cioè dà la vita. Ci domandiamo: che vita dà lo Spirito Santo? All’inizio, nella creazione, il soffio di Dio dà ad Adamo la vita naturale; da statua di fango, lo rende ‘un essere vivente’. Ora, nella nuova creazione, lo Spirito Santo è Colui che dà ai credenti la vita nuova, la vita di Cristo, vita soprannaturale, da figli di Dio”.

Ed ecco la vera notizia ‘consolante’: “E’ che la vita che ci è data dallo Spirito Santo è vita eterna! La fede ci libera dall’orrore di dover ammettere che tutto finisce qui, che non c’è alcun riscatto per la sofferenza e l’ingiustizia che regnano sovrane sulla terra… Lo Spirito abita in noi, è dentro di noi. Coltiviamo questa fede anche per chi, spesso non per colpa propria, ne è privo e non riesce a dare un senso alla vita. E non dimentichiamo di ringraziare Colui che, con la sua morte, ci ha ottenuto questo dono inestimabile!”

In precedenza papa Francesco aveva ricevuto i membri della Società Italiana di Chirurgia in occasione del 126^ Congresso nazionale dal titolo ‘Il futuro del chirurgo – il chirurgo del futuro’, invitandoli ad essere custodi della vita: “Il vostro lavoro e la vostra missione saranno sempre importantissimi: vi invito perciò a essere custodi della vita di chi soffre. Anche quando una persona non può guarire, può però sempre essere curata, perché nessuno sia mai considerato o si senta uno scarto”.

Ed ha consegnato loro un’icona: “Ed a questo riguardo, stimati chirurghi, vorrei concludere consegnandovi un’icona che può ispirare il futuro della vostra professione: l’icona di Gesù medico delle anime e dei corpi (ossia di tutto l’uomo) narrata nella parabola del buon Samaritano. In essa, colui che si prende cura vede e si ferma senza fretta: ha compassione di chi incontra, gli si fa vicino e ne fascia le ferite. Vede, ha compassione, si fa vicino e ne fascia le ferite. Sono questi gli atteggiamenti che io vi raccomando: vedere con amore, provare compassione, farsi vicino e prendersi cura. E’ così che ogni buon medico diventa il prossimo del paziente”.

(Foto: Santa Sede)

Nulla osta per Medjugorje

Ieri è stata pubblicata stamane la nota ‘La Regina della Pace’ del dicastero per la Dottrina della Fede approvata da papa Francesco circa l’esperienza spirituale di Medjugorje, presentata dal prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede, card. Víctor Manuel Fernández, dal segretario per la sezione dottrinale del dicastero per la Dottrina della Fede. Mons. Armando Matteo, e dal direttore editoriale del dicastero per la comunicazione, Andrea Tornielli; nel cui testo si può leggere le motivazioni di questa nota:

“Un effetto immediato attorno ai fenomeni di Medjugorje è stato il grande e crescente numero di devoti in tutto il mondo e le numerose persone che vi si recano in pellegrinaggio dalle più variegate provenienze. I frutti positivi si rivelano soprattutto come la promozione di una sana pratica di vita di fede, d’accordo con quanto presente nella tradizione della Chiesa.

Questo, nel contesto di Medjugorje, riguarda sia coloro che erano lontani dalla fede sia coloro che fino a quel momento avevano praticato la fede in modo superficiale. La specificità del luogo consiste in un gran numero di tali frutti: le abbondanti conversioni, il frequente ritorno alla pratica sacramentale, le numerose vocazioni alla vita presbiterale, religiosa e matrimoniale, l’approfondimento della vita di fede, una più intensa pratica della preghiera, molte riconciliazioni tra coniugi e il rinnovamento della vita matrimoniale e familiare. Occorre menzionare che tali esperienze avvengono soprattutto nel contesto del pellegrinaggio ai luoghi degli eventi originari piuttosto che durante gli incontri con i ‘veggenti’ per presenziare alle presunte apparizioni”.

Presentando il testo il card. Fernández ha narrato la posizione degli ultimi tre papi, spiegando in cosa consiste il ‘nihil obstat’: “Riguardo ad un evento spirituale, i fedeli, tramite il nihil obstat, ‘sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione’. Questa determinazione indica che i fedeli possono ricevere uno stimolo positivo per la loro vita cristiana attraverso questa proposta spirituale, e si autorizza pure il culto pubblico, perché ad ogni modo in mezzo ad essa (non a causa dei presunti fenomeni soprannaturali) si sono verificati molti frutti positivi e non si avverte il pericolo che si siano ampiamente diffusi nel Popolo di Dio effetti negativi o rischiosi”.

Il decreto ha evidenziato che la devozione a Medjugorje è molto diffusa nel mondo: “Anche se il decreto viene emanato dal Vescovo locale, in un caso di così tanta diffusione mondiale, il Dicastero è coinvolto in una maniera del tutto speciale. Infatti, al di là dei pellegrinaggi a Medjugorje, la devozione alla Madre di Dio, Regina della Pace, è diffusa in tutto il mondo. In molte nazioni sono sorti tantissimi gruppi di preghiera e devozione mariana, ispirati all’esperienza spirituale di Medjugorje”.

Da questa ‘spiritualità’ sono nate anche molte opere caritatevoli: “Sono nate anche opere di carità legate a diverse comunità e associazioni, in particolare a quelle che si occupano di orfani, tossicodipendenti, alcolisti, disabili e ragazzi con diverse problematiche. Tutto questo non è solo una spiritualità di gruppi ecclesiali, ma è diventato un fenomeno popolare che non tiene conto tanto dei messaggi o delle discussioni sull’origine soprannaturale. Ciò che attira è la Regina della Pace e la presenza della sua immagine che si trova nei posti più diversi”.

Ed ha spiegato che i messaggi della Madonna ai ragazzi di Medjugorje sono molto importanti: “Questi messaggi sono chiarissimi e da tenere in speciale considerazione. Così sembra che, nell’insieme dei messaggi, si mescolino inviti preziosi che hanno il profumo del Vangelo con i comprensibili desideri dei presunti veggenti che sperano che questi appelli vengano ascoltati affinché il mondo ascolti Cristo e cambi. Ecco perché, nello stesso momento in cui appare l’insistenza schiacciante nell’ascoltare i messaggi, sembra che la Madre del cielo si sia fatta strada dicendo: non soffermatevi su questi messaggi, leggete il Vangelo, non concentratevi tanto su queste cose straordinarie, cercate Cristo che è l’unico Salvatore”.

Ed ha concluso che comunque si continuerà a fare discernimento sulle apparizioni: “Perciò la Vergine non comanda che qualcosa venga comunicato necessariamente o immediatamente; non ci usa come burattini o strumenti morti, lascia sempre spazio a un nostro discernimento responsabile, personale ed ecclesiale, circa la convenienza, l’opportunità, la chiarezza di ciò che può essere trasmesso.

Su Medjugorje, il discernimento del Visitatore misurerà l’opportunità. Ci sono già molti messaggi che ripetono molte volte le stesse esortazioni, e ricordiamoci che, come dice papa Francesco, non è consigliabile essere entusiasti di una Vergine postina. In ogni caso, come ha notato anche il Visitatore, la grande maggioranza di pellegrini non va a Medjugorje per cercare i veggenti e ascoltare i loro messaggi, ma per cercare la forza, la pace interiore, la grazia di essere più santi”.

Mentre mons. Matteo ha ripercorse le tappe di questo percorso ed il direttore editoriale, Tornielli, ha riportato alcuni dati statisstici: “Se si interrogano i motori di ricerca sul web circa le presenze di pellegrini a Medjugorje si trova l’indicazione approssimativa di circa un milione di presenze l’anno. Secondo quanto affermato da monsignor Henryk Hoser, all’epoca visitatore apostolico al santuario di Medjugorje, l’afflusso era, prima della pandemia, di circa tre milioni di pellegrini all’anno, con una concentrazione soprattutto d’estate. Una parte consistente di pellegrini proviene dalla Polonia e dall’Italia, ma si contano presenze da circa 80 Paesi del mondo”.

Ed ecco i dati: “Il primo riguarda il numero delle Comunioni distribuite nella parrocchia e nei luoghi legati all’apparizione, che da gennaio 1985 a giugno 2024 sono state 47.413.740. Mentre per quanto riguarda il numero dei sacerdoti che hanno concelebrato a Medjugorje dal dicembre 1986 al giugno 2024 il numero è di un 1.060.799… Le statistiche vengono costantemente aggiornate: il mese scorso, agosto 2024, le comunioni distribuite sono state 325.000 e il numero dei sacerdoti concelebranti 9.582 (309 al giorno)”.

Interessanti sono anche le motivazioni: “Queste le motivazioni che spingono al pellegrinaggio: per il 38% la ricerca di un conforto spirituale, per il 23% la richiesta di grazie per sé o per altri, per l’11,7 % il ringraziamento per grazie ricevute, fino al 17,7% per una necessità di contatto con il sacro o per il 15% a motivo di un invito. I semplici curiosi sono solo il 5,6%. I pellegrini sono credenti che mettono in cima alle priorità ideali quelle legate all’incontro con i bisogni dell’altro (53,3%) e alla difesa e rispetto della vita in tutte le sue forme (51,4%)”.

Ed infine il ‘cambiamento’ di vita: “La grande maggioranza di quelli che fanno ritorno a Medjugorje segnala un cambiamento di vita. Il 48,8% dichiara che ‘qualcosa’ è cambiato dopo la prima visita e che «molto» è cambiato per un ulteriore 30,4%, fino al cambiamento radicale segnalato dal 14,5% dei casi. L’effetto Medjugorje porta a un aumento di frequenza nella pratica religiosa, ai sacramenti e alla preghiera”.

(Foto: Vatican News)

Papa Francesco a Timor Est per lodare l’esempio di pacificazione

A Dili papa Francesco è stato accolto dalla popolazione in festa, che nel discorso ai diplomatici ha evidenziato la fede che ha sostenuto il popolo nella liberazione prima dalla colonizzazione portoghese (1975), poi dal giogo indonesiano (2002) con un plauso al cammino di riconciliazione con la stessa Indonesia:

“Rendiamo grazie al Signore perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà”.

Ha ricordato la fede che hanno sempre mantenuto,, anche nelle circostanze sfavorevoli: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.

Ed ha menzionato la visita apostolica di san Giovanni Paolo II: “Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese. Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno ‘una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo’; una tradizione ‘ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini’, di ‘umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione’. E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza”.

A Dili è un cristianesimo che riesce ad inculturarsi per farsi presenza: “Il cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste estreme propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più profonda… Una delle dimensioni fondamentali del cristianesimo è l’inculturazione della fede e la cristianizzazione della cultura”.

Poi ha ricordato il periodo (dal 1975 al 2002) che è stato quello dell’indipendenza, grazie alla fede: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.

Secondo il papa Timor-Leste “ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo ed oggi vive come un Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.

Inoltre per il papa non mancano sfide impegnative, che possono essere affrontate con un’azione corale, come il fenomeno migratorio e le povertà sociali: “Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base. E non sempre è un fenomeno esterno…

Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione”.

Inoltre papa Francesco ha auspicato che l’esempio di pacificazione di Timor Est sia esempio in altre situazioni di conflitto nel mondo, ed esorta “a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati”, ed è necessaria “una purificazione della memoria”, perché l’unità sempre supera il conflitto.

Tra le questioni di attualità, Papa Francesco cita l’emigrazione, ma anche “la difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base”, e “non sempre sono situazioni esterne”, e la povertà “presente in tante zone rurali”, laddove serve “una azione corale di ampio respiro” che coinvolga tutti per “offrire valide alternative all’emigrazione”.

E non poteva mancare un appello ai giovani in un Paese, in cui Il 65% della popolazione di Timor-Lester è al di sotto dei 30 anni di età e molte sono le criticità per questa fascia della popolazione: “Date degli ideali ai giovani per tirarli fuori da queste trappole! E anche un fenomeno di arruolamento in certe bande che, forti della conoscenza delle arti marziali, invece di usarle al servizio degli indifesi, ne approfittano per mostrare il potere effimero e dannoso della violenza. La violenza è sempre un problema nei villaggi. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire questo male sociale e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi”.

E’ stato un invito ad investire nell’educazione: “Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola. Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità. Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti. L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani.

E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza. Pensateci. Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo”.

Il discorso è stato anche un richiamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che è “un pilastro indispensabile su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini”.

Ha anche aggiunto che la dottrina sociale della Chiesa “costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini. La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità. E’ una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri”.

Il discorso alle autorità è stato un invito a ‘prendersi cura’ dello sviluppo del popolo: “Che cosa è che ha questo Paese? Il popolo! Prendetevi cura del vostro popolo. Il popolo è meraviglioso. Nelle poche ore in cui sono stato qui si vede come è il popolo. Si esprime con dignità e con gioia”.

Infatti tutto ciò è stato reso possibile grazie alla determinazione del popolo: “Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società solidale e fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.

(Foto: Santa Sede)

Il papa ai giovani: parlate il linguaggio dell’Amore

Prima di partire per Dili, capitale di Timor Leste, papa Francesco ha incontrato nello stadio di Port Moresby i giovani con l’invito a prendersi cura degli altri, rispondendo alle loro domande con l’indicazione di parlare attraverso il linguaggio dell’amore: “La vostra lingua comune è quella del cuore, dell’amore, della vicinanza e del servizio” con l’augurio che “tutti parliate questa lingua e siate Wantok dell’amore!”, perché “l’indifferenza è una cosa brutta, tu lasci gli altri per strada, non ti interessi degli altri, l’indifferenza ha radice dell’egoismo.  Nella vita dovete avere inquietudine del cuore, l’inquietudine di prendersi cura degli altri dovete fare amicizia tra voi e avere vicinanza ai nonni”.

Inoltre papa Francesco ha esortato i giovani a riconoscere uno sbaglio: “Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci. “Un giovane può sbagliare, un adulto può sbagliare, tutti possiamo sbagliare, ma l’importante è rendersi conto noi non siamo superman, noi possiamo sbagliare, questo ci dà una certezza: che  dobbiamo sempre correggerci.

Nella vita tutti possiamo cadere. L’importante è non rimanere caduti,  e se vedi un amico che è caduto tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno preparato questo bell’incontro… E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? Ridere di quello?”.

Alla risposta negativa il papa ha esortato i giovani all’aiuto: “Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi… Quando voi trovate qualcuno caduto sulla strada, per tanti problemi, cosa dove fare, dare una botta?”.

Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono ‘la speranza per il futuro’, papa Francesco ha chiesto di riflettere ‘su come si costruisce il futuro’ attraverso l’episodio biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”.

Prima di dialogare con i giovani il papa si è messo in ascolto delle loro testimonianze: Patricia Harricknen-Korpok, che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici ed ha parlato della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa ‘delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia’, molto attrattive.

Poi è stata la volta di Ryan Vulum che ha raccontato la difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa ‘è diventata il mio rifugio’; mentre Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, ha raccontato il dramma degli abusi in famiglia: “Chi ne è vittima si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”.

(Foto: Santa Sede)

La bellezza dei Cammini Lauretani nel racconto della prof.ssa Francesca Coltrinari

Dalla fine del 1500 la principale via verso Loreto è stata la ‘Via Lauretana’, che, costruita come strada commerciale e postale, collegava Roma al porto di Ancona, e si impose come percorso privilegiato anche per i pellegrini che intendevano testimoniare la fede, unendo in un unico percorso i tre centri spirituali della cristianità: Roma, Loreto ed Assisi. Con la Via Francigena e la Via Romea, la Via Lauretana era il maggior itinerario di fede in Italia.

La Via Lauretana (https://camminilauretani.eu) non era l’unica via per raggiungere Loreto; da nord a sud, da est ed ovest, si intrecciava un fitto reticolo di connessioni, deviazioni e percorsi alternativi: i ‘Cammini Lauretani’. Itinerari di fede come la Via di Jesi, la Via Clementina, la Via Aprutina, la Via di Visso-Macereto, il percorso da Loreto ad Ancona, oltre alle connessioni con le vie del pellegrinaggio internazionale (Via Francigena, Via Romea), formavano con la Via Lauretana una grande rete di itinerari regionali ed interregionali, unendo sotto il segno di Maria le innumerevoli bellezze d’arte e storia, di fede e di paesaggio.

Alla prof.ssa Francesca Coltrinari, docente di storia dell’arte all’università di Macerata, chiediamo di raccontarci questi ‘cammini lauretani: “I Cammini Lauretani sono un itinerario turistico-culturale che intende far rivivere l’esperienza del pellegrinaggio fra Roma e Loreto. Propone di percorrere la ‘via lauretana’ che univa le due città passando per Assisi. Nel tratto marchigiano erano documentati due itinerari: uno più antico che passava per Camerino-Castelraimondo- Sanseverino-Treia e poi lungo l’attuale strada Regina conduceva a Recanati e Loreto e la via postale che da Colfiorito si dirigeva poi verso Tolentino, Macerata, Recanati e Loreto”.

Per quale motivi i Cammini lauretani attraggono i pellegrini?

“Per molti motivi; i principali sono l’attrazione della reliquia di Loreto (la casa di Nazareth dove avvenne l’Annunciazione), la bellezza artistica e paesaggistica del percorso. In linea generale il turismo religioso attrae a molti livelli, tra cui c’è chi lo fa naturalmente per un’esperienza spirituale, oppure prettamente culturale o di gusto culinario. Essendo una storica dell’arte la mia attenzione si focalizza sulla parte storica ed artistica del percorso, caratterizzato da tante presenze di immagine lauretane, oppure di altri santi come a Tolentino con la presenza di san Nicola”.

Allora quali sono le opere d’arte che si possono trovare nei cammini lauretani?

“Molte, perché anche nei centri minori lungo il percorso ci sono opere d’arte significative, mentre gli stessi centri urbani che si incontrano sono opere esse stesse. Volendo sintetizzare, per il tratto marchigiano, si possono indicare Tolentino, con la basilica di san Nicola che conserva il cappellone, un ambiente affrescato nel 1325 circa da pittori della scuola di Giotto, come Pietro da Rimini, con le storie della vita di san Nicola; Macerata, con il suo centro urbano racchiuso nelle mura cinquecentesche perfettamente conservate, la torre dell’orologio del XVI secolo, ripristinato nel 2018 con un carosello di magi e il Palazzo Buonaccorsi; Recanati, con le opere di Lorenzo Lotto e la stessa Loreto, arricchita da capolavori dei maggiori artisti italiani che avevano lavorato anche per i papi, fra il 1400 ed il 1700”.

Esiste un rapporto tra l’Abbadia di Fiastra e Loreto?

“La storia dell’Abbadia di Fiastra inizia nel XIII secolo ed è un’abbazia benedettina, i cui monaci hanno bonificato queste zone, che erano paludose, rendendole fertili ed ha conservato fino ad oggi il rapporto con la natura che è evidente per chi visita. Dal punto di vista artistico si può ammirare la chiesa medievale. Nel XVI secolo l’abbazia fu ‘amministrata’ dai Gesuiti, che stavano anche a Loreto. Quindi, essendo tappa fondamentale nella via lauretana, si è creato un collegamento tra i due luoghi”.

Tanto famoso, il Santuario di Loreto, che nel XVI secolo fu visitato anche dai giapponesi: per quale motivo?

“Perché Loreto era riconosciuta come il secondo luogo santo d’Italia, dopo Roma, ed anche per il motivo per cui i giapponesi erano stati evangelizzati dai gesuiti, che a Loreto si erano stabiliti fin dal 1554, considerandolo ‘il secondo occhio’ della Sede apostolica”.

In quale modo gli artisti erano ‘attratti’ dai cammini lauretani?

“Loreto offriva l’opportunità di lavorare per committenti importanti (papi, principi, alti prelati) e garantiva che le opere fossero poi viste da moltissime persone che venivano da ogni parte del mondo. Alcuni erano attratti anche dal santuario per cui ritenevano il loro contributo artistico anche un atto religioso. Fra questi il pittore veneziano Lorenzo Lotto (1480-1556) che scelse di farsi ‘oblato’, quindi offrendosi e dedicandosi completamente alla santa casa, a cui lasciò i suoi dipinti e in cui morì”.

Quindi è un percorso che può interessare tutti?

“Sicuramente, perché mettere valore per un turista vuol dire creare qualità per chi ci vive, che può diventare turista del proprio territorio”.

Infine, nel Rinascimento quale importanza ebbe la produzione artistica di Tolentino, prima grande città marchigiana per chi giunge da Roma?

“Tolentino ebbe importanti figure di livello internazionale nel campo della cultura e della politica; le principali sono l’umanista Francesco Filelfo, attivo nelle maggiori corti del 1400, come quella di Milano, ed il condottiero Niccolò Maurizi, che combatté per la Repubblica di Firenze e mandò a Tolentino il portale scolpito della basilica di san Nicola. Nell’arte, importante il santuario di san Nicola che conservava il corpo del primo santo dell’ordine agostiniano e quindi divenne un punto di riferimento per tutto questo ordine religioso”.

((Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco consegna tre parole al mondo cattolico in Indonesia

Dopo l’incontro con le autorità civili papa Francesco ha incontrato la Conferenza Episcopale indonesiana, i sacerdoti, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e catechisti nella cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione ed a conclusione delle testimonianze ha invitato a trasmettere la fede: “La Chiesa la portano avanti i catechisti, i catechisti sono coloro che vanno avanti, avanti…poi vengono le suorine, subito dopo i catechisti, poi ci sono i preti, i vescovi.

Ma i catechisti sono al fronte, sono la forza della Chiesa. Una volta in uno di quei viaggi in Africa il Presidente della Repubblica mi ha detto che era stato battezzato dal suo papà catechista, la fede si trasmette a casa, la fede si trasmette in dialetto, e le catechiste insieme alle mamme e alle nonne portano avanti questo tema. I catechisti sono bravi”.

Durante l’incontro ci sono le testimonianze di una suora, di un catechista e di un sacerdote, come quelle di don Maxi Un Bria, presidente della Federazione Indonesiana dei Sacerdoti Diocesani (UNINDO), che, rivolgendosi al papa, ha definito la sua presenza “una benedizione per tutti i sacerdoti, diocesani e religiosi, che cercano di camminare ‘mano nella mano’, servendo insieme i fedeli di tutte le chiese locali in Indonesia”.

Raccontando l’impegno, ‘in questo Paese pluralista’, di una Chiesa cattolica ‘attenta a promuovere il bene comune dei fedeli e della nazione’, il sacerdote ha espresso gratitudine per ‘la cura paterna’ che i papi hanno sempre mostrato ‘come segno della vicinanza di Pietro a noi che siamo così lontani’.

Terminate le testimonianze papa Francesco si è soffermato sulle tre parole dell’incontro (‘Fede, fraternità, compassione’), che sono state il filo conduttore dell’incontro, approfondendo il valore della fede: “L’Indonesia è un grande Paese, con enormi ricchezze naturali, a livello di flora, di fauna, di risorse energetiche e di materie prime, e così via. Una ricchezza così grande potrebbe facilmente trasformarsi, letta con superficialità, in motivo di orgoglio e di presunzione, ma, se considerata con mente e cuore aperti, può essere invece un richiamo a Dio, alla sua presenza nel cosmo e nella nostra vita, come ci insegna la Sacra Scrittura. E’ il Signore, infatti, che dona tutto questo. Non c’è un centimetro del meraviglioso territorio indonesiano, né un istante della vita di ognuno dei suoi milioni di abitanti che non sia dono suo, segno del suo amore gratuito e preveniente di Padre”.

Ma la fede si consolida attraverso la fraternità: “Anche questo è un valore caro alla tradizione della Chiesa indonesiana, che si manifesta nell’apertura con cui essa si relaziona alle varie realtà che la compongono e la circondano, a livello culturale, etnico, sociale e religioso, valorizzando l’apporto di tutti e donando generosamente il suo in ogni contesto.

Questo, fratelli e sorelle, è importante, perché annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, non vuol dire fare proselitismo, vuol dire donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo, sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque… E su questo voglio dirvi una cosa: voi sapete chi è la persona che nel mondo fa la più grandi divisioni? Lo sapete chi è? Il grande divisore, che sempre divide, divide… Gesù unisce e questo divide. E’ il diavolo. State attenti!”

Mentre suor Rina Rosalina, consacrata delle Missionarie Clarisse del Santissimo Sacramento, ha sottolineato l’unità ecclesiale: “Nonostante la vastità dell’Indonesia ci sentiamo uniti nel nostro lavoro, sostenuti dalla Chiesa e dalla Conferenza episcopale… Cerchiamo sempre di imparare da Le, purtroppo, a causa della distanza e delle barriere linguistiche, a volte abbiamo difficoltà ad accedere ai documenti emanati da Roma”.

A lei il papa ha sottolineato l’importanza dell’evangelizzazione: “E’ importante cercare di arrivare a tutti, come ci ha ricordato Suor Rina, con l’auspicio di poter tradurre in Bahasa Indonesia, oltre ai testi della Parola di Dio, anche gli insegnamenti della Chiesa, per renderli accessibili a più persone possibile”.

Di una presenza ‘molto incoraggiante’ per i catechisti che operano ‘in questa terra così ricca di diversità’ ha parlato Nikolas Wijaya, docente di religione cattolica alla ‘Regina Pacis Senior High School’ di Bogor e membro della commissione catechistica della diocesi nel ricordare le parole del papa nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, sottolineando la necessità di essere ‘ponte’, a cui il papa ha aggiunto che questa è la missione del catechista:

“E lo ha evidenziato anche Nicholas, descrivendo la missione del catechista con l’immagine di un ponte che unisce. Questo mi ha colpito, e mi ha fatto pensare allo spettacolo meraviglioso, nel grande arcipelago indonesiano, di migliaia di ponti del cuore che uniscono tutte le isole, e ancora di più a milioni di tali ponti che uniscono tutte le persone che vi abitano! Ecco un’altra bella immagine della fraternità: un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare. Il linguaggio del cuore, non dimenticate!”

Il papa ha concluso l’incontro esaminando la parola ‘compassione, legata alla ‘fraternità’ nella condivisone dei sentimenti: “Compassione vuol dire patire con l’altro, condividere i sentimenti: è una bella parola! Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dispensare elemosine a fratelli e sorelle bisognosi guardandoli dall’alto in basso, guardandoli dalle proprie sicurezze e dai propri privilegi, ma al contrario, compassione significa farci vicini gli uni agli altri, spogliandoci di tutto ciò che può impedirci di chinarci per entrare davvero in contatto con chi sta a terra, e così sollevarlo e ridargli speranza…

Vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità. E questo non vuol dire essere comunista, questo vuol dire carità, vuol dire amore.”.

Terminato l’incontro Papa Francesco ha dedicato un’ora ai giovani di ‘Scholas Occurrentes’ nella Casa della Gioventù ‘Grha Pemuda’ a Giakarta, nel corso della quale è stato presentato il progetto ‘Poliedro del Cuore’ come è raccontato in un comunicato stampa dell’associazione: “Il Progetto Poliedro del Cuore mira a creare una scultura che simboleggi il cuore dell’Indonesia, riflettendo la ricca diversità culturale del paese.

Ogni faccia del poliedro racconta le storie dei suoi partecipanti, combinando educazione, arte e tecnologia per simboleggiare come ogni individuo contribuisca a una comunità globale più vibrante e significativa. Quest’opera simboleggia come ogni individuo contribuisca a una comunità globale più dinamica e significativa. L’opera d’arte, che rappresenta il motto nazionale dell’Indonesia, ‘Bhinneka Tunggal Ika’ (Unità nella Diversità), coinvolge un totale di 1.500 partecipanti.

Ciò include individui del programma educativo a Giacarta, partecipanti ai laboratori a Bali, Lombok e Labuan Bajo, e detenuti di tre strutture carcerarie, comprese quelle per giovani detenuti, donne e uomini”.

(Foto: Santa Sede)

Anna Bonanno: una testimonianza di fede viva ancora oggi

Mi hanno messa a conoscenza di questa storia.  Ringrazio Giorgia Rapisarda, la nipote di Anna. Ci sono persone speciali che, pur non seguendo il percorso della canonizzazione, sono un esempio da vita cristiana.  Per Giorgia, sua nonna è una testimone di Fede e vuole farla conoscere.

Questo articolo non vuole  dire, se e quanto, Anna Bonanno sia santa, vuole solo mostrare una vita gradita a Dio durante il viaggio terreno e anche dopo il suo ritorno al cielo. Questo articolo racconta fatti portati alla luce da Giorgia e da Luigi Bulla, che ha condiviso il di lei testo sui social. Ma chi è Anna Bonanno?

Anna Bonanno nasce a Borrello (Belpasso) giovedì 27.08.1931. Riceve il sacramento del Battesimo quando è in pericolo di vita, l’08.09 dello stesso anno. Sin da piccola mostra una forte sensibilità alla Fede e un grande amore verso Dio. Riceve la Prima Comunione, a soli 7 anni, presso l’Istituto delle Suore del Sacro Cuore di Gesù di Acate (RG). Con la famiglia, viva la prima infanzia e la Seconda guerra mondiale, dopo il trasferimento a Ragusa.

Nel novembre del 1941, nonostante abbia solo 10 anni, riceve il Sacramento della Confermazione nella Chiesa Madre di Acate. Dopo la guerra  e la tragica morte prematura del padre e del fratello Alfredo, Anna  torna a vivere a Belpasso. Frequenta l’Istituto Magistrale Regina Elena, dove si diploma il 18.10.1952. Anna è una giovane ragazza piena di bellezza e talento, una promessa del cinema e del teatro che, però, preferisce, infatti, dedicarsi pienamente alla sua famiglia.

Dopo poco, incontra Stefano, l’amore della sua vita. I due si fidanzano ufficialmente il 06.04.1958,  domenica di Pasqua. L’01.06.1960, nella Parrocchia S. Maria della Mercede, i due si sposano.

Anna è una donna  innamorata della sua famiglia: cresce, infatti, anche sua cugina Letizia, più piccola di vent’anni. E’ una donna piena di Spirito Santo che, con la sua Fede, riesce a convertire delle persone lontane da Dio, fa diversi sogni premonitori e organizza gruppi di preghiera e recita del Santo Rosario.

Anna ha una marea di passioni e interessi, come la lettura e  la scrittura di lettere.  Grande amante di piante e fiori, coltiva alcuni di essi  nel giardino di casa. Nasce al Cielo in modo improvviso, a causa di due ictus, a soli 61 anni, mercoledì 28.07.1993. Si trova presso il Policlinico di Catania e da lí lascerà questo mondo per il cielo. Il giorno successivo, nel Santuario della Addolorata in Mascalucia,  circondata da molta gente che tanto l’ha amata e ammirata nel suo pellegrinaggio terreno, si svolge il funerale .

Dalla sua nascita al Cielo ad oggi, non smette di stupire la sua presenza in questo mondo. Molte persone, infatti, dicono che è venuta loro in sogno. Una volta, in particolare, ha annunciato che sarebbe nata, nonostante diverse difficoltà, sua nipote Giorgia. Questo in una data speciale: 6.04.1999.

E poi darà ancora  molto altro, seppur dal cielo. Giorgia, consapevole che quella di sua nonna è una vita spesa per il prossimo più bisognoso d’amore, si impegna e riesce a dedicarle una sezione all’interno di un premio letterario.

Il Concorso Letterario Nazionale ‘Gaetano Trifoglio’ Estate di Versi Poesie del Solleone, giunto alla quinta edizione, prevede dei premi speciali: Il Premio religioso dedicato alla memoria del Sacerdote Luciano Cosentino, il premio giovani dedicato alla memoria del Giovane Salvo Vadalà, il premio all’amicizia dedicato a Gaetano Trifoglio, e d’ora in poi, il premio della critica memorial ‘Anna Bonanno’.

151.11.48.50