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Trasmettere la vita è speranza per il mondo. A colloquio con Marina Casini

“Come nutrire speranza dinanzi ai tanti bambini che perdono la vita nei teatri di guerra, a quelli che muoiono nei tragitti delle migrazioni per mare o per terra, a quanti sono vittime delle malattie o della fame nei Paesi più poveri della terra, a quelli cui è impedito di nascere? Questa grande ‘strage degli innocenti’, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica, non solo lascia uno strascico infinito di dolore e di odio, ma induce molti (soprattutto i giovani) a guardare al futuro con preoccupazione, fino a pensare che non valga la pena impegnarsi per rendere il mondo migliore e sia meglio evitare di mettere al mondo dei figli”.

Dall’inizio del messaggio dei vescovi italiani per la 47^ Giornata Nazionale per la Vita, che si celebra domenica 2 febbraio sul tema ‘Trasmettere la vita, speranza per il mondo: Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita’, tratto dal libro della Sapienza, prendiamo spunto per un colloquio con la presidente del Movimento per la Vita, prof.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma: perché la vita è segno di speranza?

“Non potrebbe essere diversamente! Lo dicono bene i vescovi nel messaggio per la 47^ giornata per la vita: ‘abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte’. Il legame tra la vita umana e la speranza è profondo, forte e inscindibile. Una delle frasi che hanno segnato la storia del Movimento per la Vita, e che ancora oggi ci accompagna, è ‘per ritrovare speranza bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni uomo è sacra’.

E’ la frase che scrissero i vescovi italiani all’indomani dell’approvazione della legge 194 sull’aborto. Che vita e speranza sono collegati risulta anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la quale nel preambolo pone a fondamento della libertà, della giustizia e della pace il riconoscimento della dignità (inerente e uguale) di ogni essere umano. In altri termini: se vogliamo la pace, la giustizia e la libertà dobbiamo riconoscere il valore (dignità) di ogni vita umana. La speranza di un futuro migliore è legata al rispetto della vita”.

Quindi i figli sono speranza per il futuro?

“Infatti, sempre nel messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la vita di quest’anno c’è scritto che ‘tutti condividiamo la gioia serena che i bambini infondono nel cuore e il senso di ottimismo dinanzi all’energia delle nuove generazioni. Ogni nuova vita è speranza fatta carne’. I figli sono veramente frecce di speranza lanciate nel futuro. Mio padre  (Carlo Casini, ndr.) diceva che ‘Ogni figlio è l’istintiva speranza che il bene alla fine supererà il male, che il futuro potrà essere migliore del passato’ e che ‘per difendere la vita bisogna essere testimoni della speranza e che perciò, il volto rattristato, le visioni cupe, il dito accusatore non hanno base. Siamo ammiratori del miracolo, testimoni dello stupore, seminatori certi della vittoria finale. Progettiamo la ricomposizione, non la divisione’. Segno di speranza è l’intero popolo della vita, sono i bambini nati con il sostegno dei CAV nel 2023 (5.940); le gestanti aiutate (8.234); donne assistite (14.216), la serenità e il sorriso di una mamma che fidandosi dice ‘sì’ alla vita del figlio che culla in grembo.

Ovviamente tutto questo non significa affatto che si debbano fare figli a tutti i costi, perché i figli non sono oggetti da pretendere, ma persone da accogliere sin dal concepimento. A riguardo, nel messaggio dei vescovi c’è un passaggio importante: ‘Va infine considerato un altro fenomeno sempre più frequente, quello del desiderio di diventare genitori a qualsiasi costo, che interessa coppie o single, cui le tecniche di riproduzione assistita offrono la possibilità di superare qualsiasi limitazione biologica, per ottenere comunque un figlio, al di là di ogni valutazione morale.

Osserviamo innanzitutto che il desiderio di trasmettere la vita rimane misteriosamente presente nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Le persone che avvertono la mancanza di figli vanno accompagnate a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti non accompagnati’”.

Per quale motivo si è rinunciato di generare?

“La risposta richiederebbe un esame di cause che sono complesse. C’è infatti un concorso di fattori che si intrecciano e che hanno a che fare con situazioni personali e sociali insieme. Si parla di industrializzazione e società dei consumi, di rinvio di matrimonio e figli, di precedenza all’affermazione professionale, di problemi a livello occupazionale e abitativo, di crisi economica. Ma tra tutte le cause a cui va posto rimedio c’è sicuramente quella più profonda: la mancanza di speranza, di fiducia nel futuro, di scommettere in un noi che spezza le catene di un individualismo che fa ripiegare su se stessi.

Papa Francesco ha detto: ‘La sfida della natalità è questione di speranza. Ma attenzione, la speranza non è, come spesso si pensa, ottimismo, non è un vago sentimento positivo sull’avvenire… No, la speranza è un’altra cosa. Non è un’illusione o un’emozione che tu senti, no; è una virtù concreta, un atteggiamento di vita. E ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri.

Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire’; ‘Quando non c’è generatività viene la tristezza. E’ un malessere brutto, grigio’; ‘La nascita dei figli, infatti, è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza’. Dovremmo riflettere su queste parole”.

‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?’, domandano i vescovi: perché nel messaggio dei vescovi è sottolineato che l’aborto non è un diritto?

“Perché è una semplice ed elementare verità. Può essere considerato un ‘diritto’ l’uccisione di un essere umano realizzata, per giunta, con il sostegno dello Stato, delle strutture pubbliche, con l’alleanza della medicina e il consenso sociale? Il diritto dovrebbe essere il forte difensore dei deboli, non l’oppressore dei deboli; il diritto esiste perché esistono le relazioni tra gli uomini (‘ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas’ – dove c’è la società c’è il diritto, dove c’è il diritto c’è la società), relazioni da tutelare, custodire, proteggere.

La primissima relazione è quella della mamma e del figlio che vive e cresce dentro di lei. Spezzare con la forza della legge quella relazione significa negare il diritto o trasformarlo in uno strumento di sopraffazione. La moderna teoria dei diritti dell’uomo si basa esattamente sull’atto umile della mente che riconosce il valore dell’altro (il riconoscimento dell’uguale dignità di ogni essere appartenente alla famiglia umana) e non su un atto di arroganza sull’altro.

Ecco perché giustamente si domandano i vescovi: ‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà? Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e ‘civile’ rimuovere?’ Rinunciare alla vita impedendo a un figlio di nascere, non può essere mai considerato un ‘diritto’. Mai.

E’ una pretesa ideologica: nessun indice di civiltà e progresso, nessuna autentica manifestazione di libertà. Il preteso ‘diritto di aborto’ è in realtà l’aborto del diritto. Nel punto 5 del messaggio, i vescovi richiamando la dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, ‘Dignitas infinita’  (‘la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano.

Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo’), denunciano l’idea dell’aborto come diritto e l’inapplicazione della legge 194 che dovrebbero dissuadere dall’aborto e soprattutto ringraziano e incoraggiano scrivono: Quanti si adoperano ‘per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza […] offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto’ (L. 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini”.

In quale modo la medicina può essere al servizio della vita?

“Quante cose ci sarebbero da dire! In estrema sintesi, la base, il fulcro, il senso della medicina è (in una logica di servizio e non di potere) prendersi cura di ogni essere umano, cioè per ogni persona dal concepimento alla morte, senza distinguo, senza discriminazioni. La medicina è chiamata ad accettare la morte non a cagionarla. In questo discorso rientra il rifiuto dell’aborto, dell’eutanasia, del suicidio assistito, della distruzione di esseri umani allo stadio embrionale cosa che può avvenire con le tecniche di fecondazione artificiale, ma anche cosiddetto accanimento terapeutico come dell’abbandono del paziente.

Si apre tutto il vasto spazio della responsabilità e della presa in carico, dell’assistenza globale, dell’implementazione della medicina palliativa, della medicina perinatale, dell’umanizzazione della medicina in generale. Merita di essere letta e meditata ancora oggi l’enciclica ‘Evangelium Vitae’, ma anche la lettera ‘Samaritanus Bonus’ e la Nuova Carta degli Operatori Sanitari. Va da sé che nella prospettiva di una medicina a servizio della vita l’obiezione di coscienza all’aborto ha un ruolo fondamentale: non si tratta di ‘astensione da’, ma di ‘promozione di’ ovvero del valore della vita e della autentica tutela sociale della maternità”.

(Tratto da Aci Stampa)

La nascita del primo figlio: tra risorse della coppia e della comunità

Cosa implica la nascita del primo figlio in una relazione di coppia? E come il fare e l’essere famiglia arricchisce la comunità? Facoltà teologica del Triveneto e Centro della famiglia di Treviso organizzano un webinar gratuito per un qualificato servizio pastorale al territorio sui temi della vita familiare.  

Cosa implica la nascita del primo figlio in una relazione di coppia? È possibile una narrazione alternativa a quella corrente che sottolinea solo le fatiche e non la ricchezza dell’esperienza? Quali risorse una comunità mette in campo per sostenere il fare e l’essere famiglia in un momento cruciale della vita familiare come la nascita del primo figlio? E come il fare e l’essere famiglia arricchisce la comunità?

Nasce da queste domande il webinar gratuito La nascita del primo figlio. Tra risorse della coppia e della comunità promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto e dal Centro della famiglia di Treviso, in collaborazione con il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia e con la Faculté de théologie et sciences religieuses – Université Laval (Québec, Canada), in programma lunedì 10 febbraio 2025, dalle ore 18 alle 19 su piattaforma Zoom. La partecipazione al webinar è libera, previa iscrizione al link https://bit.ly/42aQuRv entro lunedì 3 febbraio.

Il seminario sarà aperto dai saluti del preside della Facoltà teologica del Triveneto, Maurizio Girolami. Seguiranno gli interventi di Francesco Carotenuto (Centro della Famiglia): Il primo figlio: fattori critici e risorse inaspettate; Vincenzo Rosito (Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia): L’attivazione della comunità attorno ai nuovi arrivati. Assunta Steccanella (Facoltà teologica del Triveneto) presenterà il progetto di ricerca ‘Primo figlio’. Modera Francesco Pesce (direttore del Centro della famiglia).

La proposta è destinata, in particolare, a docenti e studenti universitari, associazioni familiari, presbiteri, operatori e operatrici di pastorale familiare, ma è aperta a chiunque sia interessato al tema: “La proposta nasce dal desiderio di approfondire alcuni temi relativi alla vita familiare, spiegano gli organizzatori, con l’intento di offrire un più qualificato servizio pastorale al territorio, ma anche di aiutare le comunità cristiane a riscoprire la propria generatività in dialogo con quel nucleo generativo che è costituito da ciascuna famiglia. Si è scelto pertanto di partire da un tema circoscritto, antropologicamente rilevante ed ecclesialmente significativo: la nascita del primo figlio”.

Questo appuntamento apre un progetto ricerca che Facoltà e Centro della famiglia intendono portare avanti a partire dall’ascolto diretto delle famiglie (indagine qualitativa), con un’analisi antropologica, psicologica, teologica, che mira a chiarire che cosa significa “comunità generativa” e come le relazioni tra le comunità cristiane e le famiglie possano contribuire a consolidare questa dimensione in entrambi i soggetti collettivi coinvolti. Sullo sfondo sta anche la presa in carico dell’attuale pastorale battesimale, al fine di offrire un contributo per un suo approfondimento e per un eventuale rinnovamento.

Il comitato scientifico è composto da Francesco Pesce (Centro della famiglia), Assunta Steccanella (Facoltà teologica del Triveneto), Francesco Carotenuto (Centro della famiglia), Paola Milani (Università di Padova), Vincenzo Rosito (Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia), Jean-François Lapierre (Université Laval, Québec – Canada), Maurizio Girolami (Facoltà teologica del Triveneto).

Terza Domenica del Tempo Ordinario: Eccomi a voi! Dio ha mantenuto la promessa!

Assai significativo il brano del Vangelo. Ogni volta che leggiamo il Vangelo ci segniamo la fronte, la bocca e il cuore ad indicare che la ‘Parola di Dio’ va meditata, proclamata con la bocca, custodita nel cuore. L’episodio del vangelo è semplice ed affascinante. Un giorno di sabato Gesù si reca nella sinagoga di Nazareth, sua città dove era vissuta per circa trenta anni; da tutti  conosciuto come il figlio di Maria e di Giuseppe, il falegname del paese; da tutti amato ed apprezzato.

I compaesani erano però alterati perchè Gesù mai aveva operato prodigi; andato via e stabilitosi a Cafarnao, folle intere andavano a trovarlo per ascoltarlo ed ottenere guarigioni. Gesù avvertì il bisogno di entrare anche nella sinagoga di Nazareth; vi rientra al momento della preghiera, prende il volume della Bibbia e legge il passo del profeta Isaia: ‘Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione   e mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto annunzio…’. Terminata la lettura, chiude il libro e dice ai  presenti: ‘Oggi si è compiuta questa scrittura…’.

I compaesani restano trasecolati; conoscono Gesù come figlio di Maria e Giuseppe ma non certo come il Messia promesso da Dio. Se leggiamo il proseguo: Gesù alla fine andrà via  e non ritornerà più a Nazareth dicendo: ‘Nessuno è profeta accetto nella sua patria’. Chi è Gesù? Egli è l’atteso del popolo ebreo ma la sua presenza ha sempre suscitato ammirazione e, subito dopo, minacce di morte: nasce a Betlemme e mentre corrono a 4trovarlo i pastori e i magi, il re Erode si prepara a compiere la strage degli innocenti nella speranza di colpire Gesù.

Rientrato ora a Nazareth, dove era vissuto circa trent’anni, si ripete qualcosa di analogo: i Nazaretani restano quasi scandalizzati e Gesù è costretto ad andare via senza ritorno. Gesù si è presentato per la prima volta tra i suoi come il ‘Verbo di Dio’, la sapienza divina, il Figlio di Dio concepito per opera dello Spirito santo. Egli afferma chiaramente di essere il Messia promesso da Dio, il Salvatore. Parole assai ferme e forti ! Solo a chi non ha fede il cristianesimo appare un vero paradosso. La soluzione del paradosso sta solo in una parola: amore, l’Amore di Dio per l’uomo, creato a sua immagine.

Dio ama l’uomo, suo capolavoro; e dopo il peccato originale disse a satana: ‘Metterò inimicizia tra te e la donna e … verrà colui che ti schiaccerà la testa!’ Il Salvatore incarnato è proprio il Figlio di Dio, la seconda persona della Santissima Trinità. è il Verbo eterno incarnato. Egli, pur essendo Dio, si è incarnato, assumendo in sè la natura umana nel grembo di Maria. Dio, amici carissimi, vuole tutti salvi ma rispetta sempre la libertà dell’uomo.

Alla grotta di Betlemme ciascuno di noi può scoprire la verità di Dio e la verità dell’uomo. Nel Bambino Gesù, nato dalla vergine Maria, scriveva papa Benedetto XVI, è coniugato l’anelito dell’uomo alla vita eterna ed il cuore grande e misericordioso di Dio, che non si è vergognato di assumere la condizione umana. Maria ha rivelato il Cristo Gesù ai pastori e ai Magi ed ha conservato nel cuore quanto si diceva di Lui.

Così Maria davanti alla cugina Elisabetta poté cantare: ‘L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l’umiltà della sua serva’. A Nazareth Gesù ebbe a dire: ‘Sono venuto per portare ai poveri il lieto annunzio!’ Chi sono i poveri ai quali è annunciato il messaggio? 

La risposta si deduce da tutto il vangelo: non si tratta di uno stato sociale (è povero chi non ha soldi)  ma è un atteggiamento dello spirito umano; è povero   chi prende coscienza che quello che siamo ed abbiamo è solo dono di Dio; siamo depositari di questi doni e con umiltà dobbiamo riconoscere la mano misericordiosa di Dio.

Papa Francesco chiede di ricordare la data del proprio battesimo

“Questa mattina ho avuto la gioia di battezzare alcuni neonati, figli di dipendenti della Santa Sede e della Guardia Svizzera. Preghiamo per loro, per le loro famiglie. E vorrei chiedere al Signore, per tutte le giovani coppie, che abbiano la gioia di accogliere il dono dei figli e di portarli al Battesimo”: al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato ai fedeli radunati in piazza San Pietro di aver battezzato 21 neonati nella Cappella Sistina.

E’stato un invito a riflettere sul battesimo: “La festa del Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo, ci fa pensare a tante cose, anche al nostro Battesimo. Gesù si unisce al suo popolo, che va a ricevere il battesimo per il perdono dei peccati. Mi piace ricordare le parole di un inno della liturgia di oggi: Gesù va a farsi battezzare da Giovanni ‘con l’anima nuda e i piedi nudi’.

E quando Gesù riceve il battesimo si manifesta lo Spirito e avviene l’Epifania di Dio, che rivela il suo volto nel Figlio e fa sentire la sua voce che dice: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’. Il volto e la voce”.

E’ stato un invito a contemplare il volto ed ad ascoltare la voce di Dio: “Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci fa contemplare il volto e la voce di Dio, che si manifestano nell’umanità di Gesù. E allora chiediamoci: ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? Siamo capaci di riconoscere il suo volto in Gesù e nei fratelli? E siamo abituati ad ascoltare la sua voce?”

In conclusione ha invitato a ricordare la data del proprio battesimo: “Vi faccio una domanda: ognuno di noi ricorda la data del suo Battesimo? Questo è molto importante! Pensa: in quale giorno io sono stato battezzato o battezzata? E se non lo ricordiamo, arrivando a casa, chiediamo ai genitori, ai padrini la data del Battesimo. E festeggiamo la data come un nuovo compleanno: quella della nascita nello Spirito di Dio. Non dimenticatevi! Questo è un lavoro da fare a casa: la data del mio Battesimo”.

Mentre nella celebrazione eucaristica ha pregato i genitori di sostenere nel cammino della fede questi 21 bambini neo battezzati: “È importante che i bambini si sentano bene. Se hanno fame, allattateli, che non piangano. Se hanno troppo caldo, cambiateli… Ma che si sentano a loro agio, perché oggi comandano loro e noi dobbiamo servirli col Sacramento, con le preghiere. Adesso incominciamo questa cerimonia tutti insieme. Oggi, ognuno di voi, genitori, e la Chiesa stessa date il dono più grande, più grande: il dono della fede ai bambini.

Andiamo avanti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Continuiamo questa cerimonia del Battesimo dei vostri figli. Chiediamo al Signore che loro crescano nella fede una vera umanità, nella gioia della famiglia. E adesso continuiamo”.

Inoltre, in occasione del VI centenario dell’arrivo del Popolo Gitano in Spagna (gennaio 1425-2025), ha inviato un messaggio indirizzato a ‘queridos primos y primas, tíos y tías, querido Pueblo Gitano de España’: “Nel 2025 commemoriamo i 600 anni della vostra presenza in Spagna. Vorrei cogliere questa occasione per dimostrarvi il mio affetto, riconoscere i vostri valori e incoraggiarvi ad affrontare il futuro con speranza”.

Nel messaggio ha ricordato la loro storia, fatta di emarginazione: “Sono consapevole che la vostra storia è stata segnata da incomprensioni, rifiuti ed emarginazione. Ma anche nei momenti più difficili hai scoperto la vicinanza di Dio. Dio, infatti, percorre la storia insieme all’umanità e si è fatto nomade insieme al popolo zingaro. Anche Gesù nacque a Betlemme sotto il segno della persecuzione e dell’itineranza”.

Ma ha ricordato anche i ‘passi’ verso l’integrazione: “E’ anche giusto riconoscere gli sforzi compiuti negli ultimi decenni dal popolo zingaro, dalla Chiesa e dall’intera società spagnola, per intraprendere un nuovo cammino di inclusione che rispetti la vostra identità. Questo cammino ha prodotto molti frutti, ma bisogna continuare a lavorare, perché ci sono ancora pregiudizi da superare e situazioni dolorose da affrontare: famiglie in difficoltà che non sanno come aiutare i figli in difficoltà, giovani che hanno difficoltà a studiare, giovani persone che non riescono a trovare un lavoro dignitoso, donne che subiscono discriminazioni in famiglia e nella società”.

Inoltre ha ricordato il messaggio di papa san Paolo VI, pronunciato nel 1965, in cui affermò che essi sono nel ‘cuore’ della Chiesa: “Sono figli della Chiesa, di questa Chiesa nella quale tante persone, zingari e non zingari, si sono impegnate con responsabilità e amore per lo sviluppo integrale del popolo zingaro; di questa Chiesa che desidera continuare a spalancare le sue porte, perché tutti possiamo sentirci a casa; una Chiesa nella quale potete crescere nella fede cristiana senza rinunciare ai valori migliori della vostra cultura”.

E’ un invito a percorrere la strada di alcuni beati gitani: “Guardiamo avanti con speranza, seguendo le orme della beata Emilia Fernández Rodríguez, la cestista, e di Ceferino Giménez Malla, lo zio Pelé. Pur non volendolo, furono e continuano a essere maestri di fede e di vita per zingari e non zingari, come tante persone umili che aprono con fiducia la loro piccolezza alla grandezza di Dio”.

Questi beati ricordano l’importanza della preghiera: “Svelando i misteri del Rosario, entrambi i beati ci ricordano l’importanza della preghiera, dell’incontro con Dio, fonte di gioia, fraternità, speranza e carità. Entrambi hanno rischiato e perso la vita per amore di Dio e per cercare il bene degli altri: lo zio Pelé per aver difeso un prete ingiustamente detenuto, la cestaia per aver protetto i suoi catechisti. Entrambi furono missionari umili e coraggiosi”.

(Foto:  Santa Sede)

Papa Francesco condanna lo sfruttamento dei bambini

“Ringrazio tanto queste donne e uomini che ci hanno fatto ridere con il circo. Il circo ci fa ridere come dei bambini. I circensi hanno questa missione, anche da noi: farci ridere e fare cose buone. Ringrazio tanto tutti voi… E non dimentichiamo di pregare per la pace. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina; non dimentichiamo Nazareth, Israele. Non dimentichiamo tutti i Paesi in guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta”: al termine della catechesi papa Francesco ha salutato gli artisti di ‘CircAfrica’, circo itinerante per la prima volta in Italia, che è a Roma fino al 2 febbraio, che è composto da circa 50 artisti provenienti da 32 nazioni africane, ringraziandoli per lo spettacolo, con un invito a pregare per la pace nel mondo.

Mentre nell’udienza generale di oggi papa Francesco ha dedicato la catechesi ai bambini, concentrando la riflessione sul vangelo dell’apostolo Luca (la prossima volta affronterà la piaga del lavoro minorile): “Oggi sappiamo volgere lo sguardo verso Marte o verso mondi virtuali, ma facciamo fatica a guardare negli occhi un bambino che è stato lasciato ai margini e che viene sfruttato e abusato. Il secolo che genera intelligenza artificiale e progetta esistenze multiplanetarie non ha fatto ancora i conti con la piaga dell’infanzia umiliata, sfruttata e ferita a morte. Pensiamo su questo”.

E si è concentrato sul messaggio offerto dalla Sacra Scrittura sulla parola ‘figlio’ riportata per quasi 5.000 volte, come ‘eredità’ di Dio: “E’ curioso notare come la parola che ricorre maggiormente nell’Antico Testamento, dopo il nome divino di Jahweh, sia il vocabolo ben, cioè ‘figlio’: quasi cinquemila volte… I figli sono un dono di Dio. Purtroppo, questo dono non sempre è trattato con rispetto. La Bibbia stessa ci conduce nelle strade della storia dove risuonano i canti di gioia, ma si levano anche le urla delle vittime.

Ad esempio, nel libro delle Lamentazioni leggiamo: ‘La lingua del lattante si è attaccata al palato per la sete; i bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse loro’; ed il profeta Naum, ricordando quanto era accaduto nelle antiche città di Tebe e di Ninive, scrive: ‘I bambini furono sfracellati ai crocicchi di tutte le strade’. Pensiamo a quanti bambini, oggi, stanno morendo di fame e di stenti, o dilaniati dalle bombe”.

Anche Gesù non è stato esente dal subire violenza da bambino: “Anche sul neonato Gesù irrompe subito la bufera della violenza di Erode, che fa strage dei bambini di Betlemme. Un dramma cupo che si ripete in altre forme nella storia. Ed ecco, per Gesù e i suoi genitori, l’incubo di diventare profughi in un paese straniero, come succede anche oggi a tante persone, a tanti bambini. Passata la tempesta, Gesù cresce in un villaggio mai nominato nell’Antico Testamento, Nazaret; impara il mestiere di falegname del suo padre legale, Giuseppe”.

Per questo Gesù indica i bambini come ‘modello’ da seguire: “Nella sua vita pubblica, Gesù andava predicando per i villaggi insieme ai suoi discepoli. Un giorno si avvicinano a Lui alcune mamme e gli presentano i loro bimbi perché li benedica, ma i discepoli li rimproverano. Allora Gesù, rompendo la tradizione che considerava il bambino solo come oggetto passivo, chiama a sé i discepoli e dice: ‘Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio’. E così indica i piccoli come modello per gli adulti”.

Riprendendo gli ammonimenti di Gesù papa Francesco ha sollecitato i cristiani a prevenire gli abusi: “Fratelli e sorelle, i discepoli di Gesù Cristo non dovrebbero mai permettere che i bambini siano trascurati o maltrattati, che vengano privati dei loro diritti, che non siano amati e protetti. I cristiani hanno il dovere di prevenire con impegno e di condannare con fermezza le violenze o gli abusi sui minori”.

Per questo il papa ha condannato il lavoro minorile: “Ancora oggi, in particolare, sono troppi i piccoli costretti a lavorare. Ma un bambino che non sorride, un bambino che non sogna non potrà conoscere né fare germogliare i suoi talenti. In ogni parte della terra ci sono bambini sfruttati da un’economia che non rispetta la vita; un’economia che, così facendo, brucia il nostro più grande giacimento di speranza e di amore. Ma i bambini occupano un posto speciale nel cuore di Dio, e chiunque danneggia un bambino, dovrà renderne conto a Lui”.

E’ stato un invito a non restare indifferenti allo sfruttamento dei minori: “Cari fratelli e sorelle, chi si riconosce figlio di Dio, e specialmente chi è inviato a portare agli altri la buona novella del Vangelo, non può restare indifferente; non può accettare che sorelline e fratellini, invece di essere amati e protetti, siano derubati della loro infanzia, dei loro sogni, vittime dello sfruttamento e della marginalità. Chiediamo al Signore che ci apra la mente e il cuore alla cura e alla tenerezza, e che ogni bambino ed ogni bambina possa crescere in età, sapienza e grazia, ricevendo e donando amore”.

(Foto: Santa Sede)

Giornata della Vita: trasmettere la vita è speranza

“Celebriamo la 47ª Giornata Nazionale per la Vita nel contesto del Giubileo: tale coincidenza ci sollecita ad assumere l’orizzonte della speranza, poiché è nel segno della speranza che la Bolla di indizione ‘Spes non confundit’ (SnC) invita tutta la Chiesa a vivere l’anno di grazia del Signore”: questo è l’inizio del messaggio dei vescovi italiani in occasione della 47^ Giornata per la vita, che si celebra domenica 2 febbraio del prossimo anno sul tema ‘Trasmettere la vita, speranza per il mondo. Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita’, tratto dal libro della Sapienza.

Nel messaggio i vescovi affrontano la tematica della speranza: “Come nutrire speranza dinanzi ai tanti bambini che perdono la vita nei teatri di guerra, a quelli che muoiono nei tragitti delle migrazioni per mare o per terra, a quanti sono vittime delle malattie o della fame nei Paesi più poveri della terra, a quelli cui è impedito di nascere?

Questa grande ‘strage degli innocenti’, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica, non solo lascia uno strascico infinito di dolore e di odio, ma induce molti (soprattutto i giovani) a guardare al futuro con preoccupazione, fino a pensare che non valga la pena impegnarsi per rendere il mondo migliore e sia meglio evitare di mettere al mondo dei figli”.

Ed ecco la domanda se è possibile fare a meno di essa: “Quale futuro c’è per una società in cui nascono sempre meno bambini? La scelta di evitare i problemi e i sacrifici che si accompagnano alla generazione e all’educazione dei figli, come la fatica a dare sufficiente consistenza agli investimenti di risorse pubbliche per la natalità, renderanno davvero migliore la vita di oggi e di domani?”

A tali domande ne affiancano altre sul valore della vita, rivendicando il diritto a criticare l’aborto come diritto: “Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?  Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e ‘civile’ rimuovere?”

Ugualmente non esiste un diritto al ‘riarmo’: “Quale futuro c’è per un mondo dove si preferisce percorrere la strada di un imponente riarmo piuttosto che concentrare gli sforzi nel dialogo e nella rimozione delle ingiustizie e delle cause di conflitto? La logica del ‘se vuoi la pace prepara la guerra’ riuscirà a produrre equilibri stabili e armonia tra i popoli e tra gli stati, oppure, come spesso è accaduto in passato, le armi accumulate (al servizio di interessi economici e volontà di potenza) finiranno per essere usate e produrre morte e distruzione?

Abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte”.

A questo punto per i vescovi la trasmissione della vita è un segno di speranza: “Una particolare espressione di fiducia nel futuro è la trasmissione della vita, senza la quale nessuna forma di organizzazione sociale o comunitaria può avere un domani… Tutti condividiamo la gioia serena che i bambini infondono nel cuore e il senso di ottimismo dinanzi all’energia delle nuove generazioni. Ogni nuova vita è ‘speranza fatta carne’. Per questo siamo vivamente riconoscenti alle tante famiglie che accolgono volentieri il dono della vita e incoraggiamo le giovani coppie a non aver timore di mettere al mondo dei figli.

E’ urgente ‘rianimare la speranza’ in questo particolare campo dell’esistenza umana, tanto decisivo per l’avvenire: ‘il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro a ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza’ (SnC 9)”.

Ed ecco la spinosa questione della denatalità: “Nel nostro Paese, come in molti altri dell’occidente e del mondo, si registra da anni un costante calo delle nascite, che preoccupa per le ricadute sociali ed economiche a lungo termine; alcune indagini registrano anche un vistoso calo del desiderio di paternità e maternità nelle giovani generazioni, propense a immaginare il proprio futuro di coppia a prescindere dalla procreazione di figli.

Altri studi rilevano un preoccupante processo di ‘sostituzione’: l’aumento esponenziale degli animali domestici, che richiedono impegno e risorse economiche, e a volte vengono vissuti come un surrogato affettivo che appare assai riduttivo rispetto al valore incomparabile della relazione con i bambini. Tutto ciò è in primo luogo il risultato di una profonda mancanza di fiducia, che invece costituisce l’ingrediente fondamentale per lo sviluppo della persona e della comunità; esso viene pregiudicato dall’angoscia per il futuro e dalla diffidenza verso le persone e le istituzioni”.

Per questo i vescovi sono preoccupati da alcune interpretazioni della legge del 1978, in cui si tende a considerare l’aborto come diritto: “Dobbiamo poi constatare come alcune interpretazioni della legge 194/78, che si poneva l’obiettivo di eliminare la pratica clandestina dell’aborto, nel tempo abbiano generato nella coscienza di molti la scarsa o nulla percezione della sua gravità, tanto da farlo passare per un ‘diritto’, mentre ‘la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo’.

Per di più, restano largamente inapplicate quelle disposizioni (cf. art. 2 e 5) tese a favorire una scelta consapevole da parte della gestante e a offrire alternative all’aborto. Occorre pertanto ringraziare e incoraggiare quanti si adoperano ‘per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza… offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto’ (L. 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini”.

E nemmeno è possibile un figlio come desiderio solo: “Va infine considerato un altro fenomeno sempre più frequente, quello del desiderio di diventare genitori a qualsiasi costo, che interessa coppie o single, cui le tecniche di riproduzione assistita offrono la possibilità di superare qualsiasi limitazione biologica, per ottenere comunque un figlio, al di là di ogni valutazione morale.

Osserviamo innanzitutto che il desiderio di trasmettere la vita rimane misteriosamente presente nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Le persone che avvertono la mancanza di figli vanno accompagnate a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti ‘non accompagnati’.

Questo ambito richiede una più puntuale regolamentazione giuridica, sia per semplificare le procedure di affido e adozione che per impedire forme di mercificazione della vita e di sfruttamento delle donne come “contenitori” di figli altrui”.

Quindi ecco l’appello per un’alleanza per la vita: “Un’alleanza sociale che promuova la cultura della vita, mediante la proposta del valore della maternità e della paternità, della dignità inalienabile di ogni essere umano e della responsabilità di contribuire al futuro del Paese mediante la generazione e l’educazione di figli; che favorisca l’impegno legislativo degli stati per rimuovere le cause della denatalità con politiche familiari efficaci e stabili nel tempo; che impegni ogni persona di buona volontà ad agire per favorire le nuove nascite e custodirle come bene prezioso per tutti, non solo per i loro genitori.

Tale alleanza può e deve essere inclusiva e non ideologica, mettendo insieme tutte le persone e le realtà sinceramente interessate al futuro del Paese e al bene dei giovani: se la questione della natalità dovesse diventare la bandiera di qualcuno contro qualcun altro, la sua portata ne risulterebbe svilita e le scelte relative sarebbero inevitabilmente instabili, soggette a cambi di maggioranza o agli umori dell’opinione pubblica”.

Il messaggio dei vescovi si chiude con un invito a riscoprire il Dio della vita: “La Scrittura ci presenta un Dio che ama la vita: la desidera e la diffonde con gioia in molteplici e sorprendenti forme nell’universo da lui creato e sostenuto nell’esistenza; ama in modo particolare gli esseri umani, chiamati a condividere la dignità filiale e ad essere partecipi della stessa vita divina. Confidiamo pertanto nella grazia particolare di questo anno giubilare, che porta il dono divino di ‘nuovi inizi’: quelli che il perdono offre a chi è prigioniero del suo peccato; quelli che la giustizia porta a chi è schiacciato dall’iniquità; quelli che la speranza regala a chi è bloccato dalla disillusione e dal cinismo”.

(Foto: Cei)

La rivista ‘Sì alla Vita’ del Movimento per la Vita ha festeggiato 45 anni

“Ciò che non si comunica non esiste… Per questo il Movimento per la Vita punta tutto su questo giornale: è necessaria una voce che, regolarmente, porti in tante case l’informazione e l’interpretazione dei fatti che sulla frontiera della vita, giorno dopo giorno, in un crescendo vorticoso, accadono nel mondo. Questo è il Sì alla Vita”.

La maternità surrogata sia messa al bando

“La via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto”.

Papa Francesco: ringraziare per la speranza

“La fede ci permette di vivere quest’ora in modo diverso rispetto a una mentalità mondana. La fede in Gesù Cristo, Dio incarnato, nato dalla Vergine Maria, dona un modo nuovo di sentire il tempo e la vita. Lo riassumerei in due parole: gratitudine e speranza”: con queste parole papa Francesco ha iniziato la riflessione per la fine dell’anno civile nella meditazione dei primi vespri della Solennità di Maria Madre di Dio con il canto del Te Deum nella basilica di San Pietro.

E’ una meditazione incentrata sul significato cristiano di speranza, che si basa sulla relazione: “Forse può sembrare che sia così, e magari lo fosse! Ma, in realtà, la gratitudine mondana, la speranza mondana sono apparenti; mancano della dimensione essenziale che è quella della relazione con l’Altro e con gli altri, con Dio e con i fratelli. Sono appiattite sull’io, sui suoi interessi, e così hanno il fiato corto, non vanno oltre la soddisfazione e l’ottimismo”.

Una relazione improntata sullo stupore e non sull’ottimismo: “Invece in questa Liturgia si respira tutta un’altra atmosfera: quella della lode, dello stupore, della riconoscenza. E ciò accade non per la maestosità della Basilica, non per le luci e per i canti (queste cose ne sono piuttosto la conseguenza), ma per il Mistero che l’antifona al primo salmo ha espresso così: ‘Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine;… ci dona la sua divinità’. Questo meraviglioso scambio!”

E la prima impressione è quella della gratitudine di una Madre per un Figlio: “E’ un’esperienza che solo una mamma può fare, e che tuttavia in lei, nella Madre di Dio, ha una profondità unica, incomparabile. Maria sa, lei sola insieme a Giuseppe, da dove viene quel Bambino. Eppure è lì, respira, piange, ha bisogno di mangiare, di essere coperto, accudito. Il Mistero dà spazio alla gratitudine, che affiora nella contemplazione del dono, nella gratuità, mentre soffoca nell’ansia dell’avere e dell’apparire”.

Una gratitudine che si apre alla speranza: “La Chiesa impara dalla Vergine Madre la gratitudine. E impara anche la speranza. Viene da pensare che Dio abbia scelto lei, Maria di Nazaret, perché nel suo cuore ha visto rispecchiata la propria speranza. Quella che Lui stesso aveva infuso in lei con il suo Spirito. Maria è da sempre colmata di amore, colmata di grazia, e per questo è anche colmata di fiducia e di speranza”.

Tale gratitudine è occasione per volgere lo sguardo al Giubileo: “Cari fratelli e sorelle, possiamo chiederci: Roma si sta preparando a diventare nell’Anno Santo ‘città della speranza’? Tutti sappiamo che da tempo è in atto l’organizzazione del Giubileo. Ma comprendiamo bene che, nella prospettiva che qui assumiamo, non si tratta principalmente di questo; si tratta piuttosto della testimonianza della comunità ecclesiale e civile; testimonianza che, più che negli eventi, consiste nello stile di vita, nella qualità etica e spirituale della convivenza. E allora la domanda si può formulare così: stiamo operando, ciascuno nel proprio ambito, affinché questa città sia segno di speranza per chi vi abita e per quanti la visitano?”

E’ un invito a prepararsi al Giubileo del 2025 con la preghiera, secondo l’insegnamento della Madre di Dio: “Cari fratelli e sorelle, un pellegrinaggio, specialmente se impegnativo, richiede una buona preparazione. Per questo l’anno prossimo, che precede il Giubileo, è dedicato alla preghiera. Tutto un anno dedicato alla preghiera.

E quale maestra migliore potremmo avere della nostra Santa Madre? Mettiamoci alla sua scuola: impariamo da lei a vivere ogni giorno, ogni momento, ogni occupazione con lo sguardo interiore rivolto a Gesù. Gioie e dolori, soddisfazioni e problemi. Tutto alla presenza e con la grazia di Gesù, il Signore. Tutto con gratitudine e speranza”.

Quindi la preghiera apre allo stupore, come aveva sottolineato prima della recita dell’Angelus della festa della Santa Famiglia il papa: “La capacità di stupore è un segreto per andare avanti bene in famiglia. Non abituarsi all’ordinarietà delle cose. Sapersi anzitutto stupire di Dio, che ci accompagna. E poi, stupirsi in famiglia. Penso che è bene nella coppia sapersi stupire del proprio coniuge, ad esempio prendendolo per mano e guardandolo negli occhi alla sera per qualche istante, con tenerezza: lo stupore ti porta alla tenerezza, sempre”.

Lo stupore dovuto alla bellezza del matrimonio: “E’ bella la tenerezza nel matrimonio. E poi stupirsi del miracolo della vita, dei figli, trovando il tempo per giocare con loro e per ascoltarli… E’ una bella paternità e maternità, questa. E poi, stupirsi della saggezza dei nonni. Tante volte, noi i nonni li tiriamo fuori dalla vita. No, i nonni sono fonti di saggezza. Impariamo a stupirci della saggezza dei nonni, della loro storia. I nonni che riportano la vita all’essenziale.

E stupirsi, infine, della propria storia d’amore – ognuno di noi ha la propria: il Signore ci ha fatto camminare con amore, stupirsi di questo. La nostra vita ha sicuramente degli aspetti negativi, ma stupirsi anche della bontà di Dio di camminare con noi, anche se noi siamo così inesperti”.

(Foto: Santa Sede)

4^ Domenica di Avvento, Maria: Io sono la serva del Signore

Protagonista di questa 4^ domenica di Avvento è Maria, personaggio principale ed insostituibile per il santo Natale. Un Angelo del cielo, infatti, è inviato, messaggero di amore, ad una donna, Maria; l’incontro avviene a Nazareth in una casa comune e non in un santuario, né tra candelabri d’oro nel Tempio  di Dio a Gerusalemme. Il saluto angelico è un invito alla gioia: ‘Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con Te’; un saluto dal quale si evince tutta la misericordia del Padre, che non abbandona mai l’uomo peccatore; anzi è Dio stesso che fa il primo passo per salvare l’uomo che si è allontanato da Lui.

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