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I francescani ricordano Isabella di Francia: sulle orme di san Francesco

“Nel 2025 ricorre l’ottavo centenario della nascita della beata Isabella di Francia. Contemporanea di santa Chiara, fondò a Longchamp un monastero di ‘Sorores Minores’ per cui scrisse una regola. Nei secoli successivi confluirono nell’ ‘Ordo sanctae Clarae’, ossia le clarisse che pertanto ha una poligenesi benché abbiano santa Chiara d’Assisi come eponimo in quanto fondatrice. Per l’occasione il Ministro generale dell’ordine dei Frati Minori ha pubblicato una lettera che illustra anche la forza d’attualità della beata Isabella di Francia”.

Questo è l’inizio della lettera del ministro generale dei frati minori, fra Massimo Fusarelli, in occasione dell’ottocentesimo anniversario di Isabella di Francia, figlia del re Luigi VIII e di santa Bianca di Castiglia, sorella di san Luigi IX, che nel 1521 papa Leone X la dichiarò beata, una delle prime sante clarisse. La Chiesa cattolica l’ha ricordata sabato 22 febbraio come recita il Martirologio Romano:

“A Longchamp nella periferia di Parigi in Francia, beata Isabella, vergine, che, sorella del re san Luigi IX, avendo rinunciato a nozze regali e ai piaceri del mondo, fondò il convento delle Suore Minori, con le quali servì Dio in umiltà e povertà”.

Nella lettera il ministro generale ha sottolineato l’importanza di questa ricorrenza: “L’ottocentesimo anniversario della sua nascita arricchisce le diverse memorie dei centenari francescani che stiamo celebrando perché la riscoperta delle pagine del suo percorso di vita e di fede, poco conosciute fino a pochi decenni fa, colorano di nuove sfumature l’eredità francescana dei primi secoli…

Inserendosi a pieno titolo nei primi passi del francescanesimo femminile, Isabella di Francia porta in luce una visione e una recezione libera, consapevole, dinamica e ragionata del francescanesimo; una volontà di seguire Cristo e di rendersi strumento della sua grazia permanendo ‘con modestia’ nel proprio stato di vita, quello della nobiltà regale, abbracciando i valori di Francesco d’Assisi; una capacità di porsi in dialogo con il mondo dell’Ordine francescano maschile e con la curia papale fino ad ottenere l’approvazione di una nuova Regola che racchiude una comprensione della spiritualità mendicante francescana, diffusasi poi in Europa attraverso i monasteri che l’abbracciarono”.

Fr. Fusarelli ha sottolineato la ‘generatività’ del santo assisiate: “In questi anni, poi, in cui si celebrano vari centenari francescani, la sua figura ci mostra che realmente in san Francesco vediamo avverarsi le parole di Gesù per cui chi segue le sue orme porta frutto e un frutto che rimane: Isabella si pone nella posterità dell’Assisiate, ma nello stesso tempo dà origine a ‘cose nuove’, una comunità di donne e un movimento di persone che si sono espanse anche oltre i confini della Francia.

Nella sterilità che attualmente caratterizza la società e vari Paesi, la sua generatività, fedele e insieme creativa, è d’incentivo per ciascuno di noi a collaborare con lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, per comprendere e fare nostra la sua stessa fecondità”.

Dopo aver ripercorso la storia della sua vita nella lettera si evidenzia che essa era ispirata al Vangelo: “Con la liturgia possiamo affermare che la beata Isabella con il suo esempio ci rafforza, con i suoi insegnamenti ci ammaestra e con la sua intercessione ci protegge. A quest’ultima affidiamo tutti noi mentre cerchiamo di cogliere dalla sua vita alcune indicazioni che possano aiutarci nel cammino personale e comunitario. La vita di Isabella è scuola di sequela evangelica dietro i passi del Maestro che invita a imparare da Lui la mitezza e l’umiltà del cuore”.

Questa umiltà è caratteristica fondamentale di questa beata: “La custodia della propria piccolezza, nonostante la condizione e l’ambiente di vita tutt’altro che tale, fu il segreto che rese Isabella aperta alla ricerca di ciò che davvero vale e che forgiò in lei ogni altra virtù. La certezza di non bastare a se stessa non assunse la forma della passività e della debolezza di pensiero, ma si coniugò pienamente in lei con l’apertura alla novità e all’impegno; la dolcezza e la nobiltà di cuore non la resero accomodante o ripiegata sul suo interesse.

Isabella ci ricorda che è possibile vincere la preoccupazione principale che irrigidisce il cuore dell’uomo, quella dell’apparire, del dimostrare, del trattenere, del difendere, e che le eredità che l’umiltà e la mitezza consegnano sono quelle della misericordia, della fraternità e dell’essere portatori non della propria luce, ma della salvezza che viene solo da Dio”.

Fu lei che a Parigi si ‘scagliò’ contro le divisioni interne alla Chiesa: “Nella metà del Duecento i frati Minori, soprattutto a Parigi, erano coinvolti in una crescente conflittualità con il clero secolare e, a volte, con la volontà di presentare il carisma francescano ne assolutizzavano qualche aspetto, in modo particolare la povertà, facendone oggetto d’una apologia che giungeva a sfociare in retorica. Isabella focalizzò, invece, quanto fosse centrale la minorità, tanto da impegnare tutte le sue forze perché la comunità da lei fondata fosse intitolata all’umiltà di Maria e i membri fossero denominate sorelle minori”.

Quindi le divisioni si possono superare con l’umiltà: “Se si vuole non solo che le armi tacciano ma soprattutto che parli la concordia, sono necessarie disposizioni che favoriscano la pace con opere, parole e intenzioni simili a quelle compiute da Isabella di Francia. L’affezione di Isabella fu totalizzante, rivolta non a un’idea, nemmeno di minorità, ma a Colui che per noi si è fatto ultimo e piccolo, il Signore Gesù, e ciò coinvolse, secondo il dettato biblico, mente, cuore e forze; così nel momento in cui stese la Regola consultò vari teologi, tra cui san Bonaventura.

Ciò è una indicazione precisa a superare tante polarizzazioni e unilateralità, che vanno dal razionalismo al primato dell’emotività, e a optare, invece, per una formazione integrale e integrata che coinvolga mente e cuore, fede e ragione, pensiero e vita”.

La lettera si conclude con un’esortazione: “Possa la memoria viva della sua vita di donna, che ha interpretato in modo originale l’intuizione di Francesco e di Chiara d’Assisi, continuare a ispirarci in questo tempo nel quale continua a essere possibile vivere il Vangelo del Signore”.

Trasmettere la vita è speranza per il mondo. A colloquio con Marina Casini

“Come nutrire speranza dinanzi ai tanti bambini che perdono la vita nei teatri di guerra, a quelli che muoiono nei tragitti delle migrazioni per mare o per terra, a quanti sono vittime delle malattie o della fame nei Paesi più poveri della terra, a quelli cui è impedito di nascere? Questa grande ‘strage degli innocenti’, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica, non solo lascia uno strascico infinito di dolore e di odio, ma induce molti (soprattutto i giovani) a guardare al futuro con preoccupazione, fino a pensare che non valga la pena impegnarsi per rendere il mondo migliore e sia meglio evitare di mettere al mondo dei figli”.

Dall’inizio del messaggio dei vescovi italiani per la 47^ Giornata Nazionale per la Vita, che si celebra domenica 2 febbraio sul tema ‘Trasmettere la vita, speranza per il mondo: Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita’, tratto dal libro della Sapienza, prendiamo spunto per un colloquio con la presidente del Movimento per la Vita, prof.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma: perché la vita è segno di speranza?

“Non potrebbe essere diversamente! Lo dicono bene i vescovi nel messaggio per la 47^ giornata per la vita: ‘abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte’. Il legame tra la vita umana e la speranza è profondo, forte e inscindibile. Una delle frasi che hanno segnato la storia del Movimento per la Vita, e che ancora oggi ci accompagna, è ‘per ritrovare speranza bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni uomo è sacra’.

E’ la frase che scrissero i vescovi italiani all’indomani dell’approvazione della legge 194 sull’aborto. Che vita e speranza sono collegati risulta anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la quale nel preambolo pone a fondamento della libertà, della giustizia e della pace il riconoscimento della dignità (inerente e uguale) di ogni essere umano. In altri termini: se vogliamo la pace, la giustizia e la libertà dobbiamo riconoscere il valore (dignità) di ogni vita umana. La speranza di un futuro migliore è legata al rispetto della vita”.

Quindi i figli sono speranza per il futuro?

“Infatti, sempre nel messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la vita di quest’anno c’è scritto che ‘tutti condividiamo la gioia serena che i bambini infondono nel cuore e il senso di ottimismo dinanzi all’energia delle nuove generazioni. Ogni nuova vita è speranza fatta carne’. I figli sono veramente frecce di speranza lanciate nel futuro. Mio padre  (Carlo Casini, ndr.) diceva che ‘Ogni figlio è l’istintiva speranza che il bene alla fine supererà il male, che il futuro potrà essere migliore del passato’ e che ‘per difendere la vita bisogna essere testimoni della speranza e che perciò, il volto rattristato, le visioni cupe, il dito accusatore non hanno base. Siamo ammiratori del miracolo, testimoni dello stupore, seminatori certi della vittoria finale. Progettiamo la ricomposizione, non la divisione’. Segno di speranza è l’intero popolo della vita, sono i bambini nati con il sostegno dei CAV nel 2023 (5.940); le gestanti aiutate (8.234); donne assistite (14.216), la serenità e il sorriso di una mamma che fidandosi dice ‘sì’ alla vita del figlio che culla in grembo.

Ovviamente tutto questo non significa affatto che si debbano fare figli a tutti i costi, perché i figli non sono oggetti da pretendere, ma persone da accogliere sin dal concepimento. A riguardo, nel messaggio dei vescovi c’è un passaggio importante: ‘Va infine considerato un altro fenomeno sempre più frequente, quello del desiderio di diventare genitori a qualsiasi costo, che interessa coppie o single, cui le tecniche di riproduzione assistita offrono la possibilità di superare qualsiasi limitazione biologica, per ottenere comunque un figlio, al di là di ogni valutazione morale.

Osserviamo innanzitutto che il desiderio di trasmettere la vita rimane misteriosamente presente nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Le persone che avvertono la mancanza di figli vanno accompagnate a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti non accompagnati’”.

Per quale motivo si è rinunciato di generare?

“La risposta richiederebbe un esame di cause che sono complesse. C’è infatti un concorso di fattori che si intrecciano e che hanno a che fare con situazioni personali e sociali insieme. Si parla di industrializzazione e società dei consumi, di rinvio di matrimonio e figli, di precedenza all’affermazione professionale, di problemi a livello occupazionale e abitativo, di crisi economica. Ma tra tutte le cause a cui va posto rimedio c’è sicuramente quella più profonda: la mancanza di speranza, di fiducia nel futuro, di scommettere in un noi che spezza le catene di un individualismo che fa ripiegare su se stessi.

Papa Francesco ha detto: ‘La sfida della natalità è questione di speranza. Ma attenzione, la speranza non è, come spesso si pensa, ottimismo, non è un vago sentimento positivo sull’avvenire… No, la speranza è un’altra cosa. Non è un’illusione o un’emozione che tu senti, no; è una virtù concreta, un atteggiamento di vita. E ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri.

Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire’; ‘Quando non c’è generatività viene la tristezza. E’ un malessere brutto, grigio’; ‘La nascita dei figli, infatti, è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza’. Dovremmo riflettere su queste parole”.

‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?’, domandano i vescovi: perché nel messaggio dei vescovi è sottolineato che l’aborto non è un diritto?

“Perché è una semplice ed elementare verità. Può essere considerato un ‘diritto’ l’uccisione di un essere umano realizzata, per giunta, con il sostegno dello Stato, delle strutture pubbliche, con l’alleanza della medicina e il consenso sociale? Il diritto dovrebbe essere il forte difensore dei deboli, non l’oppressore dei deboli; il diritto esiste perché esistono le relazioni tra gli uomini (‘ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas’ – dove c’è la società c’è il diritto, dove c’è il diritto c’è la società), relazioni da tutelare, custodire, proteggere.

La primissima relazione è quella della mamma e del figlio che vive e cresce dentro di lei. Spezzare con la forza della legge quella relazione significa negare il diritto o trasformarlo in uno strumento di sopraffazione. La moderna teoria dei diritti dell’uomo si basa esattamente sull’atto umile della mente che riconosce il valore dell’altro (il riconoscimento dell’uguale dignità di ogni essere appartenente alla famiglia umana) e non su un atto di arroganza sull’altro.

Ecco perché giustamente si domandano i vescovi: ‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà? Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e ‘civile’ rimuovere?’ Rinunciare alla vita impedendo a un figlio di nascere, non può essere mai considerato un ‘diritto’. Mai.

E’ una pretesa ideologica: nessun indice di civiltà e progresso, nessuna autentica manifestazione di libertà. Il preteso ‘diritto di aborto’ è in realtà l’aborto del diritto. Nel punto 5 del messaggio, i vescovi richiamando la dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, ‘Dignitas infinita’  (‘la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano.

Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo’), denunciano l’idea dell’aborto come diritto e l’inapplicazione della legge 194 che dovrebbero dissuadere dall’aborto e soprattutto ringraziano e incoraggiano scrivono: Quanti si adoperano ‘per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza […] offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto’ (L. 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini”.

In quale modo la medicina può essere al servizio della vita?

“Quante cose ci sarebbero da dire! In estrema sintesi, la base, il fulcro, il senso della medicina è (in una logica di servizio e non di potere) prendersi cura di ogni essere umano, cioè per ogni persona dal concepimento alla morte, senza distinguo, senza discriminazioni. La medicina è chiamata ad accettare la morte non a cagionarla. In questo discorso rientra il rifiuto dell’aborto, dell’eutanasia, del suicidio assistito, della distruzione di esseri umani allo stadio embrionale cosa che può avvenire con le tecniche di fecondazione artificiale, ma anche cosiddetto accanimento terapeutico come dell’abbandono del paziente.

Si apre tutto il vasto spazio della responsabilità e della presa in carico, dell’assistenza globale, dell’implementazione della medicina palliativa, della medicina perinatale, dell’umanizzazione della medicina in generale. Merita di essere letta e meditata ancora oggi l’enciclica ‘Evangelium Vitae’, ma anche la lettera ‘Samaritanus Bonus’ e la Nuova Carta degli Operatori Sanitari. Va da sé che nella prospettiva di una medicina a servizio della vita l’obiezione di coscienza all’aborto ha un ruolo fondamentale: non si tratta di ‘astensione da’, ma di ‘promozione di’ ovvero del valore della vita e della autentica tutela sociale della maternità”.

(Tratto da Aci Stampa)

Il ruolo della scuola cattolica nel cammino sinodale della Chiesa cattolica in Italia

“Le Linee Guida per la fase sapienziale del Cammino Sinodale delle Chiese in Italia invitano a ricercare le ‘condizioni di possibilità’ per una conversione pastorale e missionaria delle nostre Chiese, focalizzandosi non su che cosa il mondo deve cambiare per avvicinarsi alla Chiesa, ma su come la Chiesa debba cambiare per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo… Il ‘camminare insieme’, infatti, sta sempre più caratterizzando la vita delle scuole cattoliche e dei loro organismi, come dimostra il lavoro stesso del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica, improntato a reciproca stima e collaborazione e promotore a sua volta di un ampio discernimento sul futuro della Scuola cattolica e della Formazione professionale di ispirazione cristiana in Italia”: così inizia il ‘contributo per il Cammino Sinodale della Chiesa in Italia’ del Consiglio nazionale della scuola cattolica (Cnsc), inviato al Comitato del Cammino sinodale della Chiesa italiana quale contributo alla seconda fase del percorso sinodale, che riguarda il cammino ‘sapienziale’.

Da tale inizio abbiamo iniziato un colloquio con il prof. Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della CEI e segretario della Giunta del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica, chiedendo di spiegare quale contributo offre la scuola cattolica al cammino sinodale: “Il cammino sinodale della Chiesa in Italia ha come primo obiettivo quello di rinvigorire la missione ecclesiale ‘secondo lo stile della prossimità’. Le scuole cattoliche si collocano proprio al fianco delle famiglie, per sostenere il loro compito educativo, e accanto ai ragazzi, con un’offerta formativa ispirata ai valori del Vangelo. In questo modo, mostrano il volto di una Chiesa vicina alle persone nella quotidianità, attenta alle loro fatiche e speranze.

Ci sono anche altri modi in cui la scuola cattolica può essere una risorsa importante per il cammino sinodale: penso alle sue competenze culturali, alle alleanze educative, a quell’esperienza di sinergia e collaborazione che sta crescendo fra le stesse scuole cattoliche: sono segnali importanti che vanno nella direzione della sostenibilità e della corresponsabilità”.

E’ possibile educare nel cambiamento?

“Non solo è possibile ma è necessario, come ripete spesso papa Francesco ricordando che ogni cambiamento ha bisogno di educazione. Educare, infatti, non significa solo evidenziare i legami con il passato, ma ancor più attrezzarsi davanti alle sfide del presente e immaginare un futuro da costruire insieme. Certo le difficoltà non mancano, ma non ci sono mai stati tempi facili per l’educazione. Il cambiamento d’epoca a cui richiama il papa provoca a una responsabilità e un investimento educativo diffuso e concorde. In questo, il pluralismo culturale non è necessariamente un ostacolo, a patto che si stringa un patto comune sui valori fondamentali e ci si impegni a testimoniarli, ognuno nel proprio campo”.

In quale modo la scuola cattolica può generare responsabilità nei giovani?

“In primo luogo, aiutandoli a vivere il percorso scolastico in modo attivo e non passivo. Da protagonisti. Nel progetto educativo della scuola cattolica si parla da sempre di personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non è solo un modo diverso di impostare gli obiettivi e le lezioni da parte dei docenti, ma anche un modo nuovo di vivere la scuola da parte degli alunni, che in essa hanno l’occasione di conoscersi e mettersi alla prova, di imparare a superare gli ostacoli, di mettere a frutto (e a servizio di tutti) i propri talenti, scoprendo così anche la propria vocazione nella vita”.

Con quale linguaggio la scuola cattolica può comunicare la sua proposta formativa?

“Fin dai suoi primi discorsi, papa Francesco ha indicato agli educatori, non solo cattolici, la necessità di usare un triplice linguaggio: quello della testa, del cuore e delle mani. Il messaggio è chiaro: occorre rivolgersi a tutta la persona, non solo a una sua parte. Ecco perché, nella scuola, si deve curare la formazione intellettuale senza trascurare quella degli affetti e dei sentimenti, della volontà e del desiderio. Considerando, inoltre, che la dimensione trascendente è connaturata alla persona, che è sempre in ricerca di senso, ovvero di ragioni di vita e di speranza. In questo campo, decisivi sono gli insegnanti, maestri di sapere e di saper fare e, non di meno, di saper essere”.

In quale modo la scuola cattolica si inserisce nel ‘Patto educativo globale’?

“Per prima cosa direi: non chiudendosi in se stessa. Non considerandosi autosufficiente o esclusiva. La scuola cattolica deve sentire la vocazione a richiamare tutta la comunità in cui vive, sia quella ecclesiale che quella sociale, a impegnarsi per rendere quel territorio un luogo favorevole all’educazione, ossia alla crescita armoniosa ed equilibrata dei più piccoli. E stringere ‘alleanze’ all’interno e all’esterno della comunità cristiana: con le istituzioni e con le forze del mondo del lavoro, delle arti, della salute, del volontariato, dello sport, dei media”.

(Tratto da Aci Stampa)

Da Marsiglia papa Francesco invita ad un sussulto

Allo Stadio Vélodrome di Marsiglia papa Francesco, celebrando la Santa Messa, ha concluso il viaggio apostolico alla presenza di molti fedeli, che lo hanno accolto festosi, con un’omelia sulla visita di Maria ad Elisabetta, che esultano per la presenza di Dio nel popolo:

Il potere trasformante dell’amore materno: Maid

Ci sono tanti bellissimi film o serial che esaltano gli effetti positivi della maternità: per la donna che è diventata madre, per il figlio o la figlia che sono nati e per le persone che stanno loro vicino. E’ il caso di MAID, un serial del 2021 disponibile sulla piattaforma Netflix. Si racconta di una ragazza, Alex, poco più che ventenne che convive con un ragazzo, Sean, assieme alla loro figlia Maddy di due anni in una modesta abitazione in mezzo ai boschi.

Lui è un barista e lei ha dovuto rinunciare al suo sogno, che era quello di andare al college, per accudire la figlia. Una sera, però, prende la bimba e scappa di casa. Non sopporta più che Sean torni spesso ubriaco e la minacci urlando. Alex, che non può contare sull’aiuto del padre che ha abbandonato da tempo la famiglia, né della madre, che è psicologicamente instabile, inizia la sua lotta per la sopravvivenza, cercando asilo in strutture sociali, trascorrendo notti sulla panchina di una stazione, vivendo di sussidi statali e lavori sottopagati.

Eppure, sa che ha un compito da assolvere e un sogno da realizzare: prendersi cura della sua magnifica bimba e iscriversi al college universitario. I due obiettivi non sono in contrasto ma piuttosto in sinergia. Perché in sinergia?

Perché lei sa che non è più una nullità, uno scarto della società, ma vale, anzi vale molto. Vede nel suo essere madre dignità e pienezza, la figlia diventa il motore per realizzare sé stessa: dalla figlia trarrà la forza di iscriversi all’università. Alla fine ci riuscirà davvero e sarà proprio lei a scrivere questa bella storia che è ora diventata un serial.

Le recensioni di questi film sono disponibili su www.familycinematv.it

Se state cercando uno strumento per conoscere meglio le potenzialità educative delle serie tv, per selezionare film da vedere coi ragazzi in base al tema di interesse (adolescenza, genitori-figli, inizio vita, fine vita ecc), consigliamo il libro ‘Occhio al film’, di Franco Olearo e Cecilia Galatolo. 

Papa Francesco: la vocazione è missione

Oggi, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 60^ Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, istituita nel 1964 da san Paolo VI, sul tema ‘Vocazione: grazia e missione’; per l’occasione papa Francesco ha inviato ai vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati un messaggio, in cui ha spiegato il significato della Giornata:

Papa Francesco ai disabili parla del ‘magistero della fragilità’

“La fiducia nel Signore, l’esperienza della sua tenerezza, il conforto della sua compagnia non sono privilegi riservati a pochi, né prerogative di chi ha ricevuto un’accurata e prolungata formazione. La sua misericordia, al contrario, si lascia conoscere e incontrare in maniera tutta particolare da chi non confida in sé e sente la necessità di abbandonarsi al Signore e di condividere con i fratelli”: in occasione della giornata mondiale delle persone disabili, papa Francesco ha scritto una lettera in cui parla di misericordia verso chi si ‘abbandona’ a Dio.

Papa Francesco: con lo sport si educa all’accoglienza

Ancora l’educazione negli incontri di papa Francesco, che questa volta avviene attraverso lo sport, affinché sia accessibile: questo è stato lo scopo del convegno internazionale ‘Sport for all. Cohesive, Accessible and Tailored to each person’, organizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, insieme al Dicastero per la Cultura e l’Educazione, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport in Italia: “Ma voi sapete bene che per raggiungere obiettivi alti, ardui e difficili (altius, citius, fortius)  serve fare gioco di squadra, serve mettersi insieme, communiter. Altius, citius, fortius – communiter”.

Papa Francesco: la vecchiaia genera vita

Al termine dell’udienza generale, ancora incentrata sul significato della vecchiaia, papa Francesco ha rivolto un appello di pace a 6 mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, come aveva già fatto negli scorsi mesi, in cui aveva affermato che ‘ogni guerra rappresenta una sconfitta per tutti’:

La Caritas cammina insieme sulla via degli ultimi

Nell’ultima settimana di giugno si è concluso a Rho il 42° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, dal titolo ‘Camminare insieme sulla via degli ultimi’: “Lo scorso anno, in occasione dell’Udienza per il 50° di Caritas Italiana, papa Francesco ci ha consegnato tre vie, tre priorità attorno alle quali rileggere e orientare il nostro agire: la via degli ultimi, del Vangelo e della creatività. E’ stato poi avviato un percorso di rilettura dell’impegno Caritas per definire insieme gli elementi e gli indicatori che caratterizzano attività, servizi e opere capaci di incarnare le tre vie e condividere esperienze concrete in atto e in potenza”.

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