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Seconda Domenica Tempo Ordinario: la Famiglia è la vera chiesa domestica

Gesù dà il via alla vita pubblica santificando la famiglia, realtà dove l’uomo realizza pienamente se stesso, la famiglia intesa come legame intimo voluto da Dio tra un uomo e una donna; vincolo unitario ed indissolubile. Questo legame ci riporta all’alleanza sancita tra Dio e il suo popolo che si coniuga in ‘amore sponsale’: Dio ama la sua Chiesa come lo sposo è chiamato ad amare la sua sposa.

Gesù dà inizio alla sua vita pubblica partecipando ad una cena di matrimonio, dove compie il primo miracolo in favore della famiglia; conclude la vita pubblica con l’ultima cena dove istituisce il sacramento dell’Eucaristia: coincidenza assai significativa. La famiglia si costituisce con il sacramento dell’amore tra un uomo e una donna, ma al vertice di questo amore necessita la presenza di Cristo Gesù, il Figlio di Dio incarnato  nel quale l’umanità è assunta dalla divinità.

E’ grande il sacramento del matrimonio: ma non c’è vera famiglia senza amore; ‘amare’, bada bene, non è solo piacere o solo eros; è necessario  che nella famiglia l’amore diventi ‘donazione’ o ‘agape’: cioè ‘ti voglio bene’ (io voglio il tuo bene); questo amore, mirabile agli occhi di Dio, trova in Cristo Gesù il santificatore della famiglia.

 E’ necessario invitare Cristo a nozze per costruire la famiglia (chiesa domestica) alla maniera della Chiesa di Cristo (che è la famiglia delle famiglie): solo allora si dà una base solida ed indiscussa alla  famiglia. Anche Gesù nell’istituire la Chiesa cercò di darle una base solida, l’ha costruita su una pietra forte ed indiscussa: riunì attorno ad essa i Dodici, ne scelse uno: Simone, figlio di Giovanni, al quale disse: d’oggi innanzi ti chiamerai ‘pietra’, roccia, perché su questa  pietra io edificherò la mia Chiesa: la Chiesa di Cristo Gesù, anche se è come una barca in un mare tempestoso, non affonderà mai  perché al timone della barca c’è Pietro, elemento visibile di una realtà invisibile: lo Spirito Santo che guida la Chiesa e lo stesso Gesù sempre presente sulla barca e, pertanto, ‘le porte degli inferi non prevarranno’.

Ciò che conta è la presenza reale di Gesù nella famiglia. Il miracolo delle nozze di Cana è significativo: alla cena di nozze era presente Gesù con i Dodici e con Maria, sua madre. L’occhio vigile di Maria si accorge che il vino sta per finire ed invita Gesù ad intervenire con la sua forza divina. Maria invita poi i servi a recarsi da Gesù e questi ordina loro di riempire le anfore di acqua, poi benedice e questa diventa ottimo vino: un vino così squisito  che spinse il maggiordomo a richiamare lo sposo: tutti recano a tavola il vino buono all’inizio, tu lo hai riservato solo per la fine; non sapeva, poverino, che era il vino del miracolo.

La crisi che oggi incombe sula società è crisi della famiglia, oggi si amano più i cani e i gatti che i bambini, oggi si preferisce la convivenza (amore provvisorio) al matrimonio (unione stabile per tutta la vita, oggi domina soprattutto l’eros, il piacere piuttosto che l’amore, che è sacrificio e donazione. E’ necessario ormai solo ricostruire la vera famiglia; questo è un tempo prezioso che richiede responsabilità ed amore. E’ necessario aprirsi al vero orizzonte dell’amore, alla luce della parola di Dio.

Il matrimonio è un dono: la donazione di sé all’altro, la gioia del dare e del fare felice. Il termine ‘coniuge’, cum iugo, due persone  poste sotto lo stesso giogo, che si aiutano a vicenda e nell’aiuto  realizzano se stesse, anche in chiave carismatica. per il bene della famiglia e della stessa società. Chi dà la forza e l’aiuto è sempre lo Spirito Santo: è il vino di cui si parla nel Vangelo, elemento essenziale ed insostituibile nella vita della famiglia.

Se il vino diminuisce o minaccia di finire: il vino della gioia, dell’amore, della donazione reciproca, alzate gli occhi al cielo, invocate Maria, madre del Cristo e madre della Chiesa: Maria collaborerà perché l’acqua diventi ottimo vino, Maria non abbandona i figli che si rivolgono a lei. Da soli si rimane vittima dell’egoismo, dell’orgoglio, della perfidia e della solitudine; con Cristo Gesù risplende la vera luce , si diradano le tenebre, torna a risplendere la gioia dell’amore vero e della vita. L’Eucaristia aiuta sempre gli sposi a rinnovare la loro alleanza di amore.

Papa Francesco: la speranza di Cristo va annunciata

“Vi do il benvenuto e sono felice che siate riusciti a organizzare questo vostro pellegrinaggio in questo Anno Giubilare, incentrato sulla speranza. E’ un Anno in cui Dio vuole concederci grazie speciali”: con questo saluto papa Francesco ha accolto i bambini ospiti della Clinica di Oncologia Pediatrica di Wrocław in Polonia.

Il papa ha espresso loro la gioia per questo incontro: “Mentre venivo a incontrarvi, sentivo una gioia nel cuore perché abbiamo la possibilità di donarci speranza e amore a vicenda, gli uni agli altri. E c’è anche un altro motivo: voi, cari bambini e ragazzi, per me siete segni di speranza. E perché? Perché sono sicuro che in voi è presente Gesù. E dove c’è Lui, c’è la speranza che non delude! Gesù ha preso su di sé le nostre sofferenze, per amore, e allora anche noi, attraverso il suo amore, possiamo unirci a Lui quando soffriamo”.

Questa è l’amicizia offerta da Gesù: “E questa è una prova di amicizia. Voi lo sapete: quando si è veramente amici, la gioia dell’altro è anche la mia gioia, e il dolore dell’altro è anche il mio dolore. Una volta Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici’. Anche voi siete amici, voi siete i suoi amici, e potete condividere con Lui gioie e dolori”.

Un’altra prova dell’amicizia di Gesù sono i genitori: “E un’altra prova dell’amicizia di Gesù verso di voi è l’amore e la presenza costante dei vostri genitori, è il sorriso gentile e tenero dei medici, degli infermieri, dei fisioterapisti, che vi curano e lavorano per migliorare la vostra salute, perché non perdiate i vostri sogni e le vostre speranze.

Anch’io vi chiamo amici: voi siete amici! E vorrei chiedervi di aiutarmi a servire la Chiesa. E come? Offrendo, qualche volta, le vostre preghiere, le vostre sofferenze per le intenzioni del Papa”.

Infine ha invitato a pregare per quei bambini che non hanno l’opportunità di curarsi: “E poi vi invito a pregare insieme a me per quei bambini – sono tanti purtroppo! – che non hanno la possibilità di curarsi: sono malati, oppure feriti, e non ci sono medicine, non c’è ospedale, non ci sono medici né infermieri. Ricordiamoci di loro, siamo loro vicini! Cari ragazzi, grazie di essere venuti, siete coraggiosi! E così siete testimoni di speranza per noi adulti e per i vostri coetanei”.

In prima mattinata il papa ha ricevuto i promotori del progetto ‘Écoles de Vie(s)’: “Ogni vita umana ha una dignità inalienabile. Con il vostro impegno, voi proclamate che nessuno è inutile, nessuno è indegno, che ogni esistenza è un dono di Dio da accogliere con amore e rispetto”.

Nel suo ministero Gesù ha sempre accolto gli esclusi: “Questo è ciò che Gesù stesso ci insegna con il suo esempio. Nel suo ministero è sempre andato incontro ai malati, ai rifiutati, a coloro che erano esclusi dalla società del suo tempo. E ha toccato i lebbrosi, ha parlato con gli emarginati e ha accolto con amore coloro che sembravano non avere un posto nella società… Questo è importante: il rapporto con Dio sempre fa rifiorire le persone, sempre!”

Per questo il papa ha elogiato l’azione di questo progetto: “Accogliendo tutti con le loro fragilità e mettendo in relazione un gran numero di attori, voi incarnate quella Chiesa in uscita che ho spesso auspicato, una Chiesa aperta, una Chiesa accogliente, capace di farsi vicina ad ognuno e di curare le ferite di chi soffre, di accarezzare con tenerezza chi è privo di affetto e di rialzare chi è caduto a terra. Pensate che in una sola situazione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a sollevarsi. I giovani in particolare, malgrado i loro limiti, sono ricchi di potenzialità insospettate”.

E’ una questione educativa: “Sono lieto che il vostro progetto si collochi decisamente nella visione dell’educazione proposta nel Patto Educativo Globale: un’educazione integrale che non si limita a trasmettere conoscenze, ma cerca di formare uomini e donne capaci di compassione e amore fraterno”.

Solo in questo modo è possibile la costruzione di una società giusta: “In questo anno giubilare della speranza, vi incoraggio a perseverare con determinazione, perché solo restituendo centralità alla persona umana, integrando le sue dimensioni spirituali, potremo costruire una società veramente giusta e solidale. La vostra iniziativa è una risposta concreta a questa aspirazione: restituisce alle persone, a tutte le persone, emarginate dalla disabilità o dalla fragilità il loro posto all’interno di una comunità fraterna e gioiosa”.

Ed ai responsabili ai responsabili di ‘Congrès Mission’ ha sottolineato che Cristo è ‘nostra speranza’; “La gioia, cari amici, è inseparabile dalla speranza ed è anche inseparabile dalla missione; una gioia che non si riduce all’entusiasmo del momento, ma che nasce dall’incontro con Cristo e ci orienta verso i fratelli. Essere pellegrini significa camminare insieme nella Chiesa, ma anche avere il coraggio di uscire, di andare incontro agli altri. E portare la speranza significa offrire al mondo una parola viva, una parola radicata nel Vangelo, che consola e apre strade nuove”.

E’ stato un invito a ‘portare’ ovunque la speranza cristiana: “Questo significa andare dove gli uomini e le donne vivono le loro gioie e i loro dolori. E’ così che voi portate la speranza, sia nelle vostre comunità sia nei luoghi in cui la Chiesa sembra a volte stanca o ritirata. Grazie per tutto quello che fate, grazie per il vostro dinamismo e il vostro entusiasmo, per la fraternità missionaria che tessete con pazienza e con fede attraverso la Francia…

Ma noi cristiani portiamo una certezza: Cristo è la nostra speranza. Lui è la porta della speranza, sempre. Egli è la buona notizia per questo mondo! E questa speranza (è curioso) non ci appartiene: la speranza non è un possesso da mettere in tasca. No, non ci appartiene. E’ un dono da condividere, una luce da trasmettere. E se la speranza non si condivide, cade”.

E’, quindi, stato un invito ad incoraggiare i giovani: “I giovani sono i primi pellegrini della speranza! Hanno sete di significato, di autenticità e di incontri veri. Ma state attenti, cercate che i giovani si incontrino con gli anziani, perché anche gli anziani sono testimoni della speranza. I giovani, quando vanno dagli anziani, ricevano qualche missione speciale. Fate questo lavoro, che è molto importante. Aiutate i giovani a scoprire Cristo, perché Cristo è la risposta.

Aiutateli a crescere nella fede, a osare scelte coraggiose e a diventare anch’essi discepoli missionari di Gesù, testimoni viventi del Vangelo. Trasmettete loro l’audacia di sognare un mondo più fraterno e accompagnateli, affinché diventino artigiani di speranza nelle loro famiglie, nelle scuole e nei luoghi di lavoro”.

(Foto: Santa Sede)

Mons. Delpini: non dimenticare l’eredità di sant’Ambrogio

“Come sarà quel giorno in cui si troveranno vicini chi ha bussato alle porte d’Italia e d’Europa e chi ha chiuso la porta; chi ha chiesto di lavorare, di rendersi utile senza morire di fame e di guerra e si è sentito dire: qui non puoi entrare perché non mi fido di te, perché ho paura, vai pure a morire altrove?… Come sarà quel giorno in cui nella luce di Cristo risorto si troveranno vicini l’assassino e la sua vittima, chi ha bombardato e chi è morto sotto i bombardamenti, chi ha subito violenza e chi ha commesso violenza? Signore che cosa sarà quel giorno?”: è stato un monito severo quello che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto ai fedeli che hanno gremito la basilica di sant’Ambrogio per il pontificale nella solennità del santo vescovo della città di Milano e della regione Lombardia.

L’arcivescovo ambrosiano ha comunque sottolineato che tale monito deve rendere anche saggi: “Possiamo ancora accogliere la rivelazione del grande mistero affidato all’apostolo Paolo e predicato a tutte le genti: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a essere partecipi della stessa promessa, per mezzo del Vangelo. Siamo in tempo per convertirci”.

E’ stato un invito a riscoprire il pensiero di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio amò intensamente i poveri e i prigionieri, per i quali donò tutto l’oro e l’argento che possedeva. Sant’Ambrogio accolse nella Chiesa Agostino, l’illustre intellettuale di origine africana, che proprio a Milano ha portato a compimento il suo cammino di conversione e ha ricevuto il battesimo”.

Ecco la nuova visione, sempre attuale, di sant’Ambrogio: “Sant’Ambrogio aveva una visione del mondo e dei popoli ispirata dalla universalità cattolica e dalla visione politica dell’impero romano. L’impero romano è finito da un pezzo, ma la coscienza della vocazione alla fraternità universale è irrinunciabile per la coscienza cattolica”.

E’ stato un richiamo a non dimenticare l’eredità del santo vescovo ambrosiano: “Per essere degni dell’eredità di Ambrogio noi siamo chiamati a condividere questa visione cattolica. La radice del nostro desiderio di costruire una comunità unita nella fede e nella carità ha la sua radice e la sua forza nel desiderio di Gesù: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

La fraternità universale in cui tutti sono accolti non è una confusione indistinta, ma un superamento della separazione tra le genti che genera la contrapposizione, i nazionalismi e infine persino le guerre (così insegna Paolo nella lettera agli Efesini). Occorre resistere alla divisione che contrappone i fratelli, i popoli. ‘Attenzione al lupo’: c’è un nemico che insidia il gregge, rapisce le pecore e le disperde. La rovina è la divisione, che si conclude con l’essere schiavi di padrone, invece che abitare nella casa della libertà”.

Quindi la fraternità è solidarietà, che pone interrogativi: “La fraternità universale in cui tutti sono accolti, e hanno tutto in comune, non è una forma di comunismo, ma una pratica della solidarietà in cui i ricchi non sono troppo ricchi ed i poveri non sono troppo poveri. Come sarà quel giorno? Come incroceremo lo sguardo degli altri? Come incroceremo lo sguardo di Gesù?”

Anche nel ‘discorso alla città’ mons. Delpini ha invitato a lasciare ‘riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro’, perché la gente è stanca: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. E’ stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. E’ stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. E’ stanca perché è stata derubata dell’ ‘oltre’ che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.

Ed invita ad una riflessione sul valore del lavoro: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. La gente è stanca degli incidenti sul lavoro. La gente è stanca di constatare che i giovani non trovano lavoro e le pretese del lavoro sono frustranti. La gente è stanca della burocrazia, dell’ossessione dei controlli che tratta ogni cittadino come un soggetto da vigilare, piuttosto che come una persona da coinvolgere nella responsabilità per il bene comune”.

Ed ecco la ‘novità’ del Giubileo:  “Non vogliamo e non possiamo, infatti, sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco. Ciò sarà possibile operando tutti insieme attraverso uno sguardo ‘contemplativo’, l’unico in grado di imprimere alla realtà umana, sociale, politica ed economica una direzione che componga aspetti vitali che da soli si presentano in termini conflittuali”.

Il Giubileo è un’occasione per riscoprire il ‘principio sabbatico’: “Il Giubileo, che si sta per aprire, deve essere un’occasione per prestare ascolto al grido di sofferenza che si leva dai popoli e dalla terra. Il Giubileo che il papa ha indetto per l’anno 2025 è un’attuazione storica del ‘principio sabbatico’: se Dio ha sentito l’esigenza di riposare, così occorre lasciare anche agli esseri umani e alla terra la possibilità di farlo.

Il ‘principio sabbatico’ custodisce il mistero del cosmo come dono di benevolenza e creatività. Senza il rispetto di tale principio, non solo non c’è più festa, ma viene a esaurirsi lo spazio dello spirito umano: la stanchezza non trova sollievo, l’umano affaticato non vive le condizioni per una ri-creazione. Il riposo è essenziale agli uomini come alla terra”.

Nel giubileo risiede il significato del riposo: “Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra”.

In questo senso si può ancora sperare, in quanto nasce dalla responsabilità: “La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive. Significa lasciarci guidare da Dio, nel leggere e accogliere tutte le grida e le domande di riparazione che la terra mal coltivata e sfruttata eleva ogni giorno, dentro le nostre vite”.

E’ una benedizione anche per il popolo: “E benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri.

Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere… Che siate tutti benedetti, voi che vi prendete cura della stanchezza della gente, della città, della terra e cercate come offrire riposo nell’anno del Giubileo e in ogni anno a venire. E riposate un po’ anche voi!”

(Foto: Diocesi di Milano)

Carlo Acutis e il suo amico Gesù

E’ presto per pensare ai regali di Natale? Forse sì, ma chissà che non ci sia tra voi qualcuno che gradirebbe già qualche idea, per non trovarsi, poi, all’ultimo, con l’acqua alla gola. E allora, se siete tra coloro che si muovono in anticipo, lasciate che vi proponga un libro, adatto per i bambini dai sette anni in su, dedicato a Carlo Acutis, il beato millennial, prossimo alla canonizzazione: Carlo Acutis e il suo amico Gesù  (Mimep Docete).

Ecco la trama. Lucia, la mamma di due gemelli, Filippo e Alessia, decide di raccontare ai suoi figli ogni sera un episodio della vita di questo giovane per aiutarli a conoscere meglio Gesù attraverso i gesti di Carlo e ad entrare nel mistero dell’Eucaristia, in vista della loro prima comunione.

Filippo e Alessia, allora, scoprono cosa ha fatto questo ragazzino originario di Milano e morto a soli 15 anni nel 2006, a causa di una leucemia fulminante. Scoprono che Carlo è stato un giovane cristiano appassionato del Vangelo e del Santissimo Sacramento, davanti al quale riponeva tutta la sua vita, scoprendo di sentirsi ‘leggero’ nell’affrontare la vita con Gesù. Veniva da una famiglia ricca, ma il suo ‘mito’ era san Francesco, il poverello di Assisi, che era riuscito a cercare l’essenziale, avendo così un cuore libero dalla schiavitù del possedere.

Anche Carlo voleva spogliarsi del superfluo, condividere con gli altri ciò che aveva, e lo faceva con i piccoli grandi gesti di un bambino (ad esempio, usava la sua paghetta per donare sacchi a pelo ai senzatetto di Milano). ‘Non io, ma Dio’, ripeteva, certo che la felicità fosse spostare lo sguardo da noi stessi al Signore e, come conseguenza di questa relazione intima, sugli altri.

Carlo insegna a questi due gemellini che la santità non è una questione di luoghi, età, possibilità, ma di cuore: si può essere santi ovunque, basta essere uniti a Dio in tutto ciò che facciamo, basta non perdere – in questo mondo iperconnesso – la connessione più importante, quella con il Padre. Il libro vuole mostrare un modello di vita semplice e al tempo stesso straordinario, per piccoli o grandi.

Vi ho incuriosito? Vi aspetto tra le pagine di ‘Carlo e il suo amico Gesù!’ Dall’introduzione del libro: ‘Mamma: tu sei proprio sicura che quando fai la comunione ricevi il corpo di Gesù?’

Alessia è una bambina molto riflessiva, non ama fare le cose senza pensare. Da tempo, soprattutto con l’avvicinarsi della data in cui riceverà quel sacramento, si interroga su come sia possibile che in un pezzetto di Pane si nasconda proprio Dio!

La mamma la guarda con dolcezza e annuisce. Lucia pensa davvero che nell’Eucaristia ci sia Gesù. Ci crede perché ha sperimentato la gioia, la speranza, la forza che entrano nel cuore quando viene in lei il Signore. Sa che Cristo è vivo, in quel piccolo e prezioso pezzettino di pane e che ogni comunione è una carezza per l’anima. Capisce, però, che si tratta di un mistero grande e che la figlia possa avere dei dubbi. Così, dopo aver parlato a lungo con la figlia, quella sera, pensa ad un modo per aiutare i suoi bambini a capire meglio questo grande regalo. Sa che i catechisti e il parroco li hanno preparati molto bene, ma sente il desiderio di donare qualcosa di unico anche lei, per questa occasione particolare.

Ecco che Lucia decide di scrivere per loro la storia di un ragazzino speciale, che ha vissuto un rapporto intimo e bellissimo con Gesù. Volete sapere di chi stiamo parlando? Lo scoprirete nelle prossime pagine, leggendo il racconto che Lucia ha voluto condividere con Filippo e Alessia, ma che ora è anche per ognuno di voi.

Papa Francesco: il Cuore di Gesù apre alla gioia dell’annuncio

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo, per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’. Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’. Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’. Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo. Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’.

Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.

Con queste parole papa Francesco inizia l’enciclica ‘Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo’, pubblicata mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù, nel 1673, a Santa Margherita Maria Alacoque, fino al 27 giugno prossimo.

L’invito dell’enciclica è un ritorno al ‘cuore’: “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. Ma ci muoviamo in società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”.

Ed il cuore non è mai stato al centro del pensiero umano: “Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza.

Probabilmente perché l’incontro con l’altro non si consolida come via per trovare sé stessi, giacché il pensiero sfocia ancora una volta in un individualismo malsano. Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”.

Però il cuore è importante: “Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo”.

Il cuore è importante perché è capace di unire i ‘frammenti’ della vita, cioè di custodire: “Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Questo è ciò che il Vangelo esprime nello sguardo di Maria, che guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo: rappresentandole e conservandole dentro per ricordare”.

L’enciclica è un invito ad affidarsi al cuore di Gesù: “Abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino. Andiamo al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano. E’ lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”.

Il papa chiede di pregare il cuore di Gesù: “Davanti al Cuore di Cristo, chiedo al Signore di avere ancora una volta compassione di questa terra ferita, che Lui ha voluto abitare come uno di noi. Che riversi i tesori della sua luce e del suo amore, affinché il nostro mondo, che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.

Per questo è necessaria l’adorazione: “La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore… E’ indispensabile sottolineare che ci relazioniamo con la Persona di Cristo, nell’amicizia e nell’adorazione, attratti dall’amore rappresentato nell’immagine del suo Cuore. Veneriamo tale immagine che lo rappresenta, ma l’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino”.

Si adora il Cuore di Gesù, in quanto è inseparabile da Dio: “Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà ‘veramente e realmente tributato a Cristo stesso’, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è ‘simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo’.

Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi”.

Ecco il motivo per cui la Chiesa ha scelto il cuore: “Si comprende allora che la Chiesa abbia scelto l’immagine del cuore per rappresentare l’amore umano e divino di Gesù Cristo e il nucleo più intimo della sua Persona. Tuttavia, benché il disegno di un cuore con fiamme di fuoco possa essere un simbolo eloquente che ci ricorda l’amore di Gesù, è conveniente che questo cuore faccia parte di un’immagine di Gesù Cristo. In tal modo risulta ancora più significativa la sua chiamata a una relazione personale, di incontro e di dialogo”.

E’ il cuore l’organo che mette in contatto con Gesù: “Il cuore ha il pregio di essere percepito non come un organo separato, ma come un intimo centro unificatore e, allo stesso tempo, come espressione della totalità della persona, cosa che non succede con altri organi del corpo umano. Se è il centro intimo della totalità della persona, e quindi una parte che rappresenta il tutto, possiamo facilmente snaturarlo se lo contempliamo separatamente dalla figura del Signore. L’immagine del cuore deve metterci in relazione con la totalità di Gesù Cristo nel suo centro unificatore e, contemporaneamente, da quel centro unificatore, deve orientarci a contemplare Cristo in tutta la bellezza e la ricchezza della sua umanità e della sua divinità”.

In conclusione il cuore di Gesù invita alla missione: “Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote… Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre.

Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna”.

La missione consiste nell’annuncio dell’amore di Gesù: “In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo… Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria.

Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”.

(Foto: Vatican News)

Presentata l’enciclica di Papa Francesco: il cuore di Gesù salva

“Ci ha amati, dice san Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla ‘potrà mai separarci’ (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: ‘Io ho amato voi’ (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: ‘Vi ho chiamato amici’ (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”: lo ha scritto nell’enciclica ‘Dilexit nos sull’amore umano e di divino del cuore di Gesù’ di papa Francesco, presentata oggi, dal teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e da suor Antonella Fraccaro, responsabile generale delle Discepole del Vangelo.

Nell’introdurre l’enciclica mons. Forte ha ricordato l’origine dell’enciclica: “La Lettera Enciclica… nasce dall’esperienza spirituale di papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci”.

L’enciclica papale mette in evidenza l’amore di Dio per l’umanità: “E’ la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù”.

Ecco l’importanza del cuore: “Perciò è importante ritornare al cuore: è il cuore che unisce i frammenti della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade. Tutto ciò che viviamo è ‘unificato nel cuore’: le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne ‘piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile’ è segno di un mondo senza cuore”.

Ed ha spiegato il ruolo della Chiesa: “E’ qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa… In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra ‘nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola’, aiutandoci ad amare meglio e di più”.

In sintesi papa Francesco ha raccontato l’amore di Dio: “Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti”.

Sulla stessa sintonia l’intervento di sorella Antonella Fraccaro: “Papa Francesco ci ricorda che ‘io sono il mio cuore’; dunque, è decisivo che ‘tutte le azioni’ della mia vita ‘siano poste sotto il dominio politico del cuore’, cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare…

Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura”.

Ed infine un accenno al Giubileo: “Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compiere questa missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con ‘la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri’. In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che ‘libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità’.

Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza (pellegrini di speranza), ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, ‘la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato’.Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità”.

(Foto: Vatican News)

Papa Francesco invita alla Pasqua unitaria

Giornata intensa per papa Francesco, che ha ricevuto in udienza i membri del Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, incoraggiandoli sul lavoro da svolgere e ricordando il percorso del Centro: “Per rendere visibile e concreta la volontà di promuovere la conversione ecologica, ho pensato di realizzare un modello tangibile di pensiero, di struttura e di azione, che ho denominato Borgo ‘Laudato sì’. E ho ritenuto che le attinenze e le dipendenze delle Ville di Castel Gandolfo fossero lo spazio adatto ad ospitare questa sorta di “laboratorio”, dove sperimentare i contenuti formativi.

A tale scopo, all’inizio del 2023 ho costituito il Centro di Alta Formazione ‘Laudato sì’, quale organismo scientifico, educativo e di attività sociale. Esso è dotato di propria autonomia patrimoniale, tecnica, amministrativa e contabile, e opera per la formazione integrale della persona nell’ambito dell’economia sostenibile e secondo i principi dell’Enciclica Laudato sì”.

Ed ha elogiato il progetto del ‘Borgo’: “Dopo mesi di lavoro intenso, il Direttivo del Centro di Alta Formazione mi ha presentato il risultato: si tratta di un progetto complesso e poliedrico, che interessa vari aspetti dell’ecologia integrale. Uno degli elementi essenziali è senza dubbio l’agricoltura, che nel Borgo ‘Laudato sì’ vuole distinguersi per sostenibilità e diversificazione, investendo in infrastrutture, sistemi di irrigazione e sviluppo di tecniche agricole rispettosi dell’ecosistema e della biodiversità”.

Tale progetto è una sintesi tra tradizione ed innovazione: “Nel progetto agricolo del Borgo ha trovato posto lo sviluppo di una nuova vigna per la produzione di vino. Essa vuole porsi come una sintesi di tradizione e innovazione, come si dice un “marchio di fabbrica” del Borgo. Anche in questo, il Centro di Alta Formazione si è avvalso della consulenza di alcuni tra i maggiori esperti, perché l’intenzione è quella di puntare all’eccellenza. E’ molto importante non rimanere nella ‘media’, perché dalla media si va alla mediocrità. Sempre puntare all’eccellenza”.

Poi ha incontrato i delegati del gruppo ‘Pasqua Together 2025’, a cui ha ricordato l’anniversario del Concilio di Nicea: “L’anno prossimo infatti (che per la Chiesa Cattolica sarà Giubileo ordinario), la celebrazione della Pasqua, a motivo della coincidenza dei calendari, sarà comune per tutti i cristiani. È un segno importante, a cui si aggiunge la ricorrenza dei 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea, che, oltre a promulgare il Simbolo della fede, trattò anche il tema della data della Pasqua, a causa delle differenti tradizioni esistenti già a quel tempo”.

Ed ha prospettato la necessità di una celebrazione pasquale unitaria: “In più di un’occasione mi è stato rivolto l’appello a cercare una soluzione a tale questione, affinché la celebrazione comune del giorno della Risurrezione non sia più un’eccezione, ma diventi la normalità. Incoraggio pertanto chi si sta impegnando in questo cammino a perseverare, e a fare ogni sforzo nella ricerca di una comunione possibile, evitando tutto ciò che può invece portare a ulteriori divisioni tra i fratelli”.

La Pasqua, infatti, non dipende da ‘noi’: “Soprattutto, però, mi preme affidare a tutti un pensiero, che ci rimanda al cuore della tematica: la Pasqua non accade per nostra iniziativa o per un calendario o un altro: l’evento Pasquale è avvenuto perché Dio ‘ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’. Non dimentichiamo il primato di Dio, il suo primerear, il suo aver fatto il primo passo.

Non chiudiamoci nei nostri schemi, nei nostri progetti, nei nostri calendari, nella ‘nostra’ Pasqua. La Pasqua è di Cristo! E a noi fa bene chiedere la grazia di essere sempre più suoi discepoli, lasciando che sia Lui a indicarci il cammino da seguire e accettando con umiltà l’invito, fatto un giorno già a Pietro, a metterci sulle sue orme, e a non pensare secondo gli uomini, ma secondo Dio”.

Ed infine ha ricevuto ha ricevuto la congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria e le Suore del Divino Salvatore, suggerendo tre consigli mariani (parlare poco, ascoltare molto, custodire nel cuore): Ce lo insegna Maria, ‘stella polare’ della missione, che nel Vangelo parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore. Sono atteggiamenti validi anche per noi: parlare poco, confrontarsi, aprirsi, ma non perdersi in chiacchiere inutili (il chiacchiericcio è una peste!), ascoltare molto, nella preghiera, nel silenzio, nell’attenzione agli altri. A

volte non sappiamo ascoltare: l’altro parla e a metà del discorso rispondiamo. No, ascolta tutto, fino alla fine. Ascolta anche il Signore! Ascoltare e custodire nel cuore, per essere apostoli della speranza, nel mondo che oggi ne ha tanto bisogno. E in proposito vorrei concludere ricordando un tratto caratteristico della Madonna: lei non mostra mai sé stessa (è interessante questo) ma sempre Gesù…   Sempre indica Gesù. Dobbiamo imparare questo: mostrare agli altri Gesù, non noi stessi, perché per tutti, oggi e sempre, la nostra speranza è nel Signore, è in Lui”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco ai seminaristi: al centro dell’azione Gesù

‘… se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo; non di spavento, ma di amore’: con questa frase di san Giovanni Vianney papa Francesco ha ricevuto i seminaristi del Seminario Maggiore di Getafe, in Spagna, in pellegrinaggio sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, in occasione delle celebrazioni del 30° anniversario della fondazione del seminario.

Papa Francesco si è ispirato al pensiero del sacerdote santo per sottolineare che anche loro hanno ricevuto tale chiamata: “Ispirandomi a questo pensiero del santo Curato d’Ars, nel quale troviamo riassunta la sua vita di totale consacrazione a Dio e ai suoi parrocchiani, vorrei ricordarvi, cari seminaristi, che anche voi avete ricevuto questa chiamata di amore del Signore, e con l’aiuto dei vostri formatori e di molte altre persone vi state preparando a ricevere un giorno il dono del sacerdozio”.

Però il cammino sacerdotale presenta alcune difficoltà, che possono essere superate attraverso alcune azioni: “Questo cammino di configurazione a Gesù, buon pastore, non è privo di difficoltà; perciò, ogni volta che incontro voi seminaristi, vi ricordo che dovete percorrerlo curando quattro aspetti fondamentali, che sono la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria e l’attività apostolica.

E’ indispensabile che non perdiate di vista l’armonizzazione che dovete compiere di questa quadrupla realtà, perché il Signore, e la Chiesa, si aspettano che voi seminaristi siate, prima di tutto, uomini integri e generosi nella risposta alla vocazione ricevuta, sempre disponibili all’ascolto e al perdono, decisi a vivere fino in fondo la vostra totale dedizione a Dio e ai fratelli, con una particolare predilezione per coloro che più soffrono, per i poveri e gli esclusi”.

Infine, attraverso un riferimento geografico, ha chiesto di avere sempre al centro della loro vita Gesù: “Cari seminaristi, non è un caso che il seminario maggiore si trovi sul Cerro de los Ángeles, tradizionalmente considerato il centro geografico della penisola iberica. Lì si trovano anche il Monumento al Sacro Cuore e l’eremo di Nostra Signora degli Angeli, patrona di Getafe.

Chiedo al Signore Gesù di essere per ognuno di voi il centro della vostra vita, di modellare il vostro cuore secondo il suo, di tenervi sempre molto vicini al suo cuore. Ed a Nostra Signora degli Angeli di vegliare su di voi e di accompagnarvi nel vostro cammino”.

(Foto: Santa Sede)

Onoriamo la Santissima Trinità. Dio: il più grande mistero di amore

Il Vangelo oggi ci rivela la natura intima di Dio. Talvolta siamo tentati di credere che il Dio di tutte le religioni in fondo è lo stesso; niente di più errato; il monoteismo cristiano, a differenza della religione ebraica e di quella musulmana, è ‘Trinità’: Dio uno nella sostanza, trino nelle persone: Padre, Figlio, Spirito Santo. Il Dio nel quale crediamo è comunione, è amore., è vita. Questo mistero è stato svelato a noi da Gesù stesso: in quanto amore, Dio pur essendo uno ed unico non è solitudine ma comunione: l’amore è dono di sé e nella sua essenza è il Padre che si dona generando il Figlio; il loro reciproco amore genera lo Spirito santo.

Se vogliamo farci una idea di Dio, basta guardare l’uomo che, in quanto tale, pensa ed ama: noi, limitati e circoscritti,  pensiamo successivamente tante cose e le possiamo accettare o no, a seconda; in Dio, realtà infinita ed eterna, il suo unico pensiero (o sapienza eterna), o Verbum, o Figlio costituisce la seconda persona (uguale e sostanziale a Dio Padre); l’amore reciproco tra il Padre e il Figlio genera o determina la terza persona o Spirito santo. Nella pienezza dei tempi il Verbo eterno assunse in  sé la natura umana per salvare l’uomo; lo Spirito santo, inviato dal Padre e dal Figlio, guida la Chiesa. 

Con il cristianesimo istituito da Gesù, crolla l’idea pagana di un Dio che vive nell’Olimpo, distaccato dal popolo: Dio è vita, è amore, è comunione. Se Israele ha ricevuto la grazia di conoscere l’unità di Dio, il cristianesimo, grazie a Gesù Cristo, ha ricevuto la rivelazione di un Dio unico nella sostanza, trino nelle persone. Gesù espressamente dirà ai suoi discepoli: ‘Venuto dal Padre, ritorno al Padre, ma vi invierò lo Spirito del Padre… andate e battezzate  nel nome  del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’.  

Si entra a far parte della Chiesa, ci si innesta a Cristo con il Battesimo in nome della SS. Trinità. Gesù ci ha rivelato la natura intima di Dio, che rimane sempre un mistero di amore, come ci esprimiamo nella ‘Professione di fede’: Dio uno nella sostanza, trino nelle persone; Dio è il Padre misericordioso e creatore; Dio è il Figlio unigenito, sapienza eterna, Verbum incarnato, morto e risorto per noi; Dio è lo Spirito santo, amore che muove tutte le cose (cosmo e storia) e li muove verso la ricapitolazione finale.

Il catechismo di san Pio X evidenzia in modo lapidario: i misteri principali della fede sono due: 1°) unità e trinità di Dio, 2°) incarnazione, passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo. I teologi e i padri della Chiesa, sulla scia dell’insegnamento apostolico e dei Concili ecumenici, si sono sforzati di spiegare  il mistero della SS. Trinità, siamo però sempre di fronte a Dio infinito ed eterno mentre la nostra mente rimane piccola e circoscritta; il finito non può mai cogliere pienamente l’infinito.

La Trinità, mistero inaccessibile al nostro intelletto, è verità rivelata a noi solo da Cristo Gesù. Il Vangelo evidenzia chiaramente: ‘Nessuno ha mai visto Dio; proprio il Figlio unigenito ce lo ha rivelato’, mentre l’apostolo Giovanni scrive: ‘Dio è amore’; cioè non solo Dio ama ma la sua natura è amore. Oltre che nella creazione questo mistero di amore si rivela nella istituzione dell’Eucaristia, sintesi e vertice dell’amore divino, in essa, infatti, sotto le specie eucaristiche (pane e vino) Gesù si fa nutrimento e forza del suo popolo. E’ il sacrificio della Nuova Alleanza tra Dio e il mondo: ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo’.

Questo mistero, che sembra riguardare solo Gesù, coinvolge le tre divine persone: infatti ad operare la transustanziazione non è il sacerdote celebrante ma l’azione dello Spirito Santo che opera davanti al Padre, che dona nell’Eucaristia il suo Figlio in favore dell’uomo. La SS. Trinità non pregiudica l’unità di Dio, che si presenta a noi non come un Dio solitario ma Dio che è amore, è comunione. Tutta la vita del cristiano è intessuta sull’esperienza dell’amore misericordioso di Dio Uno e Trino.

Innestati a Cristo con il Battesimo ricevuto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, siamo riconciliati con Dio nel nome delle tre divine persone. A ragione il grande poeta Dante mette sulla porta dell’inferno la scritta: ‘Fecimi la Divina Potestate, la Somma Sapienza e il Primo Amore. Maria, la Santissima Vergine, madre di Gesù e nostra, specchio purissimo della Trinità divina, implori per noi grazie e benedizioni’.

Papa Francesco: Cristo vive

Aspettando l’incontro con i bambini nel pomeriggio questa mattina è stata molto intensa per papa Francesco, che ha incontrato i partecipanti al Congresso Internazionale di Pastorale giovanile promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema: ‘Per una pastorale giovanile sinodale: nuovi stili e strategie di leadership’, che hanno cooperato alla realizzazione della Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona, con un pensiero a quella del prossimo anno a Roma:

“Pensando al Giubileo dei Giovani (l’anno prossimo) ed alla GMG di Seoul (fra tre anni), il mio ‘sogno’ è che possano far incontrare Gesù a tanti giovani, anche tra quelli che normalmente non frequentano la Chiesa, portando loro il messaggio della speranza. Penso a quei ragazzi e ragazze che hanno ‘abbassato lo sguardo’, che hanno smarrito l’orizzonte, che hanno messo da parte i sogni grandi e sono rimasti impigliati nella tristezza e nel male di vivere… Gli appuntamenti di Roma e di Seoul sono le occasioni che Dio ci offre per dire a tutti i giovani del mondo che Gesù è speranza per te, è speranza per noi, è speranza per tutti!”

Per questo occorre aiutare i giovani ad alcune certezze: “I giovani, infatti, risentono in modo particolare delle notizie negative che ci assediano, ma queste non devono oscurare la certezza che Cristo risorto è con loro ed è più forte di ogni male. Pensiamo, non dico alle notizie, alle pubblicità delle guerre, pensiamo a questo. I giovani sentono questo.

Sì, Cristo vive! Tutto vive, è in mano sua e Lui solo conosce i destini del mondo e il corso della nostra vita. E’ importante offrire ai giovani occasioni per sperimentare Cristo vivo nella preghiera, nella celebrazione eucaristica e della riconciliazione, negli incontri comunitari, nel servizio ai poveri, nella testimonianza dei santi. I giovani stessi che ne fanno esperienza sono i portatori di questo annuncio-testimonianza”.

Per questo è essenziale il discernimento spirituale: “Il discernimento è un’arte che gli operatori pastorali per primi devono imparare: sacerdoti e religiosi, catechisti, accompagnatori, giovani stessi che seguono altri giovani. E’ un’arte che non si improvvisa, che va approfondita, sperimentata e vissuta. Per un giovane, trovare una persona capace di discernimento è trovare un tesoro…

Una guida che non toglie la libertà ma accompagna. Sul discernimento ho tenuto anche un ciclo di catechesi, potrete andare a cercarle, che spiega come si fa il discernimento. Qui vorrei sottolineare solo tre qualità: è sinodale, è personale, è orientato alla verità. Il discernimento è sinodale, personale e orientato alla verità”.

Insomma è stato un invito ad ascoltare i giovani: “Un ascolto reale, che non rimanga ‘a metà’, o solo ‘di facciata’. I giovani non vanno strumentalizzati per realizzare idee già decise da altri o che non rispondono realmente alle loro esigenze. I giovani vanno responsabilizzati, coinvolti nel dialogo, nella programmazione delle attività, nelle decisioni. Bisogna far sentire loro che sono parte attiva e a pieno titolo della vita della Chiesa; e soprattutto che loro stessi sono i primi annunciatori del Vangelo ai loro coetanei”.

Ugualmente ai direttori delle Pontificie Opere Missionarie ha sottolineato l’esigenza della comunione: “In questa prospettiva, siamo chiamati a vivere la spiritualità della comunione con Dio e con i fratelli. La missione cristiana non è trasmettere qualche verità astratta o qualche convincimento religioso (meno fare proselitismo, meno ancora), ma è anzitutto permettere a coloro che incontriamo di poter fare l’esperienza fondamentale dell’amore di Dio, e potranno trovarlo nella nostra vita e nella vita della Chiesa se ne saremo testimoni luminosi, riflettendo un raggio del mistero trinitario”.

La seconda parola è la creatività, in quanto solo l’amore crea, come disse san Massimiliano Kolbe: “Ed allora, ricordiamoci che la creatività evangelica nasce dall’amore, dall’amore divino, e che ogni attività missionaria è creativa nella misura in cui la carità di Cristo è la sua origine, la sua forma e il suo fine. Così, con fantasia inesauribile, crea modi sempre nuovi di evangelizzare e di servire i fratelli, specialmente i più poveri. Espressione di tale carità sono anche le tradizionali raccolte destinate ai fondi universali di solidarietà per le missioni”.

L’ultima parola è tenacia: “Anche questo tratto possiamo contemplarlo nell’Amore di Dio Trinità che, per realizzare il disegno di salvezza, con fedeltà costante ha inviato i suoi servi nel corso della storia e nella pienezza dei tempi ha donato sé stesso in Gesù… E su questo vorrei soffermarmi per ringraziare Dio per la testimonianza martiriale che hanno dato, in questi giorni passati, un gruppo di cattolici del Congo, del nord Kivu.

tSono stati sgozzati, semplicemente perché erano cristiani e non volevano passare all’islam. Oggi c’è questa grandezza della Chiesa nel martirio. E andiamo un po’ indietro, cinque anni fa, nella spiaggia della Libia, quei copti che sono stati sgozzati e in ginocchio dicevano: ‘Gesù, Gesù, Gesù’. La Chiesa martiriale è la Chiesa della tenacia del Signore che porta avanti”.

Ad inizio giornata il papa aveva ricevuto i partecipanti all’incontro internazionale promosso da ‘Somos Community Care’, in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita, mettendo al centro della riflessione il medico che si prende cura: “Possiamo accedere a terapie fino a pochi decenni fa inimmaginabili. Ma la medicina, anche quella più tecnologizzata, è sempre prima di tutto un incontro umano, fatto di cura, vicinanza e ascolto e questa è la missione del medico di famiglia.

Quando stiamo male, nel medico cerchiamo, oltre al professionista competente, una presenza amica su cui contare, che ci infonda fiducia nella guarigione e che, anche quando questa non fosse possibile, non ci lasci soli, ma continui a guardarci negli occhi e ad assisterci, fino alla fine”.

(Foto: Santa Sede)

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