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Adriano Sella racconta i ragazzi della ‘baby gang’ che hanno a cuore il Creato

“Ciao ragazzi e ragazze, è nata una baby gang fuori dagli schemi, unica nel suo genere, che agisce mettendo in atto cinque valori, chiamati: le 5C (custodia, conversione, comunità, cura, cambiamento… Il gruppo di ragazzi e ragazze delle 5C ha deciso di assumere comportamenti positivi e costruttivi per loro stessi e per gli altri. Vogliono vivere con uno stile nuovo e vogliono liberarsi dal disagio e dalla noia… Ognuno si è identificato e impegnato a vivere un valore, in modo da esprimere la propria originalità ed essere coerente con gli obiettivi del gruppo”: il volumetto ‘La Baby Gang delle 5C. La banda del Pentalogo si prende cura della Casa comune’, scritto dall’educatore Adriano Sella, promotore e coordinatore della Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita, racconta, in modo non troppo immaginario, i ragazzi innamorati del Creato e preoccupati di tutelarlo con i comportamenti quotidiani.

Ad accompagnare i capitoli del volume i disegni in bianco e nero del diciannovenne Alessandro, appassionato di manga e amante della natura, degli animali: “Per rappresentare la ‘c’ di custodia ho scelto un giovane cavaliere con uno scudo, per simbolizzare l’azione di proteggere l’ambiente e il Paese che abbiamo. Potevo farlo con una spada, ma custodire non vuol dire combattere”.

Mentre Francesco ha sostituito alcune parole e inserito espressioni tipiche degli adolescenti per un linguaggio che li rispecchiasse ancora di più: “Bisogna amare la natura non solo per aspetti utilitaristici, ma anche per la sua intrinseca bellezza. Per scelta non mangio carne, mi muovo soprattutto in bici ed evito la macchina, non compro il superfluo e cerco di ridurre gli sprechi, nel mio piccolo”.

Dall’autore Adriano Sella ci facciamo raccontare il titolo: “Durante i momenti di silenzio e contemplazione (o le camminate nella natura) affiorano le idee, come quella di una baby gang in positivo, fuori dagli schemi, formata da giovani che riescono a mettere in atto i valori delle 5 C: custodia, conversione, comunità, cura, cambiamento. Il gruppo, un po’ sognato e un po’ reale, ha deciso di assumere comportamenti costruttivi per sé e per gli altri con uno stile nuovo, liberandosi dal disagio e dalla noia, contagiando anche genitori e scuola. Un tema adatto in particolare durante questo mese del Creato, ma pensato per tutto l’anno”.

Da dove ha preso le ‘mosse’ questo volume?

“Il libro è nato dalla constatazione che fa molto notizia la baby gang nei mass media, presentando i ragazzi come se tutti fossero parte di una baby gang, mentre sono solo la piccola minoranza. Mentre ci sono tanti ragazzi e ragazze che sono impegnati nel fare il bene. Allora ho voluto dare visibilità a questi ragazzi e ragazze nel presentare la Baby Gang in positivo. Raccontare, quindi, il bene che stanno facendo tanti ragazzi e ragazze  senza apparire nelle testate dei giornali o nei video dei social”.

Come sono questi ‘ragazzi’?

“Questi ragazzi e ragazze sono impegnati per la cura della casa comune mediante piccole azioni quotidiane che sono possibili a tutti e che partono dal cambiamento personale ma che poi diventa un cambiamento comunitario mediante la formazione della baby gang, impegnata anche a cambiare la propria famiglia e la propria scuola. Non fanno niente di straordinario, ma lo straordinario è il cambiamento nel quotidiano mediante buone pratiche”.

Ma allora anche i ragazzi delle baby gang sono ‘innamorati’ del Creato?

“Certo, anche loro sono ‘innamorati’ del creato, hanno sete di bellezza. Il creato ci fa fare esperienze di bellezza. Come dice papa Francesco ‘il dolce canto del creato’, fare un orto comunitario accompagnando il seme che sboccia e che diventa un buon frutto è una grande esperienza di bellezza da parte dei ragazzi, nel riscoprire quanto la natura è affascinante. Per esempio, l’esperienza degli asili nel bosco”.

I ragazzi sono pronti per nuovi stili di vita?

“Andando nelle scuole, ho percepito che i ragazzi e le ragazze hanno dentro una grande voglia di essere protagonisti di un futuro migliore, la voglia e disponibilità nell’agire a livello concreto mediante esperienze belle e quotidiane. Per esempio, vivere relazioni belle e profonde e non solo contatti mediante i social. L’abbraccio è qualcosa che affascina molto i ragazzi perché comunica calore umano. Come ridurre l’uso della plastica per non trovarci domani a nuotare nei nostri mari pieni di plastica”.

Cosa sono queste 5 C?

“Le 5 C sono attitudini fondamentali che vengono vissute nel quotidiano mediante buone pratiche: C come custodia nel custodire la casa comune; C come conversione ecologica nel cambiare la visione verso la sorella e madre terra che non è solo merce ma un grande bene comune; C come comunità nel mettersi insieme per avere forza per coinvolgere le istituzioni; C come cura per prendersi cura di tutto quello che ci circonda dalla mattina alla sera; C come cambiamento mediante nuovi stili di vita che significa cambiare le abitudini giornaliere che spesso hanno un forte impatto ambientale e umano”.

Come formare i giovani alla salvaguardia del creato?

“Facendo fare esperienze di bellezze, ossia agire sul concreto. C’è una differenza tra noi adulti e i giovani: noi amiamo partire dalle grandi motivazioni e poi scendere alla concretezza, mentre i giovani amano partire dalle cose concrete e poi attraverso le esperienze sentono la necessità di formazione. Per esempio, quando faccio i laboratori interattivi constato che i ragazzi e ragazze partecipano molto e riescono a percepire cosa possono fare nel proprio quotidiano”.

In cosa consiste il cammino delle 5C della ‘Laudato Sì’?

“Il cammino delle 5 C della ‘Laudato sì’ è un percorso fatto di otto cartelli da esporre all’esterno, in un parco oppure in una strada sterrata, dove la gente possa fermarsi davanti ai cartelli mentre sta camminando o passeggiando. Il percorso presenta le 5 C mediante delle immagini molto significative, con una piccola frase della Laudato sì”.

Il presidente della Repubblica da l’onorificenza a Odifreddi e Poggio, responsabili di Piazza dei Mestieri

Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha conferito 31 onorificenze al Merito della Repubblica Italiana a cittadini che si sono distinti per attività volte a favorire il dialogo tra i popoli, contrastare la violenza di genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l’aiuto alle persone detenute in carcere, per la solidarietà, per la scelta di una vita nel volontariato e per attività in favore dell’inclusione sociale.

Tra questi cittadini insigniti dell’onorificenza di Ufficiali dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana figurano Dario Odifreddi e Cristiana Poggio, rispettivamente Presidente e Vice-presidente della ‘Piazza dei Mestieri’ di Torino: “Siamo grati al Presidente Mattarella e lo sono con noi le decine di migliaia di giovani e le loro famiglie che in questi vent’anni sono passati dalla Piazza dei Mestieri, come gli oltre 200 operatori e gli oltre 400 docenti che ogni giorno scendo in campo al fianco dei ragazzi per aiutarli a trovare la loro strada per il futuro”.

Piazza dei Mestieri nasce con una missione chiara: offrire ai ragazzi un’opportunità concreta di crescita, fornendo strumenti per lo studio, per l’inserimento nel mondo del lavoro e per affrontare con fiducia il futuro. Negli anni, l’iniziativa ha rappresentato un punto di riferimento per molti giovani che, grazie a percorsi formativi innovativi e al supporto di docenti e tutor, hanno potuto riscoprire la speranza e il proprio valore, come ha raccontato il presidente Dario Odifreddi:

“Emozione e gratitudine si sono mescolate oggi al Quirinale per la consegna da parte del Presidente Mattarella del titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per questi 20 anni di ‘Piazza dei Mestieri’ conferito a me e a Cristiana Poggio.

Affiorano alla nostra mente i volti di chi ha condiviso con noi questa esperienza dall’origine o anche solo per un giorno. Senza l’amicizia e la stima di tanti non sarebbe stato possibile accogliere decine di migliaia di giovani adolescenti aiutandoli a scoprire i loro talenti e il loro valore, accompagnandoli nello studio, nell’inserimento nel mondo del lavoro e, in generale, in questo tratto della loro vita.

Abbiamo visto tanti volti di ragazzi e ragazze che si riaprivano al sorriso e alla speranza e ve lo diciamo con le parole di una poesia scritta da una nostra allieva che ci ricorda che, oltre a una grande professionalità, è necessario abbracciare ognuno dei ragazzi e delle ragazze che incontriamo”.

La ‘Piazza dei Mestieri’ offre corsi per diventare panettieri, cioccolatieri, birrai, cuochi, camerieri, grafici, informatici e parrucchieri, ma anche tanti progetti per stranieri e giovani che sono in difficoltà con lo studio e tante altre cose. L’obiettivo è insegnare ai ragazzi un mestiere e accompagnarli nell’inserimento lavorativo, ma non solo:

“Anche quando abbiamo aperto nel 2004 si parlava di disagio giovanile e di abbandono scolastico. Oggi forse ne siamo più consapevoli. Io vedo una grande paura nei ragazzi di deludere se stessi e gli adulti. Così, ora più che mai, hanno bisogno di capire che hanno un valore. E quando percepiscono questo, cambia tutto: i tratti del loro viso, l’andamento scolastico, il modo di parlare o di rapportarsi con coetanei e adulti… E per migliaia di loro la Piazza diventa casa”.

Oltre a Torino, ci sono anche le sedi di Milano e Catania; ma ‘Piazza dei Mestieri’ non è un franchising che esporta un modello da riprodurre in blocco, ha ribadito Odifreddi: “Bisogna guardare alle situazioni che si incontrano e queste città sono molto differenti tra loro, ognuna ha le sue sfide, con i suoi contesti familiari e i suoi tessuti produttivi. Eppure, emerge ovunque la necessità che esistano dei ‘luoghi’.

A Catania, per esempio, abbiamo recentemente inaugurato i nuovi locali con un ampio giardino di 1.600 metri quadrati che diventerà un luogo, appunto, non solo per i ragazzi, ma anche per le loro famiglie, per tutto il quartiere. A Milano, invece, ‘Piazza dei Mestieri’ è partita tre anni fa, in una realtà complessa, ma anche molto stimolante per le grandi possibilità e i contatti che offre”.

Ed a coronare la giornata c’è la poesia di Valentina: “Solitudine, compagna lieve di tutta la gente che affolla la mente, ma svuota l’anima. Non sei la vincitrice tu, non sei più la regina qualcuno può sconfiggerti, con l’abbraccio del bene può trafiggerti. Non è più male la mia vita, non è più tristezza il mio futuro! Solo il sapore del ricordo mi resta ancora amaro ma è già un passato dimenticato, un tempo rinnovato”.

Giovani naviganti per il Mediterraneo

Presentata l’iniziativa ‘MED 25 – Le Bel Espoir’ con 200 tra ragazzi e ragazze che da marzo a ottobre si alterneranno in navigazione per toccare trenta diversi porti nei quali si svolgeranno sessioni di formazione, conferenze e festival, provenienti da Nord Africa, Medio Oriente, Mar Nero ed Egeo, Balcani ed Europa con un unico sogno condiviso: costruire pace e giustizia in tutte quelle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo sconvolte da conflitti etnici, politici e religiosi, dilaniate da una povertà che ogni anno costringe centinaia di migliaia di persone a fuggire in cerca di una vita migliore e messe in crisi dai cambiamenti climatici che sottraggono terra e risorse al loro possibile e naturale sviluppo.

L’iniziativa nasce dopo gli ‘Incontri del Mediterraneo’ che si sono svolti negli anni scorsi a Bari, Firenze, Marsiglia e Tirana, come hanno riferito gli organizzatori: “Non ci rassegniamo a lasciare che il Mediterraneo diventi un campo di battaglia o un cimitero. Ci rifiutiamo di lasciare che le argomentazioni politiche e i concetti di globalizzazione prevalgano sull’incontro tra le persone, che sono sempre singolari e uniche. Le nostre paure non devono prevalere sulle nostre speranze… La sua storia di convivialità e di scambio, ricca di molte tradizioni filosofiche e spirituali, racchiude la chiave della riconciliazione tra popoli, culture e religioni”.

Il veliero, lungo 29 metri e composto da 3 alberi, salperà dal porto di Barcellona e avrà un programma intenso: le prime tappe, ad esempio, saranno quella di Malta, dove si discuterà di donne e Mediterraneo, quella di Cipro, nella quale si affronterà il tema del dialogo tra le varie fedi, e quella della Turchia, dove si cercherà di approfondire il rapporto tra lo sviluppo e la difesa dell’ambiente. Durante la navigazione, inoltre, i giovani potranno fare altre tappe in scali intermedi e a bordo vivranno momenti di condivisione e fraternità in grado di rafforzare una rete di solidarietà e di amicizia che potrà essere messa a disposizione davvero di tutti.

L’AJD è un’associazione partner e proprietaria del Bel Espoir, che trasforma l’esperienza del mare in pedagogia della fratellanza, come ha spiegato p. Alexis Leproux: “Formare i marinai significa formare alla solidarietà, all’ascolto, alla fiducia. Una parabola di ciò che si vuole nel Mediterraneo”.

Nel suo intervento, il cardinale Jean-Marc Aveline, ha spiegato come questo progetto si componga di quattro importanti azioni: “Ascoltare le ferite e le risorse delle cinque sponde, suscitare e condividere progetti con altri partner con i quali collaborare, vivere la sinodalità e la fraternità, costruire una cultura di dialogo e di pace”.

(Foto: Bel Espoir)

Mons. Savino scrive ai ragazzi in carcere: non siete soli

“Carissimi ragazzi, varcare la soglia di questo luogo mi riempie il cuore di emozioni contrastanti. Da una parte, sento il peso delle vostre storie, spesso intrecciate con il dolore, la solitudine, e talvolta la disperazione. A questo si aggiunge, troppo spesso, il peso dello stigma: un giudizio ingiusto che ferisce e separa, ma che non ha il potere di definire chi siete veramente. Dall’altra, intravedo in ciascuno di voi una luce, anche se talvolta nascosta o offuscata dalle ombre del passato. Parla di forza interiore, di un desiderio ardente di riscatto e di rinascita”: così inizia la lettera che il vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente Cei, mons. Francesco Savino, ha scritto ai giovani del carcere minorile di Catanzaro.

In modo particolare si è rivolto ai giovani migranti africani con l’invito a non perdere la fiducia, in quanto ogni luogo si può trasformare in ‘terra di resurrezione’: “Penso, in particolare, a chi viene da terre lontane, come l’Africa, ricche di storie e culture che portate con voi, spesso intrise di sfide e sacrifici. Questo bagliore, radicato in esperienze profonde, non si spegne, ma attende di essere alimentato dalla fiducia in un domani colmo di opportunità.

Per molti di voi questa terra, la Calabria, rappresenta una tappa forzata, un approdo non scelto, lontano dalle persone care. Eppure, permettetemi di dirvi che ogni luogo, anche il più inaspettato, può diventare una terra di resurrezione. E’ qui, in questo frangente della vostra vita, che avete l’opportunità di trasformare il dolore in forza, le ferite in cicatrici che raccontano non solo la sofferenza, ma anche la guarigione”.

Per questo possono trovare aiuto nelle persone, che offrono percorsi per la crescita personale, in modo da non farli sentire soli: “Non siete soli. La vostra presenza qui è accompagnata da mani pronte ad aiutare, da sguardi attenti e pieni di empatia, anche se talvolta il linguaggio della cura può sembrarvi lontano.

Mi riferisco al personale che, nelle sue diverse e variegate articolazioni, ogni giorno, si impegna con dedizione per offrirvi non solo regole e confini, ma anche opportunità di crescita, percorsi educativi, e soprattutto una speranza. A loro va il mio ringraziamento più sincero: il loro compito è arduo, spesso ingrato, ma è indispensabile per coltivare nuove prospettive e restituire dignità dove sembra non essercene affatto”.

Per questo mons. Savino invita a ricostruire la vita chiedendo di realizzare il loro sogno: “Non lasciate che il passato oscuri la luce del vostro futuro. Ogni uomo è più grande delle sue cadute, voi non siete i vostri errori, i vostri reati, e Dio vi guarda con l’amore di un padre che vede sempre in voi un figlio amato.

Questo è il momento di ricostruire, un passo alla volta, una vita nuova. Dentro di voi c’è una forza che forse non conoscete ancora, capace di guidarvi oltre ogni ostacolo. Avete mai pensato a quale segno volete lasciare nel mondo? Qual è il sogno che non avete ancora avuto il coraggio di inseguire?”

E’ anche un invito a riscoprire il valore di una ‘nuova’ famiglia e della fede: “Permettetemi di dirvi che, anche se sentite il peso dell’assenza o della distanza, qui non siete soli. Questo luogo può diventare una famiglia diversa, dove trovare nuovi punti di riferimento e sguardi che vi incoraggiano a credere in voi stessi e nel futuro.

E nella fede, se lo desiderate, troverete un Padre che non abbandona mai, che cammina accanto a voi anche nelle notti più buie. E’ Colui che accende stelle nel cielo delle vostre inquietudini e che, con mani amorevoli, trasforma il vostro dolore in forza e i vostri timori in nuove possibilità. La Sua luce vi guida, come un faro che illumina il cammino anche nei momenti più incerti”.

La lettera è anche un invito a costruire un futuro ‘diverso’: “La vostra presenza qui è una parentesi, non un punto finale. Ogni giorno è una nuova pagina da scrivere, un capitolo che potete riempire con scelte di speranza e cambiamento. Il passato, per quanto difficile o ingiusto, non ha il potere di definire per sempre chi siete o chi potrete diventare.

Ciò che conta è come decidete di affrontare il presente e costruire il futuro. La vostra vita ha un senso profondo, un potenziale che aspetta solo di emergere. E’ come un campo in attesa di essere coltivato: con impegno e coraggio, potete trasformare ogni sfida quotidiana in un passo verso una meta nuova e luminosa”.

Poi si rivolge anche alle loro famiglie, chiedendo di non lasciarli soli: “Un pensiero speciale va anche alle vostre famiglie, vicine o lontane, e a coloro che, per molteplici ragioni, hanno finito per allontanarsi da voi o lasciarvi soli. A loro voglio rivolgere un appello carico di speranza e fiducia: non smettete di credere in questi ragazzi, che sono sempre i vostri figli.

Anche nei momenti più difficili, il vostro affetto, la vostra preghiera e la vostra fiducia possono fare la differenza. Siate per loro un porto sicuro, una fonte di ispirazione che li incoraggi a credere in sé stessi e nelle loro capacità di rinascere. Non sottovalutate il potere di una presenza, anche silenziosa, che possa ridare forza e dignità ai loro cuori”.

Oltre ai ragazzi ed alle famiglie la lettera si rivolge agli educatori del carcere, chiedendo di aiutare questi giovani nel ‘rifarsi’ una vita: “Ed a voi, operatori, educatori, responsabili di questo istituto, voglio dire: non perdete la fiducia, non vi abbandoni la speranza. So che il vostro lavoro è spesso faticoso, carico di ostacoli e, talvolta, di delusioni. Ma ricordate: ogni gesto, anche il più piccolo, può lasciare un segno profondo nella vita di questi ragazzi.

Il vostro compito non è solo quello di mantenere ordine o di educare, ma di saper credere in un cambiamento anche quando tutto sembra remare contro. Vi siete mai chiesti quale segno lasciate nella vita di questi ragazzi? Ogni parola, anche sussurrata, può essere una scintilla che accende il loro futuro. Non accontentatevi mai di essere solo osservatori: siate protagonisti di una storia di rinascita. Coraggio!”

Infine anche alle Istituzioni ha chiesto di ‘investire’ nei progetti di recupero per il reinserimento nella società civile: “Ed a voi, uomini e donne delle Istituzioni, rivolgo un appello accorato: investite con coraggio e lungimiranza nelle persone, rafforzando le risorse umane e migliorando le infrastrutture carcerarie. Promuovete politiche che vadano oltre la gestione dell’emergenza, attivando percorsi di de-sovraffollamento e garantendo che le persone più fragili trovino risposte adeguate alle loro necessità”.

Un’accortezza particolare è chiesta per chi ha motivi di salute: “Tossicodipendenti, malati psichiatrici e affetti da AIDS meritano progetti di recupero in comunità terapeutiche e strutture specializzate, dove possano essere sostenuti con dignità e cura. Allo stesso modo, non dimenticate di investire nella formazione e nella riabilitazione, strumenti essenziali per restituire speranza e opportunità a chi ha vissuto l’ombra dell’esclusione sociale. Solo così potremo costruire un sistema che non si limiti a punire, ma che sappia anche rieducare, includere e far rinascere”.

Insomma è un invito ad essere ‘costruttori di orizzonti’: “Siate costruttori di orizzonti: insieme possiamo abbattere i muri della diffidenza, del pregiudizio e del dolore. Ricordate che ogni alba porta una nuova opportunità, come il sole che illumina anche il giorno più buio. Abbracciate il domani con coraggio, perché ogni passo in avanti è una vittoria contro il passato. Dio cammina accanto a voi come un padre premuroso che non abbandona mai i suoi figli”.

Terre des Hommes mette in guardia dai rischi del web

Il 58% dei giovani sotto i 26 anni individua nel revenge porn il rischio maggiore che si corre sul web. Seguono l’alienazione dalla vita reale (49%), le molestie (47%) e il cyberbullismo (46%). Con l’abbassarsi dell’età è però proprio il cyberbullismo che diventa il rischio più temuto: indicato dal 52% degli under 20.

E’ quanto emerge dall’indagine dell’Osservatorio ‘Indifesa’ realizzato da Terre des Hommes, insieme a Scomodo, che ha coinvolto oltre 2.700 ragazzi e ragazze sotto i 26 anni ed è stato lanciato in occasione del Safer Internet Day per testimoniare il punto di vista dei più giovani sul tema della sicurezza in rete.

Ciò che chiedono i ragazzi è una maggior regolamentazione del web: il 70% ritiene, infatti, che regole più severe potrebbero essere utili nel limitare la violenza online. Il 13% rimane comunque scettico, sostenendo che una regolamentazione non servirebbe a niente; solo il 6% ritiene che ciò potrebbe limitare la libertà.

Se il revenge porn è il fenomeno più temuto, è perché i ragazzi si rendono conto dei rischi di condividere materiale intimo, come foto e video, con altri, con il partner o con gli amici: l’86% riconosce questa pratica come pericolosa. Percentuale che si alza tra le donne e si abbassa leggermente col crescere dell’età.

I ragazzi sono inoltre consapevoli di poter denunciare la condivisione di materiali a contenuto intimo e chiederne la rimozione, anche se il 12,5% non sa cosa fare o pensa di non poter fare niente. Nonostante la consapevolezza dei rischi per la privacy oltre la metà degli intervistati dichiara di aver condiviso la password del proprio telefono o dei propri social media.

A proposito di condivisione, il 75,6% considera una forma di controllo inaccettabile che il/la proprio/a partner acceda al cellulare per controllare quello che fa, solo il 2,5% al contrario pensa che sia una forma di rispetto, ma a più di 1 persona su 5 (22%) questo gesto non crea problemi. E il dato sale se si guardano le fasce di età più basse (32% per la fascia 15-19, 36% per gli under 14).

Dall’Osservatorio emerge anche una generazione che ha esperienze di violenza e che la sa riconoscere, anche nelle sue forme più sottili. La metà dei ragazzi intervistati (48%) dichiara di aver subito un episodio di violenza. Le forme più comuni risultano: violenza verbale e psicologica (59,5%), catcalling (52%), bullismo (43%), molestie sessuali (38,5%).

Mentre la violenza verbale e psicologica viene subita in egual misura da maschi e femmine e in percentuale più alta (78%) dalle persone non binarie, le altre forme hanno una rilevante connotazione di genere, con catcalling (F 67%, M 6%) e molestie sessuali (F 45%, M 18%) subite in larga maggioranza dalle ragazze e, al contrario, bullismo (F 35%, M 66%) dai maschi.

Sale moltissimo la percentuale di maschi under 14 che ha subito bullismo (89%) dimostrando che questa forma di violenza è particolarmente sentita nei contesti scolastici o tra gruppi di coetanei. Le persone non binarie sono, invece, vittime di tutte e tre le tipologie: al 50% di bullismo e cat calling e al 42% di molestie sessuali. L’incidenza di catcalling e molestie sessuali, inoltre, aumenta con l’età, mentre gli atti di bullismo sono più frequenti nelle fasce d’età più basse.

Sebbene tra la GenZ sia forte la consapevolezza dei pericoli della rete, resta la scuola, trasversalmente per ogni età, il luogo dove, per la maggior parte degli adolescenti, è più probabile che avvengano episodi di violenza, è così per il 56,5% dei ragazzi e delle ragazze. Sono percepiti come pericolosi anche la strada (48%) e i luoghi di divertimento (47%) ed il web si posiziona al 39%.

Mentre maschi, femmine e persone non binarie sono ugualmente capaci di riconoscere la violenza verbale (dichiara di avervi assistito il 90% degli intervistati), donne e adolescenti non binari sono più in grado, rispetto ai maschi, di riconoscere quella psicologica. Dichiara, infatti, di avervi assistito il 76% delle persone non binarie, il 75% delle femmine e il 64% dei maschi. La percentuale di chi ha assistito a episodi di violenza psicologica cresce, inoltre, con l’età.

Le forme di violenza verbale più frequenti sono: insulti e offese (95%), pettegolezzi e dicerie (63%), offese ad amici e parenti (41%), minacce (39%). Quelle di violenza psicologica: umiliazione ed emarginazione (78%), discriminazione (52%), messaggi in chat o sui social (33,5%). Meno frequenti sono gli episodi di violenza fisica, ai quali comunque dichiara di aver assistito un importante 48% dei ragazzi. Percentuale che aumenta tra le persone non binarie e i maschi (NB 64%, M 57%, F 43%) e con il crescere dell’età. Le forme più diffuse risultano essere le aggressioni (75%), gli scherzi pesanti (51%) e abusi e sopraffazioni (26,5%).

La perdita di autostima, sicurezza e fiducia negli altri è la principale conseguenza dell’essere vittima di violenza, è stata, infatti, dichiarata dal 63% degli intervistati. Seguono: ansia sociale e attacchi di panico (36%), isolamento (25,5%), depressione (21%), disturbi alimentari (16%), difficoltà di concentrazione e basso rendimento scolastico (12%), autolesionismo (10%), assenteismo (6%).

Anche in questo caso ci sono delle differenze di genere, con l’isolamento che, nei maschi, è più frequente rispetto all’ansia sociale e agli attacchi di panico, più comuni tra le donne. I ragazzi non binari hanno percentuali più alte della media in quasi tutte le voci.

A conclusione dell’indagine Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes Italia ha evidenziato: “Dall’Osservatorio indifesa di quest’anno emerge quanto i ragazzi e le ragazze siano consapevoli di ciò che accade sul web e dei rischi che corrono, purtroppo questa consapevolezza non basta a proteggerli. E’, però, un punto di partenza importante su cui costruire, ad esempio, una regolamentazione che possa tutelarli, limitando e prevenendo la violenza online”.

Ed ha sottolineato la necessità di collaborazione con le Istituzioni: “La proposta di riforma legislativa, elaborata dai nostri esperti, mira proprio a una tutela più effettiva ai minori vittime di reati online. Con l’Osservatorio e tutte le iniziative della Campagna indifesa, ascoltiamo i giovanissimi, diamo loro uno strumento di confronto e li aiutiamo a leggere il mondo in cui vivono e riconoscere le diverse forme di violenza, discriminazione, bullismo.

Siamo orgogliosi di avere al nostro fianco un partner consolidato come la Polizia Postale, con cui abbiamo siglato un protocollo di intesa proprio sul contrasto alla violenza online e siamo felicissimi che da quest’anno si siano uniti a noi gli amici di Scomodo, la comunità reale di under30 con cui intendiamo avviare nuovi percorsi di partecipazione giovanile, per noi la chiave del cambiamento”.

A Catania mons. Renna invita ad essere responsabili della speranza

“Carissimi fratelli e sorelle di Catania, nel cuore della nostra Città, accanto ai luoghi dove la nostra santa martire Agata soffrì atroci tormenti, fu imprigionata e spirò pregando, vi rivolgo questa sera una parola che non può che essere di speranza, in linea con il giubileo che stiamo celebrando in questo 2025”: con queste parole mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, si è rivolto alla città nella festa di sant’Agata.

Nel discorso alla città mons. Renna ha invitato a non perdere la speranza, che è comunitaria: “La nostra speranza è comunitaria, non deve lasciare indietro nessuno, e ci fa guardare in alto, verso Dio, così come ha fatto sant’Agata, donna di fede e di speranza. Da lei impariamo a guardare in alto verso il Signore; da lei impariamo a guardare avanti, verso il futuro, e attorno a noi, come fratelli e cittadini. Da lei impariamo a guardare in alto, anzitutto, cioè ad avere fede in un Dio che non ci abbandona mai, anche quando sembra tutto perduto”.

E’ stato un invito a risanare le ‘ferite’ come ha fatto sant’Agata: “Come Agata, nel momento della sua morte levò le braccia al cielo e si affidò al Padre, leviamo il nostro cuore al Signore, e sentiamo che la convinzione più bella che dobbiamo chiederle è la fiducia nella paternità di Dio, che ha cura anche dei capelli del nostro capo.

Le nostre lacrime, le nostre aspirazioni, soprattutto quelle di chi è sull’orlo della disperazione, non gli sono indifferenti, e la luce che deve spingere a ‘sperare contro ogni speranza’ sono le parole del ‘Padre Nostro’, che ci fanno chiedere che venga il suo regno, che ci sia donato il pane quotidiano, che il perdono risani le nostre divisioni e siamo liberati dal male, anche dal male della disperazione”.

E’ stato un invito a guardare ‘oltre’: “Dobbiamo guardare oltre i nostri limiti, oltre i mali di Catania e le ombre di guerra, di conflitto sociale e politico che avvolgono l’Europa, anche oltre la mancanza di fiducia tra istituzioni che in questo momento sta segnando la vita dell’Italia. Guardare avanti significa costruire insieme anche la strada che si apre davanti a noi: non basta sperare, ma occorre organizzare la speranza! E lo si può fare se di questo mondo e di questa Città ci prendiamo cura tutti. Ci sono le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e preghiamo e ci aspettiamo che abbia tanta passione, tanta concordia, tanta lungimiranza nei progetti che stanno realizzando per Catania”.

Uno sguardo al futuro per un richiamo alla responsabilità: “Ma le strade del futuro abbiamo il dovere di lastricarle di responsabilità anche noi! Responsabilità è la cura della famiglia e dell’educazione dei figli, sulla quale non mi stancherò di esortare, perché molti bambini sono lasciati a sé stessi dai genitori che forse si sono trovati troppo presto con la responsabilità di essere padri e madri. Vanno aiutati! Il futuro di voi ragazzi e ragazze non può essere quello di rimanere genitori a 15 anni, quando avete bisogno ancora di progettare il vostro domani”.

Avere speranza significa essere un popolo: “Oggi sant’Agata ci invita a guardarci attorno e a considerare che siamo un popolo che cammina con lei, alla sequela di Cristo. Si è popolo se si recupera la fiducia reciproca, se ciascuno fa la sua parte. L’idea che altri risolvino per noi i nostri problemi è deresponsabilizzante; quella che gli uomini soli al comando siano migliori di un popolo responsabile, porta al dispotismo. Accanto a te c’è un altro con il quale organizzare la speranza mettendo da parte cattiverie, chiacchiericcio, desideri insani di sopraffazione. Siamo devoti tutti, siamo cittadini, ma siamo soprattutto fratelli tutti!”

Infine un appello ad avere la forza della speranza: “Rivestiamoci della forza della speranza, che è la pazienza e la mitezza di chi ogni giorno organizza il bene comune, con lo sguardo rivolto a un bene più grande, quel premio eterno che fu la massima aspirazione della nostra sant’Agata. Sant’Agata ci prenda per mano per riscoprire la fede, con uno sguardo rivolto verso l’alto; ci aiuti a guardare avanti e a non scoraggiarci mai: a guardare attorno le persone, da trattare con la carità e la gentilezza con cui lei guarda ciascuno di noi. Da quegli sguardi di Agata impariamo la speranza!”

Speranza al centro dell’omelia nella celebrazione eucaristica mattutina: “La speranza di una martire sfida l’impossibile, così come ci ha ricordato papa Francesco nella bolla d’indizione dell’anno giubilare… La speranza cristiana ha la pretesa di ‘non deludere’, perché è fondata in Dio e fa dire all’apostolo Paolo: ‘Chi potrà separarci dall’amore di Cristo?’, ma è anche la speranza di una comunità, non di una somma di individui che pensano solo a sé.

Questa virtù ha nutrito il cuore di Agata e l’ha portata a rimanere ferma e solida nelle sue scelte di fede di fronte alla tentazione di tirarsi indietro e di rinunciare persino al dono dell’esistenza per un bene più grande. La sua era la stessa speranza che noi rinnoviamo nel credo, quella in Cristo che è il crocifisso risorto: in lui vengono rese feconde tutte le aspirazioni di bene, di giustizia e di pace che noi coltiviamo”.

E’ un invito particolare per i giovani: “Care giovani mamme, avete un merito: non aver messo fine alla vita dei vostri piccoli con l’aborto. Ora prendetevi cura di essi, costruitevi un futuro sicuro, fate sì che i vostri figli siano più responsabili di voi. Voi ragazzi sappiate attendere per accogliere il dono della vita nascente, di un fidanzato, di uno sposo; a causa di queste precoci gravidanze per voi la scuola finisce molto presto, e vi precludete l’accesso a titoli di studio che vi renderebbero più indipendenti.

Un genitore che lascia che la propria figlia vada incontro a questo futuro o la spinge a questo per togliersi una bocca da sfamare, la condanna ad una povertà educativa che si perpetua di generazione in generazione”.

Ma anche per i genitori: “Cari genitori, abbiate cura dell’educazione morale dei vostri figli, non lasciateli in balia della leggerezza della loro età: dei sani ‘no’, ripagano; un’attenzione maggiore ai loro percorsi di studio fin da piccoli, al modo come vivono, deve essere l’investimento da fare sul loro futuro. E voi ragazze e ragazzi, non compromettete il vostro domani con irresponsabilità, perché vi troverete ad affrontare difficoltà più grandi di voi”.

Ed ai sacerdoti: “Miei cari sacerdoti, anche l’educazione cristiana deve fare la sua parte! Nelle nostre parrocchie non possiamo limitarci alla catechesi e non creare altre opportunità educative. Cari ragazzi, aspirate ad una vita bella e più completa: nei vostri occhi deve risplendere la stessa luce pura di sant’Agata”.

Ha concluso l’omelia con l’invito a camminare insieme: “La parola speranza pare che derivi da pes, che in latino significa «piede» e quindi ci spinge a camminare insieme, a tirare il cordone di sant’Agata, facendo progredire tutti, soprattutto coloro che sono indietro. Non aspettiamo solo che camminino gli altri, ma muoviamoci insieme: quest’Eucarestia che celebriamo in un’aurora che promette speranza è garanzia e forza per camminare come popolo che viene tenuto insieme dal Signore Gesù, con la sua santa martire Agata”.

Strenna Salesiana: speranza è far vivere il paradiso

Alcune settimane fa nella Casa Generalizia dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Roma don Stefano Martoglio, vicario generale dei Salesiani di Don Bosco, alla guida della Congregazione salesiana dopo le dimissioni del card. Ángel Fernández Artime, ha presentato la Strenna che accompagna in quest’anno la Famiglia Salesiana, intitolata ‘Ancorati alla speranza, pellegrini con i giovani’, in comunione con il cammino della Chiesa che vive il Giubileo, invito ad approfondire le ‘ragioni della nostra speranza’:

“Non è senza emozione che mi rivolgo a tutti e a ciascuno in questo tempo di grazia segnato da due importanti avvenimenti per la vita della Chiesa e per quella della nostra Famiglia: il Giubileo dell’anno 2025, iniziato solennemente il 24 dicembre scorso con l’apertura della porta santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, e la ricorrenza del 150° anniversario della prima spedizione missionaria voluta dal nostro padre don Bosco, partita l’11 novembre 1875 alla volta dell’Argentina e di altri paesi del continente americano”.

Quindi la Strenna ricorda, nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario della prima spedizione missionaria dei Salesiani di Don Bosco e l’inizio del Triennio verso il 150° dalla prima spedizione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di ravvivare lo slancio missionario che caratterizza non solo il missionario/la missionaria ad gentes, ma ogni cristiano/a, ogni comunità:

“Don Bosco da Valdocco getta il cuore oltre ogni confine, mandando i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda oltre ogni sicurezza umana, li manda per portare avanti ciò che lui aveva cominciato. Si mette in cammino con gli altri, sperando ed infondendo speranza. Li manda e basta e i primi (giovani) confratelli partono e vanno. Dove? Nemmeno loro sanno! Ma si affidano alla speranza, obbediscono.

Perché è la presenza di Dio che ci guida. In quell’obbedienza ricca di entusiasmo trova nuova energia anche la nostra attuale speranza e ci spinge a metterci in cammino come pellegrini. Ecco perché questo anniversario va celebrato: perché ci aiuta a riconoscere un dono (non una conquista personale, ma un dono gratuito, del Signore), ci permette di ricordare e, dal ricordo, di prendere forza per affrontare e costruire il futuro”.

Tale ricorrenza non può essere disgiunta dall’anno giubilare, in quanto Cristo è la speranza: “Siamo convinti che niente e nessuno potrà separarci da Cristo. Perché è a lui che vogliamo e dobbiamo rimanere aggrappati, ancorati. Non possiamo camminare senza la nostra ancora. L’ancora della speranza è, dunque, Cristo stesso, che porta le sofferenze e le ferite dell’umanità sulla croce in presenza del Padre.

L’ancora, infatti, ha la forma della croce, e per questo veniva raffigurata anche nelle catacombe per simboleggiare l’appartenenza dei fedeli defunti a Cristo Salvatore. Quest’ancora è già saldamente attaccata al porto della salvezza. Il nostro compito è quello di attaccare la nostra vita ad essa, la corda che lega la nostra nave all’àncora di Cristo”.

E la speranza non è un ‘fatto’ privato: “Tutti noi portiamo nel cuore delle speranze. Non è possibile non sperare, ma è anche vero che ci si può illudere, considerando prospettive e ideali che non si realizzeranno mai, che sono solo delle chimere e specchietti per le allodole. Molto della nostra cultura, specialmente occidentale, è piena di false speranze che illudono e distruggono o possono rovinare irrimediabilmente l’esistenza di singoli e di intere società”.

Quindi la speranza non significa solamente avere un pensiero positivo: “Secondo il pensiero positivo basta sostituire i pensieri negativi con altri positivi per vivere più felici… Conclusione, se bastasse la nostra volontà di pensare positivamente per essere felice, allora ognuno sarebbe l’unico responsabile della propria felicità. Paradossalmente, il culto alla positività isola le persone, le rende egoiste e distrugge l’empatia, perché le persone sono sempre più impegnate solo con sé stesse e non si interessano della sofferenza degli altri.

La speranza a differenza del pensiero positivo non evita la negatività della vita, non isola ma unisce e riconcilia, perché il protagonista della Speranza non sono io, focalizzato sul mio ego, trincerato esclusivamente su me stesso, il segreto della Speranza siamo noi. Per questo, sorelle alla Speranza sono l’Amore, la Fede e la Trascendenza”.

Ecco il motivo per cui la speranza è il fondamento della missione: “Coraggio e speranza sono un abbinamento interessante. Infatti, se è vero che è impossibile non sperare, è altrettanto vero che per sperare è necessario il coraggio. Il coraggio nasce dall’avere lo stesso sguardo di Cristo, capace di sperare contro ogni speranza, di vedere soluzione anche là dove apparentemente sembrano non esserci vie d’uscita.

E quanto è ‘salesiano’ questo atteggiamento! Tutto ciò richiede il coraggio di esser se stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni. Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa”.

Quindi ha richiamato il ‘sogno’ che san Giovanni Bosco fece nel 1881: “Il contenuto del sogno comporta certamente, nella mente di don Bosco, un importante quadro di riferimento per la nostra identità vocazionale. Ebbene, il personaggio del sogno, come noto, porta sulla parte frontale il diamante della speranza, che sta a segnalare la certezza dell’aiuto dall’alto in una vita tutta creativa, impegnata cioè a progettare quotidianamente delle attività pratiche per la salvezza, soprattutto della gioventù. Insieme agli altri simboli legati alle virtù teologali, emerge la fisionomia di una persona saggia e ottimista per la fede che lo anima, dinamica e creativa per la speranza che lo muove, sempre orante e umanamente buono per la carità che lo permea”.

Per tale motivo don Bosco è stato ‘uno dei grandi della speranza’: “Il suo spirito salesiano è tutto permeato dalle certezze e dall’operosità caratteristiche di questo dinamismo audace di Spirito Santo. Mi soffermo brevemente a ricordare come don Bosco abbia saputo tradurre nella sua vita l’energia della speranza sui due versanti: l’impegno per la santificazione personale e la missione di salvezza per gli altri; o meglio (e qui risiede una caratteristica centrale del suo spirito) la santificazione personale attraverso la salvezza degli altri”.

Da tali elementi costitutivi della speranza derivano alcuni frutti, di cui il primo è la gioia: “Lo spirito salesiano assume la gioia della speranza per una affinità tutta propria. Persino la biologia ce ne suggerisce qualche esempio. La gioventù che è speranza umana (e quindi suggerisce una certa analogia con il mistero della speranza cristiana), è avida di gioia. E noi vediamo don Bosco tradurre la speranza in un clima di gioia per la gioventù da salvare… Una gioia che procede, in definitiva, dalle profondità della fede e della speranza”.

Un altro frutto è la pazienza: “Ogni speranza comporta un indispensabile corredo di pazienza. La pazienza è un atteggiamento cristiano, legato intrinsecamente con la speranza nel suo non breve ‘non-ancora’, con i suoi guai, le sue difficoltà e le sue oscurità. Credere alla risurrezione e operare per la vittoria della fede, mentre si è mortali e immersi nel caduco, esige una struttura interiore di speranza che porta alla pazienza…

Lo spirito salesiano di Don Bosco ci ricorda sovente la pazienza. Nell’introduzione alle Costituzioni Don Bosco ricorda, alludendo a san Paolo, che le pene che dobbiamo sopportare in questa vita non hanno confronto con il premio che ci attende: ‘Era solito dire: coraggio! La speranza ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe mancare’… La speranza è madre della pazienza e la pazienza è difesa e scudo della speranza”.

Il terzo frutto della speranza è la sensibilità educativa: “Non dobbiamo rinchiudere il nostro sguardo dentro le pareti di casa. Siamo stati chiamati dal Signore a salvare il mondo, abbiamo una missione storica più importante di quella degli astronauti o degli uomini di scienza… Siamo impegnati nella liberazione integrale dell’uomo. Il nostro animo deve aprirsi a visioni molto ampie. Don Bosco voleva che fossimo ‘all’avanguardia del progresso’ (e si trattava, quando disse questa frase, di mezzi di comunicazione sociale)”.

Da qui deriva la sua ‘magnanimità’ verso i giovani: “Il suo cuore palpitava con quello della Chiesa universale, perché si sentiva quasi investito della responsabilità di salvezza di tutta la gioventù bisognosa del mondo. Voleva che i Salesiani sentissero come propri tutti i più grandi e urgenti problemi giovanili della Chiesa per essere disponibili ovunque. E, mentre coltivava la magnanimità dei progetti e delle iniziative, era concreto e pratico nella loro realizzazione, con il senso della gradualità e con la modestia degli inizi”.

Per questo san Giovanni Bosco ha sollecitato sempre gli adulti a raccontare ai giovani il paradiso: “Il mondo ha urgente bisogno di profeti che proclamino con la vita la grande verità del Paradiso. Non un’evasione alienante, ma un’intensa realtà stimolante! Dunque, nello spirito di don Bosco è costante la preoccupazione di curare la dimestichezza con il Paradiso, quasi a costituirne il firmamento della mente, l’orizzonte del cuore salesiano: lavoriamo e lottiamo sicuri di un premio, guardando alla Patria, alla casa di Dio, alla Terra promessa”.

La ‘Strenna’ si conclude con l’invito ad invocare la Madre di Dio: “In questo cammino siamo invitati a volgere lo sguardo a Maria, la quale si fa presente come aiuto quotidiano, come Madre precorritrice e ausiliatrice. Don Bosco è sicuro di questa sua presenza tra noi e vuole dei segni che ce lo ricordino. Per Lei ha edificato una Basilica, centro di animazione e diffusione della vocazione salesiana. Voleva la Sua immagine nei nostri ambienti di vita; vincolava ogni iniziativa apostolica alla Sua intercessione e ne commentava con commozione la reale e materna efficacia…

Lei ci testimonia che sperare è affidarsi e consegnarsi, ed è vero tanto per l’esistenza come per la vita eterna. In questo cammino la Madonna ci prende per mano, ci insegna come fidarci di Dio, come consegnarci liberamente all’amore trasmesso da suo Figlio Gesù”.

(Tratto da Aci Stampa)

Da Parma un invito ad un cammino di speranza con i giovani

“C’è speranza per i giovani, a Parma? Il marziano che arriva o la persona che ha passato il mare, a Parma, vede speranza o rassegnazione? Siamo Capitale europea dei giovani. L’Europa è giovane e dà speranza? Queste domande me le faccio da cittadino e da Vescovo, preoccupato e voglioso di guardare avanti con una coscienza che si interroga, osservando prima di tutto la nostra Chiesa le cui membra sono la gente di Parma che crede, partecipa, vive, come ognuno può, la fede cattolica. Ho goduto della Giornata mondiale della gioventù e di altre manifestazioni con i giovani e soffro se la Chiesa non ascolta e non propone e quando vedo non accolte o sciupate le potenzialità ed energie dei giovani. Intuisco la loro voglia di autenticità, di crescita e di testimoni”.

Con queste domande inizia la lettera inviata da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, alla città, che sarà capitale europea dei giovani nel 2024, in occasione della solennità del patrono sant’Ilario di Poitiers, coniugando la speranza, tema dell’Anno Santo, ed i giovani, simbolo di speranza nel presente e nel futuro, ma anche espressione spesso di sogni traditi: “Ognuno ha una responsabilità verso i giovani, gli adulti, la famiglia, la Chiesa e la società civile, le aggregazioni e la scuola. Pensare ai giovani, dobbiamo esserne coscienti, è inquadrare una galassia diversificata, per età, per provenienza, per possibilità, per inclusione. Un elenco lungo, troppo per essere raccolto qui. Parma è una città ricca. Dove si vive bene. Anche se questo non è per tutti”.

Consapevole di ciò ha indicato alcune speranze che i giovani, intervistati, nutrono: “Il desiderio che muove la speranza è, per molti, la felicità e per tanti la fede che prospettano uno sguardo verso il futuro. La speranza viene percepita come una molla… La speranza è colta come la possibilità e l’auspicio di un cambio di passo, nella consapevolezza che si può ‘avere una seconda possibilità’, e che ‘non è ancora detta l’ultima parola sulla realtà e che c’è ancora qualcosa di nuovo…’. Una speranza che viene alimentata, per alcuni dalla fede, per molti dalla testimonianza degli altri: ‘Giovani che fanno scelte in conformità al Vangelo’, ‘persone che, intorno a me, continuano a progettare e a vivere e non a sopravvivere’; per altri dalla gratitudine: ‘Spero di poter restituire al mondo parte di quello che ho ricevuto’, come gli stessi giovani intervistati hanno dichiarato. Messaggio che contiene domande, riflessioni e provocazioni, rivolte a tutta la comunità, sia cristiana che civile, perché solo camminando insieme si dà forma e volto alla speranza”.

Inoltre i giovani hanno sottolineato gli ostacoli alla speranza: “Ma i giovani hanno anche evidenziato ciò che spegne, ostacola, la speranza. Tra questi, la paura: ‘La paura di non riuscire ad arrivare al traguardo che mi sono posta, l’insicurezza nelle mie capacità’… Paura, incertezza, instabilità, vissute e colte anche nell’attuale contesto sociale e politico”.

Quindi parlare di speranza implica alcuni interrogativi sugli stili di vita di una comunità: “Parlare di speranza, come ci hanno detto e ci chiedono i giovani, porta ad interrogarci sullo stile di vita della nostra comunità, sulle attese che genera, sui modelli che propone, su quanto si ritiene essenziale, condiviso e non rinunciabile. Così pure se trae dal suo tesoro, dalla sua anima, un messaggio armonico che rende ragione delle dimensioni proprie della persona, non soltanto di carattere immediato e immanente, ma con piste di risposte a interrogativi profondi che non possono essere elusi e a domande di senso tanto radicali, quanto appaiono sovente lontani i punti luce che le possono rischiarare, come donne e uomini significativi, capaci di educare, ascoltare e attrarre”.

Ma la speranza è bloccata anche dalla precarietà: “La speranza fatica a crescere nella precarietà, nell’incertezza, nella povertà. Non possiamo negare che anche a Parma la forbice si sta allargando tra giovani che hanno tante possibilità di formazione e di un significativo o alto tenore di vita e chi ne ha molto meno, fino a non averne. Qui si mina la speranza. Può essere forte come la gramigna che fora l’asfalto, ma, più spesso, vi muore sotto. Pensiamo ai giovani migranti che cercano una sistemazione, un permesso di soggiorno, un lavoro, una possibilità di studio. In chiaro scuro la speranza e la sua negazione possono portare a delinquere e a oltrepassare le porte del Carcere. Via Burla non è una burla. E’ luogo di detenzione anche di giovani”.

Per questo il vescovo ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza: “I giovani sono testimoni di speranza. La nutrono e la diffondono. Sanno, come diceva don Pino Puglisi, ‘rispondere alle attese vere dell’umanità intera e del singolo… sperimentano che vivere è sperare’ fino al martirio, cioè fino a pagare di persona”.

Un giovane di speranza è stato Sammy Basso: “Una lezione non voluta, dalla cattedra della sua vita di giovane ventottenne, affetto da progeria. Tanti giovani hanno la domanda sulla vita e su cosa c’è oltre. Negarla è mettere la polvere sotto il tappeto. La speranza della vita piena che non finisce, non distoglie dall’oggi, anzi è la molla per il cambiamento. Nei testimoni di speranza possiamo mettere ‘i patrioti’ ricordati dal presidente Mattarella.

pI loro sono volti comuni, in professioni necessarie e spesso a rischio… Fa ben sperare vedere giovani che si offrono per i più poveri, anche loro coetanei, che servono in servizi essenziali, da volontari, come alla mensa della Caritas. Lo fanno in silenzio, non fanno polemiche sterili, non puntano il dito senza conoscere, si tirano su le maniche, si sporcano le mani”.

Perciò il messaggio del vescovo è un invito agli adulti di ascoltare i giovani: “Testimoni di speranza sono anche quei giovani (ce lo hanno detto nelle interviste) che sperano di fare famiglia, di generare figli. Preoccupa che questo desiderio resti, per loro, in bilico tra la speranza e la paura di non farcela. Due giovani che si sposano si aprono al futuro; il figlio è ‘la’ speranza della città e del mondo. Oltre che loro. Se intendiamo per ‘patriottismo’ l’agire con coraggio per il bene comune, sono veri patrioti”.

Ecco l’invito ad essere ‘pellegrini nella speranza’: “Il pellegrinaggio, tipico del Giubileo, è una pratica e un simbolo universale e può rappresentare la sinergia tra la speranza giovane e la nostra città. Richiede una partenza, un itinerario, una meta, e camminare con entusiasmo insieme. Si vince così più facilmente la fatica, e si supera, una volta partiti, la noia e l’apatia. Mette alla prova, purifica le speranze. C’è l’obbligo che nessuno resti indietro. Ci piace pensare che possa essere intrapreso da una comunità che, unendo tutti, trae dalla sua storia anche recente la motivazione per farlo (vi ricordate della pandemia e di quanto ci dicevamo?) avendo i giovani come apripista. Si cammina sulla terra, l’ambiente che ci è dato”.

Il messaggio si conclude con l’invito ad iniziare un pellegrinaggio di speranza: “Nel pellegrinaggio si può toccare l’essenziale che ci abita, attivare risorse sopite, aprirsi alla speranza. Dal di dentro si irradia la luce e la forza per il poliedro della speranza. Non ha luce propria, la riceve e l’espande al punto che diventa storia, cambiamento. L’augurio è che questa luce si riaccenda nel cuore di tutti i giovani e che si si espanda ovunque, partendo dalla nostra città, dal suo territorio, perché non ci può essere futuro se non lo speriamo insieme”.

(Foto: Diocesi di Parma)

Nuovi bandi del COR per gli oratori con le proposte per il servizio civile

Il nuovo anno del Centro Oratori Romani si avvia con alcune iniziative a favore degli oratori. Sono stati infatti rinnovati sia il Bando 2025 per il Servizio Civile Universale con la disponibilità di due posti per i nuovi volontari sia il nuovo Bando Oratori per il finanziamento di progetti di formazione per animatori ed educatori con fondi pari a € 16.000.

Per quanto riguarda il Servizio Civile Universale, il nuovo progetto ‘Spazio ai talenti’,  realizzato in partnership con le A.C.L.I. aps come già negli ultimi anni, con la possibilità di svolgere il servizio all’interno del COR, consentirà ai volontari di vivere un’esperienza formativa e di servizio all’interno delle attività dell’associazione.

E’ già possibile presentare la domanda tramite la piattaforma DOL predisposta dal Dipartimento delle Politiche Giovanili ed il Servizio Civile Universale. Il COR è infatti accreditato all’Albo degli Enti di Servizio Civile Universale come ente che può accogliere operatori volontari, coinvolgendo i giovani prevalentemente in esperienze di accoglienza dei più piccoli, in linea con la mission associativa. Possono presentare domanda tutti i giovani, tra i 18 ed i 28 anni, che intendono partecipare al bando di Servizio Civile Universale fino alle 14.00 di giovedì 18 febbraio 2025.

Il progetto ‘Spazio ai Talenti’ ambisce a combattere il problema della povertà educativa, affrontando in particolare il fenomeno del disagio giovanile, l’isolamento sociale, in collegamento alla dispersione scolastica e al fenomeno dei NEET. Punta quindi sul sostegno allo studio per i ragazzi e i giovani dai 6 ai 18 anni dei territori coinvolti, ma soprattutto su attività socializzanti e di promozione delle competenze trasversali, socio-relazionali e sviluppo dei talenti, con percorsi di crescita integrali in contesti informali ed extra-scolastici.

Per i volontari che saranno in servizio civile presso il COR, l’attività si svolgerà principalmente negli oratori parrocchiali. Tutti i dettagli e le modalità di partecipazione sono già illustrati nell’apposita pagina del sito dell’associazione fondata dal Venerabile Arnando Canepa e che da 80 anni promuove a Roma la pastorale oratoriana (https://www.centrooratoriromani.org/risorse/servizio-civile-universale.html).

La seconda iniziativa del COR, lanciata sempre in questi giorni, riguarda il nuovo Bando Oratori che da qualche anno sostiene economicamente la formazione di educatori ed animatori degli oratori e che da quest’anno si apre anche a progetti sviluppati nelle diocesi suburbicarie oltre che a quelli della Diocesi di Roma. Nel corso degli ultimi anni l’associazione ha finanziato progetti educativi realizzati da reti di oratori consentendo a decine di giovani e di adulti di formarsi in maniera adeguata per il loro servizio di annuncio e di animazione nelle comunità di appartenenza.

L’edizione 2025 del nuovo Bando Oratori stanzia 16mila euro (con un notevole incremento anche rispetto alla precedente edizione) in favore di iniziative formative rivolte agli animatori ed educatori degli oratori della Diocesi di Roma e delle Diocesi Suburbicarie favorendo anche la promozione della cooperazione tra oratori dello stesso territorio con il fine di incoraggiare iniziative in un’ottica di percorso sinodale che ogni oratorio è chiamato a compiere uscendo fuori dal proprio contesto di riferimento.

Tutti i dettagli e le modalità di presentazione delle domande sono già disponibili sul sito del COR nella pagina dedicata (https://www.centrooratoriromani.org/risorse/bando-oratori.html). Le domande andranno presentate entro il prossimo 15 aprile per la valutazione e l’assegnazione da parte di una apposita commissione.

“Il nuovo bando di finanziamento, come d’altronde quello dello scorso anno”, ha sottolineato Fabrizio Lo Bascio,  Coordinatore del Centro Studi Pastorali del COR, “rappresenta prima che un’occasione per la formazione dei nostri educatori e animatori, un’opportunità per quanto riguarda il processo stesso: cooperare insieme tra le varie realtà, riscoprirsi chiamati a svolgere un comune servizio educativo prezioso nella nostra realtà, suscitare il desiderio di formarsi e di cercare nuove vie per svolgere questo ministero, in definitiva, riscoprirsi Chiesa, è il primo e più significativo risultato che questo progetto può realizzare”.

(Foto: COR)

Luca Diotallevi spiega perché la Messa è sbiadita

“In questo tempo non una piccola porzione di cristiani, ma una larga maggioranza è consapevole che ‘il tempo si è fatto breve’… Oggi possiamo vederlo ancora più chiaramente questo kairos della fede, a condizione di saper affrontare con onestà la domanda con cui il Gesù del quarto Vangelo mise con le spalle al muro i discepoli inviatigli dal Battista, forse ancora un po’ appannati da un entusiasmo che ancora non sapevano essere nel loro interesse dismettere. ‘Cosa cercate?’ gli chiese Gesù poco prima delle quattro di quel pomeriggio”.

Così iniziava la prolusione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna del prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università Roma Tre, autore del volume ‘La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019’, incontrato a Macerata, invitato dall’Azione Cattolica diocesana.

Durante l’incontro il prof. Luca Diotallevi, presidente diocesano dell’Azione Cattolica di Terni, ha sottolineato le possibili ‘cause’ della diminuzione della partecipazione dei fedeli alla messa domenicale: “Oltre a calare di volume ed a perdere di rilevanza extra-religiosa, l’appartenenza ecclesiale risente di una elevatissima e crescente frammentazione. A cause storiche ben note, di recente se ne è aggiunta una nuova.

Un vero e proprio consumismo religioso non solo è dilagato, ma è stato assecondato dall’azione pastorale. Dalle risposte raccolte l’arcipelago di gruppi, movimenti, santuari, feste patronali, modalità e luoghi di culto i più vari, viene giudicato un fattore di frammentazione del tessuto ecclesiale e una minaccia al regime di comunione. I criteri di discernimento delle aggregazioni ecclesiali che la Conferenza Episcopale Italiana aveva formulato negli anni ’90 sembrano essere ignorati, sino al punto di venire rimossi o tranquillamente contraddetti”.

Per il sociologo le iniziative proposte non offrono continuità e soffrono di frammentazione: “Cammini, gruppi, tecniche, movimenti, uffici pastorali, ed una quantità di iniziative e di eventi sui quali si investe nella speranza di trovarvi la soluzione al problema della nuova evangelizzazione o ‘primo annuncio’, nella larga maggioranza dei casi non favoriscono lo sviluppo di una maturità umana e cristiana, ecclesiale e civile.

Essi non appaiono in grado di garantire quello che per tanto tempo aveva garantito l’associazionismo ecclesiale e che ancora, seppur tra ostacoli e difficoltà anche pastorali, è capace di offrire (in particolare di Azione Cattolica secondo la definizione del punto 20 della decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem”.

Ed il crollo della partecipazione alla messa domenicale è evidente: si è passati dal 37,3% della popolazione adulta nel 1993 al 23,7% del 2019. I giovani che dichiarano di frequentare sono l’8% e gli adolescenti il 12%. Nel 2019 le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7% delle prime contro il 18,3% dei secondi. Tuttavia il dato da evidenziare è che nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%:

“Il declino alla frequenza al rito domenicale è dunque più veloce tra le donne che tra gli uomini, ed è evidente che questo gender factor ha consistenti e crescenti effetti tanto religiosi quanto extrareligiosi, e questo fattore nuovo produrrà ulteriori e profonde trasformazioni. La vita ordinaria delle parrocchie italiane è infatti composta prevalentemente da donne così come l’educazione religiosa dei figli nelle famiglie”.

Al termine dell’incontro abbiamo chiesto se a 25 anni dall’invito ai giovani, presenti a Roma nella Giornata Mondiale della Gioventù, a guardare in alto di san Giovanni Paolo II può considerarsi ancora valido: “E’ valido nel senso evangelico del termine, cioè dobbiamo saper porre una discontinuità nel nostro modo di fare le cose,fidandoci del Signore e cominciando a farle in modo diverso”.

Lei ha scritto il volume ‘La messa è sbiadita’: perché si è sbiadita?

“Probabilmente è diventata più uno spettacolo che una liturgia. Gli spettacoli sono anche gradevoli, ma dopo i quali la vita continua come prima; mentre la liturgia consiste nell’iniziare a vivere in un altro modo. Le nostre messe sono spettacoli, di cui ne fruiamo individualmente”.

Ma cosa sta succedendo?

“I processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte inerzia: se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti. Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale. Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio all’età adulta da parte di coloro che hanno ‘fatto’ il Sessantotto”.

In questi anni come è cambiato il sentimento del popolo cattolico verso la fede?

“Ci si è convinti che ognuno si fa la fede sua. Le Sacre Scritture, il Magistero della Chiesa, la Tradizione non contano: entro in chiesa allo stesso modo in cui entro in un supermarket. Compro qualcosa e lascio qualcos’altro”.

Nel libro evidenzia che il calo dei laici è superiore alla crisi vocazionale dei sacerdoti:  da cosa dipende?

“Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli ordinati negli anni ‘90 ma non c’è paragone con i laici che si recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane”.

In un capitolo lei mette in confronto la partecipazione alla vita sociale della città con la partecipazione alla messa: esiste un rapporto?

“La partecipazione è in crisi in ogni ambito della società e non solo nell’ambito ecclesiale, in quanto siamo abituati a prendere i ‘prodotti’ finiti e non a partecipare alla loro costruzione. Non facciamo politica, non partecipiamo al sindacato, non mangiamo insieme ed anche alla messa prendiamo quello che serve. Quindi non sappiamo più partecipare”.

La sua indagine mostra che la partecipazione era ‘scarsa’ anche prima dell’effetto del Covid 19: per quale motivo non si è avuto il coraggio di riconoscere prima le dinamiche?

“Non si sono volute riconoscere prima queste dinamiche, perché se riconosco che una cosa non funziona sono costretto ad escogitare qualcosa per cercare di cambiare. Il Covid è riuscito a rilevare questo problema, fornendoci un grande alibi… Però dopo il Covid continua quello che c’era prima”.

Come poter fare comprendere che la messa è una verità ‘sinfonica’?

“Attraverso la partecipazione a quei gesti senza mettersi nascosti in un angolo, prendendo quello che serve. La messa, come tutte le prassi, è qualcosa che va capito ed approfondito. Non è una cosa semplice. Banalizzare serve solo a sbiadire”.

In tale contesto quale è il compito dell’Azione Cattolica?

“Formare il più possibile la coscienza, la volontà, l’intelletto e sperimentare l’amicizia nella Chiesa con grande libertà”.   

(Tratto da Aci Stampa)

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