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Legge sulla vendita delle armi per la guerra: rinviata la discussione parlamentare

Nelle scorse settimane, dopo mesi di silenzio, le Commissioni Esteri e Difesa della Camera hanno ripreso la discussione sul DDL che mira a modificare la legge 185/1990 sull’export di armi italiane. Una proposta che, tra le altre cose, intende cancellare ogni forma di trasparenza sulle banche che finanziano e traggono profitto dall’export di armi.

Questo disegno di legge, di iniziativa governativa, ha già ottenuto l’approvazione del Senato e, se dovesse passare anche alla Camera, rappresenterebbe un clamoroso passo indietro. Un provvedimento in aperta contraddizione con l’impianto normativo che l’Europa sta costruendo da anni per garantire maggiore trasparenza nel settore finanziario. Le banche, attraverso i loro finanziamenti, determinano il tipo di economia e di società in cui viviamo: proprio per questo, il loro operato non può essere sottratto al dovere di trasparenza. Inoltre, questa modifica legislativa appare in netto contrasto con il Trattato ONU del 2013 sul commercio di armi, sottoscritto dall’Italia.

Durante l’iter in Senato, Banca Etica, insieme a una vasta rete di organizzazioni della società civile, ha chiesto più volte al governo di spiegare le ragioni di questa scelta, che si traduce in un’inaccettabile operazione di opacità: “Perché sia chiaro: la legge 185/1990 non vieta l’export di armi italiane, ma impone che queste operazioni non coinvolgano Paesi in conflitto o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e che avvengano nel rispetto della trasparenza. Un principio essenziale, considerando gli enormi impatti umanitari, strategici e geopolitici dell’industria bellica, settore storicamente segnato da corruzione e illegalità diffusa.

La proposta di modifica della Legge 185/90 mette in discussione un importante risultato della società civile italiana: l’obbligo di trasparenza da parte delle banche rispetto al finanziamento alla produzione ed export di armi. Riteniamo grave questo passo indietro, una rinuncia ad un diritto di informazione ottenuto dopo lunghi e importanti confronti e contrattazioni. Chiediamo al Parlamento di aprire un dibattito onesto e aperto. Ricordiamo che il mercato delle armi è uno dei più corrotti al mondo e strumenti di controllo sono necessari per continuare a costruire una finanza che costruisce e sostiene la pace”.

Per questo la presidente di Banca Etica, Anna Fasano, ha affermato che il confronto possa essere approfondito: “E’ fondamentale che il maggior numero di forze politiche si attivi per migliorare questa norma ed evitare di legittimare pratiche opache. Voglio essere chiara: la finanza etica rifiuta ogni finanziamento e investimento nel settore delle armi.

Ma non ci aspettiamo che tutte le banche adottino questa politica, né chiediamo che sia imposta per legge. Quello che chiediamo oggi è semplicemente di non cancellare il principio di trasparenza e il diritto del Parlamento a un’informazione corretta. La legge 185/1990, pur indebolita nel tempo, garantisce ancora questo presidio fondamentale: smantellarlo sarebbe un grave errore”.

La legge 185/90 non è stata infatti in sé una legge ‘pacifista’ con la quale si imponeva tout court la sospensione di ogni produzione e commercio di armi; in essa si riconosce invece la necessità che questo tipo di attività sia soggetta ad una valutazione politica e ad un giudizio di conformità ai valori fondanti della nostra costituzione: non possono essere vendute armi a paesi in guerra o a chi si macchia di violazione dei diritti umani.

Si tratta di indicazioni che in questi anni sono state ripetutamente interpretate in maniera quantomeno elastica… ma in un quadro che permetteva ai decisori politici di assumersi la responsabilità delle proprie scelte di fronte alla pubblica opinione: “Il commercio delle armi non può essere semplicemente lasciato alla convenienza del momento o alla legge della domanda e dell’offerta… richiede invece un alto grado di attenzione. Si tratta di una materia complessa, e proprio per questa complessità è necessario un alto livello di trasparenza e tracciabilità.

Il nostro paese è tra i più importanti produttori di armi del pianeta: un primato di cui non dobbiamo rallegrarci, e che ci provoca forse qualche brivido quando apprendiamo di come questa ‘eccellenza italiana’ non si sviluppi solo per difendere il nostro paese (ammesso che questo sia l’unico sistema, o il più efficace, di farlo!) ma contribuisca invece a conflitti sanguinosi, come negli anni passati quello in Yemen, e oggi quello a Gaza, per limitarsi a soli due esempi”.

Per questo Massimo Pallottino, responsabile dell’Unità Studi e Advocacy della Caritas Italiana ha invitato a sostenere la petizione per non modificare la legge: “L’iter per la modifica della legge 185/90 è ripartito proprio in questi giorni. Ed è necessario moltiplicare gli sforzi per aumentare la consapevolezza di tutti.

E’ possibile firmare la petizione online promossa dalla Rete Pace e Disarmo, dove si trovano tutti i punti di criticità che emergono dall’analisi della proposta di modifica, e anche gli emendamenti che sono stati già proposti per garantire il mantenimento di un livello minimo di coerenza con i principi ispiratori della legge, anche in conformità con impegni internazionali già assunti dal nostro paese; ma che purtroppo sono stati fino ad ora rigettati in blocco.

Riteniamo invece fondamentale che essi vengano presi seriamente in considerazione e discussi, lasciando il tempo di maturare una posizione condivisa in quella che è una materia che tocca i principi più profondi della nostra Costituzione”.

Per ‘stoppare’ tale modifica Acli, Agesci, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica Italiana, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi Italia hanno lanciato un appello: “Non modificate la legge 185/90 che regola l’export di armi italiane. Modificarla vuol dire affossarla! Signori Deputati, signori Senatori: fermatevi! Vogliamo unire la nostra voce a quella di tante donne e uomini, coordinamenti di molti movimenti e associazioni, come Rete Italiana Pace e Disarmo che ha rilanciato: l’appello Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90”.

Ed hanno chiesto di non modificare la legge: “Il disegno di legge che oggi state discutendo intende: limitare l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti; ridurre al minimo l’informazione al parlamento e alla società civile; e, soprattutto, limitare le informazioni contenute dalla Relazione governativa annuale, cancellando la documentazione riguardo alle operazioni svolte dagli istituti di credito circa l’import e l’export di armi e dei sistemi militari italiani. Tali modifiche svuotano il contenuto della legge 185. Sarebbe una decisione gravissima.

Signori Deputati e Senatori, vi chiediamo, vi supplichiamo, non svuotate la legge 185/90 nel suo profondo significato. Vi chiediamo di ricordare e custodire il lavoro della società civile che ha portato all’approvazione di questa legge che attua i principi costituzionali. Ve lo chiediamo in nome della comune umanità che ripudia la guerra”.

E dopo la pressione dell’associazionismo le Commissioni riunite Esteri e Difesa di Montecitorio hanno chiesto di rinviare fino a marzo la discussione in Aula sul DDL 1730 di iniziativa governativa che vuole modificare la legge 185 del ‘90 sull’export di armi italiane.

Grazie a questa mobilitazione la calendarizzazione in Aula del dibattito sul Disegno di legge che stravolgerebbe la 185/90 è stata rinviata quantomeno a marzo: “L’auspicio delle nostre organizzazioni è che queste settimane in più (preziose per approfondimenti e riflessioni) non configurino solo un rinvio ‘procedurale’ e tecnico ma vengano utilizzate dal Governo e da tutte le forze parlamentari come occasione di confronto nel merito anche delle nostre proposte.

Perché, indipendentemente dalla valutazione che si può avere dell’industria militare, la modifica attualmente corso di approvazione, se confermata, creerebbe buchi normativi e fragilità decisionali davvero rilevanti, anche per quanto riguarda la trasparenza sull’operato delle banche che finanziano produzione ed export di armi: non possiamo permettercelo su un tema così delicato. Per tali motivi rinnoviamo la nostra disponibilità al confronto con tutte le forze politiche, per illustrare le nostre proposte e la nostra posizione”, ha precisato la presidente di Banca Etica, Anna Fasano, con l’invito a continuare ad esercitare pressione.

Nella Repubblica Democratica del Congo situazione in deterioramento

Dopo alcuni giorni di calma relativa i combattimenti sono ripresi a Ihusi, a circa 70 chilometri dal capoluogo di provincia Bukavu secondo le fonti di sicurezza, mentre diversi testimoni locali hanno riferito di ‘forti spari’. Secondo alcune dichiarazioni nel mirino dell’M23 ci sarebbe anche Bukavu, ed un’avanzata verso la capitale Kinshasa, quale obiettivo finale.

La tregua proclamata nei giorni scorsi, secondo una fonte dell’Agenzia Fides, “in realtà è servita all’M23 e all’esercito ruandese di far riposare le proprie truppe e di rifornirle in armi, munizioni e vettovaglie per poi proseguire la loro avanzata verso sud…  L’M23 ha ripreso ad avanzare nel sud Kivu attaccando il villaggio di Ihusi. Attualmente ruandesi e guerriglieri dell’M23 si trovano a circa 60 chilometri dal centro di Bukavu. Probabilmente il loro obiettivo è molto più vicino; si tratta dell’aeroporto di Kavumu che si trova a circa una trentina di chilometri dalla città e che è strategico per alimentare in uomini e mezzi le truppe dell’esercito congolese”.

Sempre all’Agenzia Fides il segretario generale della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO), mons. Donatien Nshole, che faceva parte della delegazione della CENCO e della Chiesa di Cristo in Congo (ECC) che mercoledì, 12 febbraio, ha incontrato a Goma, i leader dell’M23, il gruppo di guerriglia filo ruandese che ha preso il controllo della città a fine gennaio, ha sottolineato il motivo di tale incontro: “L’obiettivo era convincere che la lotta armata non è la soluzione, ma che noi arriviamo con una proposta che può contribuire alla costruzione di una pace duratura, da qui il Patto sociale per la pace e la convivenza nella RDC… Gli operatori stranieri che lavoravano per le diverse Ong e agenzie internazionali se ne sono andati. Rimangono al loro posto missionari e missionarie oltre al clero locale”.

Inoltre la direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell, ha denunciato l’aumento delle violenze contro i minori: “Sono profondamente allarmata dall’intensificarsi della violenza nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e dal suo impatto sui bambini e sulle famiglie. Nelle province del Nord e del Sud Kivu, stiamo ricevendo orribili rapporti di gravi violazioni contro i bambini da parte delle parti in conflitto, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale a livelli che superano qualsiasi cosa abbiamo visto negli ultimi anni”.

Infatti dal 27 gennaio al 2 febbraio i partner dell’Unicef hanno riferito che il numero di casi di stupro trattati in 42 strutture sanitarie è quintuplicato in una settimana: “Il 30% di quelli trattati riguardavano bambini. Le cifre reali sono probabilmente molto più alte, perché molti sopravvissuti sono riluttanti a farsi avanti. I nostri partner stanno esaurendo i farmaci utilizzati per ridurre il rischio di contagio da Hiv dopo una violenza sessuale… Una madre ha raccontato al nostro staff come le sue sei figlie, la più giovane delle quali aveva appena 12 anni, siano state sistematicamente violentate da uomini armati mentre cercavano cibo”.

I bambini e le famiglie in gran parte della Repubblica Democratica del Congo orientale “continuano a subire bombardamenti incessanti e spari. Negli ultimi mesi, migliaia di bambini vulnerabili nei campi di sfollamento sono stati costretti a fuggire più volte per sottrarsi ai combattimenti. Nel caos, centinaia di bambini sono stati separati dalle loro famiglie, esponendoli a maggiori rischi di rapimento, reclutamento e utilizzo da parte di gruppi armati e violenza sessuale. Nelle ultime due settimane, più di 1.100 bambini non accompagnati sono stati identificati nel Nord Kivu e nel Sud Kivu, e il loro numero continua ad aumentare.

Anche prima della recente intensificazione della crisi, il reclutamento di bambini nei gruppi armati era già in aumento nella regione. Ora, con le parti in conflitto che chiedono la mobilitazione di giovani combattenti, i tassi di reclutamento probabilmente accelereranno. I rapporti indicano che bambini di 12 anni vengono reclutati o costretti a unirsi ai gruppi armati”.

Ed infine l’appello ad un ‘cessate il fuoco’: “Le parti in conflitto devono immediatamente cessare e prevenire le gravi violazioni dei diritti contro i bambini. Devono inoltre adottare misure concrete per proteggere i civili e le infrastrutture fondamentali per la loro sopravvivenza, in linea con gli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale.

I partner umanitari devono avere un accesso sicuro e senza ostacoli per raggiungere tutti i bambini e le famiglie in difficoltà, ovunque si trovino. L’Unicef continua a chiedere maggiori sforzi diplomatici per porre fine all’escalation militare e per individuare una soluzione politica duratura alla violenza, in modo che i bambini del Paese possano vivere in pace”.

Anche la Chiesa italiana, nei giorni scorsi aveva chiesto di fermare il conflitto: “Lanciamo il nostro accorato appello affinché si fermi il massacro a Goma e nelle altre aree della Repubblica Democratica del Congo in preda alla violenza: basta! In stretto contatto con le Chiese locali e i missionari presenti sul territorio, riceviamo quotidianamente notizie e immagini di uccisioni, mutilazioni, distruzioni e sfollamento di grandi masse di popolazione, che si svolgono nel silenzio quasi totale dei media. Una strage che miete vittime soprattutto tra i civili, senza risparmiare bambini, anche neonati, donne e persone inermi. Non possiamo tacere di fronte a questo scempio, all’annientamento dell’umanità”.

I vescovi hanno ribadito la vicinanza alla popolazione: “Esprimiamo vicinanza alla popolazione locale e a quanti nel Paese sono impegnati per far fronte a una crisi umanitaria senza precedenti… Come Chiesa in Italia, da anni, siamo presenti nel Paese con operatori e missionari e non smettiamo di stare accanto alla popolazione e alla Chiesa locale, che continua a essere bersaglio di violenze e attacchi”.

Dal 1991, la CEI ha sostenuto interventi nella Repubblica Democratica del Congo per € 136.000.000. Attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli e grazie ai fondi 8xmille, sono stati finanziati 1.236 interventi: si tratta di progetti in risposta a emergenze, come per gli sfollati a Goma, e di sviluppo socio-economico in vari settori. Per affrontare questa ulteriore emergenza, è stato deciso lo stanziamento di un milione di euro dai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica.

Giorno del ricordo: la memoria è fondamentale

Oggi si è svolta al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’, condotta dalla dott.ssa Valeria Ferrante edaperta dalla lettura, da parte dell’attrice Gaja Masciale, di due brani tratti dal libro ‘Le foibe spiegate ai ragazzi’ di Greta Sclaunich.

Durante l’evento sono stati proiettati estratti dal film ‘La bambina con la valigia’ e dal documentario ‘Rotta 230 – Ritorno alla terra dei Padri’, con l’invito del presidente della Repubblica italiana a far memoria di ciò che è avvenuto: “Ci incontriamo per rinnovare la Giornata del Ricordo: occasione solenne, che invita a riflettere su pagine buie del nostro passato, per conservare e rinnovare la memoria delle sofferenze degli italiani d’Istria, di Fiume, della Dalmazia, in un periodo tragicamente tormentato della storia d’Europa”.

Tutto è avvenuto a causa della guerra: “In quella zona a Oriente, così peculiare, dove, a fasi alterne, si erano incontrate, convivendo, comunità italiane, slave, tedesche e di tante altre provenienze, la violenza prese il sopravvento, trasformandola in una terra di sofferenza. La guerra porta sempre con sé conseguenze terribili: lutto, dolore, devastazione. Era stato così durante la Prima Guerra Mondiale, nella quale furono immolati, in una ostinata e crudele guerra di trincea, milioni di giovani d’entrambe le parti”.

Purtroppo la catastrofe causata dalla Prima Guerra mondiale non è servita da monito: “Ma quella lezione sanguinosa non aveva, purtroppo, indotto a cambiare. Perché ancor più disumani furono gli eventi del secondo conflitto mondiale, dove allo scontro tra eserciti di nazioni che si erano dichiarate nemiche, si sovrappose il virus micidiale delle ideologie totalitarie, della sopraffazione etnica, del nazionalismo aggressivo, del razzismo, che si accanì con crudeltà contro le popolazioni civili, specialmente contro i gruppi che venivano definiti minoranze”.

Fascismo e comunismo hanno condotto ad una violenza esacerbata, di cui le foibe sono il ‘simbolo’: “E, nelle zone del confine orientale, dopo l’oppressione fascista, responsabile di una politica duramente segregazionista nei confronti delle popolazioni slave, e la barbara occupazione nazista, si instaurò la dittatura comunista di Tito, inaugurando una spietata stagione di violenza contro gli italiani residenti in quelle zone. Di quella stagione, contrassegnata da una lunga teoria di uccisioni, arresti, torture, saccheggi, sparizioni, le Foibe restano il simbolo più tetro. E nessuna squallida provocazione può ridurne ricordo e dura condanna”.

Per questo il presidente Mattarella ha condannato la spietatezza dei ‘titini’: “Oltre a crudeli, inaccettabili casi di giustizia sommaria e di vendette contro esponenti del deposto regime fascista, la furia omicida dei comunisti jugoslavi si accanì su impiegati, intellettuali, famiglie, sacerdoti, anche su antifascisti, su compagni di ideologia, colpevoli soltanto di esigere rispetto nei confronti della identità delle proprie comunità. Di fronte al proposito del nuovo regime jugoslavo di sovranità sui territori giuliani, l’essere italiano diveniva un ostacolo, se non una colpa”.

Il monito è stato quello di non dimenticare: “La memoria storica è un atto di fondamentale importanza per la vita di ogni Stato, di ogni comunità. Ogni perdita, ogni sacrificio, ogni ingiustizia devono essere ricordati. Troppo a lungo ‘foiba’ ed ‘infoibare’ furono sinonimi di occultamento della storia. 

La memoria delle vittime deve essere preservata e onorata. Naturalmente (dopo tanti decenni e in condizioni storiche e politiche profondamente mutate) perderebbe il suo valore autentico se fosse asservita alla ripresa di divisioni o di rancori”.

Però è necessaria una memoria condivisa: “Ogni popolo, ogni nazione, porta con sé un carico di sofferenze e di ingiustizie subite. Apprezziamo gli sforzi, fatti dagli storici dell’una e dell’altra parte, per avvicinarsi a una memoria condivisa. Ma, ove questo non fosse facilmente conseguibile, e talvolta non lo è, dobbiamo avere la capacità di compiere gesti di attenzione, dialogo, rispetto. Dobbiamo ascoltare le storie degli altri, mettere in comune le sofferenze, e lavorare insieme per guarire le ferite del passato”.

Per questo la memoria deve trasformarsi in azioni di pace: “Soltanto così potremo trasmettere ai giovani, idealmente, in questa Giornata del Ricordo (insieme all’orgoglio di una conseguita identità europea, tanto propria alle culture dei popoli del confine orientale) il testimone della speranza, incoraggiandoli a mantenere viva la memoria storica delle sofferenze patite da loro connazionali, adoperandosi perché vengano evitati errori e colpe del passato, promuovendo, ovunque rispetto e collaborazione…

La Repubblica guarda alle vicende drammatiche vissute dagli italiani di Istria, Dalmazia, Fiume con rispetto e con solidarietà, e lavoriamo, nell’Unione Europea, insieme alla Slovenia, alla Croazia e agli altri Paesi amici per costruire, ogni giorno, nuovi percorsi di integrazione, amicizia e fratellanza tra i popoli e gli Stati”.

Qualche giorno prima il presidente Mattarella si era recato a Gorizia e Nova Gorica per l’inaugurazione della Capitale europea della Cultura aveva sottolineato il compito della cultura: “Se la cultura, per definizione, non conosce confini, essa nasce, pur sempre, come espressione di una comunità ma aperta alla conoscenza, alla ricerca comune, ai reciproci arricchimenti. Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza”.

Solo con la cultura si può sconfiggere la guerra: “Sono i valori che possono opporsi all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera – la prima con questa esperienza – significa avere il coraggio di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure. Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso”.

Per questo il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha invitato a fare scelte di cultura: “Abbiamo il dovere di prenderci cura del nostro cuore perché da esso sgorghino scelte di vita, per noi, per il nostro Paese e anche per altri Paesi e popoli. Scelte di cultura, di nobile politica. E queste, per natura loro, vogliono contaminare altri Paesi e popoli.

In Dio vogliamo ritrovare le energie e l’intelligenza, la sapienza per coniugare valori fondanti per una convivenza di giustizia e di pace, di libertà e di rispetto, anche per i più deboli, anche per chi non appartiene alla nostra lingua, cultura, religione. C’è un’appartenenza che Gesù ci ha insegnato: Dio si prende premura di questa umanità ferita.  Voglio imparare da Gesù, e questo rende la mia fede unica: essa, nella fedeltà a Dio, mi protrae al prendermi cura di tutte le vittime, di tutti gli umiliati, di tutti gli oppressi”.

E’ un invito alla speranza, come quello formulato dall’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli: “Non dobbiamo però essere pessimisti e perdere la speranza. Ci sono ancora dei segni positivi: un paio di ore fa ero in piazza Transalpina, con i due presidenti della repubblica italiano e sloveno e tante persone, per l’avvio ufficiale di Nova Gorica e Gorizia insieme capitale europea della cultura. Un bel segno che speriamo faccia crescere qui da noi la voglia e l’impegno per la pace, la giustizia, la riconciliazione”.

(Foto: Quirinale)

Papa Francesco vuole preparare un’esortazione per i bambini

“Per dare continuità a questo impegno e promuoverlo in tutta la Chiesa, ho intenzione di preparare, una lettera, un’esortazione dedicata ai bambini”: lo ha detto papa Francesco in conclusione dei lavori del Summit mondiale sui diritti dei bambini, dal titolo ‘Amiamoli e proteggiamoli’, organizzato dal Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini.

Dopo aver espresso gratitudine ai partecipanti, il papa ha osservato che “le sale del Palazzo Apostolico oggi sono diventate un osservatorio aperto sulla realtà dell’infanzia nel mondo intero, un’infanzia che purtroppo è spesso ferita, sfruttata, negata… La vostra presenza, la vostra esperienza e la vostra compassione hanno dato vita a un osservatorio e soprattutto a un laboratorio: in diversi gruppi tematici avete elaborato proposte per la tutela dei diritti dei bambini, considerandoli non come dei numeri, ma come dei volti. Tutto questo dà gloria a Dio, e a Lui noi lo affidiamo, perché il suo Santo Spirito lo renda fecondo e fruttuoso. I bambini ci guardano per vedere come mandiamo avanti la vita”.

Prima dell’intervento conclusivo il papa aveva letto la lettera consegnatagli da una rappresentanza di bambini: “Ti scriviamo a nome dei bambini di tutta la terra, ti vogliamo ringraziare perché ti preoccupi per noi e per il nostro futuro, ci vuoi bene e ci proteggi”.

La lettera dei bambini è stata un ringraziamento per il suo impegno: “Grazie per tutto quello che fai per noi! Grazie perché ascolti le nostre domande e ti prendi del tempo per rispondere, come nella Giornata Mondiale dei Bambini, quel giorno, abbiamo imparato tante cose ed è stato bello sentire e capire quello che ci dicevi… Quel giorno abbiamo capito che tu vuoi il nostro aiuto per cambiare il mondo: come è adesso a te non piace e non piace neanche a noi! Troppi bambini soffrono per la fame, per la guerra, per il colore della pelle diverso, per i disastri ambientali”.

Ed hanno delineato il mondo che vorrebbero: “Vorremmo un mondo più giusto, senza divisioni tra i popoli, tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani… Un mondo che sia anche più pulito, in cui l’inquinamento non distrugge le foreste, sporca il mare e uccide tanti animali, abbiamo capito che è più importante salvare la terra che avere tanti soldi. Vorremmo un mondo per tutti, nessuno escluso! Un mondo in cui tutti i bambini possano crescere bene, studiare, giocare, vivere sereni. Vogliamo la pace!”

Quindi un mondo senza guerra, concludono nella lettera, chiedendo l’aiuto del papa: “Non vogliamo vivere in un mondo con la guerra… La guerra non si deve fare, non serve a niente: distrugge, uccide e rende tutti più tristi ma questo, ancora, certi grandi non lo sanno! Insieme a te vogliamo ripulire il Mondo dalle cose brutte, colorarlo con l’amicizia e il rispetto, e aiutarti a costruire un futuro bello per tutti! E’ difficile? Ma se tu ci aiuti diventa più facile!”.

In questo summit p. Ibrahim Faltas, vicario della Custodia in Terra Santa, ha raccontato la vita dei bambini in Terra Santa: “La guerra iniziata sedici mesi fa ha portato morte e distruzione, ha moltiplicato la sofferenza dei bambini palestinesi e dei bambini israeliani… La pace è il diritto fondamentale dei bambini, che devono essere allontanati da qualsiasi cultura che incita all’odio e alla violenza… A Gaza i bambini hanno sofferto la fame, la sete, il freddo, il caldo, la mancanza di cura e di istruzione”.

Ed ha invocato la pace: “Sono mancati i bisogni e i diritti essenziali. La tregua e la tanta desiderata pace potranno dare sollievo alle necessità fisiche e materiali dei bambini, ma sarà difficile cancellare i traumi visibili e invisibili che hanno lasciato sul corpo e la mente dei bambini. Tanti bambini sono nati in questi sedici mesi di guerra: la vita che risplende tra le macerie sia segno di speranza.

Sono tanti i bambini morti in questi sedici mesi, tanti non hanno avuto la possibilità di salvarsi… Per il secondo anno consecutivo i bambini non possono andare a scuola, perché le scuole sono state distrutte. Trentanovemila ragazzi non hanno potuto affrontare gli esami di maturità, e sarà così per tanti di loro anche quest’anno. Non vedono il loro futuro e stanno perdendo la speranza del futuro”.

I vescovi della Puglia non legittimano la guerra

“Questa sera siamo qui, insieme, come Popolo di Dio, non semplicemente per pregare invocando il dono della pace, ma per celebrarla. In un mondo segnato dalla piaga delle guerre, noi celebriamo la pace, la pace con la ‘P’ maiuscola, quella vera, la sola in grado di trasformare nel profondo il cuore dell’uomo: Cristo Gesù! E’ Lui il vero nome della pace… Non è possibile legittimare la guerra neanche dinanzi a ingiustizie criminali. La guerra è sempre un tornare indietro e un aprire alla barbarie”: lo ha affermato mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pugliese (Cep), nell’omelia pronunciata nella celebrazione eucaristica nella basilica di San Nicola a Bari, durante l’assemblea ordinaria dei vescovi pugliesi, svoltasi fino al 15 gennaio presso l’Oasi francescana ‘De Lilla’ di Bari.

Nell’omelia l’arcivescovo di Bari ha invitato ad essere ‘servitori luminosi’ come il santo barese: “Da sempre il Signore ci ha pensati e plasmati come servitori luminosi della Sua Parola che arreca pace e salvezza, perché tale salvezza possa raggiungere tutti, ma proprio tutti, come afferma il profeta Isaia… San Nicola, con i suoi gesti, con la sua vita, ci richiama insistentemente al nostro essere servitori luminosi del Regno di Dio, un Regno che si va realizzando nella storia, nonostante a volte sembri che le tenebre dell’odio e della vendetta prevalgano, dissimulando la verità luminosa della pace e della salvezza”.

La Bibbia invita ad essere custode del ‘gregge’: “Custodire implica un amore unico e totalizzante nei confronti del Signore, nostra Pace, che ci chiede: ‘mi ami tu, più di tutto il resto?’. Solo un amore grande per il Signore può aprirci a un’alterità da custodire e non da manipolare in maniera dispotica e indegna, passando dalla logica mortifera di Caino a quella feconda di vita a cui Cristo ci orienta; dalla logica prepotente e omicida, alla pace di popoli fratelli che si riscoprono insieme eredi di un’unica Promessa di futuro, la quale si realizza nelle reciproche libertà”.

Un ‘appello’ alla pace ed alla custodia che è sfida evangelica: “Ecco la sfida evangelica: mettersi in gioco, sapendo rigenerare le relazioni, i valori del vivere, alimentando la cultura dell’incontro, perché da indifferenti e ostili si possa divenire ospitali. L’immagine dei pascoli, in cui il Signore desidera pascere il suo popolo, e che attraversa tutta la liturgia della Parola, accende la nostra fantasia, rievocando orizzonti ampi, profumi intensi che aprono a respiri profondi. ‘Inspirare’ la pace, accoglierla in noi, facendole spazio nei pensieri, nei sentimenti, nei gesti, nei linguaggi: questo ci aiuta a viverne la profezia”.

Tutto ciò si può ottenere attraverso la preghiera: “C’è una sottile operazione di discredito sul tema della pace che, come Chiesa, non possiamo sottacere e, dinanzi alla quale dobbiamo abbracciare con forza la risorsa della preghiera. La preghiera è patrimonio di tutti e, in particolare, la preghiera d’intercessione, vissuta da Gesù sulla croce, ha il sapore della misericordia e l’obiettivo della riconciliazione”.

La pace si ‘ottiene’ solo se uno è capace di viverla: “Non ci può essere pace nel mondo se prima non ci lasciamo abitare da lei, se non ci lasciamo rappacificare intimamente dalla voce del Signore che richiama ciascuno, con il suo amore impossibile, a realizzare tutto il bene possibile”.

Per questo ha chiamato gli operatori di pace ‘audaci’: “I veri audaci non sono quelli che in nome di una causa, giusta per quanto sia, uccidono i fratelli. Veri audaci sono piuttosto coloro che coltivano la pace come frutto della giustizia, secondo l’espressione del profeta Isaia. La non-violenza è l’unica scelta cristiana in linea con il Vangelo di Gesù Cristo”.

Quindi l’altro passo, che non può essere disgiunto dalla pace è la preghiera: “Il perdono di Cristo ci aiuta a trovare il pascolo comune dove possiamo condividere il cibo della pace con chiunque, con il povero e con il ricco, con l’amico e con il nemico, con il fratello e con lo straniero. Un pascolo comune dove approdare insieme, sapendoci fidare di quella parola perentoria e soave: Seguimi”.

Così ha fatto san Nicola di Mira: “Il Santo vescovo di Mira, nostro grande intercessore, ha seguito il Signore nella sua vita così da diventare egli stesso segno efficace del suo Amore, pastore vittorioso non nel potere o nel successo, ma in quella peculiare capacità di edificare il Regno di Dio in mezzo agli uomini. Da qui, da questo altare, da questa comunione vissuta, desideriamo implorare l’aiuto del Signore mediante l’intercessione di Nicola”.

Papa Francesco invita a sognare come Giuseppe

“Esprimo la mia preoccupazione per l’aggravarsi della situazione securitaria nella Repubblica Democratica del Congo. Esorto tutte le parti in conflitto ad impegnarsi per la cessazione delle ostilità e per la salvaguardia della popolazione civile di Goma e delle altre zone interessate dalle operazioni militari. Seguo con apprensione anche quanto accade nella Capitale, Kinshasa, auspicando che cessi quanto prima ogni forma di violenza contro le persone e i loro beni. Mentre prego per il pronto ristabilimento della pace e della sicurezza, invito le Autorità locali e la Comunità internazionale al massimo impegno per risolvere con mezzi pacifici la situazione di conflitto”. 

Al termine dell’udienza generale papa Francesco ha espresso preoccupazione per la situazione nella Repubblica democratica del Congo, dove le milizie ribelli del ‘Movimento per il 23 marzo’ (M23) hanno annunciato d’aver preso il controllo di Goma, la più importante città del Nord Kivu, regione ricca di risorse minerarie al confine con il Rwanda, invitando a non dimenticare gli altri conflitti: “E non dimentichiamo di pregare per la pace: Palestina, Israele, Myanmar e tanti Paesi che sono in guerra. La guerra sempre è una sconfitta! Preghiamo per la pace”.

Mentre nel saluto in lingua polacca ha ribadito di non abbandonare la memoria delle vittima nei lager: “In questi giorni ricordiamo i vostri connazionali che insieme ai membri delle altre nazioni furono vittime dello sterminio nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Siate custodi della verità e della memoria di questa tragedia e delle sue vittime, tra cui non pochi martiri cristiani. E’ un monito per il costante impegno per la pace e per la difesa della dignità della vita umana in ogni nazione e in ogni religione”.

Infine ha ricordato la festa di san Giovanni Bosco: “Ricorre dopodomani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui come a un maestro di vita e apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Dio, Padre misericordioso”.

Mentre nell’udienza generale il papa ha proseguito la catechesi su ‘Gesù Cristo, nostra speranza’, incentrando la riflessione sull’annuncio a san Giuseppe con l’invito a chiamarLo Gesù: “Se Luca ci permette di farlo nella prospettiva della madre, la Vergine Maria, Matteo si pone nella prospettiva di Giuseppe, l’uomo che assume la paternità legale di Gesù, innestandolo sul tronco di Iesse e collegandolo alla promessa fatta a Davide”.

E’ descritto come ‘fidanzato di Maria’: “Giuseppe entra in scena nel Vangelo di Matteo come il fidanzato di Maria. Per gli ebrei il fidanzamento era un vero e proprio legame giuridico, che preparava a ciò che sarebbe accaduto circa un anno dopo, cioè la celebrazione del matrimonio. Era allora che la donna passava dalla custodia del padre a quella del marito, trasferendosi in casa con lui e rendendosi disponibile al dono della maternità”.

Nel Vangelo è definito anche come uomo ‘giusto’: “Matteo definisce Giuseppe come un uomo ‘giusto’ (zaddiq), un uomo che vive della Legge del Signore, che da essa trae ispirazione in ogni occasione della sua vita. Seguendo pertanto la Parola di Dio, Giuseppe agisce ponderatamente: non si lascia sopraffare da sentimenti istintivi e dal timore di accogliere con sé Maria, ma preferisce farsi guidare dalla sapienza divina. Sceglie di separarsi da Maria senza clamori, privatamente. E questa è la saggezza di Giuseppe che gli permette di non sbagliarsi e di rendersi aperto e docile alla voce del Signore”.

A questo punto il papa ha introdotto il tema del ‘sogno’, che nella Bibbia è molto presente: “Ora, che cosa sogna Giuseppe di Nazaret? Sogna il miracolo che Dio compie nella vita di Maria, e anche il miracolo che compie nella sua stessa vita: assumere una paternità capace di custodire, di proteggere e di trasmettere un’eredità materiale e spirituale. Il grembo della sua sposa è gravido della promessa di Dio, promessa che porta un nome nel quale è data a tutti la certezza della salvezza”.

Di fronte a tale ‘sogno’, come è avvenuto nel ‘sogno’ dell’altro Giuseppe, figlio di Giacobbe, egli si fida di Dio: “Di fronte a questa rivelazione, Giuseppe non chiede prove ulteriori, si fida. Giuseppe si fida di Dio, accetta il sogno di Dio sulla sua vita e su quella della sua promessa sposa. Così entra nella grazia di chi sa vivere la promessa divina con fede, speranza e amore”.

Quindi, riprendendo il libro di papa Benedetto XVI sull’infanzia di Gesù, il papa ha concluso la catechesi con l’invito all’ascolto della Parola di Dio: “Giuseppe, in tutto questo, non proferisce parola, ma crede, spera e ama. Non si esprime con ‘parole al vento’, ma con fatti concreti. Egli appartiene alla stirpe di quelli che l’apostolo Giacomo chiama quelli che ‘mettono in pratica la Parola’, traducendola in fatti, in carne, in vita… Sorelle, fratelli chiediamo anche noi al Signore la grazia di ascoltare più di quanto parliamo, la grazia di sognare i sogni di Dio e di accogliere con responsabilità il Cristo che, dal momento del nostro battesimo, vive e cresce nella nostra vita”. (Foto: Santa Sede)     

Papa Francesco: la carità aiuta a cambiare il mondo

“Venticinque anni fa, durante il Grande Giubileo del 2000, fu istituita la Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia. Ora è appena iniziato un altro Anno Giubilare, che coincide felicemente con la celebrazione del vostro 25^ anniversario. E’ molto bello che lo facciate con un pellegrinaggio a Roma, dove potete rinnovare la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, presso le tombe degli Apostoli. A me piace pensare che tutta questa costruzione vaticana è sopra le tombe dei martiri. Sono stati sepolti qui, qui sotto”: oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i rappresentanti della Fondazione che da 25 anni sostiene gli appartenenti al corpo pontificio e le loro famiglie sia negli anni di servizio in Vaticano sia dopo il rientro nei luoghi di provenienza.

Ed è un ‘lavoro’ che chiede molta pazienza: “Il vostro prezioso impegno, infatti, deve essere sempre animato da uno spirito di fede e di carità, perché aiutare la Guardia Svizzera Pontificia significa sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero nella Chiesa universale; anch’io personalmente sono molto grato per il servizio fedele delle guardie.

Nei tempi il lavoro della Guardia Svizzera è molto cambiato, ma la sua finalità rimane sempre quella di proteggere il papa. Questo comporta anche di contribuire all’accoglienza di tanti pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo che desiderano incontrarlo. Per questo ci vuole pazienza, e le guardie ne hanno! Questa è una cosa bella di loro: ripetono le cose, spiegano… Una pazienza molto grande”.

Ed ha ringraziato la Fondazione per il supporto dato alle guardie ed alle loro famiglie: “La vostra Fondazione supporta le guardie in diversi modi e ambiti: in primo luogo si adopera in favore delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei figli negli istituti scolastici appropriati. A me piace che le guardie si sposino; a me piace che abbiano dei figli, che abbiano una famiglia. Questo è molto importante, molto importante. Questo aspetto è diventato tanto più rilevante, in quanto le guardie sposate con figli sono aumentate e il bene delle famiglie è di fondamentale importanza per la Chiesa e la società”.

Inoltre ha evidenziato la collaborazione ed il sostegno che essa mette a disposizione: “ Inoltre, la Fondazione fornisce i mezzi per garantire, migliorare e aggiornare la professionalità e i metodi di lavoro, delle attrezzature e delle infrastrutture. Infine, offrite una valida assistenza per tutti coloro che, dopo il loro servizio in Vaticano, rientrano in patria. Io sono in contatto con alcuni di questi, che rimangono molto, molto uniti al Vaticano, alla Chiesa. A volte chiamano al telefono, inviano qualcosa; quando passano da Roma mi fanno visita. E’ un bel contatto che ho.

E tutto questo è necessario perché le guardie possano svolgere il loro prezioso servizio nel modo più efficace e per il bene di tutti. La cooperazione tra la vostra Fondazione e la Guardia Svizzera Pontificia è esemplare, perché dimostra che nessuna realtà può andare avanti da sola. E’ importante collaborare. Tutti dobbiamo aiutarci e sostenerci a vicenda e questo vale per voi, per le singole comunità, ma anche per la Chiesa intera”.

E’ stato un ringraziamento per questo supporto: “Perciò vorrei cogliere l’occasione di questo incontro con voi per esprimervi la mia viva gratitudine per il generoso sostegno che avete elargito a favore della Guardia Svizzera Pontificia durante questi venticinque anni. Grazie, grazie tante! E auspico che anche in futuro possiate proseguire il vostro apprezzato lavoro”.

In seguito il papa ha ricevuto una sessantina di membri della ‘Fondazione Cattolica’ di Verona, incoraggiandoli a disporre delle risorse economiche a ‘vantaggio del prossimo’: “Sono lieto di incontrarvi all’inizio di quest’anno, nel quale celebriamo il Giubileo della speranza. Insieme, peregrinantes in spem: camminare come pellegrini nel mondo ci ricorda che non ne siamo padroni, bensì custodi. Questo ci riguarda tutti: siamo chiamati a prenderci cura della casa comune che il Signore ci ha affidato, cioè a coltivarla e custodirla secondo una regola sapiente e rispettosa; custodire la nostra casa comune”.

Ricordando il significato di ‘economia’ il papa ha incoraggiato a proseguire nelle azioni a favore del bene comune: “A tale proposito, la vostra Fondazione è attiva in molti ambiti sociali. Ho appreso con piacere le iniziative di solidarietà, di sostegno al volontariato, di formazione culturale e professionale a cui vi dedicate. Lodo soprattutto quelle a sostegno delle famiglie e dei giovani, in collaborazione con la diocesi di Verona.

L’intraprendenza e la generosità del vostro operato è coerente col nome della Fondazione che rappresentate: Cattolica. Vi incoraggio perciò ad andare avanti facendo del bene sempre e a tutti. Facendo non stiamo fermi; fare del bene, e a tutti, fare del bene a tutti. Un bel programma di vita!”

Inoltre ha sottolineato che il denaro rende meglio se investito in opere a favore del prossimo: “Non dimentichiamo che il denaro rende di più quando è investito a vantaggio del prossimo. Questo è importante. C’è una situazione molto brutta, adesso, sugli investimenti. In alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi: investire per uccidere. Sono pazzi!”

Per questo il papa ha evidenziato che investire in armamenti è contro le persone: “Questo non è a vantaggio della gente. E quando si fa così, contro o fuori rispetto al vantaggio della gente, il denaro invecchia e appesantisce il cuore, rendendolo duro e sordo alla voce dei poveri. La prima cosa da scartare per l’egoismo sono i poveri, è curioso questo”.

Infine li ha esortati a promuovere il bene comune: “Quando mettiamo la ricchezza a servizio della dignità dell’uomo, non possiamo che averne guadagno, sempre: promuovendo il bene comune, infatti, si migliorano i legami della società cui tutti partecipiamo.

Davanti alle emergenze educative e lavorative, vi esorto a rinnovare di continuo la vostra fiducia nella Provvidenza di Dio, che guida con amore la storia chiamandoci a costruire un futuro secondo giustizia”.

(Foto: Santa Sede)

Frère Matthew: la speranza consente di non scoraggiarsi

Con l’annuncio che nel prossimo fine anno il 48^ incontro dei giovani europei si svolgerà a Parigi, a Tallinn continuano a meditare sulla lettera di frère Matthew, che ha raccontato la sua partecipazione all’incontro europeo di Barcellona nel 1985 con l’invito a prendersi cura, perché è un’esperienza importante : “Quando ho partecipato da giovane all’incontro di Taizé a Barcellona nel 1985, sono stato accolto inizialmente in una grande scuola. Non era quello che mi aspettavo e non è stato facile. Ma poco a poco è diventata un’esperienza importante di vita comunitaria e di condivisione. Prendersi cura gli uni degli altri, essere disposti a servire e abbracciare uno stile di vita semplice hanno plasmato la mia visione per il futuro”.

Così avviene anche oggi: “Durante questo incontro avrete anche l’opportunità di partecipare a una vasta gamma di workshop. Spero che questo vi sostenga nella vostra ricerca e vi permetta di incontrare estoni impegnati le cui testimonianze possono incoraggiarci nel nostro cammino di fede”.

Quindi il passato è necessario per costruire il futuro: “Ieri ho detto che non possiamo dimenticare il passato, ma che possiamo guardarlo per costruire l’oggi e costruire passo dopo passo il nostro futuro. In tanti dei nostri paesi siamo feriti dalla storia e ancora oggi ne portiamo le cicatrici. Altri tra voi, soprattutto quelli in Ucraina, stanno ancora sperimentando gli orrori della guerra”.

Ed ha raccontato la sua visita natalizia in Libano: “Ho trascorso la settimana scorsa in Libano. Con uno dei miei fratelli di quel Paese abbiamo visitato i cristiani in diversi luoghi per festeggiare con loro il Natale. Sapete che il Medio Oriente è attualmente dilaniato dalla guerra. Abbiamo tanti amici lì e la nostra visita è stata un piccolo segno di solidarietà nei loro confronti”.

Quindi ha raccontato l’accoglienza offerta dal Libano: “La generosità dell’accoglienza in un Paese dove c’è stata tanta distruzione mi ha tolto il fiato. In molte parti del Paese gli edifici sono in rovina, ma le persone stanno dimostrando un’incredibile resilienza.

Questa resilienza è un modo per resistere alla violenza che è stata scatenata. C’è tanta incertezza oggi. La guerra potrebbe tornare. Nonostante ciò, le persone che abbiamo incontrato hanno condiviso la gioia del Natale. La loro fede è la luce che splende nelle tenebre”.

Ma nonostante la guerra i giovani libanesi non hanno perso la speranza: “Abbiamo anche incontrato uno sceicco musulmano nel sud del Paese. La sua casa è stata distrutta e alcuni villaggi vicini sono ancora inaccessibili. Le bombe cadevano ancora quando seppellì anche i morti cristiani aspettando che il sacerdote venisse a compiere i riti necessari.

Quando ho parlato con i giovani libanesi durante i recenti bombardamenti, ho potuto percepire la loro speranza per un futuro di pace e giustizia. Il loro coraggio era palpabile, anche se la disperazione non era lontana… Questo è quello che ho sentito molto forte ascoltando questi giovani. Gli incontri della scorsa settimana hanno confermato ciò che avevo sentito in precedenza”.

Però l’invito  del priore di Taizè è quello di non scoraggiarsi: “Gesù stesso è nato nella povertà, in un tempo in cui nulla era chiaro nel paese in cui avrebbe vissuto. Anche noi possiamo trovarci in situazioni in cui non vediamo la strada da seguire. Potremmo sentirci arrabbiati e impotenti riguardo a certe realtà, ma questo può spingerci all’azione?.. I gesti più semplici possono diventare indicatori del nostro desiderio di speranza”.

Ma a quali scelte ognuno è chiamato?: “Quando ho visitato l’Ucraina a maggio, ho incontrato tante persone, giovani e anziani, che donano il loro tempo e le loro forze per aiutare gli altri. Penso a questo giovane che è stato direttore di un orfanotrofio, a questa donna che organizza corsi di formazione in medicina d’urgenza e traumatologica, a questa vedova il cui marito è stato ucciso l’anno scorso e che gestisce un’associazione per bambini con bisogni speciali”.

A tale meditazione è seguita la testimonianza di Marta e Andriana, provenienti da Leopoli: “Sarò sincero, non è sempre facile mantenere la speranza quando vediamo questa ingiustizia che dura da così tanto tempo… Ma ciò che ci aiuta a non perderla è la fede. Crediamo che ciò che non è possibile per gli esseri umani sia possibile per Dio. C’è sempre l’alba dopo una notte buia. Crediamo che Lui sia sempre con chi soffre e che senta anche il nostro dolore. Sappiamo anche che Egli non ci lascia soli in questa difficile situazione”.

Mentre Marta ha chiesto di intensificare la preghiera: “In questi tempi difficili e bui, è molto importante rimanere uniti nella preghiera e restare uniti. Vi chiediamo di pregare con noi per la sovranità dell’Ucraina, per la fine dell’aggressione contro il nostro Paese, per la saggezza dei governi e per la pace futura.

Pregate per tutte le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra crudele e ingiusta, che hanno perso i loro cari e le loro case, per i nostri soldati che ci proteggono ogni giorno a rischio della loro vita. Possa ogni famiglia ritrovarli sani e salvi a casa. Per tutti coloro che sono stati catturati, feriti, dispersi, che provano dolore fisico o mentale, sofferenti e bisognosi. Grazie per le vostre preghiere, le sentiamo tutti!”

Nel messaggio l’arcivescovo di York, Stefano Cottrell, ha invitato i giovani ancora incerti a lasciarsi incontrare da Cristo: “Ma al centro c’è Cristo e il suo invito a venire a Lui per trovare speranza e pace nella nostra vita e nel mondo. Se ti trovi qui incerto su cosa questo significhi per te o sul motivo per cui sei venuto, sappi che sei in buona compagnia. Come Pietro, spesso stiamo davanti a Gesù con un misto di gioia e preoccupazione, ma non c’è posto migliore dove stare, perché è lì che troviamo le parole di vita eterna. Possano guidarti nei giorni a venire. E possa Cristo governare la tua vita”.

Anche la segretaria generale della federazione luterana mondiale, Anna Burgardth, ha sottolineato l’importanza dell’incontro: “E’ tanto importante incontrarsi, ascoltarsi attentamente, dialogare, lasciarsi trasformare dagli incontri. Quando ci riuniamo nel nome di Dio, in definitiva è Dio che ci trasforma attraverso gli incontri. Non possiamo trasformarci. La trasformazione è opera di Dio, dello Spirito Santo, che sempre ci modella, che ci trasforma in persone di pace, persone di speranza e comunità di riconciliazione e giustizia”.

Però questa ‘trasformazione’ richiede perseveranza: “Lo Spirito Santo ci chiama a questa trasformazione permanente delle nostre menti, dei nostri cuori e dei nostri atteggiamenti, che poi ha un impatto sulle comunità a cui apparteniamo, affinché anch’esse diventino comunità di speranza nel nostro mondo.

Una comunità di speranza vede in ogni essere umano un fratello o una sorella. Prende sul serio ciò che la Scrittura insegna sull’incontro con Gesù Cristo in ogni persona bisognosa. Ella si oppone all’ingiustizia, affinché la giustizia scorra liberamente. Sostiene la donazione di tutti i suoi membri, indipendentemente dalla loro etnia o sesso. E prende sul serio il compito di nutrire la creazione di Dio”.

(Foto: Taizè)

Marcia della pace a Pesaro per perdonare i debiti

Si svolge oggi a Pesaro la 57ª marcia nazionale per la pace, organizzata dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la Caritas Italiana, l’Azione Cattolica, Pax Christi Italia, il Movimento dei Focolari, l’Agesci, le Acli, Libera con l’Arcidiocesi di Pesaro e di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado.

La marcia inizia alle ore 15.30 all’Anfiteatro del Parco Miralfiore ed arriva alla Cattedrale di Pesaro, dove alle ore 21 sarà celebrata la Santa Messa, presieduta da Mons. Sandro Salvucci, Arcivescovo di Pesaro e di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, e trasmessa in diretta da Tv2000. Lungo il percorso si alterneranno testimonianze e letture di brani che richiamano il messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace sul tema: ‘Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace’ con le testimonianze di alcune esperienze di accoglienza, dialogo e nonviolenza presenti sul territorio nazionale.

Senza dimenticare i diversi contesti di conflitto, in particolare la Terra Santa, la Siria e l’Ucraina, hanno spiegato i promotori: “In questa stagione segnata da guerre insensate vogliamo sintonizzarci con lo stile giubilare invocato da Papa Francesco: per costruire la pace occorre generare perdono e saper rimettere i debiti. Senza giustizia sociale non c’è pace. Senza riconoscimento dell’altro non c’è futuro. Marceremo a Pesaro, città della cultura 2024, per ricordare a tutti la necessità di educare a una cultura della pace, fatta di incontro, di amicizia sociale e di relazioni rinnovate. Il Giubileo ci converta per trasformare l’arma del credito in debito di riconciliazione e di giustizia sociale e ambientale”.

Quest’anno c’è anche la Fiaccola della pace, portata da una delegazione del pellegrinaggio Macerata-Loreto. Il percorso si snoda su un tracciato cittadino di oltre 5 km con tre tappe di riflessione. Si inizia con il tema del perdono, presso il monumento alla Resistenza, a ottant’anni dallo sfondamento della linea gotica che passava proprio da Pesaro. Interverrà Giorgio Pieri, del progetto CEC (Comunità educanti con i carcerati) della Comunità Papa Giovanni XXIII. Poi sarà la volta del racconto di Lassina Doumbia, un migrante che permetterà di pensare alle nostre responsabilità nei confronti delle popolazioni sfruttate.

La seconda tappa, presso la chiesa di Santa Maria del Porto, metterà al centro il tema del debito, con l’intervento di Gabriele Guzzi, economista dell’Università di Cassino, e la testimonianza di EJohn Mpaliza, attivista congolese e fondatore di ‘Peace Walking Man Foundation’. L’ultima tappa si terrà presso la sfera grande di Pomodoro e toccherà il tema del disarmo, con don Fabio Corazzina e Elio Pagani di Pax Christi. Durante la marcia ci saranno altri momenti di ascolto come la testimonianza di Alberto Capannini, volontario dell’operazione ‘Colomba’ in Ucraina.

Infatti nel messaggio per tale giornata della pace papa Francesco ha richiamato ciascuno alla responsabilità: “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità”.

A tutti il papa propone un ‘cammino di speranza’ fatto di “tre azioni possibili, che possano ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza, affinché si superi la crisi del debito e tutti possano ritornare a riconoscersi debitori perdonati”. Infine l’appello ad utilizzare “almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico”.

(Foto: Caritas)

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