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I Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: a colloquio con Marina Casini

Oggi i volontari del Movimento per la Vita hanno festeggiato la loro festa con un messaggio di papa Francesco letto dal card. Pietro Parolin, segretario di stato, in occasione dei 50 anni dalla nascita del primo Centro aiuto alla vita, a Firenze: lo ha annunciato la presidente nazionale del Movimento per la vita, dott.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma, nello scorso novembre al convegno nazionale di Mogliano Veneto:
“Ci sono momenti e ricorrenze che hanno una forza espansiva tale da non coinvolgere soltanto i diretti interessati, ma (come in questo caso) un intero popolo: il popolo della vita. Mezzo secolo fa fu gettato il primo seme a Firenze, e da lì è partita un’avventura straordinaria (un vero e proprio movimento per la vita!) che in questi dieci lustri ha scritto pagine di luce nel libro della storia attraversato dalle oscurità di una cultura generatrice di morte”.
Quindi i Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: quale aiuto offrono e come operano?
“Tutto quello di cui c’è bisogno. Accoglienza, ascolto, condivisione, sostegno, amicizia sono le parole chiave dell’attività dei CAV i cui programma sin dal 1975 è: ‘le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà’. E’ stato scritto dal sociologo Giuliano Guzzo che ‘il servizio alla vita nascente offerto dal Movimento per la Vita tramite i Centri, le Case d’Accoglienza Sos Vita e progetto Gemma è qualcosa di semplicemente grandioso, senza pari per bellezza e valore e, soprattutto, fondamentale per salvare, nel vero autentico e non retorico della parola, decine di migliaia di vite’.
E papa Francesco ricevendo il Direttivo del Movimento per la Vita Italiano, il 2 febbraio 2019, disse: ‘dinanzi a varie forme di minacce alla vita umana, vi siete accostati alle fragilità del prossimo, vi siete dati da fare affinché nella società non siano esclusi e scartati quanti vivono in condizioni di precarietà. Mediante l’opera capillare dei Centri di Aiuto alla Vita, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone’.
Questo solo per dare una idea dell’importanza e della bellezza di questo volontariato appassionato e non appariscente come è stato detto. In sostanza si tratta di stare accanto alle donne che si trovano di fronte a una gravidanza problematica o inattesa, offrendo una reale prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto. Questa prevenzione si realizza mediante la condivisione delle difficoltà, la rimozione delle cause, l’offerta di alternative, la liberazione dai condizionamenti che spingono la donna a non far nascere il figlio. E purtroppo i condizionamenti e le pressioni che soffocano la libertà di accogliere il figlio. Quante donne parlano di ‘costrizione’ all’aborto! E quanta libertà viene conquistata dalla donna quando lei stessa (accolta, mai giudicata, sostenuta ed accompagnata) dice ‘sì’ al suo bambino o alla sua bambina!”
In quale modo il CAV può offrire ‘libertà’ alla madre?
“Ci sono testimonianze bellissime a riguardo. Il motore di questo volontariato è questo abbraccio che viene rivolto contemporaneamente alla mamma ed al bambino che porta in grembo. Lo sguardo del cuore non è rivolto soltanto al figlio, ma anche alla madre. L’inabitazione dell’uno nell’altra determina una situazione del tutto irripetibile, per cui la vita del figlio è di fatto affidata, come mai in altri momenti, alla madre. Nessuno può difenderlo più di sua madre, ma è quasi impossibile salvarlo se la madre non vuole. La difficoltà della ‘prevenzione’ sta proprio in questo: che bisogna necessariamente passare attraverso la sua mente e il suo cuore. Nella mente e nel cuore di lei la nuova vita induce per lo più pensieri di gioia. Ma a volte essa pesa con l’ingombro insostenibile di problemi che sconvolgono programmi, ingigantiti dalla fantasia, resi angosciosi dal carattere improvviso dell’evento sopraggiunto, dalla scarsità del tempo a disposizione per riflettere, molto spesso nella solitudine.
Non esistono difficoltà materiali specie economico-sociali, che non possono essere vinte, ma la pressione dell’ambiente è talora così soverchiante che sembra impossibile per una donna già gravata da reali problemi resistervi. E’ appunto per restituire a lei la libertà insieme al coraggio dell’accoglienza che lo sguardo del cuore dei servizi alla vita deve riconoscere la donna come donna e la madre come madre penetrando così nella sua mente e nel suo cuore. Il rapporto non è di giudizio, ma di amicizia. Si tratta di salvare il figlio non contro di lei, ma con lei e per lei. La rete dei CAV protegge la vita nascente con il metodo della condivisione e del sostegno. Non ‘contro’, ma ‘per’; non in ‘antagonismo’, ma in ‘alleanza’; non accompagnamento generico, ma personalizzato.
Uno specifico stile di mitezza e discrezione, di rifiuto del giudizio sulle persone, di ottimismo, di empatia e di dialogo, di disponibilità e di fiducia, di valorizzazione di tutto ciò che è positivo anche nelle situazioni più complicate, caratterizza l’attività dei CAV. Per questo nei CAV si realizzano storie di amicizia che continuano dopo la nascita del bambino. Quello dei CAV è un volontariato culturalmente preparato, collegato ai servizi SOS Vita e Progetto Gemma, che vuole essere espressione di una intera comunità che accoglie rendendo un grande servizio alla società. Perché, infatti, non considerare questa esperienza un modello ripetibile su più larga scala come esperienza che tutta la società deve seguire”.
Suo padre fu fondatore del primo Centro Aiuto alla Vita: quanto è stato importante Carlo Casini per la trasmissione della cultura della vita?
“Direi che il suo contributo è stato senza dubbio fondamentale e lo è ancora. Anche su questo potremmo soffermarci a lungo. Il suo non è stato un impegno come un altro, un’attività tra le tante, ma una vera e propria vocazione, una missione, che si è sviluppata in più ambiti: giuridico, sociale, culturale, politico. Una vocazione profondamente animata da una forte spinta spirituale vissuta in comunione con santi come papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. Basta conoscere la sua storia, leggere quanto lui ha scritto e le tante testimonianze che sono state scritte su di lui e che continuano ad arrivare; basta ripercorrere le tappe del suo totalizzante impegno, chiamare a raccolta le numerose iniziative che per decenni ha promosso in Italia e in Europa. Il tutto sempre con positività, propositività, fiducia e speranza.
Sono in molti a ravvisare il carattere profetico del suo pensiero e delle sue opere. In effetti è evidente l’attualità dei suoi scritti, anche di quelli più datati. Tra e tante cose che si potrebbero dire, sottolineo per esempio la sua convinzione che la questione del diritto alla vita non sia una questione periferica e di retroguardia ma centrale, fondamentale e di avanzamento per costruire un umanesimo sempre più pieno e più vero, come è spiegato molto bene nel suo libro intitolato ‘Vita nascente prima pietra del nuovo umanesimo’ (San Paolo 2016), tradotto in spagnolo lo scorso anno, che in qualche modo va a completare un altro suo basilare testo intitolato ‘Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. Alle radici della bioetica e della biopolitica’ (Edizioni San Paolo, 2010), tradotto in inglese un paio di anni fa.
Scriveva già nel 1979: ‘Ci occupiamo specificamente dell’aborto perché è in gioco la vita dell’uomo; ce ne occupiamo specificamente non per ignorare gli altri problemi umani ma, al contrario, perché non vogliamo annacquare la gravità del problema creandoci degli alibi con più vasti impegni puramente verbali. Tutto l’uomo, in tutto l’arco del suo sviluppo, però ci interessa, ma oggi la ricostruzione di una cultura che ponga al suo centro l’uomo trova sul tema dell’aborto il banco di prova, il luogo di verifica’. ‘Uno di noi, ha scritto molti anni dopo, non deve essere soltanto il nome di eventi esauriti, ma l’affermazione costante ed inesauribile della dignità umana proiettata verso il futuro’.
Ha vissuto tutta la sua totalizzante vocazione a difendere e promuovere la vita umana, amando ogni persona che incontrava ‘non si può essere per la vita, e quindi contro l’aborto, per amore dell’uomo, se non si ama ogni uomo’, diceva. Il 23 marzo 2025 saranno trascorsi 7 anni dalla sua nascita al Cielo. In questi anni gli sono state dedicate alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, sono stati pubblicati numerosissimi interventi sparsi sui giornali e riviste e diversi libri che lo riguardano. In particolare, ricordo la newsletter di Avvenire”.
Ci indica alcuni libri per favorire la conoscenza di questo testimone di impegno a favore della vita?
“Parto da quelli pubblicati dopo la sua nascita al Cielo, ricordando che il suo ultimo libro, bellissimo, recentemente tradotto in inglese, si intitola ‘La dimensione contemplativa nella difesa della vita umana’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2019). Ecco, dunque, in ordine cronologico dal 2020 le varie pubblicazioni: il numero speciale di ‘Sì alla vita’ con moltissime testimonianze e fotografie (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Paola Binetti, Carlo Casini, amico e maestro (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Anna e Alberto Friso (a cura di), ‘Ecce homo… lo avete fatto a me’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Renzo Agasso (a cura di), ‘Sperare contro ogni speranza’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2021); Marina Casini-Domenico Mugnaini (a cura di), ‘Il pensiero e l’azione di Carlo Casini nelle pagine di Toscana Oggi dal 1979 al 2016: articoli, interviste, riflessioni’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021), Stefano Stimamiglio (a cura di), ‘Guardando con fiducia al futuro. In preghiera con Carlo Casini’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021); Carlo Casini, ‘Per ritrovare speranza. La Giornata per la vita: il concepito è uno di noi, Vol. 1 e Vol. 2’, a cura di Marina Casini, Elisabetta Pittino, Giovanna Sedda (Edizioni Movimento per la Vita 2022); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2022); Unione Giuristi Cattolici Italiani-Prato (a cura di), ‘Il pensiero giuridico di Carlo Casini. Il diritto alla vita, il diritto per la vita’ (Edizioni Toscana Oggi, 2023); Stefano Stimamiglio intervista Marina Casini, ‘Carlo Casini. Storia privata di un testimone del nostro tempo’ (Edizioni San Paolo, 2023); Francesco Ognibene (a cura di), ‘Di un Amore Infinito possiamo fidarci. Carlo Casini testimone profeta padre’ (Edizioni Cantagalli, 2023); Aldo Bova-Marina Casini, ‘Carlo Casini, testimone di misericordia’ (Organizzazione e Assistenza Editoriale Center Comunicazione e Congressi, 2023); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo, Introduzioni e meditazioni per il Rosario del 23 – marzo 2022-febbraio 2023’, (Edizioni Movimento per la Vita, 2023); ‘Carlo Casini, La cultura della vita. Quarant’anni di pensiero per il rinnovamento della società’, a cura di Marina Casini (Edizioni Ares, 2023); ‘Carlo Casini, Lettere al popolo della vita, vol. 1’, a cura di Elisabetta Pittino e Soemia Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024); Anna e Alberto Friso, ‘Percorsi in sintonia. Carlo Casini e il Movimento dei Focolari’ (Cantagalli, 2024); Carlo Casini, ‘Uno di noi. La persona al centro dell’Europa’, a cura di M. Casini, G. Grande, E. Pittino, S. Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024). Altre pubblicazioni sono in cantiere”.
Quali altre iniziative legate a Carlo Casini sono in corso?
“A parte qualche iniziativa locale o qualche convegno, sono ad oggi principalmente due le iniziative principali. Dal 2021 ogni 23 del mese un nutrito gruppo di persone si ritrova a pregare online il ‘Rosario del 23 con e per Carlo Casini’. Il coordinatore è Marco Caponi che tutti i mesi organizza e prepara con cura questo momento di preghiera. Chi desidera partecipare può inviare una mail a: rosariodel23concarlo@gmail.com. Giorgio Medici con tanta dedizione segue gli aspetti tecnici del collegamento. Nel 2023 è nata la rete ‘Amici di Carlo Casini’, coordinata da Anna e Alberto Friso, una coppia di coniugi in gamba, motivati e pieni di entusiasmo, che ha conosciuto il babbo fin dagli anni Ottanta e che fa parte del Movimento dei Focolari. La porta è aperta e chi è interessato può scrivere a: amicidicarlocasini@gmail.com.
Il card. Giovanni Battista Re, incoraggiando la Rete ad andare avanti, ha scritto: ‘Quanto egli ha fatto in questo campo è un messaggio che non può cadere nell’oblio ed è una eredità che sprona all’impegno per l’accoglienza e la cura del bambino nella fase prenatale e della sua mamma. Il coraggio e la coerenza di Carlo Casini devono restare una guida. Il patrimonio intellettuale e spirituale che egli ha lasciato è prezioso’. Il 2 marzo 2024 la ‘Rete Amici di Carlo Casini’, in collaborazione con il Movimento per la Vita Italiano ha organizzato a Firenze una bellissima giornata di spiritualità dal tema: ‘In cammino con Carlo Casini. Giornata di spiritualità alla luce della sua testimonianza’ e quest’anno la giornata di spiritualità di svolgerà il 22 marzo a Roma presso l’Università Cattolica. Per iscriversi il rinvio è alla mail amicidicarlocasini@gmail.com alla quale fa riferimento anche l’associazione ‘Amici di Carlo Casini’, costituita il 9 luglio 2024”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco: la carità aiuta a cambiare il mondo

“Venticinque anni fa, durante il Grande Giubileo del 2000, fu istituita la Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia. Ora è appena iniziato un altro Anno Giubilare, che coincide felicemente con la celebrazione del vostro 25^ anniversario. E’ molto bello che lo facciate con un pellegrinaggio a Roma, dove potete rinnovare la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, presso le tombe degli Apostoli. A me piace pensare che tutta questa costruzione vaticana è sopra le tombe dei martiri. Sono stati sepolti qui, qui sotto”: oggi papa Francesco ha ricevuto in udienza i rappresentanti della Fondazione che da 25 anni sostiene gli appartenenti al corpo pontificio e le loro famiglie sia negli anni di servizio in Vaticano sia dopo il rientro nei luoghi di provenienza.
Ed è un ‘lavoro’ che chiede molta pazienza: “Il vostro prezioso impegno, infatti, deve essere sempre animato da uno spirito di fede e di carità, perché aiutare la Guardia Svizzera Pontificia significa sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero nella Chiesa universale; anch’io personalmente sono molto grato per il servizio fedele delle guardie.
Nei tempi il lavoro della Guardia Svizzera è molto cambiato, ma la sua finalità rimane sempre quella di proteggere il papa. Questo comporta anche di contribuire all’accoglienza di tanti pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo che desiderano incontrarlo. Per questo ci vuole pazienza, e le guardie ne hanno! Questa è una cosa bella di loro: ripetono le cose, spiegano… Una pazienza molto grande”.
Ed ha ringraziato la Fondazione per il supporto dato alle guardie ed alle loro famiglie: “La vostra Fondazione supporta le guardie in diversi modi e ambiti: in primo luogo si adopera in favore delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei figli negli istituti scolastici appropriati. A me piace che le guardie si sposino; a me piace che abbiano dei figli, che abbiano una famiglia. Questo è molto importante, molto importante. Questo aspetto è diventato tanto più rilevante, in quanto le guardie sposate con figli sono aumentate e il bene delle famiglie è di fondamentale importanza per la Chiesa e la società”.
Inoltre ha evidenziato la collaborazione ed il sostegno che essa mette a disposizione: “ Inoltre, la Fondazione fornisce i mezzi per garantire, migliorare e aggiornare la professionalità e i metodi di lavoro, delle attrezzature e delle infrastrutture. Infine, offrite una valida assistenza per tutti coloro che, dopo il loro servizio in Vaticano, rientrano in patria. Io sono in contatto con alcuni di questi, che rimangono molto, molto uniti al Vaticano, alla Chiesa. A volte chiamano al telefono, inviano qualcosa; quando passano da Roma mi fanno visita. E’ un bel contatto che ho.
E tutto questo è necessario perché le guardie possano svolgere il loro prezioso servizio nel modo più efficace e per il bene di tutti. La cooperazione tra la vostra Fondazione e la Guardia Svizzera Pontificia è esemplare, perché dimostra che nessuna realtà può andare avanti da sola. E’ importante collaborare. Tutti dobbiamo aiutarci e sostenerci a vicenda e questo vale per voi, per le singole comunità, ma anche per la Chiesa intera”.
E’ stato un ringraziamento per questo supporto: “Perciò vorrei cogliere l’occasione di questo incontro con voi per esprimervi la mia viva gratitudine per il generoso sostegno che avete elargito a favore della Guardia Svizzera Pontificia durante questi venticinque anni. Grazie, grazie tante! E auspico che anche in futuro possiate proseguire il vostro apprezzato lavoro”.
In seguito il papa ha ricevuto una sessantina di membri della ‘Fondazione Cattolica’ di Verona, incoraggiandoli a disporre delle risorse economiche a ‘vantaggio del prossimo’: “Sono lieto di incontrarvi all’inizio di quest’anno, nel quale celebriamo il Giubileo della speranza. Insieme, peregrinantes in spem: camminare come pellegrini nel mondo ci ricorda che non ne siamo padroni, bensì custodi. Questo ci riguarda tutti: siamo chiamati a prenderci cura della casa comune che il Signore ci ha affidato, cioè a coltivarla e custodirla secondo una regola sapiente e rispettosa; custodire la nostra casa comune”.
Ricordando il significato di ‘economia’ il papa ha incoraggiato a proseguire nelle azioni a favore del bene comune: “A tale proposito, la vostra Fondazione è attiva in molti ambiti sociali. Ho appreso con piacere le iniziative di solidarietà, di sostegno al volontariato, di formazione culturale e professionale a cui vi dedicate. Lodo soprattutto quelle a sostegno delle famiglie e dei giovani, in collaborazione con la diocesi di Verona.
L’intraprendenza e la generosità del vostro operato è coerente col nome della Fondazione che rappresentate: Cattolica. Vi incoraggio perciò ad andare avanti facendo del bene sempre e a tutti. Facendo non stiamo fermi; fare del bene, e a tutti, fare del bene a tutti. Un bel programma di vita!”
Inoltre ha sottolineato che il denaro rende meglio se investito in opere a favore del prossimo: “Non dimentichiamo che il denaro rende di più quando è investito a vantaggio del prossimo. Questo è importante. C’è una situazione molto brutta, adesso, sugli investimenti. In alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi: investire per uccidere. Sono pazzi!”
Per questo il papa ha evidenziato che investire in armamenti è contro le persone: “Questo non è a vantaggio della gente. E quando si fa così, contro o fuori rispetto al vantaggio della gente, il denaro invecchia e appesantisce il cuore, rendendolo duro e sordo alla voce dei poveri. La prima cosa da scartare per l’egoismo sono i poveri, è curioso questo”.
Infine li ha esortati a promuovere il bene comune: “Quando mettiamo la ricchezza a servizio della dignità dell’uomo, non possiamo che averne guadagno, sempre: promuovendo il bene comune, infatti, si migliorano i legami della società cui tutti partecipiamo.
Davanti alle emergenze educative e lavorative, vi esorto a rinnovare di continuo la vostra fiducia nella Provvidenza di Dio, che guida con amore la storia chiamandoci a costruire un futuro secondo giustizia”.
(Foto: Santa Sede)
Da Pescara un impegno condiviso contro l’odio, per rammendare il mondo

Con grande entusiasmo e partecipazione si è concluso il GariwoNetwork 2024, evento che ha riunito centinaia di persone a Pescara, presso l’Auditorium Flaiano e gli spazi dell’Aurum, per due giornate di riflessione, dialogo e impegno. Una manifestazione che, partendo dal tema del ‘rammendare il mondo’, ha chiamato a raccolta giovani, educatori, intellettuali e referenti della rete internazionale dei Giardini dei Giusti per confrontarsi su come affrontare le sfide del nostro tempo: divisioni, odio, ingiustizie e crisi ambientale.
I rappresentanti di oltre 80 giardini dei Giusti (compresi quelli in Ruanda e Polonia) e circa 700 persone che hanno assistito alla plenaria e a gli altri momenti della due-giorni hanno vissuto un GariwoNetwork storico per tanti motivi, tra cui:
a) la prima volta lontano da Milano, in un’area culturalmente sempre più viva come quella della costa abruzzese, dove i partecipanti sono stati accolti in maniera encomiabile dal Comune di Pescara e dal suo sindaco, dalla Fondazione PescaraAbruzzo e da tutte le persone coinvolte nell’organizzazione. A Pescara – grazie anche all’instancabile lavoro di Oscar Buonamano, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e ambasciatore di Gariwo proprio nella città abruzzese, nascerà un nuovo Giardino dei Giusti che fungerà da raccordo per tante altre realtà del centro-sud intenzionate ad entrare nella rete di Gariwo;
b) durante il Network di Pescara è stato firmato un memorandum d’intesa tra l’Ufficio del Consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio e la Fondazione Gariwo: da oggi lavoreranno congiuntamente per prevenire i genocidi attraverso progetti educativi e i Giardini dei Giusti.
L’evento si è aperto nell’Auditorium Flaiano con una plenaria di grande intensità. Le parole di benvenuto del sindaco di Pescara, Carlo Masci, hanno evocato la metafora del pescatore che, all’alba, ricuce le reti strappate per continuare a pescare: un’immagine perfetta per descrivere il lavoro quotidiano dei Giusti, che curano le ferite dell’umanità. Il presidente della Fondazione Gariwo, Gabriele Nissim, ha inviato un messaggio di grande significato, nonostante la sua assenza per motivi di salute:
“Oggi viviamo in un mondo in crisi un mondo che ha perso l’idea di collaborazione, segnato dal ritorno di nazionalismi e autocrazie. I Giardini dei Giusti, oggi, possono essere la base per ricostruire una nuova utopia, come è accaduto nel passato. Non sono monumenti, ma strumenti educativi per prevenire quegli strappi che poi, con fatica, vanno rattoppati”.
Le parole di Alice Wairimu Nderitu, special adviser delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi, hanno arricchito ulteriormente il dibattito. Sebbene impossibilitata a partecipare, ha inviato un messaggio, letto da Simona Cruciani, in cui ha ricordato il potere universale dei Giusti. “I Giusti – ha scritto Nderitu – con le loro azioni riuniscono e aggiustano le parti spezzate del mondo, ispirando il bene in luoghi anche molto lontani da noi. I principi su cui si fonda il concetto di Giusto sono universali e ci rimandano alla Carta delle Nazioni Unite, alla Convenzione per la Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
La mattinata si è conclusa con la partecipazione appassionata degli studenti, che hanno rivolto numerose domande agli ospiti presenti, dimostrando un forte interesse per il ruolo dei Giusti e il loro valore educativo. Nel pomeriggio, i workshop intitolati “La scelta” hanno esplorato temi cruciali come i Giusti dell’ambiente, i Giusti dello sport e la filosofia dei Giusti. Filippo Giorgi, climatologo e premio Nobel per la Pace nel 2007 con IPCC, ha sottolineato che “non c’è giustizia sociale senza giustizia ambientale”, mentre Joanna Borella, allenatrice e presidente di A.S.D. Bimbe nel Pallone, ha raccontato come smontare il razzismo nello sport, promuovendo inclusione e abbattendo pregiudizi. Chiudendo la giornata, Erminio Maglione, ricercatore in Storia della filosofia, ha spiegato qual è la filosofia dei Giusti: “Il Giusto è un silenzioso quanto pervicace presidio contro gli orrori che possono nascere nell’uomo”.
La seconda giornata ha visto i lavori proseguire presso l’Aurum, con il laboratorio dedicato ai referenti della Rete dei Giardini dei Giusti. Grazie alla guida esperta dei facilitatori di JoyLab, i partecipanti hanno discusso e condiviso buone pratiche per rafforzare la rete globale dei Giardini. Questo momento di scambio ha rappresentato una straordinaria opportunità per generare nuove idee e sinergie.
Nel pomeriggio, la tavola rotonda conclusiva, intitolata “Ogni persona può rammendare il mondo”, ha riunito ospiti di spicco: Eraldo Affinati, scrittore e cofondatore della scuola Penny Wirton; Simona Cruciani delle Nazioni Unite; Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale; Franco Vaccari, presidente di Rondine Cittadella della Pace; e Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione Pescarabruzzo. Moderati da Oscar Buonamano, gli interventi hanno intrecciato storie, riflessioni e testimonianze che hanno toccato profondamente il pubblico.
Eraldo Affinati ha ricordato che ‘non dobbiamo idealizzare il Giusto’, portando esempi di ragazzi ordinari che, con azioni concrete, rammendano il tessuto sociale: Michelle, una giovane madrelingua che insegna italiano a minori non accompagnati, e Giorgio, uno studente ribelle che si trasforma in un pedagogo nei progetti della Penny Wirton. Per Affinati, è fondamentale riconoscere e valorizzare chi si assume responsabilità in contesti difficili.
Claudia Mazzucato ha parlato del legame tra Giusti e giustizia riparativa, definendo quest’ultima come ‘un rammendo che unisce i lembi spezzati, tessendo relazioni, persino tra nemici’. Ha ammonito contro i pericoli del giustizialismo, sottolineando che ‘anche la giustizia, se portata all’estremo, può diventare radicalizzazione’.
Franco Vaccari ha presentato il lavoro di riconciliazione di Rondine, ricordando che “finché l’altro è solo un nemico non si rammenda niente, perché non ci consideriamo della stessa stoffa. Dire sì alla pace è la vera svolta per il cambiamento”.
L’evento si è chiuso con l’intervento di Martina Landi, direttrice generale di Gariwo, che ha portato i saluti del presidente Nissim, assente per motivi di salute, e ha ringraziato tutti i partecipanti per aver contribuito a due giorni di straordinaria intensità: “Il Giusto non giudica, non soppesa. Il Giusto cura. Ed è grazie a questa cura che possiamo costruire un mondo migliore”.
In apertura lo storico Marcello Flores ha descritto le caratteristiche dei discorsi dell’odio: “Ecco, i discorsi di odio oggi hanno le stesse caratteristiche: si fondano al tempo stesso su un’idea di inevitabile discriminazione; su una convinzione che non è di tutti, ma solo di poche minoranze, ma che contagia anche una maggioranza. Lo vediamo, cresce il razzismo, cresce l’antisemitismo e crescono anche tutte quelle forme di odio e avversione verso gruppi di persone ritenute responsabili del nostro disagio o dei nostri mali collettivi.
Questi sentimenti vengono, poi, cavalcati anche dai Governi e dai singoli politici. Anche del nostro Paese, ci sono esponenti politici che, a volte, usano esattamente le stesse parole, pur con qualche piccola modifica, che Hitler aveva usato nel Main Kampf contro gli ebrei. E queste parole d’odio le rivolgono a determinati gruppi di persone”.
Contro tali discorsi le azioni che ognuno può intraprendere: “Ognuno di noi può fare qualcosa, ognuno di noi, nel proprio quotidiano, a partire dalla propria famiglia, nel proprio mondo di lavoro, quando incontriamo altre persone, ma ancora di più quando siamo sui social. È possibile e doveroso intervenire ogni volta che c’è un accenno, anche solo un accenno da parte di qualcuno, a un linguaggio d’odio. Questo è fondamentale, perché, se non c’è questa reazione immediata che mette alla berlina coloro che fanno queste affermazioni, il rischio è che invece, poi, quelle affermazioni si propaghino”.
(Foto: Gariwo)
Il Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli premia un secolo di impegno a servizio degli ultimi

Nella suggestiva cornice di Palazzo del Vicariato Maffei Marescotti, sede della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, si è svolta la cerimonia di consegna della medaglia ‘Charity in Hope’. Questo prestigioso riconoscimento, istituito nel 2017 dal Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, celebra l’’impegno di persone e organizzazioni che si distinguono per il loro servizio verso i più deboli.
Protagonista di questa edizione è stato il Lions Clubs International, rappresentato dal Presidente internazionale, il brasiliano Fabrício Oliveira, che ha ricevuto la medaglia dalle mani del Presidente Generale della Società di San Vincenzo De Paoli, lo spagnolo Juan Manuel Buergo Gomez.
“Sento una grande emozione in questo momento, consapevole di come la giornata di oggi sia una pietra miliare non solo per i Lions e la Società di San Vincenzo De Paoli, ma anche per tutti coloro che credono nella solidarietà e nella speranza come via di progresso”, ha affermato la Presidente della Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Paola Da Ros.
“Ciò che viviamo oggi è un’opportunità straordinaria per rafforzare la nostra relazione, consolidare i nostri progetti e sognare insieme un futuro migliore per le popolazioni di tutto il mondo” ha dichiarato la Presidente Paola Da Ros. “La speranza è una parola che accompagna e sostiene il nostro operato, insieme all’amore per il servizio. È impressa nel nostro motto ‘serviens in spe’, proprio come il ‘We Serve’ dei Lions e racchiude quel senso di responsabilità che guida i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli così come i soci dei Lions nel cammino di cura e aiuto verso le persone svantaggiate.
“Mi vengono in mente, ha aggiunto la Da Ros, le parole del Beato Federico Ozanam: “La nostra epoca ha bisogno di grandi cose: ha bisogno di una speranza che non deluda, di una carità che abbracci tutti” (Lettera a Léonce Curnier, 1834).
La cerimonia è stata anche l’occasione per riflettere su un percorso condiviso, sancito ufficialmente il 5 gennaio 2023 con una Dichiarazione di Intenti tra la Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV e il Multidistretto Lions 108 Italy. Grazie a questo accordo, le due realtà hanno unito le forze per realizzare progetti concreti a favore delle persone più fragili in tutta Italia: “fare rete è indispensabile per generare un impatto reale e profondo, per portare il nostro messaggio e le nostre azioni a un pubblico più vasto, a un numero crescente di persone e comunità”, ha spiegato la presidente Paola Da Ros.
Nel segno della solidarietà, del servizio e della speranza la Società di San Vincenzo De Paoli e i Lions Club operano rispettivamente da 191 e 107 anni per il bene comune. Oggi, grazie a una sinergia di intenti volta al bene comune, possono crescere e svilupparsi numerose “azioni coraggiose nei confronti dei più deboli per sconfiggere la povertà e il disagio”, ha sottolineato il Presidente Internazionale del Lions, Fabrício Oliveira.
Nell’ottica di un mondo e futuro migliore, “Abbiamo ampliato le opportunità di agire per il bene delle persone in difficoltà, ha ricordato il Presidente del Consiglio dei Governatori del Multidistretto 108 Italy Leonardo Potenza.
Attraverso “la collaborazione e lo sviluppo di esperienze comuni”, ha spiegato il Consigliere di Amministrazione della Fondazione Internazionale Lions LCIF, Sandro Castellana, “abbiamo già prodotto benefici in diverse aree geografiche di tutto il mondo”.
Si propaga così il bene senza spegnere la vocazione che da sempre accompagna le due realtà e i suoi membri: il contrasto alla povertà e all’emarginazione. Il Governatore del Distretto Lions 108L, Salvatore Iannì, ha ricordato che sin da piccolo ha imparato ad amare l’altro nelle sue innumerevoli necessità anche portando “pacchi di viveri e altri aiuti” accompagnando il padre, che era iscritto alla Società di San Vincenzo De Paoli e gli ha sempre trasmesso i valori dell’aiuto, della vicinanza e dell’amicizia.
Il Presidente del Consiglio Generale Internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, Juan Manuel Buergo Gomez, ha concluso la cerimonia evidenziando chela scelta di premiare il Lions Clubs International è frutto “dell’impegno, della dedizione e della passione che la realtà ha dimostrato in tutta la sua storia. I Lions Club sono stati un esempio di perseveranza e impegno nella società con 1.400.000 soci e quasi 50.000 club presenti in 200 paesi al servizio dei bisognosi”.
La Società di San Vincenzo De Paoli, con i suoi 2.300.000 volontari distribuiti in 155 Paesi, e i Lions Club dimostrano che unendo le forze è possibile rispondere alle necessità di milioni di persone in tutto il mondo. Un impegno che non si ferma, ma continua a crescere, come ricorda la Presidente Paola Da Ros, che vede nella Medaglia Charity in Hope: “l’emblema di una speranza che non si ferma mai, di un servizio che ogni giorno si rinnova e di un’umanità che non smette di sognare e di costruire”.
Card. Zuppi: l’impegno della Chiesa per l’Italia

“Siete convenuti a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura, per la Prima Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia. E’ il primo appuntamento che segna il culmine del Cammino sinodale, di quella che avete definito ‘fase profetica’. In queste giornate avrete modo di confrontarvi sui Lineamenti, che già offrono una visione d’insieme sulle questioni emerse in questi tre anni di percorso”: lo ha scritto papa Francesco nel messaggio inviato ai partecipanti alla prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana che si sta svolgendo a Roma fino a domenica.
Richiamando l’annuncio di san Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio Vaticano II il papa ha invitato ad annunciare il Vangelo con la gioia: “Anche oggi, come allora, siamo inviati a portare il lieto annuncio con gioia! Con questa consapevolezza, vi incoraggio a percorrere la terza tappa, dedicata alla profezia. I profeti vivono nel tempo, leggendolo con lo sguardo della fede, illuminato dalla Parola di Dio. Si tratta dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni. E questo lo si fa nella docilità allo Spirito”.
E’ stato un invito ad accompagnare la Chiesa in questo cammino post sinodale: “Il Cammino sinodale sviluppa anche le energie affinché la Chiesa possa compiere al meglio il suo impegno per il Paese. Gesù contemplava le folle e ne sapeva comprendere le sofferenze e le attese, il bisogno del pane per il corpo e di quello per l’anima. Così siamo chiamati a guardare alla società in cui viviamo con uno sguardo di compassione per preparare il futuro, superando atteggiamenti non evangelici, quali la mancanza di speranza, il vittimismo, la paura, le chiusure. L’orizzonte si apre davanti a voi: continuate a gettare il seme della Parola nella terra perché dia frutto”.
Mentre nel saluto ai partecipanti il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha ricordato che la Chiesa è famiglia: “La Chiesa è famiglia e, se la viviamo come Gesù ci chiede, amandoci l’un l’altro, sapremo aiutare le nostre famiglie, la città degli uomini, il nostro Paese, il mondo, ad essere comunità! Fratelli tra di noi per vivere ‘fratelli tutti’ con tutti.
Sentiamo con noi le nostre Chiese e le nostre comunità, ma anche le città degli uomini, piccole e grandi, perché tutte importanti e amate da Dio. L’orizzonte non è solo il nostro Paese, ma anche l’Europa, che non dimentichiamo deve continuare, o forse riprendere, a respirare con i due polmoni, e il mondo intero. Oggi contempliamo, attraverso la nostra presenza, tutte le Chiese in Italia”.
In particolare la Chiesa si vive ogni domenica: “La viviamo ogni domenica, e in questa particolare che è dedicata ai poveri e che ci spinge a condividere il pane della terra proprio perché condividiamo quello del cielo. È il nome santo e benedetto di Gesù, che deve diventare vita nella nostra vita, che non si esibisce, ma si custodisce e si mostra mettendo in pratica la sua parola, costruendo comunità e vivendo da cristiani nel mondo”.
Per questo ha ricordato l’anniversario della pubblicazione della Costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’: “E’ una coincidenza con la nostra Assemblea che ci spinge a riannodare i fili di un cammino che anche per la nostra Chiesa in Italia è stato di progressiva accoglienza e di recezione della lezione conciliare… La consapevolezza del peccato, come per gli abusi che ricorderemo domani nella nostra preghiera, ci rende più umili ma anche più forti nell’essenziale, nell’amore di Dio. Ci ricorda la necessità della conversione del cuore e di comunità docili alla parola, dove vivere la radicalità del Vangelo e la bellezza dell’amore cristiano. Sentiamo tanto l’emozione e la responsabilità di questa missione, senza lamentarci del deserto, ma facendo nostra la sete di Dio e di speranza”.
Inoltre ha richiamato il clima conflittuale in atto: “I combattimenti appaiono lontani dai nostri Paesi ma il clima conflittuale non è lontano. Questo clima si riflette sulla società italiana: la spietata avanzata del numero dei femminicidi, la crescita della violenza tra i giovani, l’inasprirsi del linguaggio sempre più segnato dall’odio, i casi di antisemitismo, che non possiamo tollerare, sono come semi che da sempre il male getta nei cuori e nelle relazioni delle persone e contaminano i cuori e i linguaggi”.
E’ stato un richiamo alla crisi delle nascite: “Il nostro Paese soffre di denatalità, che ha raggiunto livelli preoccupanti. Eppure, tutti sappiamo che non basta combattere la denatalità senza una cultura della speranza nel futuro e senza preoccuparci di evitare l’emorragia di giovani dal nostro Paese e dalle aree interne. Il futuro dipende dalle politiche in favore della natalità, ma anche da politiche della casa, da politiche attive del lavoro e da autentiche politiche di integrazione dei migranti: tutti questi aspetti insieme saranno in grado di generare un’alba nuova all’orizzonte”.
Ed infine ha chiesto ‘nuova passione’ nell’annuncio del Vangelo: “Una nuova passione per il mondo deve percorrere le vene delle nostre comunità. E’ un tempo favorevole per la Chiesa, per la comunicazione del Vangelo, per l’accoglienza dei soli e di chi non sa dove andare. Folle intere aspettano consolazione e speranza, anche se non faranno parte dei discepoli. Tutti, tutti, tutti sono affidati alle nostre cure. Gesù scelse i discepoli per rispondere a questi ‘tutti’, perché la folla diventi famiglia… Il mondo è un ospedale da campo materiale e spirituale e possiamo riconoscere la distanza da colmare tra la vita e le proposte delle nostre comunità e l’esistenza degli uomini e delle donne di oggi”.
Nella relazione principale il vescovo di Modena – Nonantola, mons. Erio Castellucci, presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale, ha raccontato la bellezza del cammino sinodale secondo uno stile missionario: “Comunità di discepoli missionari: è una meta, certo, ma è anche una bella realtà. Ciascuno di noi conosce ‘santi della porta accanto’ che senza clamore, e magari nel chiuso di un appartamento urbano o nell’isolamento di una casa di campagna o di montagna, portano avanti nel quotidiano la loro testimonianza umana e cristiana; ce ne sono tanti, forse più di quelli che si immaginano; e non sono rilevanti nelle statistiche religiose… Eppure la comunità cristiana si nutre di gesti quotidiani e spesso nascosti, che hanno a che vedere più con le relazioni che con l’organizzazione, più con l’ascolto e l’accoglienza che con gli eventi di massa”.
Quindi ha sottolineato la ‘missione profetica’ della Chiesa: “La nostra missione profetica, dunque, è incisa in questo noto versetto della prima Lettera di Pietro: ‘(siate) sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’. Prima occorre piantare la speranza ‘in noi’, testimoniandola con la vita; poi, se richiesti (‘pronti a rispondere’), saperne formulare le ragioni”.
E’ stato un invito a proseguire in questo cammino che la Chiesa ha intrapreso: “Non perdiamo di vista che lo scopo non è tanto di produrre altra carta (per quanto sarà necessario anche questo) ma proseguire nell’esperienza di uno stile, quello sinodale, che già sta diventando prassi nelle nostre Chiese e che ora domanda di potersi consolidare e disporre di strumenti perché diventi anche fatto strutturale.
In quest’opera, affidandoci allo Spirito del Padre, sperimenteremo una volta di più che ‘di lui’, di Cristo risorto, siamo testimoni: e che questa testimonianza, se fedele a lui e al suo Vangelo, umanizza noi stessi e il mondo”.
(Foto: Cei)
Papa Francesco in Lussemburgo chiede impegno per l’Europa

“A motivo della sua particolare posizione geografica, sul confine di differenti aree linguistiche e culturali, il Lussemburgo si è trovato spesso ad essere al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee; per ben due volte, nella prima metà del secolo scorso, ha dovuto subire l’invasione e la privazione della libertà e dell’indipendenza”: papa Francesco questa mattina è stato ricevuto dai reali di Lussemburgo nel viaggio apostolico, che fino a domenica 29 settembre lo condurrà anche in Belgio.
Nel discorso alle autorità del Paese, dove il pil pro capite è il più alto nel mondo, nel cuore dell’Europa il papa ha evidenziato l’impegno per ‘costruire’ l’Europa: “Ammaestrato dalla sua storia (la storia è maestra della vita), a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il vostro Paese si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose. Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia”.
Ha anche evidenziato l’essenzialità della democrazia: “A sua volta, la solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale. In effetti, non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario.
Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione. Il Lussemburgo è un Paese dalle porte aperte, una bella testimonianza di non discriminazione e non esclusione”.
Ricordando il viaggio apostolico compiuto nel 1985 da san Giovanni Paolo II ha rimarcato l’importanza della Dottrina Sociale della Chiesa: “La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo. Anch’io mi sono inserito nella scia di questo magistero approfondendo due grandi tematiche: la cura del creato e la fraternità. Lo sviluppo, infatti, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali: tutti, tutti fratelli”.
Quindi proprio in questo Paese il papa ha ribadito la necessità di aiutare i Paesi più poveri: “La ricchezza (non dimentichiamolo) è una responsabilità. Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le Nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento. Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose.
Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati. E voi siete un modello di questo”.
Inoltre ha sottolineato l’inconsistenza dell’Europa, che ancora una volta è in guerra: “Purtroppo, si deve constatare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte. Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra. Siamo smemorati in questo”.
Per il papa la guerra è causa di una dimenticanza dell’umanità: “Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le Nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali. Saranno questi valori a impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale. Il Lussemburgo è proprio al centro della capacità di fare l’amicizia ed evitare queste strade. Io direi: è una delle vostre vocazioni”.
E proprio questo Paese può mostrare l’utilità della pace: “Il Lussemburgo può mostrare a tutti i vantaggi della pace rispetto agli orrori della guerra, dell’integrazione e promozione dei migranti rispetto alla loro segregazione (e su questo vi do tante grazie: quello spirito di accoglienza dei migranti e anche dare loro un inserimento nella vostra società, questo arricchisce), i benefici della cooperazione tra le Nazioni a fronte delle nefaste conseguenze dell’indurimento delle posizioni e del perseguimento egoistico e miope o addirittura violento dei propri interessi”.
Il discorso del papa è terminato con un appello all’aumento demografico: “E mi permetto di aggiungere una cosa. Ho visto la percentuale delle nascite: per favore, più bambini, più bambini! È il futuro. Non dico più bambini e meno cagnolini (questo lo dico in Italia), ma più bambini!
Vi è infatti un impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace”.
Questo è il significato del motto di questa visita: “Per servire: con questo motto sono venuto tra voi. Esso si riferisce direttamente ed eminentemente alla missione della Chiesa, che Cristo, Signore fattosi servo, ha inviato nel mondo come il Padre aveva inviato Lui. Ma permettetemi di ricordarvi che questo, il servire, è anche per ognuno di voi l’alto titolo di nobiltà.
Il servizio è per voi anche il compito principale, lo stile da assumere ogni giorno. Il buon Dio vi conceda di farlo sempre con animo lieto e generoso. E coloro che non hanno fede lavorino per i fratelli, lavorino per la patria, lavorino per la società. Questa è una strada per tutti, sempre per il bene comune!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: un cuore innamorato di Dio

“Non è facile comprendere la sofferenza umana a tal punto da volere che ad essa si offra sollievo. E’ indubbio che occorra un cuore grandioso, un cuore innamorato di Dio. E’ incoraggiante sapere che vi sono tante donne e tanti uomini, nel deserto dell’umanità, che hanno un cuore grandioso, innamorato di Dio e fra essi vi è papa Francesco, che è un uomo che appartiene alla storia umana, la cui finalità è Dio. Fermamente convinto che la parola di Dio sia la Via, la Verità e la Vita egli la trasmette con vigore e passione, fervente a tal punto da far riflettere anche gli atei”, ha scritto in un editoriale il giornalista Biagio Maimone, direttore dell’ufficio stampa dell’Associazione ‘Bambino Gesù del Cairo’, il cui presidente è mons. Yoannis Lazhi Gaid, già segretario personale di papa Francesco ed autore del libro ‘La Comunicazione Creativa per lo sviluppo socio-umanitario’, testo che ha ottenuto la benedizione apostolica del Santo Padre, il quale ha aggiunto:
“Non è piaggeria affermare che papa Francesco, uomo coraggioso del nostro tempo e non solo uomo della Chiesa, manifesta il coraggio della fede e lo fa quando si rivolge a coloro che, senza scrupoli, senza mezze misure, inseguono ed afferrano, con avidità irrefrenabile, i beni materiali, incuranti di calpestare ed annientare i propri simili pur di arricchirsi sempre più.
Parlare di umanità e di amore rappresenta sempre una sfida e lo è ancor di più quando si parla ad una società civile nella quale domina, ormai indisturbato, il processo di globalizzazione, simile ai grandi eventi che hanno scombussolato la storia umana e la vita dell’uomo, come lo sono state le guerre.
La società civile è, senza dubbio, ormai disgregata, in quanto le regole preesistenti all’avvento della globalizzazione valgono poco o quasi nulla, ma è certo che l’amore unifica e, pertanto, non è vano alcun messaggio che incita all’amore e alla fratellanza, che sono l’anelito più profondo degli uomini di buona volontà e non solo dell’umanità errante, che è uno dei fenomeni più strazianti scaturiti dal processo di globalizzazione, proprio in quanto coinvolge l’essere umano rendendolo oggetto e non più soggetto.
I tanti morti, anzi troppi, per colpa delle guerre, riporta sulla scena della storia umana la sofferenza innocente di interi popoli, che sembrava ormai un lontano ricordo. Ed ecco il pianto di Dio: chi non lo scorge è certo che non abbia un’anima. Lo dice papa Francesco nei suoi messaggi accorati incitanti al rispetto della dignità umana. Papa Francesco sa di parlare ad una coscienza sonnecchiante, ma non desiste. I conflitti aumentano e continuano ad aumentare, i poveri aumentano e continuano ad aumentare. Papa Francesco continua ad esortare ed esorta sempre più.
Le donne, che hanno combattuto per la loro emancipazione, vedono e subiscono ancora tanta violenza, anzi ancor più che nel passato. Uomini senza scrupoli le deridono, le mortificano, tolgono loro la vita, ne mercificano il corpo sui marciapiedi sporchi. Ed ecco che papa Francesco continua ad esortare e lo fa con la speranza di chi si affida a Dio. A favore delle donne papa Francesco ha dedicato uno dei suoi più accorati messaggi. L’eco delle sue parole travolgenti non finirà di bussare alle coscienze degli uomini violenti che le rendono schiave fino a quando essi non apriranno le porte del loro cuore inaridito.
Papa Francesco è certo che aspiri a voler ricreare la cultura della vita, la cultura della legalità, la cultura dell’accoglienza, della solidarietà in un contesto in trasformazione, che, proprio in quanto tale, ha posto ai margini tutti quei valori, senza i quali non esiste la vita , ma la morte. Si può definire l’epoca attuale come l’epoca delle grandi contraddizioni: grandiosi grattacieli e persone sporche e maleodoranti sui marciapiedi. Da un lato, tanta ricchezza e, dall’altro, tanta crudele miseria.
Non si può non riconoscere che il materialismo imperversa sempre più in tutte le nazioni del mondo creando miseria, illegalità, nonché torpore delle coscienza e della sensibilità umana. Papa Francesco ascolta lo strazio dell’anima di un uomo ormai solo sulla scena dell’esistenza, la cui coscienza sembra essere divisa a metà, proteso nel nulla dei valori umani e l’ardente desiderio di esserne espressione, perché indiscutibilmente figlio di Dio. A quest’uomo lacerato parla papa Francesco, incitandolo a cogliere dentro di lui la presenza di Dio e a vivere come Dio gli chiede.
Papa Francesco ripete costantemente a quest’uomo infelice che, solamente se ascolterà la voce di Dio che vive in lui, sarà meno solo e triste, saprà tendere la mano al fratello più povero, rispettare ed amare veramente le donne, portatrici della vita e della pedagogia della vita, impedire le ingiustizie sociali, impegnarsi per la vera emancipazione umana, saprà sostituire Dio al vile denaro che vorrebbe dominare la coscienza di ogni uomo.
Papa Francesco, uomo della Chiesa Cattolica e uomo della storia, con il vigore del suo impegno cristiano, dimostra che solo una coscienza umana rinnovata potrà ricreare le condizioni perché la cultura della vita rinasca come la natura a primavera”.
Quinta domenica di Pasqua: Io sono la vite, voi i tralci

Dopo essersi definito ‘Buon Pastore’, Gesù utilizza un’altra immagine presa dal mondo dell’agricoltura: ‘Io sono la vite, voi i tralci’. Gesù si qualifica come la vera ‘vite’ ed identifica la sua Chiesa come ‘suoi tralci’. E’ una immagine assai significativa: la vite è il simbolo di benedizione, di felicità, di fecondità; è simbolo soprattutto di comunione. Nella Bibbia la vigna sta ad indicare Israele e le cure assidue ed affettuose di Dio per il suo popolo. La vite è una delle piante più tipiche della Palestina.
Il profeta Isaia celebra la fecondità di questa vigna (Is. 27,2-6), il profeta Ezechiele evidenzia le minacce di Dio contro la sua improduttività; l’apostolo Giovanni fa della vite e i tralci il simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa: un rapporto intimo ad indicare come Cristo Gesù e i discepoli costituiscono una unica realtà. E Gesù evidenzia: senza di me non potete far nulla. Tutto il nostro essere è da Dio, che è creatore e padre; l’uomo che pretende di fare a meno di Dio è come il tralcio separato dalla vite, la linfa vitale non passa, il tralcio subito secca e serve solo ad essere bruciato. Il tralcio è il prolungamento della vite: Io sono la vera vite, dice Gesù, il Padre mio è il vignaiuolo.
Nell’allegoria Gesù pone al primo posto il Padre perché tutto proviene dal Padre, siamo stati creati dal Padre, ritorneremo al Padre: la nostra permanenza sulla terra è provvisoria; creati da Dio, ritorneremo a Dio; ‘Siate pronti, diceva Gesù, con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa in mano’, perché non siamo cittadini della terra ma del cielo. Torneremo a Dio se abbiamo prodotto frutti di vita eterna: questi frutti saranno veri e validi se il tralcio rimane legato alla vite. Questo legame si mantiene e si alimenta solo amando perché Dio è amore; un amore non ideale ma concreto, che si estrinseca con atti concreti.
Amare Dio in senso concreto è osservare i suoi comandamenti che si riassumono e si sintetizzano nell’amore verso Dio ( i primi tre comandamenti) e nell’amore verso i fratelli (gli altri sette); un amore orizzontale e verticale: l’uno completa l’altro. Non rimane allora alcuna alternativa: se vogliamo produrre frutti di vero amore dobbiamo rimanere innestati a Cristo con la fede e con l’amore; vivere in vera comunione con i fratelli: allora e solo allora dimostriamo che Dio è veramente il nostro Padre. Da qui la necessità per il tralcio di rimanere legato alla Vite. Gesù insiste sul verbo ‘rimanere’, e lo ripete sette volte.
Questo ‘rimanere’ non è un ‘rimanere passivi’, un addormentarsi, ma un ‘rimanere attivi’ ed è reciproco: la vite ha bisogno del traccio per produrre e il tralcio ha bisogno della vite perché la linfa vitale possa scorrere e produrre frutti. Il frutto è portare amore. Con il sacramento del Battesimo noi, che eravamo come olivastri selvatici, ci siamo inseriti ed innestati a Cristo per produrre frutti di vita eterna; è necessario allora rimanere legati alla vite, a Cristo Gesù, perché la grazia, questa linfa vitale che viene da Gesù, arrivi a noi e produciamo frutti di vita eterna.
Rimanere legati alla vite significa attuare gli impegni assunti con il Battesimo, non andare via come il figliuolo prodigo, ma rimanere nell’amore di Dio. Quando è necessario il Padre pota questo tralcio per produrre di più e meglio; la nostra risposta deve essere una sola: ‘Padre, sia fatta la tua volontà’. Come cristiano non sei più una pianta selvatica ma un innesto; i frutti dell’innesto sono frutti di fede e di amore verso Dio e i fratelli.
Se vuoi pensare, agire solo secondo te, troverai solo te: creatura povera, debole, peccatrice, con te troverai solo debolezze, meschinità, follie ed infelicità; se vuoi che Dio sia veramente tuo padre, allora non rompere mai i legami con Cristo Gesù: Fede ed Amore. Affidiamoci allora alla intercessione di Maria, la santa madre di Dio e nostra, che è rimasta sempre legata al suo Gesù ed ha portato frutti di vita eterna.
Armida Barelli, la santità per sconfiggere l’ignoranza e promuovere le donne

“La vita di Armida Barelli, la sua esperienza ecclesiale ed associativa è particolarmente intensa e presenta aspetti per certi versi unici, a partire dal ruolo dirigenziale ininterrottamente svolto ai vertici dell’Azione cattolica dal 1918 al 1949, alla collaborazione con tre pontefici, alla fecondità e ai risultati raggiunti con le varie opere che ha contributo a fondare e che ha guidato. Si tratta, senza alcuna esagerazione, di una figura straordinaria sia per l’ampiezza delle sue attività sia per la continuità di un servizio che, sviluppandosi per oltre trent’anni, si configura come una chiara risposta vocazionale.
Al centro della sua azione sta la capacità di porre in essere un metodo formativo che, sostenuto da una forte organizzazione e da strumenti appropriati, raggiunge in pochi anni notevoli risultati in campi come l’eliminazione dell’analfabetismo, il processo di integrazione tra Nord e Sud del Paese, l’emancipazione femminile, la cura di una dimensione internazionale, contribuendo alla maturazione di una consapevolezza nuova in tante giovani donne”.
Dall’introduzione al suo libro ‘Armida Barelli. Il lungo viaggio delle donne verso la partecipazione democratica’ abbiamo chiesto al prof. Ernesto Preziosi, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’, di spiegarci il motivo per cui ha scritto ancora un libro su Armida Barelli, educatrice ad un impegno politico: “La storiografia ha un debito verso questa donna avendola a lungo trascurata e in qualche misura ignorata. La sua biografia è molto ricca di aspetti legati all’attualità.
Mi è parso opportuno quindi, accanto al volume biografico (‘La zingara del buon Dio. Armida Barelli, storia di una donna che ha cambiato un’epoca’), aggiungere un ulteriore studio sul fondamentale apporto da lei dato alla maturazione di una coscienza civile nel mondo femminile (‘Armida Barelli. Il lungo viaggio delle donne verso la partecipazione democratica’). Una formazione costante che parte dal sostegno alle campagne per il diritto di voto alle donne, già nei primi anni ’20, fino alla mobilitazione nel 1946 per le elezioni alla Costituente e per quelle politiche del 1948. Una formazione ecclesiale, non direttamente politica, che puntava a rendere responsabili le donne per il bene comune, per il futuro del Paese”.
La sua è stata una lunga storia di impegno civico, in cui ha collaborato con molti politici: quale rapporto aveva con Luigi Sturzo ed Alcide De Gasperi?
“Vi era un rapporto di conoscenza ma non una consuetudine di relazioni in quanto la Barelli agiva con la sua Gioventù Femminile prettamente nel campo ecclesiale. Già negli anni ’20 la Gioventù Femminile proponeva alle giovani di aderire al Partito Popolare di Sturzo ma precisava che le dirigenti nazionali non l’avrebbero fatto per rispetto”.
Quale era il suo metodo formativo?
“Sostiene la formazione con un efficace impianto organizzativo. La Gioventù Femminile in realtà proponeva una formazione organica ‘non totalitaria’, ma integrale, che investiva ogni aspetto della vita e raggiungeva lo scopo di fatto di essere alternativa a quella fascista. Si rivolgeva pertanto alle differenti fasce di età e condizione di vita. Ogni socia veniva raggiunta da una stampa personalizzata (per studenti, operaie, rurali…)”.
Una formazione indirizzata soprattutto verso le donne: una ‘rivoluzionaria’ per il suo tempo?
“Dopo la prima guerra mondiale, quando le donne sostituiscono nel lavoro gli uomini richiamati al fronte, molti sono i cambiamenti che intervengono nel mondo femminile. E’ in questo clima che Armida inizia nel 1918 la Gioventù Femminile a Milano. L’anno seguente papa Benedetto XV la convocherà a Roma per chiederle di estendere la Gioventù femminile in tutte le diocesi: diventerà il ramo più fiorente dell’Azione Cattolica. Un’associazione fatta di donne e guidata da donne. In 10 anni si costituiscono in Italia 7560 Circoli con quasi 500.000 socie che superano largamente la Gioventù maschile di Azione Cattolica.
Il giornale dell’associazione arriverà a stampare altre 200.000 copie in varie edizioni. E’ un’immensa opera che ha effetti sull’emancipazione femminile. Riunisce donne di differente estrazione sociale e culturale, dà loro una formazione integrale che comprende anche la dimensione sociale e, insieme, favorisce attraverso la dimensione unitaria dell’Associazione, il senso di appartenenza ad un’unica nazione. La promozione della donna è per lei qualcosa di ben diverso dal femminismo politicizzato, lei punta sulla dignità battesimale che porta la donna a svolgere il suo compito nella Chiesa e nella società”.
Quali opere di Armida Barelli hanno anticipato il Concilio Vaticano II?
“In primo luogo la Gioventù femminile, da lei vissuta non solo come un semplice fatto organizzativo ma una esigente risposta alla sua personale chiamata a vivere da cristiana nel mondo; ad essere, come le scriverà p. Gemelli ‘laica ma santa’. Estendendo questa dimensione vocazionale a migliaia di giovani donne ha anticipato di fatto la chiamata universale alla santità che il Concilio Vaticano II ha messo di fronte ad ogni credente. Vi sono poi tanti altri aspetti, come l’apostolato liturgico promosso attraverso l’Opera della Regalità, ma sono tutti riconducibili ad idee di fondo: favorire la maturazione del laicato per una più consapevole presenza nella Chiesa e nella società”.
Quindi Armida Barelli è ancora una figura attuale?
“La sua ricerca vocazionale, durata anni, è un primo richiamo a non saltare questo fondamentale passaggio, decisivo per la vita di ciascuno. Chiedere francescanamente al Signore: ‘Cosa vuoi che faccia per la tua Chiesa?’ apre strade inedite, originali in ogni tempo, sollecita la creatività, di ciascuno. Armida chiede alle giovani e ai giovani del nostro tempo di interrogarsi e di scegliere. Ha detto papa Francesco questo ‘è il tempo delle scelte forti, decisive, eterne. Scelte banali portano a una vita banale, scelte grandi rendono grande la vita’. La biografia di Armida Barelli ne è una eloquente testimonianza”.
Quali sono gli aspetti cruciali della sua testimonianza cristiana nella società’?
“La sua è la storia di una giovane che prende sul serio la chiamata del Signore e si pone in ricerca. All’inizio è incerta tra il formare una famiglia numerosa o l’andare missionaria in Cina? Poi viene aiutata a comprendere che è chiamata su una strada nuova: vivere da consacrata nel mondo. La sua missione diviene l’Italia. E questo la apre a una grande responsabilità, a un servizio fecondo nella chiesa e nella società del suo tempo”.
(Tratto da Aci Stampa)