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Volontariato e solidarietà: la Società di San Vincenzo De Paoli a Venezia

Esserci sempre!’. Sono le parole di Martina Siebezzi, Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia. Racchiudono e danno il senso di ciò che significhi fare volontariato all’interno dell’Associazione. Una realtà che oggi, solo nel Capoluogo veneto, conta di 5 Conferenze, per un totale di 60 soci, 258 persone supportate e 82 famiglie assistite.

Numeri importanti frutto di un lavoro costante, un impegno certosino distribuito nel tempo che oggi consente anche di affrontare nuove sfide sociali come “La salute mentale dei giovani o le difficoltà collegate a depressione e Alzheimer”, afferma la Presidente dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia e aggiunge: “Questo ci chiama a rinnovare le nostre modalità di contatto rispetto al passato. Proprio per questo a novembre scorso abbiamo organizzato un incontro formativo per i volontari e ne prevediamo un altro a fine marzo”.

Il fine primario è fare tutto ciò che serve per stare accanto all’uomo e rispondere alle sue innumerevoli necessità perché la carità va ben oltre l’aiuto istantaneo e onora solo se, insegnava il Beato Federico Antonio Ozanam: “Unisce al pane che nutre, la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che ravviva il coraggio abbattuto, quando tratta il povero con rispetto” (da “L’assistenza che umilia e quella che onora”, L’Ere Nouvelle, 1848).

Ascolto, formazione, supporto socio-economico, distribuzione di alimenti e vestiti. Finanziamento di borse di studio e aiuto nel cercare un lavoro. L’Associazione ogni giorno cerca di rispondere alle innumerevoli fragilità della società odierna che “Sono in crescita” – evidenzia Martina Siebezzi e continua -: “L’incremento dei prezzi, oltre a quello delle bollette, ha portato ad un ulteriore impoverimento della popolazione. Dal punto di vista alimentare crescono le richieste di aiuto, anche da parte di famiglie giovani che si trovano in difficoltà non lavorando nell’ambito turistico”. 

La maggior parte delle Conferenze che si occupano della distribuzione sono associate al Banco alimentare europeo. “Il passaparola e l’aiuto garantito dalle comunità parrocchiali, anche in termini economici, gioca un ruolo fondamentale. Personalmente mi occupo anche di interfacciarmi con Ulss 3 o con il Comune per quelle situazioni particolarmente complesse” ha dichiarato la Siebezzi.

Nasce così un lavoro in rete che consente di riscoprire la bellezza di essere parte attiva e integrante della società. Lo stato di precarietà investe anche molte madri sole, con figli. “Si tratta di donne abbandonate dai propri uomini ma anche immigrate che, seppur siano sposate e, abbiano accanto un marito, devono occuparsi totalmente della famiglia” – dichiara la Presidente.

Si cerca di raggiungere ogni persona. “Sono parte della nostra vita e quindi il bello è esserci, in ogni momento”, specifica Martina Siebezzi mentre un’imbarcazione viene riempita di beni di prima necessità pronti per essere distribuiti. Il vincenziano rappresenta, per chi gli si affida, un punto di riferimento, un confidente, un amico, una guida saggia e non soltanto una persona che eroga servizi. Le famiglie sono seguite attraverso un percorso di crescita personale che diventa anche stimolo a migliorarsi.  

La sollecitudine ardente ha condotto l’Associazione a raggiungere anche il mondo delle carceri. Per contribuire a riempire di senso la vita di chi è privato della libertà, i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli lavorano a stretto contatto con il Direttore Enrico Farina e con il nuovo cappellano don Massimo Cadamuro: “Siamo riusciti a fare da ponte tra il carcere e il Convento di San Francesco della Vigna, dove abbiamo un nostro punto di distribuzione: sono stati assunti dai frati tre ristretti in regime di semi-libertà. Uno lavora in cucina, un altro è impiegato nella Guardiania della chiesa del Convento e un ristretto è stato assunto dalla Ditta che cura i vigneti dell’edificio religioso”, continua la Presidente Siebezzi. 

Negli anni è stato realizzato un punto verde nel cortile della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Rientra nel progetto “Il cortile ri-creato”. “Si tratta di uno spazio che i detenuti curano per riacquisire quel senso di utilità che li aiuta a sentirsi parte del mondo. Inoltre – aggiunge la Presidente – per accompagnare le persone private della libertà a esprimere il proprio io, conoscersi più a fondo attraverso i propri talenti, abbiamo organizzato un corso di arte”.

“Fare arte insieme: imparare a disegnare per riscrivere la nostra quotidianità” è il nome del progetto curato dalla Coordinatrice Anna Gigoli. Un appuntamento settimanale, della durata di due ore. “Sono due anni che me ne occupo con una decina i ragazzi, alcuni dei quali sono in carcere da tanti anni” – racconta la Coordinatrice Anna Gigoli. E attraverso questo corso c’è chi esprimere il suo mondo interiore. Chi rispolvera ricordi, come l’immagine della sua Venezia, e chi ne approfitta per lasciarsi andare a confidenze che manifestano tanta sofferenza e disperazione.

“Il carcerato matura la consapevolezza del reato e l’impossibilità di poter rimediare al danno compiuto. Questo genera un profondo senso di angoscia che sfocia nella disperazione. Infondere un po’ di speranza diventa fondamentale. E, in piccolo, attraverso le nostre iniziative cerchiamo di farlo” – confida la Gigoli- “Auspichiamo per la primavera, o al massimo l’estate, di far realizzare ai ristretti dei murales nello spazio esterno”.

Intanto in vista del prossimo appuntamento con la XVIII Edizione del Premio letterario Carlo Castelli, quest’anno nella Casa circondariale ‘Canton Mombello’ di Brescia, “Due detenuti sono pronti a partecipare con i loro scritti”, conclude Anna Gigoli. Il Premio letterario Carlo Castelli è un concorso riservato ai detenuti di tutte le carceri italiane e di tutti gli Istituti per minori. La partecipazione è aperta a cittadini italiani e stranieri, senza limiti di età, condannati almeno con sentenza di primo grado.

L’evento, organizzato dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, quest’anno rifletterà intorno a un tema potente e attuale: “Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato”.

Rispetto agli altri impegni futuri dell’ODV Società di San Vincenzo De Paoli – Consiglio Centrale di Venezia la Presidente ricorda le cose da consolidare, come l’interazione con il carcere, con l’Ospedale Civile e spera: “Se arriveranno i fondi previsti, di mettere in campo un investimento dedicato ai campi estivi. Un’occasione per riunire bambini di qualsiasi etnia e religione: un’attività inclusiva!”  – sorride e conclude  – mentre la piccola imbarcazione è già pronta ad attraversare nuovamente la laguna carica di beni di primaria necessità. Pronti per essere distribuiti.  

La Società di San Vincenzo De Paoli da 191 anni è accanto agli ultimi, ai vulnerabili, agli invisibili. Ogni giorno la Società di San Vincenzo De Paoli si fa prossima all’umanità ferita grazie al sostegno di oltre 11.300 soci e volontari che, in tutta Italia, supportano 30.000 famiglie – più di 100.000 persone -. I volontari della Società di San Vincenzo De Paoli incontrano i più fragili visitandoli nelle loro case, negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strade e perfino nelle carceri.

(Foto: Società San Vincenzo de Paoli)

Il presidente della Repubblica da l’onorificenza a Odifreddi e Poggio, responsabili di Piazza dei Mestieri

Nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha conferito 31 onorificenze al Merito della Repubblica Italiana a cittadini che si sono distinti per attività volte a favorire il dialogo tra i popoli, contrastare la violenza di genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l’aiuto alle persone detenute in carcere, per la solidarietà, per la scelta di una vita nel volontariato e per attività in favore dell’inclusione sociale.

Tra questi cittadini insigniti dell’onorificenza di Ufficiali dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana figurano Dario Odifreddi e Cristiana Poggio, rispettivamente Presidente e Vice-presidente della ‘Piazza dei Mestieri’ di Torino: “Siamo grati al Presidente Mattarella e lo sono con noi le decine di migliaia di giovani e le loro famiglie che in questi vent’anni sono passati dalla Piazza dei Mestieri, come gli oltre 200 operatori e gli oltre 400 docenti che ogni giorno scendo in campo al fianco dei ragazzi per aiutarli a trovare la loro strada per il futuro”.

Piazza dei Mestieri nasce con una missione chiara: offrire ai ragazzi un’opportunità concreta di crescita, fornendo strumenti per lo studio, per l’inserimento nel mondo del lavoro e per affrontare con fiducia il futuro. Negli anni, l’iniziativa ha rappresentato un punto di riferimento per molti giovani che, grazie a percorsi formativi innovativi e al supporto di docenti e tutor, hanno potuto riscoprire la speranza e il proprio valore, come ha raccontato il presidente Dario Odifreddi:

“Emozione e gratitudine si sono mescolate oggi al Quirinale per la consegna da parte del Presidente Mattarella del titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per questi 20 anni di ‘Piazza dei Mestieri’ conferito a me e a Cristiana Poggio.

Affiorano alla nostra mente i volti di chi ha condiviso con noi questa esperienza dall’origine o anche solo per un giorno. Senza l’amicizia e la stima di tanti non sarebbe stato possibile accogliere decine di migliaia di giovani adolescenti aiutandoli a scoprire i loro talenti e il loro valore, accompagnandoli nello studio, nell’inserimento nel mondo del lavoro e, in generale, in questo tratto della loro vita.

Abbiamo visto tanti volti di ragazzi e ragazze che si riaprivano al sorriso e alla speranza e ve lo diciamo con le parole di una poesia scritta da una nostra allieva che ci ricorda che, oltre a una grande professionalità, è necessario abbracciare ognuno dei ragazzi e delle ragazze che incontriamo”.

La ‘Piazza dei Mestieri’ offre corsi per diventare panettieri, cioccolatieri, birrai, cuochi, camerieri, grafici, informatici e parrucchieri, ma anche tanti progetti per stranieri e giovani che sono in difficoltà con lo studio e tante altre cose. L’obiettivo è insegnare ai ragazzi un mestiere e accompagnarli nell’inserimento lavorativo, ma non solo:

“Anche quando abbiamo aperto nel 2004 si parlava di disagio giovanile e di abbandono scolastico. Oggi forse ne siamo più consapevoli. Io vedo una grande paura nei ragazzi di deludere se stessi e gli adulti. Così, ora più che mai, hanno bisogno di capire che hanno un valore. E quando percepiscono questo, cambia tutto: i tratti del loro viso, l’andamento scolastico, il modo di parlare o di rapportarsi con coetanei e adulti… E per migliaia di loro la Piazza diventa casa”.

Oltre a Torino, ci sono anche le sedi di Milano e Catania; ma ‘Piazza dei Mestieri’ non è un franchising che esporta un modello da riprodurre in blocco, ha ribadito Odifreddi: “Bisogna guardare alle situazioni che si incontrano e queste città sono molto differenti tra loro, ognuna ha le sue sfide, con i suoi contesti familiari e i suoi tessuti produttivi. Eppure, emerge ovunque la necessità che esistano dei ‘luoghi’.

A Catania, per esempio, abbiamo recentemente inaugurato i nuovi locali con un ampio giardino di 1.600 metri quadrati che diventerà un luogo, appunto, non solo per i ragazzi, ma anche per le loro famiglie, per tutto il quartiere. A Milano, invece, ‘Piazza dei Mestieri’ è partita tre anni fa, in una realtà complessa, ma anche molto stimolante per le grandi possibilità e i contatti che offre”.

Ed a coronare la giornata c’è la poesia di Valentina: “Solitudine, compagna lieve di tutta la gente che affolla la mente, ma svuota l’anima. Non sei la vincitrice tu, non sei più la regina qualcuno può sconfiggerti, con l’abbraccio del bene può trafiggerti. Non è più male la mia vita, non è più tristezza il mio futuro! Solo il sapore del ricordo mi resta ancora amaro ma è già un passato dimenticato, un tempo rinnovato”.

Rapporto ISMU: stabili i migranti

“Descrivere, comprendere, interpretare, spiegare il fenomeno migratorio. Questo è stato l’intento, o se vogliamo la missione, di Fondazione ISMU ETS nel corso degli ultimi trent’anni attraverso il Rapporto sulle Migrazioni in Italia. Un volume multi e interdisciplinare che ha raccontato e analizzato, innanzitutto, l’evoluzione empirica dei processi migratori e di inclusione nei diversi ambiti in cui si disegna il presente e il futuro della società; e, quindi, una politica pubblica complessa che per di più ha dovuto, nel tempo, fare i conti con una profonda trasformazione della società italiana che, piaccia o meno, è inserita in un contesto planetario sempre più interdipendente dal punto di vista economico, tecnologico, comunicativo, sociale, culturale e finanche politico”: con l’introduzione di Nicola Pasini, segretario generale della Fondazione ISMU ETS, e della prof.ssa Laura Zanfrini, docente di ‘Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica’ all’Università Cattolica di Milano, è stato presentato il 30^ rapporto dell’ISMU sulle migrazioni.

Un rapporto che ha certificato che in Italia nel 2023 gli stranieri sono stati 5.755.000, 20.000 in meno rispetto alla stessa data del 2023 con una crescita dei residenti, che sono diventati 5.254.000 unità, cioè 113.000 unità in più nei confronti del 2022: “Il periodo di crescita più rapida si è registrato dagli anni 2000. Tra il censimento 2001 e il 31 dicembre 2011 gli stranieri residenti in Italia hanno contribuito all’incremento demografico, essendo aumentati di 2.984. unità nel quadro di un aumento del complesso della popolazione residente di 3.005.000. Negli anni successivi l’apporto migratorio netto è stato più modesto (circa 700.000 unità tra il 1° gennaio 2012 e il 1° gennaio 2022) e si è rivelato insufficiente a compensare il calo della popolazione dovuto al decremento della componente con cittadinanza italiana”.

Nel 2023 le domande d’asilo presentate in Italia erano state circa 130.000 (di cui l’84% da parte di uomini), nei primi nove mesi del 2024 sono state 116.000, con una crescita del 27,1%: “Va precisato che solo una parte delle persone entrate irregolarmente in Italia fa domanda. Tra i richiedenti asilo, crescono le richieste dei cittadini del Bangladesh (+59% rispetto al 2023). Nei primi 9 mesi del 2024 sono aumentate anche le domande da Cina (+882%), Sri Lanka (+335%), Marocco (+115%), India (+137%) e Perù (+119%)”.

Interessante è il tema dei ‘lungo soggiornanti’, cioè persone non comunitarie con un permesso di soggiorno di lungo periodo, titolo concesso a chi soggiorna regolarmente in Italia da oltre 5 anni: 2.139.000, pari al 59,3% di coloro che a quella stessa data hanno un documento di soggiorno valido. Tra i lungo soggiornanti, i moldavi rappresentano l’86%, gli ecuadoriani il 78,8%, i serbi il 78,1%, i macedoni il 76,4% e i bosniaci il 75,9%.

Il rapporto ha evidenziato che continua anche il calo degli irregolari registrato:  al 1° gennaio dello scorso ann0 si stima che questi ultimi si attestino sulle 321.000 unità, cioè -137.000 rispetto ai 458.000 dell’anno precedente con la componente irregolare che costituisce il 5,6% del totale dei presenti (nel 2022 erano il 7,9%): “Il consistente e continuo aumento della popolazione straniera residente in Italia non è dovuto solo alle immigrazioni, ma anche alle nascite.

Queste ultime, dopo il record storico di circa 80.000 nati nel 2012, sono diminuite progressivamente sino a scendere ai 50.000 nati del 2023”. Per quel che riguarda gli ingressi via mare, il 2024 si è chiuso con poco più di 66.000 sbarchi (-57,9% rispetto al 2023). In particolare, al 15 novembre 2024 la riduzione degli sbarchi era del 60% rispetto allo stesso periodo del 2023, sia per gli arrivi dalla Tunisia (-80,3%), sia per quelli dalla Libia (-20,2%) e dalla Turchia (-51,1%).

Sul fronte del lavoro si segnala che nel 2023 gli occupati stranieri di età tra i 15 e i 64 anni sono stati 2.317.000. Tra il 2005 e il 2023 il tasso di attività degli italiani è cresciuto dal 61,9% al 66,4%, mentre la componente straniera è passata dal 73,4% al 69,6%. Il tasso di occupazione per gli italiani è cresciuto dal 57,2% al 61,2%, mentre per gli stranieri è diminuito dal 65,8% al 61,6%. L’incidenza degli stranieri sul totale dei disoccupati è pari al 15,5%

All’inizio degli anni ‘90, Fondazione ISMU ETS stimava, sulla base dei versamenti Inps, che gli occupati stranieri di età compresa tra i 15 e i 64 anni fossero circa 160.000. Nel 2023 sono 2.317.000 (dati Eurostat), esito di una crescita che ha raggiunto l’apice negli anni pre-pandemia, in particolare nel 2017 (2.387.000), per poi calare nel 2020. Superata l’emergenza sanitaria, il volume dell’occupazione straniera ha ripreso a crescere, raggiungendo poco più del 10% dell’occupazione complessiva (ma il peso effettivo degli occupati con background migratorio è sottostimato a causa del numero di residenti stranieri che ogni anno acquistano la cittadinanza italiana ‘scomparendo’ dalle statistiche sull’occupazione).

Inoltre tra il 2005 e il 2023 il tasso di attività degli italiani è cresciuto costantemente (dal 61,9% al 66,4%), mentre la componente straniera è passata dal 73,4% al 69,6%. Analogo il trend del tasso di occupazione, che per gli italiani è cresciuto dal 57,2% al 61,2%, mentre per gli stranieri è diminuito di 4,2 punti percentuali (dal 65,8% al 61,6%), con un crollo di 6,4 punti per gli uomini e 4,3 per le donne.

L’incidenza degli stranieri sul totale dei disoccupati è pari al 15,5%, quasi 6 punti percentuali in più rispetto al loro peso sulle forze lavoro, nonostante il numero di disoccupati stranieri sia significativamente più basso rispetto ad alcuni anni fa, quando arrivò a sfiorare il mezzo milione. Particolarmente critica la situazione delle donne straniere: la riduzione di un solo punto tra il 2005 e il 2023 si è accompagnata a un ampliamento del divario con le italiane, passato da 5,5 punti percentuali a 5,9.

Per quanto riguarda la scuola, nell’anno scolastico 2022/23 il numero degli alunni con CNI (cittadinanza non italiana), nati all’estero e nati in Italia, si attesta a 914.860 presenze, corrispondenti all’11,2% sul totale degli iscritti (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.

La ricostruzione fatta da Fondazione ISMU ETS del trend di alunni CNI (con cittadinanza non italiana) negli ultimi trent’anni ricostruisce quattro fasi. La prima, di avvio, iniziata con poco più di 31.000 presenze nell’anno scolastico 1992/93, ne raggiunge 70.000 nell’anno scolastico 1997/98. Segue, fino al 2012/13, una accelerazione esponenziale, dove il totale di iscritti con background migratorio si decuplica in circa 15 anni e supera le 700.000 unità.

Negli anni successivi, fino al 2019/20, i ritmi di crescita rallentano e si attestano in media sui +12.000 all’anno, nonostante la ‘crescita zero’ del 2015/16 (+641), una percentuale media oscillante tra i 9 e 10 studenti di origine immigrata ogni 100 durante tutto il periodo. Infine, l’attuale fase oscillante (2020/21-2022/23), in cui si registra il primo anno scolastico segnato dal ‘segno meno’, con la perdita di oltre 11.000 alunni di origine immigrata (2020/21) nella fase pandemica, così come la grande crescita del 2022/23 (+42.500 presenze), con l’inserimento scolastico dei profughi ucraini e il superamento della soglia del 10%.

Dopo la crescita rallentata degli ultimi anni, nell’anno scolastico 2022/23 il numero degli alunni con CNI, nati all’estero e nati in Italia, si attesta a 914.860 presenze, corrispondenti all’11,2% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane (8.158.138) dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.

Il 44% degli alunni stranieri è di origine europea. Per quanto riguarda la provenienza, gli studenti sono originari di circa 200 Paesi diversi. In particolare, il 44% è di origine europea; più di 1/4 è di origine africana; attorno al 20% asiatica e quasi l’8% dell’America latina. La cittadinanza più numerosa è rappresentata dalla Romania, con quasi 149.000 studenti; seguono Albania con 118.000 presenze e Marocco con 114.000 presenze.

Papa Francesco: lo sfruttamento minorile è un crimine

“Vorrei ringraziare il circo. Il lavoro del circo è un lavoro umano, un lavoro d’arte, un lavoro che comporta tanto sforzo. Quando tornerà vi chiamo all’applauso”: al termine dell’udienza generale papa Francesco ha ringraziato il circo ‘Rony Roller’, che ha allietato la mattinata, come nella scorsa settimana aveva fatto il ‘Circo Africa’, chiedendo di pregare per le popolazioni colpite dalle alluvioni e dalle guerre:

“L’altro ieri una frana ha travolto abitazioni in Myanmar provocando vittime, dispersi e ingenti danni. Sono vicino alla popolazione colpita da questa sciagura a prego per quanti hanno perso la vita e i loro famigliari. Non manchi il sostegno e la solidarietà della comunità internazionale… Non dimentichiamo l’Ucraina, la Palestina, Israele e tutti i Paesi che sono in guerra; la guerra una sconfitta. Preghiamo anche per la conversione del cuore dei fabbricanti delle armi, perché con il loro prodotto aiutano ad uccidere”.

Mentre nella catechesi si è soffermato sulla piaga del lavoro minorile: “Eppure, ancora oggi nel mondo, centinaia di milioni di minori, pur non avendo l’età minima per sottostare agli obblighi dell’età adulta, sono costretti a lavorare e molti di loro sono esposti a lavori particolarmente pericolosi. Per non parlare dei bambini e delle bambine che sono schiavi della tratta per prostituzione o pornografia, e dei matrimoni forzati. E questo è un po’ amaro. Nelle nostre società, purtroppo, sono molti i modi in cui i bambini subiscono abusi e maltrattamenti”.

Ha affermato che l’abuso sui minori è un crimine: “L’abuso sui minori, di qualunque natura esso sia, è un atto spregevole, è un atto atroce. Non è semplicemente una piaga della società, no, è un crimine! È una gravissima violazione dei comandamenti di Dio. Nessun minore dovrebbe subire abusi. Anche un solo caso è già troppo.

Occorre, dunque, risvegliare le nostre coscienze, praticare vicinanza e concreta solidarietà con i bambini e i ragazzi abusati, e nello stesso tempo costruire fiducia e sinergie tra coloro che si impegnano per offrire ad essi opportunità e luoghi sicuri in cui crescere sereni. Conosco un Paese in America Latina, dove cresce un frutto speciale, molto speciale, che si chiama arandano (una specie di mirtillo). Per fare la raccolta dell’arandano ci vogliono mani tenere e la fanno fare ai bambini, li schiavizzano da bambini per la raccolta”.

E’ una situazione tragica: “Le povertà diffuse, la carenza di strumenti sociali di supporto alle famiglie, la marginalità aumentata negli ultimi anni insieme con la disoccupazione e la precarietà del lavoro sono fattori che scaricano sui più piccoli il prezzo maggiore da pagare. Nelle metropoli, dove ‘mordono’ il divario sociale e il degrado morale, ci sono ragazzini impiegati nello spaccio di droga e nelle più disparate attività illecite.

Bambini ‘sacrificati’, perché non si ha il coraggio della denuncia, come è stato per Loan: “Quanti di questi ragazzini abbiamo visto cadere come vittime sacrificali! A volte tragicamente essi sono indotti a farsi “carnefici” di altri coetanei, oltre che a danneggiare sé stessi, la propria dignità e umanità. E tuttavia, quando in strada, nel quartiere della parrocchia, queste vite smarrite si offrono al nostro sguardo, spesso guardiamo dall’altra parte.

C’è un caso anche nel mio Paese, un ragazzo chiamato Loan è stato rapito e non si sa dov’è. E una delle ipotesi è che sia stato mandato per togliere gli organi, per fare trapianti. E questo si fa, lo sapete bene. Questo si fa! Alcuni tornano con la cicatrice, altri muoiono. Per questo io vorrei oggi ricordare questo ragazzo Loan”.

Ecco l’appello a combattere lo sfruttamento minorile: “Ci costa riconoscere l’ingiustizia sociale che spinge due bambini, magari abitanti dello stesso rione o condominio, a imboccare strade e destini diametralmente opposti, perché uno dei due è nato in una famiglia svantaggiata. Una frattura umana e sociale inaccettabile: tra chi può sognare e chi deve soccombere. Ma Gesù ci vuole tutti liberi, felici; e se ama ogni uomo e ogni donna come suo figlio e figlia, ama i più piccoli con tutta la tenerezza del suo cuore.

Perciò ci chiede di fermarci e di prestare ascolto alla sofferenza di chi non ha voce, di chi non ha istruzione. Combattere lo sfruttamento, in particolare quello minorile, è la strada maestra per costruire un futuro migliore per tutta la società. Alcuni Paesi hanno avuto la saggezza di scrivere i diritti dei bambini. I bambini hanno diritti. Cercate voi stessi su internet quali sono i diritti del bambino”.

E’ stato un invito ad acquisire consapevolezza sulla realtà dello sfruttamento: “La consapevolezza su quello che acquistiamo è un primo atto per non essere complici. Vedere da dove vengono quei prodotti. Qualcuno dirà che, come singoli, non possiamo fare molto. E’ vero, ma ciascuno può essere una goccia che, insieme a tante altre gocce, può diventare un mare.

Occorre però richiamare anche le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, e le imprese alla loro responsabilità: possono fare la differenza spostando i loro investimenti verso compagnie che non usano e non permettono il lavoro minorile… Non abbiate paura, denunciate, denunciate queste cose”.

Ha concluso l’udienza generale con una preghiera di santa Teresa di Calcutta: “Santa Teresa di Calcutta, gioiosa operaia nella vigna del Signore, è stata madre delle bambine e dei bambini tra i più disagiati e dimenticati. Con la tenerezza e l’attenzione del suo sguardo, lei può accompagnarci a vedere i piccoli invisibili, i troppi schiavi di un mondo che non possiamo lasciare alle sue ingiustizie. Perché la felicità dei più deboli costruisce la pace di tutti.

E con Madre Teresa diamo voce ai bambini: Chiedo un luogo sicuro dove posso giocare. Chiedo un sorriso di chi sa amare. Chiedo il diritto di essere un bambino, di essere speranza di un mondo migliore. Chiedo di poter crescere come persona. Posso contare su di te?”

In precedenza aveva ricevuto i presidenti ed i direttori nazionali delle Caritas dell’America Latina e dei Caraibi: “E’ per me un grande piacere ricevervi qui oggi, in quello che è il secondo corso di formazione promosso dalla Caritas America Latina e Caraibi. Lo è perché rappresenta il consolidamento di processi volti a creare quella cultura della cura che abbiamo scelto di chiamare salvaguardia”.

Salvaguardia significa anche custodia e protezione: “Il Signore chiede a noi, suoi inviati, suoi angeli nel senso della missione, anche se non della purezza, di porre il segno della sua croce benedetta sulla fronte di tutti coloro che si rivolgono alla nostra Caritas, gemendo e lamentandosi per tante ingiustizie, perfino abominazioni perpetrate contro di loro”.

Il segno è un riconoscimento della propria dignità: “Porre ‘virtualmente’ questo segno su ogni assistito, su ogni professionista, su ogni essere umano che incontriamo, è riconoscere in lui la sua dignità di fratello in Cristo, di redento dal sangue del Salvatore, vedere in Lui la ferita aperta del Redentore che Egli offre la sua mano tesa perché possiamo riconoscere il mistero della sua incarnazione”.

Tale segno di ‘custodia’ è anche un ‘comando’ di Dio: “E’ anche assumere l’imperativo ineludibile del Signore che ci comanda: ‘non toccare il mio consacrato’. In questo senso, custodia è un nome divino, è Cristo stesso scritto sulla fronte di ogni uomo e di ogni donna e, come in uno specchio, nel cuore di ciascuno di noi che, nella nostra fragilità, vogliamo essere portatori del suo amore. in piccoli gesti di carità e di cura”.

(Foto: Santa Sede)

Paola Veglio: un’imprenditoria etica per cambiare il mondo

Ideato dalle monache del Monastero Santa Rita da Cascia per promuovere un’imprenditoria ispirata al Vangelo ed un’economia solidale, il premio ‘Madre Maria Teresa Fasce’, quest’anno, è stato consegnato a Paola Veglio, donna, ingegnere, imprenditrice ed AD di ‘Brovind’, eccellenza del Made in Italy nell’automazione industriale, con questa motivazione: ‘A Paola Veglio, donna, ingegnere e imprenditrice, per aver saputo far crescere la sua azienda mantenendo l’attenzione verso le persone e per aver guardato al territorio con progetti e azioni capaci di migliorare la qualità della vita della comunità’.

Per questo la Madre Priora del monastero santa Rita da Cascia, suor Maria Rosa Bernardinis, ha spiegato il motivo dell’istituzione del premio, dedicata a madre Fasce: “Il premio Madre Fasce è dedicato alle donne che scelgono di essere protagoniste della necessaria rivoluzione solidale dell’economia facendo impresa non solo per il profitto, ma per generare impatto sociale e umano. In società segnate da crisi, conflitti e disuguaglianze, il modello di imprenditoria ispirato al Vangelo che la Fasce ci insegna è più attuale che mai e richiama all’etica e alla sostenibilità.

Lei è stata una vera ‘imprenditrice di Dio’, che nel 1900 ha costruito a Cascia, e da qui diffuso, un’impresa del bene, fondata sulla carità e sui valori cristiani incarnati da Santa Rita. In questo tempo sempre più lacerato dalle guerre, aprire il cuore agli altri in ogni ambito, sociale, economico e politico, mettendo le persone prima di ogni interesse personale e al centro di ogni azione, vuol dire promuovere anche la pace”.

Ricevendo il premio l’imprenditrice Paola Veglio ha espresso la propria gratitudine: “Ricevere un premio è sempre una grande soddisfazione, perché ci si rende conto di aver fatto qualcosa di buono. Ricevere questo premio ha un valore per me enorme, perché, dopo aver letto la sua biografia, ho trovato in Madre Maria Teresa Fasce un mondo magnifico, fatto di testardaggine, dove si va contro tutto e tutti per assecondare il bisogno spasmodico di aiutare il prossimo. In Lei ho avuto la conferma che cerco da una vita. Cambiare il mondo è possibile, se solo lo vogliamo”.

Per quale motivo ricevere il premio Madre Fasce è un onore?

Ricevere un premio è sempre un grande onore, perché significa che qualcuno ha notato il tuo impegno e lo ha apprezzato. Il premio Madre Fasce ha un valore per me immenso. La sua vita, il suo carattere, i suoi insegnamenti sono una fonte di ispirazione enorme. Più leggo della sua vita e più vedo punti d’intersezione con la mia filosofia di vita e di lavoro. Oltre al premio che mi è stato consegnato, ho ricevuto anche un altro bellissimo regalo: conoscere le monache, semplicemente eccezionali e rivoluzionarie nel loro pensiero e modo di fare. Quando le conosci vedi la Luce, ti riempiono l’anima. In un mondo grigio, troppo spesso fatto di persone cattive e invidiose, in cui si guarda solo a sé stessi, quella Luce è davvero un faro nella nebbia, che ti guida e ti rigenera.

‘In società segnate da crisi, guerre e disuguaglianze, il modello di imprenditoria che la Fasce ci insegna e che Paola Veglio incarna è più attuale che mai e richiama all’etica e alla sostenibilità’, aveva sottolineato la priora, suor Bernardinis. E’ possibile fare imprenditoria eticamente?

“Si può fare, è un modo di vedere la vita un po’ diverso da quello che ti impone oggi il mondo dei social e del ‘gregge’. Ho sempre pensato che in azienda, oltre al profitto, occorre creare valore. E, l’unico modo per farlo, è mettere le persone al primo posto e cercare di mettersi a loro disposizione, creando non solo posti di lavoro, ma ambienti in cui possano vivere bene. Sembra banale, ma non lo è affatto. L’azienda deve funzionare e guadagnare, altrimenti tanti discorsi virtuosi muoiono. Ma da lì in poi, sta all’imprenditore fare la differenza, oltrepassare gli stereotipi e donarsi ai propri valori e al prossimo”. 

In quale modo è possibile cambiare il mondo?

“Basta volerlo più di ogni altra cosa. La mia vita è stata un percorso in cui tante volte sono andata in crisi perché ‘non potevo salvare tutti’. Ma sono arrivata a capire che, se aiutiamo chi abbiamo a fianco, ascoltandolo e provando a risolvere dei problemi, anziché creandone di nuovi, stiamo nel nostro piccolo salvando il mondo. Iniziamo dal sorridere al prossimo, poi da cosa nasce cosa e ci troveremo a costruire progetti che, a volte, coinvolgono intere comunità. Se solo si imparasse a sorridere, molte guerre, piccole o grandi, sparirebbero. Se anziché voler sopraffare, si iniziasse ad ascoltare, quanti dissidi già faremmo sparire? Un sorriso, un banale sorriso, può già salvare parte del mondo”.

Perché vuole ‘salvare’ i borghi?

“Perché sono preziosi, e lo saranno sempre di più, lontani anni luce dalla frenesia e dal nervosismo delle città. Ci sono paradisi incontaminati, ricchi di storia, di paesaggi da riscoprire e di cui prendersi cura. Se non facciamo qualcosa, i borghi spariranno per lo spopolamento e perderemo tesori inestimabili, in cui i nostri vecchi invece credevano. Noi abbiamo la possibilità di scegliere, e io ho scelto di viverli e rispettarli”.

E’ possibile coniugare il lavoro con la famiglia?

“Se si guarda la mia storia personale, mi viene spontaneo dire di no. Ma bisogna arrivare a non dover più scegliere tra uno o l’altro. Non esistono scelte giuste o sbagliate, sono semplicemente scelte. Dico sempre che ognuno, per giudicare, dovrebbe trovarsi nella stessa situazione, nello stesso momento della vita ed indossare le stesse scarpe. Ma poter scegliere è la più alta forma di libertà e parità. Ognuno dovrebbe poter sceglier nella vita il proprio destino, lontano dai pregiudizi e da quello che vogliono gli altri”.

Chi è per lei Madre Fasce? 

“Una donna eccezionale e visionaria. Un’eroina dei nostri tempi, che ha saputo conciliare una vita monastica di clausura ad una serie di progetti importantissimi, che hanno portato il monastero di santa Rita da Cascia a essere il luogo di pellegrinaggio come lo conosciamo oggi. Aveva una visione imprenditoriale incredibile e, con la sua testardaggine e volontà, ha fatto sì che i suoi progetti si realizzassero, illuminati dalla luce della Fede”.

(Tratto da Aci Stampa)

‘Piazza dei Mestieri’ per realizzare i sogni dei giovani

“In questi 20 anni di attività ‘Piazza dei Mestieri’ ha seguito ed avviato al lavoro migliaia di giovani, coinvolgendo docenti, istituzioni locali, imprenditori e famiglie, creando una formula innovativa ed efficiente. Dalla città di Torino la ‘Piazza dei Mestieri’ si è allargata anche a Catania e Milano, dimostrando così l’efficacia di un modello. Il lavoro costituisce un cardine del patto di cittadinanza su cui si fonda la nostra Costituzione. E’, insieme, realizzazione personale e partecipazione al destino comune della Repubblica.

Senza occupazione non c’è dignità. Senza lavoro si piomba nella marginalità e nella solitudine. L riscoperta dei ‘mestieri’, in questo senso, rappresenta un tassello importante per dare prospettive certe ai giovani, rimuovendo le cause economiche e sociali  che ne impediscono una piena partecipazione alla vita civile”: con questa lettera del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha voluto raggiungere la Piazza dei Mestieri e tutti i partecipanti, si era conclusa a settembre la festa per il ventennale della fondazione.

Sono state oltre 2.500 le presenze al dialogo che si è dipanato attraverso 12 incontri in un dialogo in cui i giovani sono stati protagonisti interloquendo con le loro domande con gli autorevoli ospiti della settimana. Non sono mancati poi momenti di festa con serate dedicate alla musica (Jazz e Cabaret) e con eventi dedicati agli ex allievi per i quali in questi giorni è stata fondata un’associazione.

Un punto del modello ‘Piazza dei Mestieri’, che i relatori hanno sottolineato, è la sua capacità di essere stato capace di far emergere i talenti dei giovani accompagnandoli nel loro percorso educativo e di inserimento lavorativo, ma anche offrendo proposte per il loro tempo libero come, ad esempio, quelle del ricco cartellone di eventi culturali. Non basta vietare l’eccesso di uso del cellulare, ci vuole qualcosa cha attrae di più, servono luoghi che rispondano al desiderio di felicità dei giovani partendo da un abbraccio capace di accoglierli e di fargli sentire il loro valore, come ha concluso Dario Odifreddi, presidente del consorzio ‘Scuole Lavoro’ e fondatore di ‘Piazza dei Mestieri’:

“Creare un ponte tra formazione e lavoro per dar vita ai nuovi artigiani del futuro. E’ con questo obiettivo che nasceva a Torino ‘Piazza dei Mestieri’, un’esperienza purtroppo unica in Italia. Ogni anno ‘Piazza dei Mestieri’ prepara per il mondo del lavoro cuochi, parrucchieri, maitre di sala, tecnici Ict e grafici, con un occhio attento anche alla prevenzione del disagio giovanile e alla lotta alla dispersione scolastica, perché il lavoro serve per l’educazione… Occorre trasmettere la passione al lavoro, perché esso educa alla libertà ed insegnare un lavoro forma ad essere uomo”.

Era il 26 ottobre 2004 quando a Torino si inaugurava la ‘Piazza dei Mestieri’. In questi vent’anni la ‘Piazza’ è diventata non solo un luogo di educazione e di crescita dei più giovani, ma anche un luogo di incontro per le famiglie e per gli adulti del territorio, un luogo di accoglienza per stranieri e persone in difficoltà, un luogo di cultura e di buon cibo, riproducendo così il modello di piazza dei comuni della tradizione italiana. 

Ogni anno la Piazza dei Mestieri, nelle sedi di Torino (2004), Catania (2012) e Milano (2022), accoglie migliaia di giovani italiani e stranieri, che vogliono imparare un mestiere e trovare un lavoro. Nascono così i panettieri, i cioccolatieri e i birrai, i cuochi e i camerieri, i grafici e gli informatici, le acconciatrici ed i barber del  futuro:

“Per raggiungere questi risultati sono stati necessari la passione, la dedizione, il lavoro e la gratuità delle tante persone che ogni giorno lavorano fianco a fianco con i ragazzi, veri e propri ‘Maestri’ che si implicano totalmente con la loro vita e con le loro problematiche. Altrettanto decisiva è stata, e sarà, l’alleanza con gli imprenditori e le istituzioni del territorio con cui si è costruita una grande alleanza affinché educazione e lavoro diventino parte di un unico processo educativo”.

Negli anni ‘Piazza dei Mestieri’ ha creato sia un ristorante, finito sulla guida Michelin, che un pub, premiato per le sue birre; poi anche un centro di acconciatura ed estetica; inoltre con ‘Piazza dei Mestieri’ è nato un Istituto Tecnico Superiore, premiato dal Ministero dell’Istruzione. E per favorire l’inserimento lavorativo degli allievi, è nato un Job Center, che segue i ragazzi nei due anni successivi al diploma:

“C’è un’enorme domanda di mestieri tradizionali… La differenza oggi è che vanno rivisti in chiave innovativa, moderna e tecnologica. Fare il maitre o lo chef non può essere uguale a 20 anni fa. I mestieri servono tantissimo, ma non serve riprodurre una cosa vecchia, in quanto oggi un cuoco deve conoscere anche le lingue e le intolleranze alimentari ed un idraulico i materiali più innovativi sul mercato”.

A lui chiediamo di raccontarci la responsabilità educativa degli adulti nei confronti dei ragazzi: “Sfidare la loro libertà, incoraggiarli a scoprire i loro talenti, aiutarli a percepirsi protagonisti della loro vita e di quella del tempo a cui appartengono. Dobbiamo stare nudi davanti a loro, senza uno sguardo moralista e scettico. Per questo la prima responsabilità di noi adulti non è quella verso i nostri giovani, ma quella verso noi stessi, perché siamo noi per primi che dobbiamo riscoprire la positività della vita e del reale”.

I giovani soffrono il ‘male di vivere’?

“Si, hanno molta paura del loro futuro, temono di restare delusi e di deludere le persone a cui vogliono bene. Così tante volte si ritirano dalle sfide che la realtà pone loro di fronte. E’ come se il naturale slancio della gioventù, desideroso di costruire, di scoprire cosa si sta a fare al mondo, di porsi le grandi domande sul senso della vita, fosse imbrigliato da una nebbia che oscura l’orizzonte”.

In quale modo è possibile non mortificare i ‘sogni’ dei giovani?

“Innanzitutto, noi adulti dobbiamo smetterla di lanciare segnali negativi, di dirgli che saranno una generazione che vivrà peggio di noi, che li aspetta un mondo di precarietà, che saranno sopraffatti dalle grandi transizioni in atto. Smettiamo di compiangerli, mettiamoci al loro fianco per aiutarli a scoprire che la vita è un dono destinato a una grande avventura e che nessuna contraddizione ci può togliere il gusto del vivere e di scoprire il nostro destino”.

Perché ‘Piazza dei Mestieri’?

“Venti anni fa ci accorgevamo che tanti adolescenti si perdevano per strada, bisticciavano con la scuola, entravano nel loop dell’abbandono scolastico, perdevano la fiducia nella vita e in molti casi finivano per vivere ai margini della società, talvolta scivolando verso le diverse forme di devianza e di dipendenza. Invece di fare analisi abbiamo deciso di mettere le mani in pasta e di farci compagni del loro cammino”.

Quali sono le origini di ‘Piazza dei Mestieri’?

“Risalgono a molo tempo fa quando con un gruppo di amici universitari che condividevano l’esperienza cristiana ci siamo trovati di fronte alla contraddizione. Nel 1986, in una gita in montagna con più di 300 universitari, il nostro amico più caro, Marco Andreoni, per il distacco di una grossa pietra su cui si trovava, precipitava e moriva. Dopo la rabbia ed il dolore si è fatto strada in noi il desiderio di spendere la vita per qualcosa che valesse la pena. Così il gruppo degli amici più cari ha sempre conservato nel cuore di fare qualcosa di utile da dedicare a Marco. Dopo la laurea siamo andati a lavorare in posti diversi e dopo diversi anni è nata l’occasione per costruire una realtà educativa. E’ nata così la Piazza dei mestieri Marco Andreoni”.

Dopo 20 anni, come si può descrivere ‘Piazza dei Mestieri’?

“Un luogo, a Torino a Catania e a Milano, per i giovani adolescenti, soprattutto per quelli più in difficoltà; un luogo in cui si sviluppano percorsi formativi incentrati sui Mestieri (panettieri, pasticceri, cioccolatieri, birrai, cuochi, camerieri, acconciatori, grafici, informatici) e in cui si può fare un’esperienza reale di lavoro grazie al fatto che abbiamo aperto un ristorante, un pub, un salone di acconciatura, e poi produciamo birra, pane, cioccolato, etc. Tutte attività aperte al pubblico. Un modello innovativo in cui educazione e lavoro vanno a braccetto. Questo è fondamentale per permettere un reale inserimento nel mondo del lavoro.

Un luogo di accoglienza per gli stranieri, di sostegno alla rete di scuole del territorio, un luogo dove si fa anche cultura (facciamo più di 70 eventi culturali ogni anno) e ci si diverte. Nel 2023 abbiamo accolto e accompagnato oltre 11.000 giovani. Ma soprattutto è una casa a cui si può sempre tornare (c’è anche l’associazione ex allievi). Perché ognuno dei nostri ragazzi è come una stella che incontra tante difficoltà nel suo cammino e che ha sempre bisogno di un luogo che la aiuta a riaccendersi a ripartire. Un luogo che ti aspetta e che ti abbraccia qualunque cosa tu abbia fatto o vissuto”.

(Foto: Piazza dei Mestieri)

Papa Francesco rivolge gli auguri di Natale: la salvezza è costruita da artigiani

“Sono felice che possiamo scambiarci gli auguri di Natale. Esprimo prima di tutto la mia gratitudine a ciascuno di voi per il lavoro che fate, sia a beneficio della Città del Vaticano che della Chiesa universale. Come ogni anno, siete venuti con le vostre famiglie e per questo vorrei riflettere un momento, brevemente, con voi proprio su questi due valori: lavoro e famiglia”: giornata di auguri natalizi per papa Francesco con i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e con la Curia romana.

Ai dipendenti vaticani papa Francesco incentra il messaggio augurale sulla famiglia e sul lavoro: “Quello che fate è certamente tanto. Passando per le strade e nei cortili della Città del Vaticano, nei corridoi e negli uffici dei vari Dicasteri e nei diversi luoghi di servizio, la sensazione è di trovarsi come in un grande alveare. E anche adesso c’è chi sta lavorando per rendere possibile questo incontro e non è potuto venire: diciamo loro grazie!”

E’ un lavoro ‘nascosto’ come lo è stato quello di Gesù: “Gesù stesso ce l’ha mostrata: Lui, il Figlio di Dio, che per amore nostro si è fatto umilmente apprendista falegname alla scuola di Giuseppe. A Nazaret pochi lo sapevano, quasi nessuno, ma nella bottega del carpentiere, assieme e attraverso tante altre cose, si costruiva, da artigiani, la salvezza del mondo! Avete pensato a questo: che la salvezza è stata costruita ‘da artigiani’? E lo stesso, in senso analogo, vale per voi, che col vostro lavoro quotidiano, nelle Nazaret nascoste delle vostre particolari mansioni, contribuite a portare a Cristo l’intera umanità e a diffondere in tutto il mondo il suo Regno”.

L’altro punto sottolineato è quello della famiglia, che invita ad amare, riprendendo la ‘lezione’ di san Giovanni Paolo II: “Amate la famiglia, per favore! Ed è vero: la famiglia, infatti, fondata e radicata nel matrimonio, è il luogo in cui si genera la vita (e quanto è importante, oggi, accogliere la vita!) Poi è la prima comunità in cui, fin dall’infanzia, si incontrano la fede, la Parola di Dio e i Sacramenti, in cui si impara a prendersi cura gli uni degli altri e a crescere nell’amore, a tutte le età…

Nella famiglia è stata trasmessa la fede. Vi incoraggio perciò (genitori, figli, nonni e nipoti, i nonni hanno una grande importanza vi incoraggio a restare sempre uniti, stretti tra voi e attorno al Signore: nel rispetto, nell’ascolto, nella premura reciproca”.

Eppoi un invito alla preghiera insieme: “Sempre uniti, mi raccomando, anche nella preghiera fatta insieme, perché senza preghiera non si va avanti, neanche in famiglia. Insegnate a pregare ai bambini! Ed in proposito, in questi giorni, vi suggerisco di trovare qualche momento in cui raccogliervi, assieme, attorno al Presepe, per rendere grazie a Dio dei suoi doni, per chiedergli aiuto per il futuro e per rinnovarvi a vicenda il vostro affetto davanti al Bambino Gesù”.

Mentre nell’augurio alla curia romana l’invito del papa è quello della benedizione: “Questo atteggiamento, il parlare bene e non parlare male, è un’espressione dell’umiltà, e l’umiltà è il tratto essenziale dell’Incarnazione, in particolare del mistero del Natale del Signore, che ci apprestiamo a celebrare. Una comunità ecclesiale vive in gioiosa e fraterna armonia nella misura in cui i suoi membri camminano nella via dell’umiltà, rinunciando a pensare male e parlare male degli altri”.

E lo ha fatto con un insegnamento di Doroteo di Gaza: “Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri. Doroteo è uno di questi. Nella scia di grandi Padri come Basilio ed Evagrio, egli ha edificato la Chiesa con istruzioni e lettere piene di linfa evangelica. Oggi anche noi, mettendoci alla sua scuola, possiamo imparare l’umiltà di accusare sé stessi per non dire male del prossimo”.

Infatti l’invito di Doroteo di Gaza consiste nella trasformazione del male in bene: “Accusare sé stessi è un mezzo, ma è indispensabile: è l’atteggiamento di fondo in cui può mettere radici la scelta di dire ‘no’ all’individualismo e ‘sì’ allo spirito comunitario, ecclesiale. Infatti, chi si esercita nella virtù di accusare sé stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio, il solo che crea l’unione dei cuori.

E così, se ciascuno progredisce su questa strada, può nascere e crescere una comunità in cui tutti sono custodi l’uno dell’altro e camminano insieme nell’umiltà e nella carità. Quando uno vede un difetto in una persona, può parlarne soltanto con tre persone: con Dio, con la persona stessa e, se non può con questa, con chi nella comunità può prendersene cura. E niente di più”.

E’ stato un invito ad essere ‘artigiani’ della benedizione: “Possiamo immaginare la Chiesa come un grande fiume che si dirama in mille e mille ruscelli, torrenti, rivoli (un po’ come il bacino amazzonico), per irrigare tutto il mondo con la benedizione di Dio, che scaturisce dal Mistero pasquale di Cristo”.

E’ la realizzazione del ‘disegno’ di Dio promesso ad Abramo: “Questo disegno presiede a tutta l’economia dell’alleanza di Dio con il suo popolo, che è ‘eletto’ non in senso escludente, ma al contrario nel senso che cattolicamente diremmo ‘sacramentale’: cioè facendo arrivare il dono a tutti attraverso una singolarità esemplare, meglio, testimoniale, martiriale”.

Infine ha rivolto un augurio ai ‘minutanti’, prendendo spunto da una frase di uno di loro apposto sulla porta (‘Il mio lavoro è umile, umiliato, umiliante’): “Direi che esprime lo stile tipico dell’artigianato della Curia, da intendere però in senso positivo: l’umiltà come via del bene-dire. La strada di Dio che in Gesù si abbassa e viene ad abitare la nostra condizione umana, e così ci benedice. E questo posso testimoniarlo: nell’ultima Enciclica, sul Sacro Cuore, che ha menzionato il cardinale Re, quanti hanno lavorato! Quanti! Le bozze andavano, tornavano… Tanti, tanti, con piccole cose”.

La mattinata di papa Francesco si è conclusa con l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione del re del Belgio Baldovino: “Volendo dare seguito a quanto disposto, il Dicastero ha iniziato il previsto iter costituendo in data 17 dicembre 2024 la regolare Commissione storica, composta da illustri esperti nella ricerca archivistica e nella storia del Belgio, per raccogliere e valutare la documentazione riguardante il Re Baldovino”.

 (Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: senza il cuore si perde la dignità

Oggi presso l’Auditorium della Tecnica a Roma si è svolta la terza edizione dell’evento ‘LaborDì’, la giornata dedicata ai giovani e al mondo del lavoro promossa dalle ACLI di Roma e provincia con il patrocinio di Diocesi di Roma, Regione Lazio, Città metropolitana di Roma Capitale, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma, Unindustria e ManagerItalia Lazio con i partner dell’evento Eni, Gruppo Fs Italiane, Risorse per Roma, Enel, Würth, Vittoria Assicurazioni e Tecne – Autostrade per l’Italia e la media partnership di Rai Radio3.All’iniziativa partecipa la Regione Lazio attraverso i fondi europei FSE+ 2021-2027.

Protagonisti dell’iniziativa sono stati oltre 1600 ragazze e ragazzi da 17 anni in poi provenienti da 22 istituti di formazione superiore di Roma e provincia che vivranno una giornata di incontro, orientamento e formazione con 45 aziende ed enti e 70 recruiter professionisti per un totale di 560 ore di colloqui, e in parallelo durante la giornata si terranno oltre 80 workshop.

Durante la giornata sono stati organizzati seminari tematici e di orientamento, con un focus speciale sull’innovazione tecnologica illustrando le novità nel campo dell’intelligenza artificiale e della realtà estesa applicata al mondo del lavoro. Utilizzata anche una piattaforma informatica per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, specificamente realizzata per il LaborDì e organizzati colloqui con i dirigenti della gestione delle risorse umane delle realtà nazionali e internazionali, presenti. Inoltre allestita anche una mostra di sensibilizzazione per il contrasto del bullismo e cyberbullismo, denominata ‘The AI.D’, realizzata grazie all’intelligenza artificiale a partire dalle storie di ragazzi vittime di violenze e bullismo.

A questo convegno papa Francesco ha inviato un messaggio per sottolineare che il lavoro è per tutti: “Forse il lavoro vi è apparso fino a oggi come un problema degli adulti. Da anziano Vescovo di Roma vorrei dirvi: non è così! Voi avete già lavorato parecchio, sapete? Quanto impegno e quanta energia sono stati necessari alla vostra crescita? Certamente, molto è ciò che avete ricevuto, ma a nulla sarebbero valsi gli sforzi di genitori, insegnanti, educatori, amici, senza la vostra risposta”.

Nel messaggio il papa ha evidenziato la necessità di aprirsi al mondo: “E’ vero, ognuno sa di avere anche sprecato delle buone opportunità in qualche occasione; tuttavia, la vita stessa non si stanca di chiamarci ad uscire da noi stessi. Abbiamo le nostre ‘tane’. Ci costruiamo rifugi, soprattutto quando attorno a noi ci sono confusione e minacce. Ma in realtà siamo fatti per la luce, per l’aperto. Così, attraversata l’adolescenza, si apre davanti a voi la scena del mondo. Può apparire affollata e distratta al vostro arrivo; eppure, manca ancora del vostro contributo, di ciò per cui da sempre siete attesi. Con voi (e vorrei dire a ciascuno: con te) entra nel mondo il nuovo. Tutto, davvero tutto può cambia”.

Riprendendo l’enciclica ‘Laudato Sì’ il papa ha chiesto loro di portare un contributo per ‘migliorare’ il mondo: “Ascoltando il grido della terra, dell’aria, dell’acqua, che un modello sbagliato di sviluppo ha tanto ferito, ho compreso meglio una realtà che oggi voglio condividere con voi: nel creato ‘tutto è connesso’. Per questo il contributo di ciascuno di voi può migliorare il mondo. La novità di ognuno riguarda tutti”.

Ed anche il mondo del lavoro non è estraneo al creato: “Il mondo del lavoro è un mondo umano, in cui ognuno è connesso a tutti. E purtroppo anche questo ‘mondo’ è inquinato da dinamiche e comportamenti negativi che lo rendono a volte invivibile. Insieme alla cura del creato è necessaria la cura della qualità della vita umana, la ricerca della fraternità umana e dell’amicizia sociale, perché i nostri legami contano più dei numeri e delle prestazioni. Anche questo fa la differenza nel mondo del lavoro. E voi, avvicinandovi ad esso, è importante che teniate ben salde sia la coscienza della vostra unicità, che prescinde da qualsiasi successo o insuccesso, sia la propensione a stabilire con gli altri rapporti sinceri. In molti ambienti sarete, allora, una rivoluzione gentile”.

Infine ha chiesto di non omologarsi: “Per dare il vostro contributo, infatti, non dovete farvi andare bene qualsiasi cosa, anche il male. Non omologatevi a modelli in cui non credete, magari per ottenerne prestigio sociale o del denaro in più. Il male ci aliena, spegne i sogni, ci rende soli e rassegnati. Il cuore sa accorgersene e, quando è così, bisogna chiedere aiuto e fare squadra con chi ci conosce e tiene a noi. Bisogna scegliere”.

Per questa scelta, quindi, occorre il cuore: “Carissimi, nel mondo del lavoro si entra insieme. Non ciascuno per conto suo: diventeremmo rapidamente ingranaggi di una macchina e chi ha potere potrebbe fare di noi qualunque cosa. Le A.C.L.I., che vi hanno radunato, sono uno storico esempio di come sia importante associarsi, trasformare le intuizioni del cuore in legami sociali. Insieme si possono realizzare i sogni. Il cuore cerca amicizie, pensa non isolandosi, si scalda immedesimandosi. Il cuore sa essere flessibile e generoso. Sa rinunciare a qualcosa, ma perseguendo l’ideale. Sa darsi degli obiettivi, ma bada al modo in cui sono raggiunti”.

Infine ha ricordato che senza il cuore c’è rischio di perdere la dignità: “E quando il lavoro viene organizzato senza cuore, allora è in pericolo la dignità umana di chi lavora, o non trova lavoro, o si adatta a un lavoro indegno. Oggi è l’economia stessa ad accorgersi che il saper fare non basta, che le prestazioni non sono tutto. A questo basteranno sempre più le macchine. Umana, invece, è l’intelligenza del cuore, la ragione che sente le ragioni altrui, l’immaginazione che crea ciò che ancora non è, la fantasia per cui Dio ci ha resi tutti diversi. Siamo ‘pezzi unici’, aiutiamoci a vicenda a ricordarcelo”.

(Foto: Acli Roma)

Cresce la Piazza dei Mestieri a Catania

Era il 2012 quando la Piazza dei Mestieri decideva, dopo aver consolidato l’esperienza torinese, di iniziare l’avventura al Sud: “Eravamo stanchi di sentire analisi sui problemi del sud e sui suoi giovani ed allora abbiamo deciso di fare l’unica cosa che sappiamo fare: mettere le mani in pasta. La scelta è caduta su Catania perché per realizzare il modello della Piazza dei Mestieri non si può partire da zero, occorre avere partner credibili che conoscano il territorio e che abbiano capacità professionale e passione per l’educazione dei giovani. Tutto queste caratteristiche le abbiamo trovate in Archè impresa sociale che già operava con successo da circa 20 anni in Sicilia nel campo della formazione professionale”.

In questi anni di collaborazione, seguendo il modello della Piazza dei Mestieri, sono nate due sedi (la prima presso l’IPAB Santa Maria del Lume e la seconda presso la Fondazione Duca di Carcaci), costruendo progetti a sostegno dei giovani italiani e stranieri, della formazione professionale e delle scuole collaborando con le istituzioni locali. Grazie a questo nel 2023 sono stati accolti ed accompagnati oltre 2.000 giovani:

“Nel 2022, insieme al nostro partner Archè, ci siamo resi conto che era giunta il momento di rendere più stabile e completo il nostro modello. E’ nata così l’idea di ampliare la sede di Carcaci con altri 600 mq di superficie interna e 1600 di aree esterne, per sviluppare un nuovo progetto che intende attivare e consolidare una rete di intervento nel territorio catanese e che vede la Piazza dei Mestieri come player in accordo con istituzioni, istituti scolastici, agenzie educative, enti del terzo settore e imprese.

Insieme vogliamo costruire un punto di riferimento per le politiche di contrasto alla dispersione scolastica e per evitare che tanti giovani possano scivolare lentamente, ma inesorabilmente, in situazioni di marginalità sociale. Un rischio particolarmente elevato nei quartieri in cui si colloca la presenza della Piazza dei Mestieri (Monte Po, Nesima, San Leone, Rapisardi, Librino)”.

Il progetto vedrà, tra le altre cose, il consolidamento delle seguenti attività: a) La ‘Casa dei Compiti’ un luogo in cui tutti i pomeriggi, docenti e tutor, accoglieranno e aiuteranno i giovani delle scuole del territorio che sono in difficoltà nel loro percorso scolastico. b) lo ‘Sportello di Orientamento’ per aiutare i giovani in uscita dalle scuole medie a identificare il percorso più adatto per proseguire gli studi.

c) I ‘Laboratori di Mestiere’ in cui i ragazzi e le ragazze potranno sperimentare attitudini e competenze trasversali e scoprire i propri talenti. d) Le ‘Azioni di Capacity Building’ che si tradurranno in percorsi di affiancamento degli insegnati delle scuole del territorio, per condividere metodologie educative già sperimentate con successo dal modello della Piazza dei Mestieri.

e) Il ‘Cartellone degli eventi culturali’ che avrà a disposizione il nuovo grande giardino per l’estate e una sala dedicata nei mesi più freddi. Ci saranno spettacoli e incontri volti a valorizzare i talenti del territorio e offrire ai giovani la possibilità di fruire di un’offerta culturale che spesso per motivi diversi risulta a loro inaccessibile. f) Il ‘Bar e il Ristorante’ che diventeranno luoghi ideali per momenti di convivialità dedicati alle famiglie e ai giovani, facilitando la convivenza e l’incontro tra generazioni.

Per realizzare tutto questo il presidente Dario Odifreddi ha ringraziato chi ha creduto in questo progetto, come Marco Lori, presidente ‘Fondazione Azimut’: “Abbiamo aderito con convinzione alla proposta di sostenere lo sviluppo di Piazza dei Mestieri a Catania. Grazie a iniziative come queste, moltissimi giovani trovano una strada per uscire dalla marginalità e inserirsi nel mondo del lavoro. Spezzare la spirale della povertà attraverso il lavoro è un passo fondamentale per costruire un futuro migliore” .

La Banca d’Italia, da sempre attenta a coniugare lo svolgimento dei compiti istituzionali con l’impegno sociale, eroga somme a scopo di beneficenza o per contributi a iniziative di interesse pubblico. Ciò rappresenta uno dei canali attraverso cui restituire alla collettività parte delle risorse pubbliche derivanti dall’esercizio delle funzioni istituzionali. In questo contesto, la Banca d’Italia ha sostenuto il progetto ‘Un laboratorio per scrivere il proprio futuro’, che, affrontando temi come l’inclusione e la lotta alla dispersione scolastica, è destinato a produrre effetti duraturi a favore della comunità locale.

Anche Filippo Nicolò Rodriguez, consigliere delegato di Enel Cuore, ha sottolineato l’originalità di ‘Piazza dei Mestieri: “Piazza dei mestieri è un luogo che nasce con l’idea di offrire ai ragazzi uno spazio di confronto e crescita personale, ma anche di apprendimento e creazione di quelle competenze professionali che saranno veicolo di riscatto, partecipazione ed inserimento sociale.

Per Enel Cuore, da sempre impegnata a sostenere il benessere e lo sviluppo delle nuove generazioni, questa collaborazione rappresenta un’opportunità per contribuire alla creazione di un modello virtuoso. La rete di ‘Piazze’, che oggi raggiunge Catania, dimostra come l’impegno condiviso possa creare opportunità concrete e trasformative per i ragazzi su tutto il territorio nazionale”.

Giuseppe Nargi, direttore regionale di Campania, Calabria e Sicilia di Intesa Sanpaolo, ha evidenziato l’impegno per la realizzazione di questo luogo: “Grazie al programma Formula sono stati raccolti i fondi necessari per realizzare anche in Sicilia la Piazza dei Mestieri. Il nostro Gruppo supporta molti progetti in favore dei ragazzi e delle loro famiglie, con l’obiettivo condiviso di favorire sostenibilità e inclusione sociale che puntino ad attivare meccanismi di risposta collettiva alle istanze e ai bisogni del territorio. Nello specifico, a Catania, vogliamo costruire un punto di riferimento per le politiche di contrasto alla dispersione scolastica, strappando quanti più giovani possibile da situazioni di marginalità sociale”.

Infine Francesca Sofia, direttrice generale di Fondazione CDP, ha sottolineato l’impegno per il contrasto alla dispersione scolastica: “Il contrasto alla dispersione scolastica rappresenta uno degli obiettivi chiave di Fondazione CDP, soprattutto nel Mezzogiorno. Piazza dei Mestieri negli anni ha saputo creare un network vincente per rispondere concretamente a questo fenomeno e attraverso il nostro sostegno alla nuova iniziativa di Catania, contribuiremo a garantire a oltre 1.400 studenti di fruire di eque opportunità nell’affrontare il proprio percorso scolastico, tentando di rimuovere le barriere che tutti i giorni ostacolano il loro futuro e, in senso più ampio, quello del Paese. Con questa ulteriore collaborazione, sale a quasi 3.000.000 il totale delle risorse destinate da Fondazione CDP a progetti nella Regione”.

Papa Francesco agli artigiani: il bene ha bisogno di talenti

Ricevendo oggi in udienza circa 300 rappresentanti della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa italiana, papa Francesco ha sottolineato il valore del lavoro artigianali, esortandoli a mettere a disposizione per la promozione del bene comune la loro creatività:

“L’artigianato mi è molto caro perché esprime bene il valore del lavoro umano. Quando creiamo con le nostre mani, nello stesso tempo attiviamo la testa e i piedi: il fare è sempre frutto di un pensiero e di un movimento verso gli altri. L’artigianato è un elogio alla creatività; infatti, l’artigiano deve saper scorgere nella materia inerte una forma particolare che altri non sanno riconoscere. E questo vi rende collaboratori dell’opera creatrice di Dio. Abbiamo bisogno del vostro talento per ridare senso all’attività umana e per metterla al servizio di progetti di promozione del bene comune”.

E’ stato un esplicito riferimento alla parabola evangelica dei talenti: “Un padrone consegna a tre servi dei talenti da far fruttare. Quello che ne ha ricevuti cinque si dimostra intraprendente e ne guadagna altri cinque. Quello che ne ha ricevuti due fa altrettanto e ne procura altri due. Entrambi vengono lodati dal padrone allo stesso modo. Non conta la quantità, ma l’impegno di far fruttare i doni ricevuti. Proprio ciò che manca al terzo servo, che per paura e per pigrizia nasconde il suo talento sottoterra. Ha rinunciato all’intraprendenza perché non ha coltivato un rapporto di fiducia verso il suo padrone, verso la vita e verso gli altri, un rapporto di fiducia con gli altri”.

Tale parabola è un invito ad abbandonare il timore di non essere capace e di avere fiducia: “Questa parabola è un inno alla fiducia in Dio, e un invito a una sana, positiva ‘complicità’ con Dio, che ci rende partecipi dei suoi beni e conta su di noi, conta sulla nostra responsabilità. Se nella vita si vuole crescere occorre abbandonare la paura e avere fiducia. A volte, specialmente quando aumentano le difficoltà, siamo tentati di pensare che il Signore sia un arbitro o un controllore implacabile più che Colui che ci incoraggia a prendere in mano la vita”.

Però tale fiducia ha necessità di uno sguardo di fede, che si concretizza nella storia di ciascuno: “Ma il Vangelo ci chiama sempre ad avere uno sguardo di fede; a non pensare che ciò che realizziamo sia frutto solo delle nostre capacità o dei nostri meriti. E’ frutto anche della storia di ognuno di noi, è frutto di tanta gente che ci ha insegnato ad andare avanti nella vita, incominciando dai genitori.

Il lavoro che faccio è frutto di una storia, che ci ha resi capaci di fare questo. Anche voi, se vi appassionate al vostro lavoro, e se qualche volta giustamente vi lamentate perché non è adeguatamente riconosciuto, è perché siete consapevoli del valore di ciò che Dio ha posto nelle vostre mani, non solo per voi ma per tutti”.

E la paura si esorcizza attraverso la partecipazione ad un progetto: “Tutti abbiamo bisogno di mettere da parte la paura che paralizza e distrugge la creatività. Possiamo farlo anche nel modo di vivere il lavoro quotidiano, sentendoci partecipi di un grande progetto di Dio, capace di sorprenderci con i suoi doni. Dietro alle nostre ricchezze non c’è solo bravura, ma anche una Provvidenza che ci prende per mano e ci conduce. Il lavoro artigianale può esprimere bene tutto questo, se è accompagnato giorno per giorno dalla consapevolezza che Dio non ci abbandona mai, che siamo capolavori delle sue mani, e per questo siamo capaci di realizzare opere originali”.

Da qui l’invito del papa ad ‘abbellire’ il mondo per costruire la pace: “Vorrei elogiare il vostro lavoro anche perché abbellisce il mondo. Noi viviamo tempi di guerra, di violenze; dappertutto le notizie sono così e sembrano farci perdere la fiducia nelle capacità dell’essere umano, lo sguardo alle vostre attività ci consola e ci dà speranza. Abbellire il mondo è costruire pace. Mi ha detto un economista che gli investimenti che danno più reddito oggi, in Italia, sono le fabbriche delle armi”. Quindi il papa ha incoraggiato gli artigiani ad essere costruttori di pace, come ha scritto nell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Questo non abbellisce il mondo, è brutto. Se tu vuoi guadagnare di più devi investire per uccidere. Pensiamo a questo. Non dimenticate: abbellire il mondo è costruire pace. L’enciclica, ‘Fratelli tutti’, ha definito i costruttori di pace come artigiani capaci di avviare processi di ripresa e di incontro con ingegno e audacia. Lo stesso ingegno e la stessa audacia che voi usate per realizzare le tante opere destinate ad arricchire il mondo”.

Ha concluso l’incontro esortandoli a mettere i loro ‘talenti’ a servizio del bene comune: “E Dio chiama tutti gli uomini e le donne a lavorare in modo artigianale, come Lui, lavorare a quel progetto di pace che Lui ha. Per questo Egli distribuisce in abbondanza i suoi talenti, perché siano messi al servizio della vita e non sotterrati nella sterilità della morte e della distruzione, come fanno le guerre, fomentate dal nemico di Dio.

Cari amici, grazie per quello che sapete realizzare attraverso il vostro lavoro; e grazie anche per l’impegno sociale: anche questo è un lavoro che richiede pazienza e progettualità! San Giuseppe artigiano vi ispiri sempre a vivere il lavoro con creatività e passione”.

(Foto: Santa Sede)

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