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I Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: a colloquio con Marina Casini

Oggi i volontari del Movimento per la Vita hanno festeggiato la loro festa con un messaggio di papa Francesco letto dal card. Pietro Parolin, segretario di stato, in occasione dei 50 anni dalla nascita del primo Centro aiuto alla vita, a Firenze: lo ha annunciato la presidente nazionale del Movimento per la vita, dott.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma, nello scorso novembre al convegno nazionale di Mogliano Veneto:

“Ci sono momenti e ricorrenze che hanno una forza espansiva tale da non coinvolgere soltanto i diretti interessati, ma (come in questo caso) un intero popolo: il popolo della vita. Mezzo secolo fa fu gettato il primo seme a Firenze, e da lì è partita un’avventura straordinaria (un vero e proprio movimento per la vita!) che in questi dieci lustri ha scritto pagine di luce nel libro della storia attraversato dalle oscurità di una cultura generatrice di morte”.

Quindi i Centri Aiuto alla Vita compiono 50 anni: quale aiuto offrono e come operano?

“Tutto quello di cui c’è bisogno. Accoglienza, ascolto, condivisione, sostegno, amicizia sono le parole chiave dell’attività dei CAV i cui programma sin dal 1975 è: ‘le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà’. E’ stato scritto dal sociologo Giuliano Guzzo che ‘il servizio alla vita nascente offerto dal Movimento per la Vita tramite i Centri, le Case d’Accoglienza  Sos Vita e progetto Gemma è qualcosa di semplicemente grandioso, senza pari per bellezza e valore e, soprattutto, fondamentale per salvare, nel vero autentico e non retorico della parola, decine di migliaia di vite’.

E papa Francesco ricevendo il Direttivo del Movimento per la Vita Italiano, il 2 febbraio 2019, disse: ‘dinanzi a varie forme di minacce alla vita umana, vi siete accostati alle fragilità del prossimo, vi siete dati da fare affinché nella società non siano esclusi e scartati quanti vivono in condizioni di precarietà. Mediante l’opera capillare dei Centri di Aiuto alla Vita, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone’.

Questo solo per dare una idea dell’importanza e della bellezza di questo volontariato appassionato e non appariscente come è stato detto. In sostanza si tratta di stare accanto alle donne che si trovano di fronte a una gravidanza problematica o inattesa, offrendo una reale prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto. Questa prevenzione si realizza mediante la condivisione delle difficoltà, la rimozione delle cause, l’offerta di alternative, la liberazione dai condizionamenti che spingono la donna a non far nascere il figlio. E purtroppo i condizionamenti e le pressioni che soffocano la libertà di accogliere il figlio. Quante donne parlano di ‘costrizione’ all’aborto! E quanta libertà viene conquistata dalla donna quando lei stessa (accolta, mai giudicata, sostenuta ed accompagnata) dice ‘sì’ al suo bambino o alla sua bambina!”

In quale modo il CAV può offrire ‘libertà’ alla madre?

“Ci sono testimonianze bellissime a riguardo. Il motore di questo volontariato è questo abbraccio che viene rivolto contemporaneamente alla mamma ed al bambino che porta in grembo. Lo sguardo del cuore non è rivolto soltanto al figlio, ma anche alla madre. L’inabitazione dell’uno nell’altra determina una situazione del tutto irripetibile, per cui la vita del figlio è di fatto affidata, come mai in altri momenti, alla madre. Nessuno può difenderlo più di sua madre, ma è quasi impossibile salvarlo se la madre non vuole. La difficoltà della ‘prevenzione’ sta proprio in questo: che bisogna necessariamente passare attraverso la sua mente e il suo cuore. Nella mente e nel cuore di lei la nuova vita induce per lo più pensieri di gioia. Ma a volte essa pesa con l’ingombro insostenibile di problemi che sconvolgono programmi, ingigantiti dalla fantasia, resi angosciosi dal carattere improvviso dell’evento sopraggiunto, dalla scarsità del tempo a disposizione per riflettere, molto spesso nella solitudine.

Non esistono difficoltà materiali specie economico-sociali, che non possono essere vinte, ma la pressione dell’ambiente è talora così soverchiante che sembra impossibile per una donna già gravata da reali problemi resistervi. E’ appunto per restituire a lei la libertà insieme al coraggio dell’accoglienza che lo sguardo del cuore dei servizi alla vita deve riconoscere la donna come donna e la madre come madre penetrando così nella sua mente e nel suo cuore. Il rapporto non è di giudizio, ma di amicizia. Si tratta di salvare il figlio non contro di lei, ma con lei e per lei. La rete dei CAV protegge la vita nascente con il metodo della condivisione e del sostegno. Non ‘contro’, ma ‘per’; non in ‘antagonismo’, ma in ‘alleanza’; non accompagnamento generico, ma personalizzato.

Uno specifico stile di mitezza e discrezione, di rifiuto del giudizio sulle persone, di ottimismo, di empatia e di dialogo, di disponibilità e di fiducia, di valorizzazione di tutto ciò che è positivo anche nelle situazioni più complicate, caratterizza l’attività dei CAV. Per questo nei CAV si realizzano storie di amicizia che continuano dopo la nascita del bambino. Quello dei CAV è un volontariato culturalmente preparato, collegato ai servizi SOS Vita e Progetto Gemma, che vuole essere espressione di una intera comunità che accoglie rendendo un grande servizio alla società. Perché, infatti, non considerare questa esperienza un modello ripetibile su più larga scala come esperienza che tutta la società deve seguire”.

Suo padre fu fondatore del primo Centro Aiuto alla Vita: quanto è stato importante Carlo Casini per la trasmissione della cultura della vita?

“Direi che il suo contributo è stato senza dubbio fondamentale e lo è ancora. Anche su questo potremmo soffermarci a lungo. Il suo non è stato un impegno come un altro, un’attività tra le tante, ma una vera e propria vocazione, una missione, che si è sviluppata in più ambiti: giuridico, sociale, culturale, politico. Una vocazione profondamente animata da una forte spinta spirituale vissuta in comunione con santi come papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. Basta conoscere la sua storia, leggere quanto lui ha scritto e le tante testimonianze che sono state scritte su di lui e che continuano ad arrivare; basta ripercorrere le tappe del suo totalizzante impegno, chiamare a raccolta le numerose iniziative che per decenni ha promosso in Italia e in Europa. Il tutto sempre con positività, propositività, fiducia e speranza.

Sono in molti a ravvisare il carattere profetico del suo pensiero e delle sue opere. In effetti è evidente l’attualità dei suoi scritti, anche di quelli più datati.  Tra e tante cose che si potrebbero dire, sottolineo per esempio la sua convinzione che la questione del diritto alla vita non sia una questione periferica e di retroguardia ma centrale, fondamentale e di avanzamento per costruire un umanesimo sempre più pieno e più vero, come è spiegato molto bene nel suo libro intitolato ‘Vita nascente prima pietra del nuovo umanesimo’ (San Paolo 2016), tradotto in spagnolo lo scorso anno, che in qualche modo va a completare un altro suo basilare testo intitolato ‘Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo. Alle radici della bioetica e della biopolitica’ (Edizioni San Paolo, 2010), tradotto in inglese un paio di anni fa.

Scriveva già nel 1979: ‘Ci occupiamo specificamente dell’aborto perché è in gioco la vita dell’uomo; ce ne occupiamo specificamente non per ignorare gli altri problemi umani ma, al contrario, perché non vogliamo annacquare la gravità del problema creandoci degli alibi con più vasti impegni puramente verbali. Tutto l’uomo, in tutto l’arco del suo sviluppo, però ci interessa, ma oggi la ricostruzione di una cultura che ponga al suo centro l’uomo trova sul tema dell’aborto il banco di prova, il luogo di verifica’. ‘Uno di noi, ha scritto molti anni dopo, non deve essere soltanto il nome di eventi esauriti, ma l’affermazione costante ed inesauribile della dignità umana proiettata verso il futuro’.

Ha vissuto tutta la sua totalizzante vocazione a difendere e promuovere la vita umana, amando ogni persona che incontrava ‘non si può essere per la vita, e quindi contro l’aborto, per amore dell’uomo, se non si ama ogni uomo’, diceva. Il 23 marzo 2025 saranno trascorsi 7 anni dalla sua nascita al Cielo. In questi anni gli sono state dedicate alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, sono stati pubblicati numerosissimi interventi sparsi sui giornali e riviste e diversi libri che lo riguardano. In particolare, ricordo la newsletter di Avvenire”.

Ci indica alcuni libri per favorire la conoscenza di questo testimone di impegno a favore della vita?

“Parto da quelli pubblicati dopo la sua nascita al Cielo, ricordando che il suo ultimo libro, bellissimo, recentemente tradotto in inglese, si intitola ‘La dimensione contemplativa nella difesa della vita umana’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2019). Ecco, dunque, in ordine cronologico dal 2020 le varie pubblicazioni: il numero speciale di ‘Sì alla vita’ con moltissime testimonianze e fotografie (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Paola Binetti, Carlo Casini, amico e maestro (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Anna e Alberto Friso (a cura di), ‘Ecce homo… lo avete fatto a me’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2020); Renzo Agasso (a cura di), ‘Sperare contro ogni speranza’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2021); Marina Casini-Domenico Mugnaini (a cura di), ‘Il pensiero e l’azione di Carlo Casini nelle pagine di Toscana Oggi dal 1979 al 2016: articoli, interviste, riflessioni’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021), Stefano Stimamiglio (a cura di), ‘Guardando con fiducia al futuro. In preghiera con Carlo Casini’ (Edizioni Toscana Oggi, 2021); Carlo Casini, ‘Per ritrovare speranza. La Giornata per la vita: il concepito è uno di noi, Vol. 1 e Vol. 2’, a cura di Marina Casini, Elisabetta Pittino, Giovanna Sedda (Edizioni Movimento per la Vita 2022); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo’ (Edizioni Movimento per la Vita, 2022); Unione Giuristi Cattolici Italiani-Prato (a cura di), ‘Il pensiero giuridico di Carlo Casini. Il diritto alla vita, il diritto per la vita’ (Edizioni Toscana Oggi, 2023); Stefano Stimamiglio intervista Marina Casini, ‘Carlo Casini. Storia privata di un testimone del nostro tempo’ (Edizioni San Paolo, 2023); Francesco Ognibene (a cura di), ‘Di un Amore Infinito possiamo fidarci. Carlo Casini testimone profeta padre’ (Edizioni Cantagalli, 2023); Aldo Bova-Marina Casini, ‘Carlo Casini, testimone di misericordia’ (Organizzazione e Assistenza Editoriale Center Comunicazione e Congressi, 2023); Marco Caponi (a cura di), ‘Un pensiero di Carlo, Introduzioni e meditazioni per il Rosario del 23 – marzo 2022-febbraio 2023’, (Edizioni Movimento per la Vita, 2023); ‘Carlo Casini, La cultura della vita. Quarant’anni di pensiero per il rinnovamento della società’, a cura di Marina Casini (Edizioni Ares, 2023); ‘Carlo Casini, Lettere al popolo della vita, vol. 1’, a cura di Elisabetta Pittino e Soemia Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024); Anna e Alberto Friso, ‘Percorsi in sintonia. Carlo Casini e il Movimento dei Focolari’ (Cantagalli, 2024); Carlo Casini, ‘Uno di noi. La persona al centro dell’Europa’, a cura di M. Casini, G. Grande, E. Pittino, S. Sibillo (Edizioni Movimento per la Vita, 2024). Altre pubblicazioni sono in cantiere”.

Quali altre iniziative legate a Carlo Casini sono in corso?

“A parte qualche iniziativa locale o qualche convegno, sono ad oggi principalmente due le iniziative principali. Dal 2021 ogni 23 del mese un nutrito gruppo di persone si ritrova a pregare online il ‘Rosario del 23 con e per Carlo Casini’. Il coordinatore è Marco Caponi che tutti i mesi organizza e prepara con cura questo momento di preghiera. Chi desidera partecipare può inviare una mail a: rosariodel23concarlo@gmail.com. Giorgio Medici con tanta dedizione segue gli aspetti tecnici del collegamento. Nel 2023 è nata la rete ‘Amici di Carlo Casini’, coordinata da Anna e Alberto Friso, una coppia di coniugi in gamba, motivati e pieni di entusiasmo, che ha conosciuto il babbo fin dagli anni Ottanta e che fa parte del Movimento dei Focolari. La porta è aperta e chi è interessato può scrivere a: amicidicarlocasini@gmail.com.

Il card. Giovanni Battista Re, incoraggiando la Rete ad andare avanti, ha scritto: ‘Quanto egli ha fatto in questo campo è un messaggio che non può cadere nell’oblio ed è una eredità che sprona all’impegno per l’accoglienza e la cura del bambino nella fase prenatale e della sua mamma. Il coraggio e la coerenza di Carlo Casini devono restare una guida. Il patrimonio intellettuale e spirituale che egli ha lasciato è prezioso’. Il 2 marzo 2024 la ‘Rete Amici di Carlo Casini’, in collaborazione con il Movimento per la Vita Italiano ha organizzato a Firenze una bellissima giornata di spiritualità dal tema: ‘In cammino con Carlo Casini. Giornata di spiritualità alla luce della sua testimonianza’ e quest’anno la giornata di spiritualità di svolgerà il 22 marzo a Roma presso l’Università Cattolica. Per iscriversi il rinvio è alla mail amicidicarlocasini@gmail.com alla quale fa riferimento anche l’associazione ‘Amici di Carlo Casini’, costituita il 9 luglio 2024”.

(Tratto da Aci Stampa)

Con il prof. Adriano Dell’Asta per non dimenticare Aleksej Naval’nyj

“Contro che cosa si era battuto il Signore? Contro la menzogna, l’ipocrisia, la schiavitù, l’usurpazione del potere da parte di delinquenti e ladri. Contro tutto quello che maggiormente ci disgusta, che ha disgustato molti prima di noi e disgusterà molti dopo di noi. Non aveva chi potesse sostenerlo, cose come i nostri meeting erano proibite, gli ‘omon’ (unità speciali antiterrorismo della polizia russa dipendenti dal Ministero dell’Interno della Federazione Russa e, in passato dell’Unione Sovietica, ndr.) lo tormentavano con le lance, i mass media erano sotto il controllo dei farisei, al potere c’erano dei furfanti con proprietà immobiliari all’estero.

E dei dodici che componevano il comitato centrale del suo partito, uno era un provocatore, un traditore che si era venduto per soldi e si era messo al servizio della Sezione ‘E’ del tempo. I malvagi distrussero tutto quello che era stato fatto. I discepoli furono costretti a rinnegarlo. Lui stesso fu torturato e ucciso. E tutto crollò e calarono le tenebre. Cosa sono tutte le nostre ‘difficoltà’ ed i nostri ‘problemi’ in confronto a ciò che ha dovuto provare lui? Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio”.

Partiamo da questa frase che Aleksej Naval’nyj scrisse nel periodo pasquale 2014, ora raccolto nel volume ‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’, curato da Marta Carletti Dell’Asta e da Adriano Dell’Asta, che insegna Lingua, cultura e letteratura russa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca dal 2010 al 2014, e presidente dell’associazione ‘Russia cristiana’, a cui chiediamo di raccontarci la situazione dei diritti umani in Russia ad un anno dalla morte di Aleksej Naval’nyj, avvenuta il 16 febbraio 2024:

“Se è possibile, peggiora ogni giorno di più. A metà gennaio, gli stessi avvocati di Naval’nyj sono stati condannati a pene detentive tra i tre e i cinque anni, sotto l’accusa di far parte di un’organizzazione ‘estremista’, ma in realtà unicamente per aver svolto le loro mansioni professionali. Alla fine del luglio scorso, un prigioniero di coscienza come il pianista Pavel Kušnir è morto facendo uno sciopero della sete in prigione. Altri detenuti, come lo storico Jurij Dmitriev, sono gravemente malati e non ricevono assistenza adeguata. E potremmo continuare a lungo”.

‘Ecco la ricetta (breve) della felicità: scegliere qualcosa che si ama molto, privarsene per un po’ e poi riprenderla. Solo ricordatevi che questo non si applica alle persone: dimostrate sempre amore alle persone che vi sono care’: quale era la ricetta della felicità di Naval’nyj?

“Lo diceva lui stesso in uno dei suoi messaggi dalla prigione: ‘ho un immenso e raro privilegio nella Russia di oggi: dico ciò che ritengo giusto e faccio ciò che considero necessario’: la felicità per lui era essere uscito dal regno della menzogna di regime e dire la verità, quale che fosse il costo, perché l’uomo è felice se realizza se stesso nel suo servizio ai figli, alla famiglia, alla sua gente, per costruire, lo diceva ancora lui stesso, la bellissima Russia del futuro”.

Giorni fa è stato il primo anniversario della sua morte: è vero che in Occidente non lo si è ricordato abbastanza?

“Non direi che lo si sia ricordato poco: grandi quotidiani e televisioni gli hanno dedicato servizi anche importanti. E’ tuttavia vero che molto spesso si è rischiato di dimenticare il cuore della sua testimonianza: Naval’nyj è stato sicuramente un oppositore politico ma, soprattutto, come gli riconosceva un grande difensore dei diritti civili dell’epoca sovietica, è stato un ‘dissidente di classe’, intendendo con questa espressione un uomo che aveva lottato innanzi tutto non per degli ideali astratti o per qualche idea politica particolare, ma per la verità dell’umano nella sua interezza e aveva capito che per sostenere una simile battaglia, in una situazione come quella russa attuale (dove chi si oppone al regime rischia letteralmente la vita), bisognava avere una motivazione capace di andare ben oltre l’immediato e approdare all’eterno.

Nelle commemorazioni, pur importanti, si è avuto molto pudore a ricordare questa ispirazione esplicitamente religiosa del suo agire, un’ispirazione che però non è frutto delle nostre interpretazioni, ma è nelle sue stesse parole, ripetute più volte; lui stesso lo dice testualmente: ‘l’espressione ‘beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati’ sembra alquanto esotica, bizzarra, ma in realtà è l’idea politica più importante che abbiamo oggi in Russia”.

Intanto la repressione dei giornalisti continua: quanto è scomoda la libertà di stampa?

“La libertà di stampa non è solo scomoda per il potere, ma gli fa paura: il regime teme innanzitutto la verità perché si regge totalmente sulla menzogna e non può accettare alcuna dialettica e libertà di discussione sul presente e sul passato del Paese”.

Inoltre sono stati chiusi anche alcuni luoghi ‘simbolo’: quale segnale è la chiusura del Museo della storia del Gulag?

“La chiusura del Museo della storia del Gulag è solo uno degli innumerevoli segnali della paura della verità di cui stiamo parlando; prima era stata preceduta, nel dicembre del 2021, dalla chiusura di Memorial (l’associazione che dalla fine degli anni ‘80, con il riconoscimento ufficiale e la legalizzazione voluta da Gorbačëv, si era occupata di mantenere viva la memoria delle repressioni in epoca sovietica, raccogliendo materiali, testimonianze e un archivio enormi e stimati in tutto il mondo);

contemporaneamente era venuta l’adozione del testo unico per le lezioni di storia in tutti i livelli d’istruzione, che presenta una vera e propria riscrittura della storia sovietica (con al centro la rivalutazione della figura di Stalin). Negli ultimi mesi si era avuta la rimozione sempre più frequente delle targhe dell’ ‘Ultimo indirizzo’ (un’iniziativa sul tipo delle nostre ‘pietre d’inciampo’, con la differenza che nel caso russo venivano ricordati i deportati nei campi sovietici). E anche qui potremmo continuare a lungo”.

‘Io non ho paura, non abbiatene neanche voi’: cosa resta del suo pensiero?

“Resta letteralmente quello che viene detto in questa espressione che dà il titolo alla raccolta che ho curato per la casa editrice ‘Morcelliana – Scholè’: il regime si regge sulla paura, e per superare la tragedia di una vita governata dalla paura basta superare innanzitutto la paura, molto semplicemente non avere paura e non credere che questo possa essere un privilegio di pochi eroi; Naval’nyj era molto realista, sapeva perfettamente che tutti possiamo avere paura, ma sapeva anche che il regime poteva reggersi solo finché i suoi sudditi non scoprivano di non essere soli nell’amore per la verità. Ricordare Naval’nyj è un modo per dire a ciascuno di noi e al mondo che l’amore per la verità è possibile in ogni circostanza”.

Franco Patrignani: la democrazia è necessaria

Assisto, on-line, a dibattiti di esperti, accademici, giornalisti e politici e, ogni volta il tema democrazia ne esce malconcio. In genere, sinteticamente, mi sembra che si prendano due filoni, o quello ideale in cui si finisce per parlare della democrazia come sinonimo di libertà, o quello storico che parla di un sistema ‘inventato’ dagli ateniesi 300 anni prima di Cristo (che però democratico non era, in quanto escludeva le donne e gli schiavi).

E c’è chi su questo filone mette l’esperienza  dei Comuni italiani ed europei dei secoli XI-XIII (dove però potevano votare solo i maschi possidenti e contribuenti) e quindi arriva alla rivoluzione americana (1776) e a quella francese del 1789. Entrambe a diritti limitati.

In tutto questo sguazzano i detrattori di vario genere che si permettono di segnalare le diverse lacune e che si vestono da difensori della democrazia, attualizzando le critiche alle esperienze storiche, per affermare che le democrazie devono garantire le presenze e l’agire di tutti i cittadini, compresi gli antidemocratici. E spesso i nemici o gli ignavi rispetto alla democrazia, da questi dibattiti, escono vincenti caramba! Ed allora, che cosa ho da dire sulla democrazia?

1 – Che è un sistema in continua evoluzione. Quindi instabile, si potrebbe dire che ha bisogno di una manutenzione continua (anche e principalmente da parte dei cittadini associati).

2  – Che non esiste un unico modello democratico, ma che ha comunque alcuni punti fermi quali: il suffragio universale, la divisione dei poteri, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (e senza distinzioni di sorta) e che ha come fondamento la solidarietà messa in pratica che fa di ogni cittadino una persona e non un individuo. (Questo valore viene spesso dimenticato, ma va ricordato che le democrazie nascono per difendersi contro i soprusi dei potenti).

Infine, sollecito l’attenzione verso tre grandi soggetti che determinano le democrazie attuali, le rendono dinamiche e permettono di ‘valutarle’. Mi riferisco all’interazione tra Stato, Mercato e Società Civile. E’ dalla dinamica del conflitto permanente di questi tre subsistemi che si afferma un sistema democratico. Ogni volta che uno dei tre grandi soggetti pensa di poter agire e decidere da solo si entra in una situazione di crisi democratica.

La stessa cosa accade quando due dei soggetti si dovessero coalizzare, escludendo il terzo. Crisi grave e gravi disastri all’orizzonte. Quindi ciascuno dei tre soggetti è chiamato a svolgere il proprio ruolo con chiarezza e fedeltà, direi, alla propria missione.

Cosa vedo oggi? Nel mondo intero, avanza un alleanza, sempre più esplicita tra Stati (governi e apparati statali) e mercati (senza confini e finanziari in particolare, liberi e indisturbati speculatori). E la società civile, dov’è? Dove sono i sindacati, le associazioni di categoria, le cooperative, il terzo settore e il volontariato?  Ci sono! Eccome se ci sono! Ma non contano, non fanno parte della negoziazione, non sono soggetti di governance…

Infine: un po’ di tempo fa mi stavo convincendo che anche il capitalismo finanziario (o, perlomeno, la sua parte intelligente) si sarebbe reso conto he non poteva governare da solo. Abituato alla speculazione su qualsiasi situazione si realizzasse nei suoi dintorni si sarebbe posto il problema di trovare qualcuno che fosse in grado di ‘mediare’ verso i cittadini, la sua attitudine di rapina…

Avevo pensato (sperato?) che, pragmatico come è il capitale finanziario avrebbe cercato accordi più o meno strategici con i partiti popolari, o perfino, forse, con i sindacati. Ed avevo prefigurato, con la fantasia, nuovi livelli di negoziazione e di risultati per i lavoratori. Ma il sogno è finito bruscamente: il capitale finanziario ha, ormai i suoi interlocutori ben posizionati e non avrebbe bisogno di altri.

Trump negli USA, Milei in Argentina, in modo esplicito, e, tendenzialmente tutta la ‘nuova destra’ che appare e si afferma in Europa (Ungheria, Olanda, Italia, Austria e poi? Germania? Per scaramanzia, mi fermo qui). Un fenomeno che si registra anche qua e là per il resto del pianeta.

Concludo ricordando che nessuno dei tre interlocutori può governare da solo e che neppure due possono coalizzarsi a discapito del terzo.  Quindi il nostro terzo, la società civile, ha bisogno di riorganizzarsi e di farsi sentire. Siamo disposti a darci una mano?

In caso contrario la prospettiva è veramente tragica: cresce la disoccupazione tecnologica, diminuisce la massa salariale, aumenta la distruzione dell’ambiente, si abbassano i livelli di sicurezza individuale e collettiva. E non c’è uno straccio di strategia per affrontare la crisi climatica prossima ventura, con conseguenti migrazioni mai viste.

Ma aumentano spaventosamente i profitti e la loro concentrazione, insieme alla concentrazione dei capitali. In questo modo la democrazia non appassisce… scompare.

(La materia è trattata più compiutamente nei due volumi di ‘Democrazia Necessaria, un’agenda per il cambiamento’ – Edizioni Lavoro, Roma 2024).

Trasmettere la vita è speranza per il mondo. A colloquio con Marina Casini

“Come nutrire speranza dinanzi ai tanti bambini che perdono la vita nei teatri di guerra, a quelli che muoiono nei tragitti delle migrazioni per mare o per terra, a quanti sono vittime delle malattie o della fame nei Paesi più poveri della terra, a quelli cui è impedito di nascere? Questa grande ‘strage degli innocenti’, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica, non solo lascia uno strascico infinito di dolore e di odio, ma induce molti (soprattutto i giovani) a guardare al futuro con preoccupazione, fino a pensare che non valga la pena impegnarsi per rendere il mondo migliore e sia meglio evitare di mettere al mondo dei figli”.

Dall’inizio del messaggio dei vescovi italiani per la 47^ Giornata Nazionale per la Vita, che si celebra domenica 2 febbraio sul tema ‘Trasmettere la vita, speranza per il mondo: Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita’, tratto dal libro della Sapienza, prendiamo spunto per un colloquio con la presidente del Movimento per la Vita, prof.ssa Marina Casini, docente di ‘Bioetica e Biodiritto’ presso la sezione di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma: perché la vita è segno di speranza?

“Non potrebbe essere diversamente! Lo dicono bene i vescovi nel messaggio per la 47^ giornata per la vita: ‘abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte’. Il legame tra la vita umana e la speranza è profondo, forte e inscindibile. Una delle frasi che hanno segnato la storia del Movimento per la Vita, e che ancora oggi ci accompagna, è ‘per ritrovare speranza bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni uomo è sacra’.

E’ la frase che scrissero i vescovi italiani all’indomani dell’approvazione della legge 194 sull’aborto. Che vita e speranza sono collegati risulta anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la quale nel preambolo pone a fondamento della libertà, della giustizia e della pace il riconoscimento della dignità (inerente e uguale) di ogni essere umano. In altri termini: se vogliamo la pace, la giustizia e la libertà dobbiamo riconoscere il valore (dignità) di ogni vita umana. La speranza di un futuro migliore è legata al rispetto della vita”.

Quindi i figli sono speranza per il futuro?

“Infatti, sempre nel messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la vita di quest’anno c’è scritto che ‘tutti condividiamo la gioia serena che i bambini infondono nel cuore e il senso di ottimismo dinanzi all’energia delle nuove generazioni. Ogni nuova vita è speranza fatta carne’. I figli sono veramente frecce di speranza lanciate nel futuro. Mio padre  (Carlo Casini, ndr.) diceva che ‘Ogni figlio è l’istintiva speranza che il bene alla fine supererà il male, che il futuro potrà essere migliore del passato’ e che ‘per difendere la vita bisogna essere testimoni della speranza e che perciò, il volto rattristato, le visioni cupe, il dito accusatore non hanno base. Siamo ammiratori del miracolo, testimoni dello stupore, seminatori certi della vittoria finale. Progettiamo la ricomposizione, non la divisione’. Segno di speranza è l’intero popolo della vita, sono i bambini nati con il sostegno dei CAV nel 2023 (5.940); le gestanti aiutate (8.234); donne assistite (14.216), la serenità e il sorriso di una mamma che fidandosi dice ‘sì’ alla vita del figlio che culla in grembo.

Ovviamente tutto questo non significa affatto che si debbano fare figli a tutti i costi, perché i figli non sono oggetti da pretendere, ma persone da accogliere sin dal concepimento. A riguardo, nel messaggio dei vescovi c’è un passaggio importante: ‘Va infine considerato un altro fenomeno sempre più frequente, quello del desiderio di diventare genitori a qualsiasi costo, che interessa coppie o single, cui le tecniche di riproduzione assistita offrono la possibilità di superare qualsiasi limitazione biologica, per ottenere comunque un figlio, al di là di ogni valutazione morale.

Osserviamo innanzitutto che il desiderio di trasmettere la vita rimane misteriosamente presente nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Le persone che avvertono la mancanza di figli vanno accompagnate a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti non accompagnati’”.

Per quale motivo si è rinunciato di generare?

“La risposta richiederebbe un esame di cause che sono complesse. C’è infatti un concorso di fattori che si intrecciano e che hanno a che fare con situazioni personali e sociali insieme. Si parla di industrializzazione e società dei consumi, di rinvio di matrimonio e figli, di precedenza all’affermazione professionale, di problemi a livello occupazionale e abitativo, di crisi economica. Ma tra tutte le cause a cui va posto rimedio c’è sicuramente quella più profonda: la mancanza di speranza, di fiducia nel futuro, di scommettere in un noi che spezza le catene di un individualismo che fa ripiegare su se stessi.

Papa Francesco ha detto: ‘La sfida della natalità è questione di speranza. Ma attenzione, la speranza non è, come spesso si pensa, ottimismo, non è un vago sentimento positivo sull’avvenire… No, la speranza è un’altra cosa. Non è un’illusione o un’emozione che tu senti, no; è una virtù concreta, un atteggiamento di vita. E ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri.

Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire’; ‘Quando non c’è generatività viene la tristezza. E’ un malessere brutto, grigio’; ‘La nascita dei figli, infatti, è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza’. Dovremmo riflettere su queste parole”.

‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà?’, domandano i vescovi: perché nel messaggio dei vescovi è sottolineato che l’aborto non è un diritto?

“Perché è una semplice ed elementare verità. Può essere considerato un ‘diritto’ l’uccisione di un essere umano realizzata, per giunta, con il sostegno dello Stato, delle strutture pubbliche, con l’alleanza della medicina e il consenso sociale? Il diritto dovrebbe essere il forte difensore dei deboli, non l’oppressore dei deboli; il diritto esiste perché esistono le relazioni tra gli uomini (‘ubi societas ibi ius, ubi ius ibi societas’ – dove c’è la società c’è il diritto, dove c’è il diritto c’è la società), relazioni da tutelare, custodire, proteggere.

La primissima relazione è quella della mamma e del figlio che vive e cresce dentro di lei. Spezzare con la forza della legge quella relazione significa negare il diritto o trasformarlo in uno strumento di sopraffazione. La moderna teoria dei diritti dell’uomo si basa esattamente sull’atto umile della mente che riconosce il valore dell’altro (il riconoscimento dell’uguale dignità di ogni essere appartenente alla famiglia umana) e non su un atto di arroganza sull’altro.

Ecco perché giustamente si domandano i vescovi: ‘Il riconoscimento del ‘diritto all’aborto’ è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà? Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e ‘civile’ rimuovere?’ Rinunciare alla vita impedendo a un figlio di nascere, non può essere mai considerato un ‘diritto’. Mai.

E’ una pretesa ideologica: nessun indice di civiltà e progresso, nessuna autentica manifestazione di libertà. Il preteso ‘diritto di aborto’ è in realtà l’aborto del diritto. Nel punto 5 del messaggio, i vescovi richiamando la dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, ‘Dignitas infinita’  (‘la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano.

Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo’), denunciano l’idea dell’aborto come diritto e l’inapplicazione della legge 194 che dovrebbero dissuadere dall’aborto e soprattutto ringraziano e incoraggiano scrivono: Quanti si adoperano ‘per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza […] offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto’ (L. 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini”.

In quale modo la medicina può essere al servizio della vita?

“Quante cose ci sarebbero da dire! In estrema sintesi, la base, il fulcro, il senso della medicina è (in una logica di servizio e non di potere) prendersi cura di ogni essere umano, cioè per ogni persona dal concepimento alla morte, senza distinguo, senza discriminazioni. La medicina è chiamata ad accettare la morte non a cagionarla. In questo discorso rientra il rifiuto dell’aborto, dell’eutanasia, del suicidio assistito, della distruzione di esseri umani allo stadio embrionale cosa che può avvenire con le tecniche di fecondazione artificiale, ma anche cosiddetto accanimento terapeutico come dell’abbandono del paziente.

Si apre tutto il vasto spazio della responsabilità e della presa in carico, dell’assistenza globale, dell’implementazione della medicina palliativa, della medicina perinatale, dell’umanizzazione della medicina in generale. Merita di essere letta e meditata ancora oggi l’enciclica ‘Evangelium Vitae’, ma anche la lettera ‘Samaritanus Bonus’ e la Nuova Carta degli Operatori Sanitari. Va da sé che nella prospettiva di una medicina a servizio della vita l’obiezione di coscienza all’aborto ha un ruolo fondamentale: non si tratta di ‘astensione da’, ma di ‘promozione di’ ovvero del valore della vita e della autentica tutela sociale della maternità”.

(Tratto da Aci Stampa)

Quarta domenica del Tempo Ordinario: festa della presentazione di Gesù al tempio

La quarta domenica del tempo ordinario quest’anno coincide con la festa della purificazione della Vergine Maria o presentazione di Gesù al tempio: è il 40° giorno dopo il Natale.  La festa di oggi fa da ponte tra il Natale e la Pasqua di risurrezione. La liturgia ci presenta oggi  l’incontro del bambino Gesù nel Tempio di Gerusalemme con  l’anziano Simeone e con la profetessa Anna: due personaggi che attendevano la venuta del Messia promesso da Dio e vivevano con la fondata speranza di non morire prima di avere visto il salvatore.

Simeone ed Anna incarnano la parte più eletta del popolo di Dio che aspettava con fede la consolazione d’Israele. Maria e Giuseppe con il Bambino Gesù si recano al Tempio per obbedire alla legge del Signore, che prescriveva l’obbligo della offerta del Bambino al Tempio e della purificazione della madre, nel quarantesimo giorno dalla nascita, offrendo  così a Dio un agnello o una colomba ed una tortora, che dovevano essere sacrificati in olocausto. Consapevoli che i figli sono di Dio e della famiglia, questa offriva anche un obolo  per riscattare il figlio, che sarebbe poi cresciuto ed educato nella e dalla famiglia. 

Questa legge non era stata fatta certo per lei, Vergine e madre, ma lo Spirito Santo guidava la sacra famiglia perchè Gesù gradatamente doveva rivelarsi al suo popolo. Maria e Giuseppe appaiono veri missionari portando Gesù dove il Padre li spingeva; questa poi diventa  la missione di ogni vero cristiano. Ad individuare la presenza fisica di Gesù è il vecchio Simeone che ringrazia Dio dicendo: ‘Posso finalmente morire perchè  i miei occhi hanno visto oggi il Signore’.

Maria è felice di deporre il bambino Gesù sulle braccia di Simeone, che si rivolge alla Madonna con una profezia che unisce il Natale alla Pasqua: ‘Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione’. Davanti a Gesù l’umanità sarà divisa in due: o con Cristo Gesù o contro di Lui. Gesù è il Salvatore, ma rispetta la libertà e le scelte dell’uomo; e così al Natale seguirà la Pasqua di morte e risurrezione. L’anziano Simeone era vissuto sempre a Gerusalemme e, uomo dalla fede profonda, viveva  nella fiduciosa speranza di vedere, prima di morire, con i suoi occhi il Messia, promesso da Dio al suo popolo: quella mattina, illuminato dallo Spirito Santo, si era voluto recare al Tempio dove sulla soglia scorse la sacra Famiglia e il divino Bambino.

Lo stesso avvenne con la profetessa Anna, una pia donna rimasta vedova dopo sette anni di matrimonio ed ora arrivata all’età di anni 84. Anche Anna unì la sua voce a quella di Simeone per ringraziare l’Altissimo, che aveva così mantenuto la sua promessa. Simeone guardando Maria, la madre di Gesù, profetizza: ‘A te, donna, una spada trafiggerà l’anima’, un presagio della futura passione e morte di Gesù per salvare l’umanità. Giornata memoranda quella di oggi nella quale la Chiesa compie la solenne benedizione delle candele: la giornata è detta della ‘candelora’; è una tre benedizioni solenne che la Chiesa celebra nell’anno liturgico: la benedizione delle candele, la benedizione delle ceneri (all’inizio della quaresima), la benedizione delle palme (inizio della settimana santa).

La Chiesa  ha voluto consacrare questa stessa giornata alla vita: la vita è la più grande avventura verso la luce, essa è vero dono di Dio come la pace; pace e vita sono beni supremi nell’ordine civile: vogliamo la pace?, difendiamo la vita! Da qui l’invito del Pontefice agli operatori sanitari, medici, farmacisti, infermieri, sacerdoti e religiosi: Gesù con la loro professione li vuole servitori e custodi della vita umana. Ogni vita umana, scrive papa Benedetto XVI, merita ed esige di essere sempre difesa e promossa. Amiamo la vita, dono mirabile di Dio.

Da Novara mons. Brambilla invita a vivere la divina leggerezza della vita in speranza

“Bisogna dire che sperare è vivere in speranza, al posto di concentrare la nostra attenzione ansiosa sui pochi spiccioli messi in fila davanti a noi, su cui febbrilmente, senza posa, facciamo e rifacciamo il conto, morsi dalla paura di trovarcene frustrati e sguarniti. Più noi ci renderemo tributari dell’avere, più diverremo preda della corrosiva ansietà che ne consegue, tanto più tenderemo a perdere, non dico solamente l’attitudine alla speranza, ma alla stessa fiducia, per quanto indistinta, della sua realtà possibile.

Senza dubbio in questo senso è vero che solo degli esseri interamente liberi dalle pastoie del possesso sotto tutte le forme sono in grado di conoscere la divina leggerezza della vita in speranza”: da questo pensiero del filosofo francese Gabriel Marcel è partita la riflessione del vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, per la festa patronale di san Gaudenzio, che si è snodata intorno a due domande: ‘Cosa possiamo sperare? Come dobbiamo sperare?’

Partendo dal brano evangelico, in cui si narra la presenza di Gesù dodicenne nel Tempio, il vescovo di Novara ha sottolineato che fede e speranza si ricevono: “La fede e la speranza non si inventano, ma si ricevono nel cuore del popolo santo e della propria famiglia: prima che un compito, sono un dono, anzi sono la grazia della festa. Solo mettendosi dentro la ‘consuetudine’, conoscendola ed amandola, si apre lo spazio per l’inedito di Dio e il gioco della nostra libertà…

La prima cosa che ci dice il racconto di Nazareth è questa: se si vuole partire per l’avventura della vita, bisogna piantare le radici nella propria terra. Così ha fatto Gesù, di cui il racconto poco prima dice che ‘cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Lui’. Su questo terreno ricco di minerali preziosi e succhi vitali (la sapienza e la grazia), irrompe la novità della speranza!”

E’ stato un invito ad allenarsi alla speranza: “Noi mettiamo al mondo figli come miracolo della vita, ma dobbiamo allenarli all’avventura della divina leggerezza della speranza. Ecco, allora, cosa significa sperare: la spes latina e l’elpís greca, che sembrano venire dalla radice indoeuropea vel-, si pongono nell’orizzonte del ‘volere’.  Per volere e decidere bisogna abitare un’attesa e una tensione verso un ‘non ancora’… In tal modo, la speranza è sorretta dalla fiducia, talvolta può attendere solo ciò che appare, può persino sbagliare mèta, ma fin quando essa spera, punta su qualcosa che ha da venire, è in comunione con una certezza che la precede e le viene incontro”.

E’ stato un invito ad insegnare il modo in cui essere nella speranza: “Insegniamo ai figli le azioni e le opere che anticipano il futuro: diciamo ai nostri adolescenti e giovani di osare, sperimentare, provare per trovare la loro strada. La speranza è avventura e rischio, è prova ed errore, è cercare un maestro e una guida che non leghi a sé, ma ti liberi per custodire il tuo sogno e per trovare il tuo cammino. La speranza è la virtù dei forti, è la postura dei nani che si mettono sulle spalle dei giganti del passato, per vedere meglio e oltre loro”.

Riprendendo la lettera di san Pietro il vescovo di Novara ha sottolineato che la speranza richiede la passione: “La speranza rende beati a caro prezzo coloro che sono ‘ferventi nel bene’ ed hanno ‘passione per la giustizia’, che lottano per cambiare la vita delle famiglie e costruire i legami della città, coloro che operano anche quando sono criticati o si mette in dubbio la loro buona fede. L’Apostolo proclama anzitutto la beatitudine di coloro che soffrono per la giustizia, richiamando una delle più caratteristiche beatitudini di Gesù. Colpisce che la beatitudine trovi riscontro nella vita delle comunità che devono soffrire per le persecuzioni”.

Eppoi ha tratteggiato tre atteggiamenti per vivere la speranza, di cui il primo passo riguarda la centralità di Cristo e di Dio nella vita personale: “In questo anno giubilare la speranza viva ci chiede anzitutto di mettere in ordine le cose della nostra esistenza, di porre al primo posto ciò che deve stare al centro, il Signore e le cose decisive della vita, del lavoro e della famiglia. Il Giubileo è un anno di riposo della terra, di ricostruzione dei legami, di remissione dei torti e dei debiti, di riconciliazione tra i popoli… Bisogna ridare ordine alla nostra vita mettendo al centro il primato dell’anima e dello spirituale, della carità e della compassione!”

Un ulteriore passo richiama alla testimonianza personale e civile: “Ecco il messaggio della Prima lettera di Pietro: al centro della nostra vita c’è una speranza a caro prezzo, che è Gesù sofferente divenuto il Signore Risorto! È la “speranza vivente”, cuore dell’esistenza cristiana (in voi) e della comunità cristiana (fra voi)! Oggi è diventata una testimonianza difficile nella vita familiare, lavorativa e sociale: vincono i poli estremi della contrapposizione o della mimetizzazione. Anche noi cristiani abbiamo paura che ‘rendere ragione’ della nostra fede e delle nostre convinzioni non ci faccia sentire accettati dagli altri, oppure orgogliosamente vogliamo far valere la nostra differenza, spacciandola subito per la speranza cristiana”.

Il terzo aspetto riguarda lo stile della vita: “Non dimentichiamo che il carattere disarmato e disarmante dello stile cristiano, anche di fronte alle calunnie riguardo al nostro essere e agire nella luce e nello stile di Cristo, è stato il fattore più importante per il diffondersi del Cristianesimo nei primi quattro secoli. La ‘gentilezza’ del tratto, su cui anche la nostra città di Novara ha investito molto, deve accompagnarsi al rispetto per la dignità delle donne e degli uomini, riconosciuta davanti a Dio, e per una coscienza pura e trasparente”.

Insomma, è un invito ad essere abitati da una ‘speranza viva’: “E’ quella che ogni giorno fa prevalere la fiducia sul sospetto, la tenerezza sulla rigidità, la vicinanza sulla solitudine, l’interesse sul menefreghismo, la compassione sulla rigidità, la generosità sull’egoismo, l’accoglienza sull’esclusione, la fiducia nel prossimo piuttosto che la rivalità sfrenata, la vita semplice e operosa anziché che la ricchezza sfarzosa e ostentata. In una parola la ‘speranza viva’ è l’umile vittoria della vita sulla morte, perché l’abbiamo ricevuta in dono e non possiamo non regalarla agli altri. Questa è la divina leggerezza della vita in speranza!”

(Foto: diocesi di Novara)

Papa ai rettori francesi: avere cura della formazione sacerdotale

“Cari Rettori, sono lieto di accogliervi in ​​occasione del vostro pellegrinaggio giubilare, durante il quale vi siete riuniti per riflettere sulla formazione sacerdotale. Questa è un cammino di discernimento in cui voi svolgete un ruolo essenziale. Siete come l’anziano sacerdote Eli che disse al giovane Samuele: ‘Se ti chiamerà, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta’. Voi siete la presenza rassicurante, la bussola per i giovani affidati alle vostre cure”: con queste parole papa Francesco ha accolto, sabato scorso, i Rettori dei Seminari Maggiori di Francia per il loro pellegrinaggio giubilare.

Durante l’incontro papa Francesco ha richiamato un’udienza generale di papa san Paolo VI sulla testimonianza: “Ciò vale sicuramente per i formatori nei seminari. La loro testimonianza coerente di vita cristiana avviene all’interno di una comunità educativa, i cui membri sono, nel seminario, il vescovo, i sacerdoti e i religiosi, i professori, il personale. Questa comunità, però, si estende là dove il seminarista viene inviato: alle parrocchie, ai movimenti, alle famiglie. La formazione comunitaria è quindi unitaria, toccando tutte le dimensioni della persona e orientando verso la missione”.

E’ stato un invito a curare le relazioni: “Affinché il seminario possa dare questa testimonianza e diventare uno spazio favorevole alla crescita del futuro sacerdote, è importante avere cura della qualità e dell’autenticità delle relazioni umane che vi si vivono, simili a quelle di una famiglia, con tratti di paternità e fraternità. Solo in questo clima può instaurarsi la fiducia reciproca, indispensabile per un buon discernimento. Il seminarista potrà allora essere sé stesso, senza paura d’essere giudicato in modo arbitrario; essere autentico nei rapporti con gli altri; collaborare pienamente alla propria formazione per scoprire, accompagnato dai formatori, la volontà del Signore per la sua vita e rispondere liberamente”.

Infatti la cura delle relazioni nei seminari è un fattore importante: “E’ certamente una grande sfida proporre una formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale a una comunità così diversificata. Il vostro compito non è facile. Ecco perché l’attenzione al percorso di ciascuno così come l’accompagnamento personale sono più che mai indispensabili.

Ecco perché è importante che le équipes di formazione accettino questa diversità, che sappiano accoglierla e accompagnarla. Non abbiate paura della diversità! Non abbiatene paura, è un dono! L’educazione all’accoglienza dell’altro, così com’è, sarà la garanzia, per il futuro, di un presbiterio fraterno e unito nell’essenziale”.

Ed ha evidenziato tre punti, di cui il primo è la cura della libertà interiore: “Il primo è quello di aver cura che nel candidato si formi una vera libertà interiore. Non abbiate paura di questa libertà! Le sfide che gli si presenteranno nel corso della sua vita richiedono che egli sappia, illuminato dalla fede e mosso dalla carità, giudicare e decidere con la propria testa, a volte controcorrente o correndo rischi, senza allinearsi a risposte preconfezionate, preconcetti ideologici o al pensiero unico del momento. Che maturino il pensiero e che maturino il cuore e che maturino le mani!”

Una libertà interiore che porta alla relazione umana: “Questi sono i tre attributi di Dio: tenerezza vicinanza e compassione. Dio è vicino, è tenero, è compassionevole. Un seminarista che non sia capace di questo, non va. È importante! Non c’è bisogno d’insistere sul pericolo rappresentato da personalità troppo deboli e rigide, o da disordini di carattere affettivo. D’altronde, l’uomo perfetto non esiste e la Chiesa è composta da membra fragili e da peccatori che possono sempre sperare di progredire; il vostro discernimento su questo punto deve essere tanto prudente quanto paziente, illuminato dalla speranza”.

L’ultimo punto evidenziato dal papa riguarda la missione: “Il sacerdote è sempre per la missione. Sebbene, naturalmente, essere sacerdote comporti una realizzazione personale, non lo si diventa per sé stessi, ma per il Popolo di Dio, per fargli conoscere e amare Cristo. Il punto di partenza di questa dinamica non può che trovarsi in un amore sempre più profondo e appassionato per Gesù, nutrito da una seria formazione alla vita interiore e dallo studio della Parola di Dio. E’ difficile immaginare una vocazione sacerdotale che non abbia una forte dimensione oblativa, di gratuità e di distacco da sé, di sincera umiltà; e questo è da verificare. Solo Gesù riempie di gioia il suo sacerdote”.

E’ stato un invito a mettersi al servizio: “Per favore, la povertà è una cosa molto bella. Servire gli altri. E state attenti al carrierismo, state attenti. State attenti alla  mondanità, alla gelosia, alla vanità. Che l’amore per Dio e per la Chiesa non diventino un pretesto per l’autocelebrazione. Quando tu trovi qualche ecclesiastico che sembra più un pavone che un ecclesiastico è brutto. Che l’amore per Dio e la Chiesa non sia un pretesto: che sia vero”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco ai comunicatori: comunicare è saggezza

“Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi. Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!”: questo è stato il breve saluto di papa Francesco ai giornalisti ed agli operatori della comunicazione in occasione del giubileo della comunicazione.

Prima della consegna del discorso il papa ha lanciato l’invito a comunicare ‘cose divine’: “Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. ‘Padre, io sempre dico le cose vere…’ – ‘Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?’ E’ una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento”.

Nel discorso consegnato il papa ha ricordato i giornalisti deceduti per aver raccontato la realtà: “Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue”.

Ma anche coloro che sono stati arrestati, compresi anche i fotografi e gli operatori: “Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti!

Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una ‘porta’ attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi”.

A differenza di molti che bistrattano i giornalisti, tentando di mettere un ‘bavaglio’, il papa ha ribadito la necessità della libertà di stampa: “Chiedo (come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori) che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati.

Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità”.

Ha invocato la libertà perché il giornalismo è una ‘missione’: “Quella del giornalista è più che una professione. E’ una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”.

Quindi come ogni missione il giornalismo è anche responsabilità: “La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere (nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda) il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate”.

E per fare il giornalismo occorre coraggio: “Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore.

In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro ‘appello’ che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore. Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi”.

Però il coraggio si basa sulla libertà: “La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella ‘putrefazione cerebrale’ causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?”

L’informazione libera educa al pensiero critico per narrare la bellezza della comunicazione: “Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati”.

Una scelta fatta propria da san Paolo: “Un cuore così è stato quello di San Paolo. La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione. Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa. E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo. La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone. Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che (per ignoranza o per pregiudizio) si contrappongono!”

Ha concluso il discorso con l’invito al racconto: “In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco richiama l’attenzione sull’Intelligenza Artificiale: cuore e comunità sono necessari

“Il tema dell’incontro annuale di quest’anno del World Economic Forum, ‘Collaborazione per l’era intelligente’, offre una buona opportunità per riflettere sull’intelligenza artificiale come strumento non solo per la cooperazione, ma anche per unire i popoli”: così inizia il messaggio di papa Francesco inviato a Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, per il raduno annuale a Davos, in Svizzera.

Nel messaggio il papa ha sottolineato che l’intelligenza è un ‘dono’ essenziale: “La tradizione cristiana considera il dono dell’intelligenza come un aspetto essenziale della persona umana creata ‘a immagine di Dio’… L’IA è destinata a imitare l’intelligenza umana che l’ha progettata, ponendo così una serie unica di domande e sfide”.

Ed ha chiesto attenzione nell’uso, in quanto potrebbe minare la nozione di ‘libertà’: “A differenza di molte altre invenzioni umane, l’IA è addestrata sui risultati della creatività umana, che le consente di generare nuovi artefatti con un livello di abilità e una velocità che spesso rivaleggiano o superano le capacità umane, sollevando preoccupazioni critiche sul suo impatto sul ruolo dell’umanità nel mondo. Inoltre, i risultati che l’IA può produrre sono quasi indistinguibili da quelli degli esseri umani, sollevando interrogativi sul suo effetto sulla crescente crisi di verità nel forum pubblico.

Inoltre, questa tecnologia è progettata per apprendere e fare determinate scelte in modo autonomo, adattandosi a nuove situazioni e fornendo risposte non previste dai suoi programmatori, sollevando così questioni fondamentali sulla responsabilità etica, sulla sicurezza umana e sulle implicazioni più ampie di questi sviluppi per la società”.

Per questo è necessaria la comunità: “I progressi segnati dall’alba dell’IA richiedono una riscoperta dell’importanza della comunità e un rinnovato impegno per la cura della casa comune affidataci da Dio. Per orientarsi nelle complessità dell’IA, governi e aziende devono esercitare la dovuta diligenza e vigilanza. Devono valutare criticamente le singole applicazioni dell’IA in contesti particolari per determinare se il suo utilizzo promuove la dignità umana, la vocazione della persona umana e il bene comune…

Oggi, ci sono sfide e opportunità significative quando l’IA viene inserita in un quadro di intelligenza relazionale, in cui tutti condividono la responsabilità del benessere integrale degli altri. Con questi sentimenti, porgo i miei migliori auguri di preghiera per i lavori del Forum e invoco volentieri su tutti i partecipanti l’abbondanza delle benedizioni divine”.

Mentre negli incontri odierni papa Francesco ha ricevuto i direttori della Federazione Automobile Club d’Italia con l’invito a mettersi in pellegrinaggio: “Il pellegrinaggio comporta il rischio di sbagliare strada, di trovarci in difficoltà o di sentirci perduti. Il Giubileo può essere allora per ciascuno l’occasione di una ripartenza, il momento giusto per ricalcolare il percorso della propria vita, individuando le tappe fondamentali da non perdere e quelle che invece potrebbero diventare un ostacolo per il raggiungimento della meta.

C’è una verità: noi non siamo fatti per stare fermi, ma siamo sempre in ricerca, in cammino verso la destinazione. E quello che rimane fermo, il cuore fermo, fa come succede con l’acqua: l’acqua ferma è la prima a imputridirsi”.

Per questo ha invitato a riflettere sulla relazione tra ambiente ed educazione: “C’è bisogno di una cultura del rispetto e della sicurezza stradale, a partire dalle scuole… Assumere comportamenti responsabili, rispettare le norme, essere consapevoli dei rischi aiuta la convivenza civile e il raggiungimento dell’obiettivo ‘zero vittime sulle strade’. Questo è un obiettivo chiaro, ed è un programma ma prima di tutto un dovere. Viaggiare fa rima con imparare, incontrare e non con soffrire, piangere o, addirittura, morire”.

Ad educazione si collega la parola ambiente per una maggiore qualità della vita: “Per questo è urgente lavorare per affrontare tali sfide con serietà e determinazione, anche attraverso la creazione di alleanze per incentivare la sostenibilità. In questo settore, la tecnologia offre già rilevanti opportunità e diversi strumenti, altri certamente verranno messi a disposizione. Occorre assumere una visione ampia, cercando (come già fate) collaborazioni e azioni comuni che vadano a vantaggio di tutti, rendendo la mobilità davvero sostenibile e accessibile”.

Proseguendo negli incontri della giornata il papa ha invitato i membri della ‘Fondazione Rete Mondiale di Preghiera del Papa’ ad approfondire l’enciclica ‘Dilexit Nos’: “In essa trovate il nutrimento sostanzioso che alimenta la spiritualità del vostro lavoro, del vostro apostolato. Mi piace che questa spiritualità voi la chiamiate ‘cammino del Cuore’. E vorrei leggere questa espressione in un duplice senso: è il cammino di Gesù, del suo Cuore sacro, attraverso il mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione; ed è anche il cammino del nostro cuore, ferito dal peccato, che si lascia conquistare e trasformare dall’amore… Non dimenticare questa parola: custodire. Questo è opera dello Spirito Santo: non c’è cammino del cuore con Cristo senza l’acqua viva dello Spirito Santo”.

Ugualmente ai dirigenti ed al personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza ‘Vaticano’ ha rivolto un invito ad attraversare la Porta Santa: “Vi invito ad approfittare della Porta Santa aperta nella notte di Natale nella Basilica di San Pietro, come pure di quelle aperte successivamente nelle altre Basiliche Papali di Roma. Attraversare la Porta Santa non è un atto magico; è un simbolo, un simbolo cristiano (Gesù stesso dice: ‘Io sono la porta’), un segno che esprime il desiderio di ricominciare, e questa è una bella saggezza: ricominciare, ogni giorno ricominciare”.

E’ stato un ringraziamento per il lavoro svolto: “Si tratta di un compito, il vostro, sempre esigente – lo so –, che necessita di prontezza e coraggio e che il più delle volte si svolge nella discrezione, senza essere notati, ma che presuppone abnegazione, cura di ogni dettaglio, pazienza e disponibilità al sacrificio. La sicurezza infatti è un bene invisibile della cui importanza ci accorgiamo proprio quando, per qualche ragione, essa viene meno, e che si costruisce nel continuo e intelligente impegno di sorveglianza, notte e giorno, per ogni giorno dell’anno”.

(Foto: Santa Sede)

Open Doors: aumentano le persecuzioni contro i cristiani

Nei giorni scorsi è stato pubblicato il nuovo report dell’associazione ‘Open Doors – Porte Aperte’ sulla persecuzione contro i cristiani, che salgono da 365.000.000 ad oltre 380.000.000: 15.000.000 in più rispetto allo scorso anno, come ha sottolineato Cristian Nani, direttore della sezione italiana di ‘Porte aperte/Open doors’:

“Non solo i massacri e i rapimenti ma le oltre 7.600 chiese, cliniche e scuole cristiane attaccate o chiuse, le oltre 28.000 case o attività economiche saccheggiate o distrutte, costringono alla fuga famiglie e intere comunità cristiane, dando vita a esodi inumani e a una Chiesa profuga che grida aiuto. In 32 anni di ricerca, registriamo un costante aumento della persecuzione anticristiana in termini assoluti! Il 2024 è di nuovo anno record dell’intolleranza: 1 cristiano su 7 patisce discriminazione o persecuzione a causa della sua fede: è cruciale tornare a parlare di libertà religiosa nel dibattito pubblico”.

Però sono 13 i luoghi più pericolosi del mondo per essere cristiani: in cima alla classifica c’è sempre la Corea del Nord che obbliga i battezzati a vivere il proprio credo in assoluta segretezza, rinchiudendo tra i 50.000 ed i 70.000 credenti nei campi di lavoro forzato. Seguono Somalia, Yemen, Libia e Sudan nei quali la persecuzione è intimamente legata al conflitto. Poi l’Eritrea (scesa al sesto posto non per un calo del fenomeno bensì per l’aumento negli altri Stati) e la Nigeria, la nazione con più vittime cristiane: 3.100. Pakistan e Iran sono stabili in ottava e decima posizione. L’Afghanistan dei taleban è decimo.

Intanto in India (undicesima nell’elenco) prosegue il declino dei diritti e delle libertà fondamentali: nello scorso anno sono stati assassinati almeno 20 cristiani, mentre 459 chiese sono state distrutte ed oltre 2000 persone sono detenute senza processo. Mentre qualche spiraglio positivo si registra in Arabia Saudita dove, soprattutto nelle grandi città, c’è stata una maggiore tolleranza per le decorazioni natalizie anche se la pratica di religioni non musulmane resta vietato.

Resta sempre allarmante la condizione del Myanmar, che la guerra, seguita al colpo di Stato del 2021, ha catapultato nel gruppo di Paesi dove le persecuzioni sono estreme, ‘scalando’ 4 posizioni nella lista: i battezzati, che costituiscono l’8% della popolazione, sono intrappolati nei combattimenti in corso, i luoghi di culto sono attaccati con la falsa accusa di accogliere i ribelli, oltre 100.000 di loro, nella sola regione di Kachin, sono sfollati a causa delle violenze.

Preoccupante anche la situazione dell’Asia centrale: l’epicentro è il Kirghizistan, balzato dal 61^ al 47^ posto; anche nel Kazakistan di Nursultan Narbayev, messo a dura prova dai disordini seguiti alla crescita dei prezzi dell’energia, hanno ridotto la libertà di fede. I battezzati ne hanno fatto le spese, soprattutto per quanto riguarda la maggior diffusione dei matrimoni forzati e degli stupri.

In compenso le uccisioni di cristiani per motivi legati alla fede diminuiscono ancora a 4.476 da 4.998: è la Nigeria a determinare questa diminuzione, visto che le uccisioni scendono da 4.118 a 3.100, pur rimanendo epicentro di atrocità, poiché di fatto aumentano la violenza e gli attacchi alle comunità, così come aumentano le vittime cristiane in altri paesi della WWL 2025 (da 880 a 1.376).

Il numero di chiese o proprietà cristiane pubbliche attaccate, chiuse o confiscate, con diversi livelli di gravità, è quasi dimezzato da 14.766 a 7.679, diminuzione dovuta alla Cina, che tuttavia mantiene un record di 31.000 chiese chiuse, confiscate o demolite (vedasi più avanti approfondimento sulle dinamiche). Nel frattempo, il numero in Rwanda è aumentato da 120 a 4.000.

Dietro i numeri relativi agli edifici attaccati si nascondono la paura e l’insicurezza di molte comunità cristiane che utilizzano quegli edifici. Tali attacchi possono portare alla disgregazione delle comunità ecclesiali, anche se i cristiani non vengono costretti con la forza a lasciare le loro case o proprietà.

La ‘persecuzione digitale’ rimane uno degli strumenti più efficaci usati dal governo cinese e, di recente, da altri Stati autocratici per limitare la libertà religiosa: il cosiddetto ‘modello cinese’ di controllo della popolazione e sviluppo senza diritti viene pericolosamente emulato da altri stati, a cui la Cina esporta tecnologia a tal scopo.

I cristiani detenuti o condannati per ragioni legate alla fede aumentano da 4.125 a 4.744. Il livello di ingiustizia in questi casi rasenta la parodia: in carcere finiscono uomini e donne senza processi e senza prove. Inoltre, il grado di impunità spesso concesso a coloro che invece accusano falsamente e/o aggrediscono fino a uccidere i cristiani in vari paesi è davvero preoccupante. L’India è anche quest’anno il paese con dati più preoccupanti (2.176).

I rapimenti decrescono da 3.906 a 3.775, con la Nigeria sempre terra di sequestri per riscatto (2.830), ma sorprende il Messico con almeno 116 casi, sintomo di quanto impatto abbia la criminalità organizzata in questa società. Seguono varie nazioni dell’Africa Subsahariana (Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Ciad, ma anche Etiopia, Uganda, Mozambico) e dal sempre presente Pakistan, con la piaga dei rapimenti di donne cristiane per darle in sposa a musulmani (matrimoni forzati).

Invece sono decine di migliaia ogni anno i cristiani aggrediti (picchiati o vessati con minacce di morte) esclusivamente a causa della loro fede: la stragrande maggioranza di questi casi non viene alla luce, ma un dato minimo di partenza per il periodo da ottobre 2023 a settembre 2024 va oltre le 54.700 (erano 42.800 l’anno precedente).

Il livello di insicurezza e paura causato dall’incessante flusso di attacchi ai cristiani e alle comunità cristiane da parte di gruppi di terroristi islamici e altri gruppi religiosi radicali in molti paesi subsahariani e asiatici non è ben fotografato da questo numero, poiché sono milioni a subirne le conseguenze (16.200.000 cristiani sfollati solo in Africa Subsahariana, senza contare le famiglie delle vittime di uccisioni, stupri, detenzioni…). Gli attacchi a case, negozi e attività economiche di cristiani crescono ancora nonostante il record dell’anno precedente di oltre 27.100 unità: sale infatti a 28.368 creando sovente un danno permanente alla capacità di sostentamento di queste persone e costringendole spesso alla fuga.

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