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Papa Francesco: i santi vivono accanto a noi

“Esprimo la mia vicinanza al popolo del Ciad, in particolare alle famiglie delle vittime del grave attentato terroristico di alcuni giorni fa, come pure a quanti sono stati colpiti dalle alluvioni. E a proposito di queste catastrofi ambientali, preghiamo per le popolazioni della penisola iberica, specialmente della comunità valenciana, travolte dalla tempesta ‘DANA’: per i defunti e i loro cari, e per tutte le famiglie danneggiate. Il Signore sostenga chi soffre e chi porta soccorso. La nostra vicinanza al popolo di Valencia”: al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha invitato a pregare per coloro che sono stati colpiti dalle alluvioni in Spagna e nel Ciad”.

Poi ha salutato i partecipanti alla ‘Corsa dei Santi’, che si sono impegnati alla costruzione di un centro sportivo in Ucraina: “E saluto i partecipanti alla “Corsa dei Santi”, organizzata dalla Fondazione Missioni Don Bosco. Cari amici, anche quest’anno ci ricordate che la vita cristiana è una corsa, ma non come corre il mondo, no! E’ la corsa di un cuore che ama! E grazie del vostro sostegno alla costruzione di un centro sportivo in Ucraina”.

Quindi ha invitato a pregare per la pace nei Paesi martoriati dalla guerra: “Preghiamo per la martoriata Ucraina, preghiamo per la Palestina, Israele, il Libano, il Myanmar, il Sudan, e per tutti i popoli che soffrono per le guerre. Fratelli e sorelle, la guerra è sempre una sconfitta, sempre! Ed è ignobile, perché è il trionfo della menzogna, della falsità: si cerca il massimo interesse per sé e il massimo danno per l’avversario, calpestando vite umane, ambiente, infrastrutture, tutto; e tutto mascherato di menzogne. E soffrono gli innocenti! Penso alle 153 donne e bambini massacrati, nei giorni scorsi a Gaza”.

Mentre prima della recita dell’Angelus il papa ha sottolineato che le ‘Beatitudini’ sono la ‘carta d’identità’ del cristiano, come ha scritto nell’esortazione apostolica ‘Gaudete et exsultate’: “Gesù proclama la carta d’identità del cristiano. E qual è la carta d’identità del cristiano? Le Beatitudini.

E’ una carta di identità nostra, e anche la via della santità. Gesù ci mostra un cammino, quello dell’amore, che Lui stesso ha percorso per primo facendosi uomo, e che per noi è ad un tempo dono di Dio e nostra risposta. Dono e risposta”.

La santità è un dono di Dio, come è stato espresso nell’enciclica ‘Dilexit nos’: “E’ dono di Dio, perché, come dice San Paolo, è Lui che santifica. E per questo è prima di tutto al Signore che noi chiediamo di farci santi, di rendere il nostro cuore simile al suo. Con la sua grazia Lui ci guarisce e ci libera da tutto ciò che ci impedisce di amare come Lui ci ama, così che in noi, come diceva il Beato Carlo Acutis, ci sia sempre ‘meno io per lasciare spazio a Dio’”.

Però la santità aspetta una nostra risposta: “E questo ci porta al secondo punto: la nostra risposta. Il Padre dei cieli, infatti, ci offre la sua santità, ma non ce la impone. La semina in noi, ce ne fa sentire il gusto e vedere la bellezza, ma poi aspetta la nostra risposta. Lascia a noi la libertà di seguire le sue buone ispirazioni, di lasciarci coinvolgere dai suoi progetti, di fare nostri i suoi sentimenti, mettendoci, come Lui ci ha insegnato, al servizio degli altri, con una carità sempre più universale, aperta e rivolta a tutti, al mondo intero”.

Ed i santi non sono eroi, ma semplici persone che vivono quotidianamente la vita: “Tutto questo lo vediamo nella vita dei santi, anche nel nostro tempo. Pensiamo, ad esempio, a san Massimiliano Kolbe, che ad Auschwitz chiese di prendere il posto di un padre di famiglia condannato a morte; o a santa Teresa di Calcutta, che spese la sua esistenza al servizio dei più poveri tra i poveri; o al vescovo sant’Oscar Romero, assassinato sull’altare per aver difeso i diritti degli ultimi contro i soprusi dei prepotenti.

E così possiamo fare la lista di tanti santi, tanti: quelli che veneriamo sugli altari e altri, che a me piace chiamare i santi ‘della porta accanto’, quelli di tutti i giorni, nascosti, che portano avanti la loro vita cristiana quotidiana. Fratelli e sorelle, quanta santità nascosta c’è nella Chiesa!”

Ecco i santi descritti da papa Francesco: “Riconosciamo tanti fratelli e sorelle plasmati dalle Beatitudini: poveri, miti, misericordiosi, affamati e assetati di giustizia, operatori di pace. Sono persone “piene di Dio”, incapaci di restare indifferenti ai bisogni del prossimo; sono testimoni di cammini luminosi, possibili anche per noi”.

Dal Sinodo un invito a non vivere di rendita

“…siamo giunti all’ultimo tratto di strada dei lavori della nostra Assemblea sinodale, che raccoglie i frutti di un lungo cammino iniziato nell’ottobre 2021. Proprio ora il brano del Vangelo ci indica la strada per come ‘raccogliere’ e Gesù ci invita a guardarci da ogni cupidigia, e questa può riguardare non solo i beni materiali, ma il bene e la bellezza che Gesù ci sta affidando in questo Sinodo”: con queste parole introduttive dell’omelia della celebrazione eucaristica il segretario generale del Sinodo, card. Mario Gtech, ha aperto le discussioni dell’ultima settimana, che produrranno il documento finale.

Nell’omelia il card. Grech ha preso spunto dal brano evangelico per un cammino sinodale: “Gesù rifiuta di dividere, ma invita a cercare la comunione, poiché individua nella cupidigia e nella ricerca del possesso la radice della divisione. Gesù rifiuta ogni logica di parte e di divisione nella ricerca della comunione tra fratelli. Per questo racconta poi la parabola, perché ognuno possa accorgersi della ‘stoltezza’ che si nasconde dietro il desiderio di ammassare nei granai. La parabola ci indica come disporci in questi giorni a raccogliere i frutti del nostro percorso sinodale e della nostra assemblea, senza dividerci, ma cercando la comunione”.

Insomma il vangelo è un invito a fare buon uso dei beni, senza vivere di rendita: “Non pensa ad investire, ad allargare il suo sguardo, a far fruttare i suoi beni, ma semplicemente a vivere di rendita. Si compiace della sua completezza! Anche noi potremmo correre il rischio di fare come quest’uomo, di ammassare ciò che abbiamo raccolto, i doni di Dio che abbiamo scoperto, senza reinvestirli, senza viverli come doni ricevuti che dobbiamo ora ridonare alla Chiesa ed al mondo, di sentirci arrivati!”

Il Vangelo è un invito ad esplorare strade nuove: “Anche noi potremmo accontentarci, senza cercare strade nuove perché il nostro raccolto possa moltiplicarsi ulteriormente; anche noi potremmo rischiare di rimanere chiusi nei nostri confini conosciuti, senza continuare ad allargare lo spazio della nostra tenda, come ci ha invitato a fare il profeta Isaia… Anche noi possiamo correre il rischio di vivere di rendita. Ma la comprensione delle verità e le scelte pastorali vanno avanti, si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età”.

L’omelia del card. Grech è stato un invito ad ascoltare lo Spirito Santo: “Piano piano quello che abbiamo raccolto comincerà a sparire, senza essere sostituito dalle novità che il Signore continuerà a mandarci… Se ascolteremo la voce dello Spirito, la conclusione di questa assemblea sinodale non sarà la fine di qualcosa, ma un nuovo inizio, perché ‘la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata’.

Cari fratelli e sorelle, con Maria, alla quale abbiamo affidato fin dall’inizio i lavori della nostra Assemblea, se sapremo ascoltare la voce dello Spirito Santo e vivere nella libertà dello Spirito, potremo cantare al Signore l’inno di lode che ci indica il profeta Isaia”.

Mentre nella meditazione il teologo domenicano Timothy Radclife ha richiamato i partecipanti a mettere in pratica la missione di ‘predicare e incarnare’ una doppia libertà, “la doppia elica del Dna cristiano: la libertà di dire ciò che crediamo e di ascoltare senza paura ciò che dicono gli altri”. Cioè ‘la libertà dei figli di Dio di parlare con coraggio, con parrésia’; ma anche la ‘libertà più profonda, la libertà interiore dei nostri cuori’ di accettare anche le decisioni che possa deludere, e che alcuni potrebbero ritenere ‘sconsiderate o addirittura sbagliate’.

Dunque, siamo abitati dalla libertà di “pensare, parlare e ascoltare senza paura. Ma non è nulla se non abbiamo anche la libertà di chi ha fiducia che Dio opera tutto per il bene di coloro che amano Dio… Se  abbiamo solo la libertà di argomentare le nostre posizioni, saremo tentati dall’arroganza e “finiremo per battere i tamburi dell’ideologia, di destra o di sinistra”.

D’altro canto, “se abbiamo solo la libertà di chi confida nella provvidenza di Dio, ma non osiamo entrare nel dibattito con le nostre convinzioni, saremo irresponsabili e non cresceremo mai… Invece la libertà di Dio lavora nel cuore della nostra libertà, sgorgando dentro di noi. Quanto più è veramente di Dio, tanto più è veramente nostra”.

Nella stessa giornata il card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha proposto un incontro sulla questione del diaconato permanente per le donne: “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura ed ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità. La commissione di studio sul tema è giunta a delle conclusioni parziali che faremo pubblicare al momento giusto, ma continuerà a lavorare.

Invece il Santo Padre è molto preoccupato per il ruolo delle donne nella Chiesa e, prima ancora della richiesta del Sinodo, ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esplorare le possibilità di uno sviluppo senza concentrarci sull’ordine sacro. Noi non possiamo lavorare in una direzione diversa, ma devo dire che sono pienamente d’accordo”.

Ed ha dichiarato la disponibilità all’ascolto delle proposte: “Giovedì dunque ascolterò idee sul ruolo delle donne nella Chiesa. Per quelli che erano molto preoccupati per le procedure e i nomi, lo spiegherò giovedì e darò i nomi stessi, così da associare dei volti a questo lavoro. Nonostante quanto detto, per coloro che sono convinti che si debba approfondire la questione del diaconato femminile, il Santo Padre mi ha confermato che continuerà ad essere attiva la Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi.

I membri del Sinodo che lo vogliono (sia individualmente che come gruppi) possono inviare a quella Commissione considerazioni, proposte, articoli o preoccupazioni su questo tema. Il cardinale Petrocchi mi ha confermato che i lavori riprenderanno nei prossimi mesi e analizzeranno i materiali che sono arrivati”.

Assisi ricorda il beato Carlo Acutis

“La violenza e la guerra, incredibilmente ancora praticate su così vasta scala, sembrano dirci che la cultura della morte abbia la meglio nel mondo. In realtà, nonostante tutto, l’uomo ha un bisogno irresistibile di vita. Desidera una vita piena, soprattutto piena di gioia. E non si accontenta di tempo limitato: vuole vivere per sempre”: sabato 12 ottobre nel Santuario della Spogliazione di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, ha presieduto la Messa nella memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, evidenziando che lui ha scelto la vita eterna”.

Infatti la domanda che il giovane ricco ha posto a Gesù è stata la stessa di Carlo Acutis: “Se pensiamo che anche Carlo era figlio di genitori facoltosi, viene spontaneo sentire riecheggiare questa domanda sulle sue labbra. Egli amava la vita in tutti i sensi. Tutto gli era caro, dalla natura allo sport, dalla musica al computer.

Aveva però compreso che le cose della terra, pur belle, sono passeggere. La risposta di Gesù al giovane ricco gli era entrata nel cuore: se vuoi la vita eterna, osserva i comandamenti. E Carlo i comandamenti di Dio li osservava. Li sentiva, quali sono, non catene che imprigionano, ma una segnaletica che assicura alla nostra vita un orizzonte e una meta”.

Il beato Carlo Acutis si lascia prendere dallo sguardo di Gesù, che non era stato colto dal ‘giovane ricco’: “Che cosa ci fu in quello sguardo è impossibile dirlo. Dovette essere uno di quegli sguardi che ti stringono come un abbraccio facendoti sentire unico al mondo, amato più di tutti, guarito fin nell’intimo, pieno di cielo.

Di fronte a quello sguardo, che certamente anche Carlo ha sperimentato, le vie si divaricano: il giovane del Vangelo si fa scuro in volto e volge le spalle, intrappolato dai suoi molti beni: Carlo, sceglie Gesù. Si innamora di quello sguardo intenso e divino, vedendolo nell’Eucaristia, sentendo che l’Ostia santa è veramente Gesù, da incontrare, adorare, mangiare, diventando una sola cosa con lui”.

Ecco il modo di guardare da altra angolazione la vita: “Quando si incontra Gesù, tutta la vita cambia. Non cambiano le cose che fai, cambia come le fai. Le cose restano le stesse, ma profumano di cielo. Possono essere, come fu nella vita di Carlo, i compiti di scuola o una partita di calcio, una melodia suonata al sassofono o una passeggiata in montagna, la realizzazione di un video clip o il prendere parte a una discussione, portare i cani a passeggio o accompagnare la mamma a fare la spesa, e mille altre cose proprie del quotidiano”.

In questo modo l’eternità entra nella vita quotidiana: “Ma nel passeggero puoi mettere l’eterno, e la vita si trasfigura. Si illumina persino su un letto di ospedale, mentre si muore. Può succedere quello che avvenne qui, dove Francesco passò, alla fine della sua vita, molti giorni prima di scendere alla Porziuncola incontro a ‘sorella Morte’. Qui, ai frati che lo attorniavano, chiese di cantare senza sosta il Cantico di Frate Sole. Anche Carlo, spogliato dalla leucemia di tutti i suoi sogni, si abbandonò all’abbraccio di Gesù”.

Ed il beato Acutis si lasciò ‘spogliare’ da Gesù come fece san Francesco: “Al Santuario della Spogliazione ricordiamo che Francesco si spogliò fino alla nudità, per dire che Gesù era il suo ‘tutto’ e compiere, leggero e nudo, la missione che gli era stata affidata di ‘riparare la Chiesa’. A Carlo è stato chiesto di lasciarsi spogliare addirittura della vita e della giovinezza, per fare con Gesù, non su questa terra, ma dal cielo, un lavoro che ha dell’incredibile, come influencer della santità, della gioia, della vita piena”.

Inoltre ha sottolineato l’imminente canonizzazione: “La Provvidenza ha voluto che la proclamazione della sua santità (la ‘canonizzazione’) avvenisse nell’anno del Giubileo che tra qualche mese comincerà. Sarà l’anno in cui dovremo recuperare, stando al tema indicato dal Papa, la speranza fondata su Gesù. Carlo è ancora beato. Ma ormai il segno dal cielo è arrivato, perché egli possa essere dichiarato Santo.

Un segno arrivato con la guarigione di una ragazza del Costa Rica, come tra qualche ora proprio un cantante del Costa Rica, Martin Valverde, ci ricorderà. Carlo sarà dunque presto ‘san’ Carlo. Ma questo titolo non lo sbalzerà ad un’altezza irraggiungibile. Al contrario, continueremo a sentirlo, proprio come si sente un amico, semplicemente, Carlo!”

Quindi per tale ricorrenza mons. Sorrentino ha composto una nuova preghiera, che potrà essere recitata da subito: “Carlo, sorriso di cielo per questa terra ferita e senza pace, noi lodiamo Dio per la tua vita semplice, gioiosa e santa. Tu hai accolto con fiducia di essere spogliato della tua giovinezza

per dedicarti in cielo, con Gesù e Maria, a una missione di amore senza confini. Riposando col tuo corpo mortale dove Francesco d’Assisi si spogliò d’ogni bene terreno, tu gridi con lui al mondo che Gesù è tutta la nostra gioia. Giovane pieno di sogni, attratto dalla natura, dallo sport, da internet, ma ancor più rapito dal miracolo di Gesù realmente presente nell’Ostia Santa, aiutaci a credere che egli è lì vivo e vero, mistica ‘autostrada’ che conduce al cielo, e insegnaci a contemplarlo con Maria,

nei misteri del Santo Rosario. Spiegaci, Carlo, che, al di là delle mode, solo Gesù, unendoci a sé, ci rende ‘originali e non fotocopie’, liberi davvero. Ottienici di saperlo incontrare in ogni creatura, ma soprattutto nei poveri, perché l’umanità sia più giusta e fraterna, ricca di bellezza e di speranza, a gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

Inoltre venerdì 11 ottobre nella città è stata inaugurata la mostra sui miracoli eucaristici realizzata dal beato Carlo Acutis, già stata presentata in 5 continenti e in 10.000 parrocchie, compresi alcuni santuari mariani come Fatima, Lourdes, Guadalupe, alla presenza di Andrea Acutis, padre del giovane beato millennial, che ha ricordato la passione del figlio per il tema dei miracoli in un’epoca in cui internet non era così diffuso ed anche viaggiare non si poteva fare con la stessa facilità di oggi:

“Se uno scopre che il Paradiso è la cosa più bella che si possa desiderare e che la nostra vita è destinata a questo, le altre cose si ‘ordinano’ in modo diverso… Carlo volle fare una mostra che aiutasse le persone a capire questi segni: non ci dovrebbe essere bisogno di segni, ma il Signore conosce la nostra debolezza e ogni tanto ci aiuta a fare attenzione a queste cose”.

(Foto: Diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino)

Papa Francesco ai belgi: la misericordia costruisce il futuro

Al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha preso da Bruxelles per rientrare a Roma con un volo della Brussels Air Line il Papa fa rientro in Vaticano, salutando la delegazione belga con un pensiero nel libro d’onore dell’aeroporto: “Grato per l’accoglienza ricevuta alla Basa aerea di Melsbroek, auspico che essa sia sempre a servizio della pace nel Belgio, in Europa e nel mondo intero”.

E prima del ritorno in Vaticano papa Francesco ha ricordato la Giornata del Migrante e del Rifugiato, sottolineando che il Belgio è terra di arrivo di tanti migranti: “Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema ‘Dio cammina con il suo popolo’.

Da questo Paese, il Belgio, che è stato ed è tuttora meta di tanti migranti, rinnovo all’Europa e alla Comunità internazionale il mio appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità per crescere insieme nella fraternità, e invito tutti a vedere in ogni fratello e sorella migrante il volto di Gesù che si è fatto ospite e pellegrino in mezzo a noi”.

Inoltre ha invitato a pregare per le nazioni martoriate dalla guerra: “Continuo a seguire con dolore e con tanta preoccupazione l’allargamento e l’intensificazione del conflitto in Libano. Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato, e questa guerra ha effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno in Medio Oriente.

Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace. Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina”.

Infine ha sottolineato l’importanza della recita dell’Angelus: “Questa preghiera, molto popolare nelle passate generazioni, merita di essere riscoperta: è una sintesi del mistero cristiano, che la Chiesa ci insegna a inserire in mezzo alle occupazioni quotidiane. Ve la consegno, specialmente ai giovani, e vi affido tutti alla nostra Madre Santissima, che qui, accanto all’altare, è raffigurata come Sede della Sapienza. Sì, abbiamo bisogno della sapienza del Vangelo! Chiediamola spesso allo Spirito Santo”.

Nell’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva del viaggio apostolico nello stadio ‘Re Baldovino’ papa Francesco ha parlato della libertà dello Spirito Santo: “Ce ne parlano la prima Lettura e il Vangelo, mostrandoci l’azione libera dello Spirito Santo che, nel racconto dell’esodo, riempie del suo dono di profezia non solo gli anziani andati con Mosè alla tenda del convegno, ma anche due uomini che erano rimasti nell’accampamento”.

Ed ha definito parole sagge quelle del libro dei Numeri: “Sono parole sapienti, che preludono a ciò che Gesù afferma nel Vangelo. Qui la scena si svolge a Cafarnao, e i discepoli vorrebbero a loro volta impedire ad un uomo di scacciare i demoni nel nome del Maestro, perché, affermano, ‘non ci seguiva’, cioè ‘non è nel nostro gruppo’…

Osserviamo bene queste due scene, quella di Mosè e quella di Gesù, perché riguardano anche noi e la nostra vita cristiana. Tutti infatti, con il Battesimo, abbiamo ricevuto una missione nella Chiesa. Ma si tratta di un dono, non di un titolo di vanto.., Egli continua a riporre in noi con amore di Padre, vedendo in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere. Per questo ci chiama, ci invia e ci accompagna pazientemente giorno per giorno”.

E la libertà dello Spirito Santo avviene nella comunione, raccontata nella lettera dell’apostolo san Giacomo: “L’egoismo, come tutto ciò che impedisce la carità, è ‘scandaloso’ perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri… Si crea un mondo in cui non c’è più spazio per chi è in difficoltà, né c’è misericordia per chi sbaglia, né compassione per chi soffre e non ce la fa. Non c’è”.

Ed ha rimarcato il dramma degli abusi sessuali nella Chiesa: “Pensiamo a quello che accade quando i piccoli sono scandalizzati, colpiti, abusati da coloro che dovrebbero averne cura, alle ferite di dolore e di impotenza anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nella comunità. Con la mente e con il cuore torno alle storie di alcuni di questi ‘piccoli’ che ho incontrato l’altro ieri. Li ho sentiti, ho sentito la loro sofferenza di abusati e lo ripeto qui: nella Chiesa c’è posto per tutti, tutti, tutti ma tutti saremo giudicati e non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso”.

Quella del papa è stata una scelta precisa: “Chiedo a tutti: non coprite gli abusi! Chiedo ai vescovi: non coprite gli abusi! Condannare gli abusatori e aiutarli a guarire da questa malattia dell’abuso. Il male non si nasconde: il male va portato allo scoperto, che si sappia, come hanno fatto alcuni abusati e con coraggio. Che si sappia. E che sia giudicato l’abusatore. Che sia giudicato l’abusatore, sia laica, laico, prete o vescovo: che sia giudicato”.

E’ stato un chiaro invito alla scelta della misericordia: “Se vogliamo seminare per il futuro, anche a livello sociale ed economico, ci farà bene tornare a mettere alla base delle nostre scelte il Vangelo della misericordia. Gesù è la misericordia. Tutti noi, tutti, siamo stati misericordiati. Altrimenti, per quanto apparentemente imponenti, i monumenti della nostra opulenza saranno sempre colossi dai piedi di argilla. Non illudiamoci: senza amore niente dura, tutto svanisce, si sfalda, e ci lascia prigionieri di una vita sfuggente, vuota e senza senso, di un mondo inconsistente che, al di là delle facciate, ha perso ogni credibilità, perché? Perché ha scandalizzato i piccoli”.

Ed ha concluso l’omelia con la parola della testimonianza attraverso la vita di Anna di Gesù: “E così giungiamo alla terza parola: testimonianza. Possiamo prendere spunto, in proposito, dalla vita e dall’opera di Anna di Gesù, Anna de Lobera, nel giorno della sua Beatificazione. Questa donna è stata tra le protagoniste, nella Chiesa del suo tempo, di un grande movimento di riforma, sulle orme di una ‘gigante dello spirito’, Teresa d’Avila, di cui ha diffuso gli ideali in Spagna, in Francia e anche qui, a Bruxelles, e in quelli che allora erano chiamati Paesi Bassi Spagnoli”.

La vita povera è stata una sua scelta: “In un tempo segnato da scandali dolorosi, dentro e fuori la comunità cristiana, lei e le sue compagne, con la loro vita semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità, hanno saputo riportare alla fede tante persone, al punto che qualcuno ha definito la loro fondazione in questa città come una ‘calamita spirituale’.

Per scelta, non ha lasciato scritti. Si è impegnata invece a mettere in pratica ciò che a sua volta aveva imparato, e con il suo modo di vivere ha contribuito a risollevare la Chiesa in un momento di grande difficoltà”.

Infine, dopo aver visitato la tomba del re Baldovino, che rifiutò di firmare la legge sull’aborto nel 1990, annuncia che darà una nuova spinta alla causa di beatificazione del re, iniziata nel 1995, il papa ha invitato i vescovi belgi a portare a termine la causa di beatificazione: “Al mio rientro a Roma avvierò il processo di beatificazione di Re Baldovino. Che il suo esempio di uomo di fede illumini i governanti. Chiedo che i vescovi belgi si impegnino per portare avanti questa causa”.

(Foto: Santa Sede)

Da Parigi la Comunità di Sant’Egidio invoca la pace

Ieri al Palazzo dei Congressi di Parigi si è aperto l’incontro internazionale ‘Immaginare la Pace’, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con il presidente francese Emmanuel Macron, Andrea Riccardi, la sindaco di Parigi Anne, Hidalgo, il rettore della Grande Moschea di Parigi Chems-Eddine Hafiz, il gran rabbino di Francia Haim Korsia e l’arcivescovo cattolico Laurent Ulrich, che ha ringraziato la Comunità di Sant’Egidio per aver scelto Parigi come sede di questo incontro:

“In questo 2024 la Comunità di Sant’Egidio non poteva fare regalo più bello alla Francia e alla sua capitale accogliendo il nostro invito ad organizzare qui il suo incontro per la pace. Tengo dunque ad esprimerle la nostra gioia e la nostra gratitudine… In occasione dell’apertura nella tregua olimpica per la quale, il 19 luglio, ho celebrato una Messa solenne, certo abbiamo dovuto deplorare che le nazioni continuassero i conflitti durante questo periodo che si è concluso qualche giorno fa”.

Ed ha raccontato la forza dell’utopia: “La lezione del passato ci mostra quanto le utopie abbiano saputo ribaltare le logiche più implacabili. Così ogni scuola di pensiero, ogni filosofia, ogni religione può contribuire a questo apportando il contributo della sensibilità che le è propria, nella ricerca di una verità che, lo crediamo, porta alla libertà”.

Infine ha raccontato il suo recente viaggio in Terra Santa: “E poiché non si può vincere la miseria senza iniziare dall’ascolto di quelli che si confrontano con essa, né far cessare la guerra senza farsi portavoce dei popoli schiacciati dalla violenza vorrei portarvi il ricordo della Terra Santa che ho visitato alcuni giorni fa.

Colpiti dalla guerra, uomini e donne di buona volontà, nel servizio incondizionato a favore di tutti quelli che la Provvidenza manda loro, hanno saputo mostrarmi che, malgrado la stanchezza, non rinunciano ad educare i bambini e i giovani, a curare i malati e i moribondi, ad accogliere i neonati che abbiano o no una famiglia e a mantenere i legami che, al momento opportuno, potranno ricostruire la pace”.

Aprendo l’assemblea il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, prof. Andrea Riccardi, ha affermato che parlare di pace è utopia: “Le religioni hanno alle spalle storie di coinvolgimento nella guerra, fino alla sua sacralizzazione. Talvolta si è arrivati al punto di proclamare la guerra in nome di Dio, cosa che tutti noi consideriamo una bestemmia. Se le comunità religiose sono fatte di uomini e donne che vivono le attrazioni fatali del tempo in cui vivono, tuttavia sanno che c’è qualcosa al di là di loro e che dalla profondità delle tradizioni religiose scaturisce il messaggio decisivo della pace.

Nelle grandi tradizioni religiose è scritto il fondamento della pace. Il nome stesso di Dio è la pace. Le religioni certo non hanno il monopolio della pace. La pace non può essere monopolio di nessuno, perché allora non è pace. Quando donne e uomini di religioni differenti s’incontrano, pur nella diversità, si crea un’armonia. E’ una storia che viene da lontano. Da molto lontano”.

Ed  ha ricordato lo ‘spirito’ di Assisi, che ancora continua: “Nell’invocazione a Dio per la pace, si manifestò la forza debole delle religioni. Da quell’incontro di Assisi, il piccolo popolo della Comunità di Sant’Egidio maturò la convinzione che il mondo religioso racchiude le energie per un nuovo linguaggio e per gesti di pace. Anno dopo anno ci siamo incontrati tra leader religiosi e credenti. Anche se in tanti momenti siamo stati messi a dura prova, non rinunciamo a questa visione, non abbandoniamo i mondi religiosi all’isolamento, sentiamo anzi la necessità di sviluppare il dialogo.

Lo abbiamo fatto a Varsavia in tempo di guerra fredda. Lo abbiamo fatto dopo l’11 settembre 2001. Continuiamo a farlo oggi a Parigi. Penso a tanti frutti maturati nel solco dello spirito di Assisi: il Documento sulla Fratellanza umana, firmato nel 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande imam di Al Azhar, al Tayyeb, amico di questi nostri incontri”.

Amin Maalouf, segretario permanente dell’Académie française, ha fornito alcune speranze: “Non ho nessuna passione per gli scenari apocalittici. Per carattere, tendo piuttosto a ricercare ragioni di speranza. Ma in un mondo in cui regna il sacro egoismo, in cui così tante nazioni e comunità fondano la propria coesione sull’odio per l’Altro, in cui le principali potenze si insultano ininterrottamente e si parlano a malapena, tutte le derive diventano plausibili”.

Soprattutto ha approfondito il ruolo delle tecnologie: “E qui non parlo più soltanto di bombe e di missili. Consideriamo le grandi tecnologie di punta che fanno da vettori della prodigiosa metamorfosi conosciuta dal mondo nei nostri giorni. Queste offrono apporti benefici di cui godiamo ogni giorno, nel campo della sanità, nella diffusione del sapere e in mille altri settori. Ma queste stesse tecnologie comportano anche, proprio a causa delle loro immense potenzialità, certi rischi cui dobbiamo fare sempre attenzione”.

E fra le tecnologie c’è l’intelligenza artificiale: “Nel campo dell’intelligenza artificiale, che ha preso il volo soprattutto negli ultimi quindici anni e le cui promesse sono inaudite, ci sono motivi di inquietudine su cui siamo stati messi in guardia da alcuni di coloro che sono direttamente impegnati in tale rivoluzione, scienziati, imprenditori e pensatori vigili. Essi ci dicono che questa tecnologia potrebbe un giorno sfuggirci di mano, che potrebbe persino trasformarsi in una minaccia esistenziale per la nostra specie, e che forse ci sarebbe bisogno di una moratoria su determinati percorsi di ricerca, in attesa di vederci più chiaro”.

Ma ad aprire la manifestazione parigina è stata la testimonianza della giovane afgana Lina Hassani: “Mi chiamo Lina Hassani e sono qui oggi davanti a voi come una ragazza afghana di 21 anni, di famiglia hazara, che ha vissuto attraverso due decenni di conflitti e profondi cambiamenti. Provengo da un paese tristemente famoso per i suoi tre decenni di guerra: sono arrivata in Belgio attraverso i ‘corridoi umanitari’ della Comunità di Sant’Egidio e vivo lì da 5 mesi; qui mi dedico all’apprendimento della lingua olandese.

La mia storia non riguarda solo la mia vita, ma anche quella di innumerevoli afghani che hanno sopportato difficoltà inimmaginabili. Sono nata a Kabul, una città che custodisce molti ricordi, sia gioiosi che dolorosi. La vita in Afghanistan non è mai stata facile. Nel 2009, mio padre ci è stato portato via, ucciso dai talebani. Ma mia madre, con una forza incredibile, è andata avanti per sostenere la nostra famiglia”.

Ed ha raccontato la vita in Afghanistan: “Nell’agosto 2021, i Talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, imponendo severe restrizioni alle donne. Non ci era permesso uscire di casa senza un tutore maschio e l’istruzione ci è stata negata. La situazione era particolarmente disperata per coloro che avevano lavorato con entità straniere, tra cui mia madre. Le donne che protestavano contro i Talebani rischiavano la prigione o addirittura la morte. Sentendoci insicure e senza alcuna speranza di una vita migliore in Afghanistan, siamo fuggite in Pakistan.

Tuttavia, la situazione lì non era molto diversa; come rifugiati, eravamo visti come un peso, privi di diritti, senza accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, sempre di fronte alle difficoltà nel rinnovo del visto e a rischio di espulsione. Più di un milione di persone sono state rimpatriate in Afghanistan. Alcuni rifugiati afghani in Pakistan si sono uniti per vivere sotto le tende, sopportando condizioni difficili, senza riparo con un caldo che raggiungeva i 40 gradi”.

(Foto: Comunità di Sant’Egidio)

Papa Francesco ai giovani: non perdete la memoria

Papa Francesco ha lasciato Dili, capitale di Timor-Leste verso Singapore, ultima tappa, dopo l’Indonesia e la Papua-Nuova Guinea, del 45^ viaggio apostolico, salutando il presidente della Repubblica José Ramos-Horta, dopo l’ultimo incontro con i giovani, che l’hanno accolto nel Centro de Convenções con lo slogan ‘Noi siamo la gioventù del Papa!’, perché ‘i giovani fanno la Chiesa’, scritta sulle loro magliette.

Ed il papa ha augurato loro ‘buongiorno’, chiedendo di raccontare cosa fanno i giovani, se non sono più abituati a fare ‘chiasso’ in nome di Gesù: “Questo non scordatelo mai! Molto bene, molto bene. Ma c’è una cosa che fanno sempre i giovani, i giovani di diverse nazionalità, i giovani di diverse religioni. Sapete cosa fanno sempre i giovani?

I giovani fanno chiasso, i giovani fanno confusione. Siete d’accordo? Siete d’accordo su questo?.. Vi ringrazio per i saluti, le testimonianze e le domande. Vi ringrazio per i balli. Perché sapete che ballare è esprimere un sentimento con tutto il corpo. Conoscete qualche giovane che non sa ballare? La vita viene con la danza. E voi siete un Paese di gente giovane”.

Ringraziandoli per questa giornata conclusiva il papa ha elogiato la loro voglia di vivere: “C’è una cosa che dicevo stamattina a un vescovo: non dimenticherò mai i vostri sorrisi. Non smettete di sorridere! E voi giovani siete la maggioranza della popolazione di questa terra, e la vostra presenza riempie di vita questa terra, la riempie di speranza e la riempie di futuro.

Non perdete l’entusiasmo della fede! Immaginate un giovane senza fede, con una faccia triste. Ma voi sapete cos’è che butta giù un giovane? I vizi. State attenti. Perché arrivano quelli che si definiscono venditori di felicità. E ti vendono la droga, ti vendono tante cose che ti danno felicità per mezz’ora e basta”.

E’ stato un augurio a proseguire senza dimenticare le ‘radici’: “Vi auguro di andare avanti con la gioia della gioventù. Ma non dimenticatevi una cosa: voi siete gli eredi di coloro che vi hanno preceduto nella fondazione di questa Nazione. Pertanto, non perdete la memoria! La memoria di quelli che vi hanno preceduto e che con tanto sacrificio hanno costruito questa Nazione”.

Quindi è stato un invito a ‘sognare’ senza anestetizzanti: “Un giovane deve sognare… Vi invito a sognare, a sognare cose grandi. Un giovane che non sogna è un pensionato della vita. E qualcuno di questi giovani, di voi, è un pensionato?.. I giovani devono fare confusione, per mostrare la vita che hanno. Ma un giovane è nel mezzo del cammino della vita, è a metà, nel mezzo della strada della vita. Tra i ragazzi e i grandi”.

Ma al contempo anche ad ascoltare gli anziani: “Ma sono i nonni, sono gli anziani che danno la saggezza ai giovani…Gli anziani precedono sempre noi giovani nella storia, non è vero? Gli anziani sono un tesoro: i due tesori di un popolo sono i bambini e gli anziani. Capito? Vediamo, ripetetelo voi. Quali sono i due più grandi tesori di un popolo?.. I bambini e gli anziani. Ecco perché una società che ha tanti bambini come la vostra deve prendersi cura di loro. E una che ha tanti anziani che sono la memoria deve rispettarli e prendersene cura”.

Inoltre il papa ha sottolineato che a Timor-Leste, che ha definito il ‘Paese sorridente’, c’è ‘una meravigliosa storia di eroismo, di fede, di martirio e soprattutto di fede e riconciliazione’, attraverso tre raccomandazioni, libertà, impegno e fraternità con l’autogoverno, tradotto dalla parola ‘ukun rasik-an’, che ha un significato più complesso, in quanto un giovane che non è capace di autogovernarsi è dipendente, non è libero ed è schiavo del proprio desiderio di sentirsi onnipotente:

“Nella lingua tetum c’è un detto: ‘ukun rasik-an’, cioè essere in grado di governare sé stessi. Un giovane che non è in grado, una giovane, un giovane che non è in grado di governarsi, che non è in grado di vivere ‘ukun rasik-an’, che cos’è? Cosa dite? Uno che dipende dagli altri. Molto bene. E un uomo, una donna, un giovane, un ragazzo che non governa sé stesso è schiavo, è dipendente, non è libero… Un giovane che ama la compagnia dei fratelli, delle sorelle, che ha responsabilità, è un giovane che ama il suo Paese. Questo è molto importante”.

Per questo è necessaria la fraternità: “E’ un valore che dovete imparare: la fraternità. Essere fratelli, non essere nemici. I vostri anziani, i vostri genitori e nonni, magari con idee diverse, ma erano fratelli. Ed è bene che i giovani abbiano idee diverse? E questo perché? Per litigare con gli altri? O per rispettarci? Io credo che tu pensi questo: se io sono di questa religione e tu sei di quest’altra religione, ci scontreremo. Non è così, bisogna rispettarsi. Ripetiamo questa parola: rispettarsi”.

Il dialogo del papa con i giovani si è concluso con l’invito alla riconciliazione: “Cari giovani, siate eredi della storia tanto bella che vi ha preceduto! Siate eredi della storia così bella che vi ha preceduto. E portatela avanti. Abbiate coraggio, abbiate coraggio per portare avanti le cose. E se litigate, riconciliatevi. Vi ringrazio per tutto quello che fate per la patria, per il popolo di Dio. E ricordiamo quello che ci ha detto Ilham, che ha parlato poco fa: che dobbiamo amarci al di là di tutte le differenze etniche o religiose… Riconciliazione, convivenza con tutte le differenze”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco a Timor Est per lodare l’esempio di pacificazione

A Dili papa Francesco è stato accolto dalla popolazione in festa, che nel discorso ai diplomatici ha evidenziato la fede che ha sostenuto il popolo nella liberazione prima dalla colonizzazione portoghese (1975), poi dal giogo indonesiano (2002) con un plauso al cammino di riconciliazione con la stessa Indonesia:

“Rendiamo grazie al Signore perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà”.

Ha ricordato la fede che hanno sempre mantenuto,, anche nelle circostanze sfavorevoli: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.

Ed ha menzionato la visita apostolica di san Giovanni Paolo II: “Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese. Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno ‘una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo’; una tradizione ‘ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini’, di ‘umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione’. E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza”.

A Dili è un cristianesimo che riesce ad inculturarsi per farsi presenza: “Il cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste estreme propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più profonda… Una delle dimensioni fondamentali del cristianesimo è l’inculturazione della fede e la cristianizzazione della cultura”.

Poi ha ricordato il periodo (dal 1975 al 2002) che è stato quello dell’indipendenza, grazie alla fede: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.

Secondo il papa Timor-Leste “ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo ed oggi vive come un Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.

Inoltre per il papa non mancano sfide impegnative, che possono essere affrontate con un’azione corale, come il fenomeno migratorio e le povertà sociali: “Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base. E non sempre è un fenomeno esterno…

Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione”.

Inoltre papa Francesco ha auspicato che l’esempio di pacificazione di Timor Est sia esempio in altre situazioni di conflitto nel mondo, ed esorta “a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati”, ed è necessaria “una purificazione della memoria”, perché l’unità sempre supera il conflitto.

Tra le questioni di attualità, Papa Francesco cita l’emigrazione, ma anche “la difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base”, e “non sempre sono situazioni esterne”, e la povertà “presente in tante zone rurali”, laddove serve “una azione corale di ampio respiro” che coinvolga tutti per “offrire valide alternative all’emigrazione”.

E non poteva mancare un appello ai giovani in un Paese, in cui Il 65% della popolazione di Timor-Lester è al di sotto dei 30 anni di età e molte sono le criticità per questa fascia della popolazione: “Date degli ideali ai giovani per tirarli fuori da queste trappole! E anche un fenomeno di arruolamento in certe bande che, forti della conoscenza delle arti marziali, invece di usarle al servizio degli indifesi, ne approfittano per mostrare il potere effimero e dannoso della violenza. La violenza è sempre un problema nei villaggi. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire questo male sociale e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi”.

E’ stato un invito ad investire nell’educazione: “Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola. Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità. Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti. L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani.

E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza. Pensateci. Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo”.

Il discorso è stato anche un richiamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che è “un pilastro indispensabile su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini”.

Ha anche aggiunto che la dottrina sociale della Chiesa “costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini. La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità. E’ una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri”.

Il discorso alle autorità è stato un invito a ‘prendersi cura’ dello sviluppo del popolo: “Che cosa è che ha questo Paese? Il popolo! Prendetevi cura del vostro popolo. Il popolo è meraviglioso. Nelle poche ore in cui sono stato qui si vede come è il popolo. Si esprime con dignità e con gioia”.

Infatti tutto ciò è stato reso possibile grazie alla determinazione del popolo: “Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società solidale e fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.

(Foto: Santa Sede)

Da Bologna il card. Zuppi invita a non dimenticare le stragi

“La memoria legata a sofferenze ha sempre una conseguenza atroce, perché ricordare significa riaprire la ferita. Per questo è sempre importante la vicinanza del Signore, che fa sue le nostre ferite perché siamo sempre accompagnati dal suo amore che consola e guarisce. E’ importante riparare le ferite con la giustizia e il dialogo, perché diventino fonte di luce e sconfiggano il buio. La fede ci dona di vivere proprio questo: la croce diventa speranza, il buco dei chiodi si trasforma in segno di vita e di amore più forte del male e della morte”: con tali parole l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, ha ricordato le vittime della strage della Stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, a cui ha partecipato ha partecipato anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi:

“Viviamo in un momento in cui nel mondo sembra delinearsi una minaccia ai valori di libertà e democrazia alla base di pace e convivenza civile, scolpiti nella nostra carta costituzionale. La strage di Bologna ci ricorda che la pace e la sicurezza e la democrazia non sono conquiste scontate, ma valori che vanno difesi e promossi quotidianamente, per farlo dobbiamo essere uniti contro ogni forma di odio e intolleranza e ribadire con forza il nostro rifiuto al fascismo e totalitarismo”.

Al ricordo si è aggiunto anche il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha sottolineato il ‘dovere della memoria’: “I morti, le immagini della Stazione di Bologna devastata, l’attacco feroce alla convivenza degli italiani, hanno impresso un segno indelebile, il 2 agosto 1980 nell’identità della Repubblica e nella coscienza del popolo italiano. La memoria non è soltanto un dovere ma è l’espressione consapevole di quella cittadinanza espressa nei valori costituzionali che la violenza terroristica voleva colpire e abbattere”.

Nell’omelia il presidente della Cei ha sottolineato la necessità della ‘riparazione’ della memoria: “La memoria del 2 agosto ci aiuta a sentirci comunità e a non scappare, a non fare finta, a confrontarci con il male ma anche a scegliere di combatterlo. Ci mettiamo assieme di fronte alle terribili conseguenze volute da ignobili forze del male, conseguenza della trama di morte che, vigliaccamente, venne ideata e realizzata da calcoli di potere e di ideologia. Purtroppo, di questi colpevoli ne conosciamo solo una parte. Insieme ai familiari delle vittime, ai sopravvissuti (ma siamo tutti, come abbiamo detto, familiari e sopravvissuti) facciamo memoria e già questo ci fa vivere in maniera più consapevole e responsabile”.

Durante l’omelia il card. Zuppi ha chiesto di cercare giustizia: “Non dimentichiamo, perché vogliamo onorare i nostri morti e cercare la giustizia. La preghiera ci aiuta a non abituarci mai al male, a saperlo riconoscere, a cercare la giustizia che è indispensabile per curare la memoria e per proteggerci da questo”.

E’ stato un invito alla solidarietà: “Non smettiamo di scandalizzarci delle inaccettabili difficoltà a giungere a una giustizia piena. Questa non potrà certo restituire la vita dei nostri cari, ma ne onora il ricordo, permette la memoria, rende più consapevole la solidarietà. Passano gli anni e la memoria ci fa rivivere lo sgomento, l’orrore, il pianto, la rabbia, certo, ma anche tanta solidarietà instancabile e generosa.

E se gli autori fascisti della strage volevano terrorizzare per dividere e imporre il loro ordine, con complicità inquietanti e purtroppo ancora non chiarite, la reazione di allora e di oggi è quella che permette di affrontare il male: la solidarietà. E’ il senso di bene comune che non fa arrendere all’ingiustizia, alle forze occulte di poteri occulti, anticristiani perché contro la persona”.

Inoltre ha sottolineato che non bisogna confondere il bene con il male: “Ogni violenza, ogni guerra

è in realtà sempre un fratricidio. Ogni guerra è sempre una ‘strage’ inutile, che può colpire tutti, che non guarda in realtà in faccia nessuno. Il bene è liberare l’io dall’egoismo che annulla la fraternità, pensarsi in relazione all’altro per la quale, al contrario, quello che è mio è tuo e viceversa. Il bene è ricostruire la fraternità, tra le persone, così come tra i Paesi, tra le nazioni, perché questo ci rende più forti del divisore. L’avvertimento di Dio a Caino è sempre valido per tutti noi: verso di te è il suo istinto. Tu lo dominerai, che significa anche che puoi dominarlo”.

Nell’omelia il card. Zuppi ha ricordato anche le vittime della strage del rapido 904, avvenuta il 23 dicembre 1984: “Sono accolte da colui che si è fatto vittima perchè il sangue di Abele non fosse più sparso sulla terra. Oggi nella nostra celebrazione pregheremo per la fine di ogni violenza perchè le tante trame del male che diventano terrorismo e guerra possano essere sconfitte e i fratelli possano riconciliarsi tra loro.

Ricorderemo anche le tante stragi del nostro paese che sono e legate alle nostre persone perchè fanno parte della nostra storia personale. Ricorderemo a 50 anni e 40 anni di distanza le stragi dell’Italicus e del Rapido 904. Ci ricordano che quando tutta la città fa memoria allora c’è memoria, quando c’è solidarietà non si dimentica. E noi non vogliamo dimenticare quelle stragi, purtroppo un pò più dimenticate”.  

(Foto: Arcidiocesi di Bologna)

Il Presidente della Repubblica richiama la libertà di stampa

Nei giorni scorsi si è svolta al Quirinale la cerimonia di consegna del ‘Ventaglio’ da parte del presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Adalberto Signore, al presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, che ha rivolto un appello agli italiani e alla responsabilità di chiunque abbia ruoli nella politica e nelle istituzioni sul rispetto della libertà di opinione, di informazione, di critica: ‘Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news , è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica’.

Infatti il Presidente della Repubblica ha ribadito la massima vigilanza sul rispetto dei principi della Costituzione Italiana da parte dei cittadini, del governo e delle forze politiche per il diritto dei cittadini ad essere informati ed il diritto-dovere dei giornalisti ad informare seriamente contro il rischio delle fake news, come sottolinea l’articolo 21 della Carta costituzionale, ribadendo la necessità della libertà di informazione:

“Nella società dell’informazione globale è del tutto superfluo richiamare l’importanza che l’informazione riveste per il funzionamento della democrazia, per un’efficace tutela del sistema delle libertà. La democrazia, infatti è, anzitutto, conoscenza. E’ contesto nel quale avviene il confronto fra le idee e si esercita il diritto a manifestarle e testimoniarle. Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e di realtà. Si affianca, in democrazia, anche il diritto a essere informati, in maniera corretta. Informazione, cioè, come anticorpo contro le adulterazioni della realtà”.

Richiamando la legge ‘Gonella’, che nel 1963 istituì l’ordine dei giornalisti, ha richiamato alle responsabilità di ciascuno: “Operare contro le adulterazioni della realtà costituisce una responsabilità, e un dovere, affidati anzitutto ai giornalisti… Va sempre rammentato che i giornalisti si trovano a esercitare una funzione di carattere costituzionale che si collega all’art.21 della Carta fondamentale, con un ruolo democratico decisivo. Si vanno, negli ultimi tempi, infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Come anche a Torino, nei giorni scorsi. Documentazione di quel che avviene, senza obbligo di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati”.

Citando Tocqueville (‘democrazia è il potere di un popolo informato’) ha sottolineato che la limitazione dell’informazione è ‘atto eversivo’: “Ecco perché ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica. Garanzia di democrazia è, naturalmente, il pluralismo dell’informazione. A questo valore le istituzioni della Repubblica devono rivolgere la massima attenzione e sostegno”.

Per questo ha citato l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, del regolamento sulla libertà dei media, che entrerà in vigore il prossimo 8 novembre: “In sintesi: promozione del pluralismo e dell’indipendenza dei media in tutta l’Unione, con protezione dei giornalisti e delle loro fonti da ingerenze politiche; pubblicità sui fondi statali destinati a media o a piattaforme; garanzia del diritto dei cittadini alla gratuità e pubblicità delle informazioni; indipendenza editoriale dei media pubblici; protezione della libertà dei media dalle grandi piattaforme; istituzione di un nuovo Comitato europeo per i servizi di media per promuovere una applicazione coerente di queste norme. Come si vede, un cantiere e un percorso impegnativo per l’Unione e per gli Stati membri, coscienti del valore che questo tema riveste per la libertà del nostro continente”.

Riprendendo il tema sulla guerra in Ucraina il presidente Mattarella ha richiamato all’invasione della Cecoslovacchia da parte di Hitler: “Uno dei momenti, che fa più riflettere (anche oggi) sugli errori gravidi di conseguenze, si identifica con le parole che Neville Chamberlain, Primo Ministro britannico, pronunziò, a Londra, al ritorno dalla conferenza di Monaco nel 1938: ‘Sono tornato dalla Germania con la pace per il nostro tempo’.

Come tutti ricordiamo, Hitler pretendeva di annettere al Reich la parte della Cecoslovacchia che confinava con la Germania (i Sudeti) dove viveva anche una minoranza di lingua tedesca. La Cecoslovacchia, che aveva fortificato quel confine temendo aggressioni, ovviamente rifiutava.

Le cosiddette potenze europee del tempo (Gran Bretagna, Francia, Italia) anziché difendere il diritto internazionale e sostenere la Cecoslovacchia, a Monaco, senza neppure consultarla, diedero a Hitler via libera. La Germania nazista occupò i Sudeti.

Dopo neppure sei mesi occupò l’intera Cecoslovacchia. E, visto che il gioco non incontrava ostacoli, dopo altri sei mesi provò con la Polonia (previo accordo con Stalin). Ma, a quel punto, scoppiò la tragedia dei tanti anni della Seconda guerra mondiale. Che, verosimilmente, non sarebbe scoppiata senza quel cedimento per i Sudeti”.

Ritornando agli episodi attuali di violenza il presidente Mattarella ha richiamato gli attentati degli ultimi mesi ad alcuni politici: “E’ fondamentale e doveroso ribadire la condanna ferma ed intransigente nei confronti di questa drammatica deriva di violenza contro esponenti politici di schieramenti avversi trasformati in nemici. Occorre adoperarsi sul piano culturale contro la pretesa di elevare l’odio a ingrediente, a elemento legittimo della vita: una spinta a retrocedere nell’inciviltà”.

Contro tale violenza, manifestatasi anche con un aumento dell’intolleranza religiosa e razziale, il presidente Mattarella ha invitato a diffidare degli ‘apprendisti stregoni’, che alimentano paure: “Vi sono molte persone che vivono in uno stato di tensione di fronte ai grandi cambiamenti in corso sempre più velocemente. Come ben sappiamo, registriamo condizioni nuove: di vita quotidiana, di modelli sociali, di lavoro, di formule di lavoro, di strumenti di cui avvalersi, di prospettive…

Tutto questo genera, forse comprensibilmente, allarme in tanti, che si sentono disorientati, forse indifesi.  E che rischiano di cadere nella rete ingannevole di chi fa credere che la soluzione sia semplice: tornare a un’epoca dorata che non c’è più (se pur mai c’è stata). E che non ci sarà più. Perché la storia cammina, i cambiamenti non si possono fermare, il tempo non torna indietro”.

Ed ha concluso il discorso intervenendo sulla situazione delle carceri: “Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, Non va trasformato, in questo modo, in palestra criminale. Vi sono, in atto, alcune, proficue e importanti, attività di recupero attraverso il lavoro. Dimostrano che, in molti casi, è possibile un diverso modello carcerario. E’ un dovere perseguirlo.  Subito, ovunque”.

(Foto: Quirinale)

Da Trieste i cattolici rendono viva la democrazia

“Il tema della settimana è ‘Al cuore della democrazia’ e la riflessione che mi è stata affidata ha per titolo ‘Amare la democrazia nelle sfide del presente’. Un po’ come dire: ‘se vogliamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere la democrazia nel cuore’. Se siamo qui, la abbiamo”: con queste parole, dopo la giornata inaugurale, il prof. Michele Nicoletti, docente di filosofia della politica all’Università di Trento, ha introdotto i partecipanti al tema della Settimana sociale, in svolgimento a Trieste.

Nella riflessione il relatore ha richiamato ‘le principali sfide che il tempo presente lancia alla democrazia’: “Dallo stato di salute delle democrazie nel mondo emergono elementi di preoccupazione. Se dobbiamo paragonare il momento presente a quello della fine del secolo e del millennio scorso, è facile notare la differenza, soprattutto in termini di ‘aspettative’ nei confronti della democrazia.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il successo della democrazia come forma di governo pareva affermarsi in ogni continente… Oggi, il numero delle democrazie nel mondo tende a decrescere e anche là dove i regimi rimangono formalmente democratici la loro sostanza e la loro qualità democratica pare indebolirsi. E soprattutto diminuisce il favore di cui la democrazia sembrava godere. Insomma la democrazia pare in affanno, sfidata da più parti”.

Quindi ha spiegato il motivo per cui è necessario ‘amare’ la democrazia: “Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sarebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. E’ l’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di proprietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo se stesso, ma tutto l’essere”.

Quindi la democrazia non risponde solo all’efficienza della produzione: “Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’efficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la democrazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità”.

La democrazia è nata dalla filosofia greca, ma anche dalla libertà insita nel cristianesimo: “Quanto c’è qui dell’orgoglio greco della libertà? Ma quanto c’è qui della libertà cristiana! Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza possono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal ‘sì’ libero di Maria. Pensate politicamente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sì di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita (a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio) richiede il rispetto della libertà”.

Perciò occorre amare la democrazia in quanto riconosce la libertà a tutti: “Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa libertà a ogni essere umano e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono liberi ed uguali. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi”.

La democrazia è ‘frutto’ di una lotta durata secoli, sovvertendo le abitudini sociali: “Per secoli era considerato naturale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità dove ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. E’ il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. E’ il frutto di innumerevoli lotte e sacrifici. Va rifatta.

Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. E’ di nuovo l’amore a indicarci la strada”.

Però oggi il compito è quello di dare nuova linfa alla democrazia: “Se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria identità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo. La gente si sente insicura, dunque il nostro compito è proteggerla.

Nessuno nega la necessità di proteggere i più deboli dal prevalere della violenza e dello sfruttamento, ma la ricostruzione del soggetto democratico si basa su un movimento opposto, ossia il rafforzamento del proprio potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere… Qui, inutile dirlo, c’è un immenso lavoro educativo da svolgere”.

E la democrazia si difende non prevaricando i diritti delle persone, secondo il pensiero rosminiano: “Dentro questa gelosa custodia della dimensione di mistero di ogni persona, si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Questo rapporto tra diritto e persona è stato espresso da Rosmini in modo lapidario. La persona non ha diritti ma è il diritto umano sussistente. La nostra passione per i diritti non è una passione per i principi astratti ma per le persone in carne ed ossa. Per questo i diritti fondamentali sono unici e indivisibili. I diritti civili e i diritti sociali sono parte di un’unica realtà”.

Quindi occorre non soffocare le comunità locali: “La tradizione dei cattolici italiani è stata una grandissima tradizione di attenzione e impegno nelle comunità locali. Non sempre gli interventi recenti del legislatore hanno saputo valorizzare la ricchezza di questa dimensione, ma rimangono ancora straordinari spazi di partecipazione e impegno”.

E’ necessario, in fin dei conti, la struttura della democrazia: “Bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione di capi. E’ anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti”.

La democrazia deve poi accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che “proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse o anche di realtà naturali che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione”.

Ed ha rilanciato la proposta del card. Zuppi a dare ‘vita’ ad una ‘Camaldoli’ europea: “Dobbiamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla comprensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra tra gli Stati e che sono così influenti sulla nostra vita personale e collettiva. Le Chiese non possono sottrarsi a questa responsabilità. Sono tra le poche organizzazioni che hanno una storia secolare di lavoro internazionale. L’appello del card. Zuppi a una Camaldoli europea deve essere immediatamente raccolto. C’è bisogno di nuove generazioni di credenti europei innamorati della democrazia che imparino a lavorare assieme fin da giovani studenti”.

Insomma è necessario un ethos democratico: “Le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos democratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla coscienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori economici e dei rapporti di forza nella vita collettiva. E questo ethos della democrazia deve nutrirsi di determinazione non solo nella difesa delle proprie idee e dei propri valori, ma anche nella difesa appassionata della possibilità per tutti di battersi pacificamente per le proprie idee. Il bene comune è anche questa cornice di principi e di ordinamenti che consentono la libertà di tutti”.

Mentre la docente di filosofia teoretica all’università di Bari, prof.ssa Annalisa Caputo, ha evidenziato ciò che nel 2010 affermava il card. Bergoglio: “Non possono esistere invisibili in un tessuto democratico. Se ciò che desideriamo nelle istituzioni è la giustizia e se ciò che desideriamo nella democrazia è l’universalizzazione di questa giustizia, non possiamo non desiderare la partecipazione di tutti. Si tratta di quella che Bergoglio già nel 2010 chiamava una ‘democrazia ad alta intensità’. Ogni filo che manca è un buco nel tessuto ecclesiale e sociale”.

Ed ecco il motivo dell’importanza dell’enciclica ‘Fratelli tutti’: “Non saremo mai ‘Fratelli tutti’ fino a quando ogni Stato e ogni popolo che è abituato a riconoscersi in una sola storia non farà posto a più storie. Lo vediamo per Palestina e Israele che non riescono ad ascoltare vicendevolmente i propri racconti storici, ma vale anche per la nostra storia’… L’Italia è anche il racconto che gli altri fanno di noi, dai grandi del G7 ai ‘poveracci’ che vorrebbero venire sul nostro territorio o abitarlo umanamente”.

Quindi la democrazia deve ‘ripartire’ proprio dall’ascolto degli ‘ultimi’: “Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può non ripartire proprio da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni, ma l’effettiva possibilità di prendere parte alla costruzione della casa comune”.

Mentre nella riflessione biblica iniziale fratel Sabino Chialà, priore della Comunità di Bose, ha evidenziato che la democrazia ha il bisogno di un buon uso della parola: “Il primo scivolamento verso un’autorità abusante è il cattivo uso della parola. La vera autorità è terapeutica, opera per il bene dell’altro, aiuta l’altro a stare al mondo. Il primo fallimento dell’autorità è quello di chi si serve degli altri anziché servire, di chi opera per la morte invece che per la vita…

Un’autorità autentica ha bisogno della libertà da se stessi: solo gli uomini liberi da sé stessi e dal proprio narcisismo potranno essere davvero autorevoli. L’autentica autorità è oblativa: ogni abuso di autorità implica sempre la non libertà da se stessi”.

(Foto: Settimana Sociale)

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