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Mons. Toso: la democrazia è una ‘sfida’ per la Chiesa

Mercoledì 12 giugno, alla presenza del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, il vescovo di Faenza – Modigliana, mons. Mario Toso, ha presentato a Roma il libro ‘Chiesa e democrazia’; e mons. Toso ha sottolineato il valore della democrazia e la necessità dei partiti: “I partiti sono il tronco che collega le radici della società civile con i rami delle istituzioni, ma al momento non c’è nessuna linfa… La democrazia è una sfida per i cittadini a essere migliori nella vita quotidiana” e “una sfida dell’uomo a se stesso”.

E le Settimane Sociali dei Cattolici in Italia, che si svolgeranno a Trieste nella prima settimana di luglio con la partecipazione conclusiva di papa Francesco, serviranno a comprendere quale democrazia volere e pensare a riforme che favoriscano la partecipazione: “In un contesto di terza guerra mondiale, in cui viene a prospettarsi una nuova configurazione dell’Occidente europeo rispetto alle grandi potenze mondiali emergenti, sembra essere messa in crisi la ‘promessa’ fondamentale che la modernità aveva immesso nel genoma della democrazia: l’emancipazione della soggettività e la liberazione dalle catene del dominio eteronomo per essere realmente autonomi e, per questo stesso, più liberi”.

La democrazia è in crisi a causa di un ‘indebolimento’ delle sue funzioni: “Ma se alla fine del secolo scorso la democrazia sembrava poter affermarsi in tutto il mondo, all’inizio di questo secolo appare ovunque in crisi. La sua promessa di libertà per tutti i popoli viene indebolita sia sul piano del funzionamento delle istituzioni democratiche (istituzioni di governo ai diversi livelli, da quello locale a quello internazionale, parlamenti, partiti), sia sul piano del coinvolgimento popolare nei processi decisionali ed elettorali (si pensi all’astensionismo e alla disaffezione), sia sul piano della sua anima etico-culturale. Nonostante l’accrescimento della comunicazione, prevalgono la frammentazione sociale, l’individualismo utilitarista, che lasciano poco spazio per pensarne il futuro”.

Infine ha ribadito la necessità di studiare la Dottrina Sociale della Chiesa: “Con cittadini e rappresentanti intrappolati in forme populiste e illiberali di democrazia, diventa sempre più difficile realizzare la democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva. Contrariamente a quanto si pensa comunemente, non giova rispetto al suddetto ideale di democrazia il concetto di un’autorità politica intesa prevalentemente come potere, che è un concetto sociologico, ossia inteso come capacità di imporre e di farsi valere sui popoli.

Appare, invece, più adeguato il concetto di autorità proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa e inteso come capacità di comandare secondo ragione. Tale autorità mira a far crescere i cittadini secondo la loro dignità umana, in tutta la sua pienezza, nel contesto di una corresponsabilità posta al servizio del bene comune”.

Il card. Zuppi ha tratteggiato il rapporto tra Chiesa e democrazia: “La Chiesa italiana ha affrontato più volte il tema della democrazia nelle Settimane Sociali. Si pensi a quella del 1945, con l’Italia che cercava di voltare pagina dopo la Seconda guerra mondiale. I cattolici si sono ritrovati a Firenze riflettendo su ‘Costituzione e costituente’, dando forza alle idee che erano state condivise nel Codice di Camaldoli del luglio 1943. Nel 1964 a Pescara, in pieno Concilio Vaticano II, si è ragionato di ‘Persone e bene comune nello stato contemporaneo’. Nel 1993 a Torino si è discusso di ‘Identità nazionale, democrazia e bene comune’ e nel 2004 a Bologna si è trattato ancora di “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. Arriviamo quest’anno a Trieste, con la 50^ Settimana Sociale dei cattolici in Italia: ‘Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro’. La democrazia è il filo rosso che ha attraversato la storia del nostro Paese dopo l’esperienza del totalitarismo fascista”.

Al termine di un excursus storico il presidente della Cei ha affermato che la democrazia è in una ‘rotonda’: “Nel mondo la democrazia si presenta con molteplici volti. Ogni anno l’Economist pubblica i dati sullo stato della democrazia nel mondo. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in un sistema democratico (45,4%), ma solo il 7,8% vive in piena democrazia e più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%)…

Le democrazie imperfette sono caratterizzate da libere elezioni ma con una partecipazione sempre più scarsa e talora si segnalano problemi circa la libertà di informazione. L’Italia si colloca tra questi ed è al 31^ posto in classifica. Ci sono poi i regimi ibridi, dove puntualmente si verificano irregolarità nelle elezioni, libere solo di facciata. Sono nazioni con un’opposizione controllata, la magistratura non indipendente e la corruzione estesa. Infine, i regimi autoritari non conoscono libertà e pluralismo. Si tratta di dittature assolute con violazioni delle libertà civili, elezioni non libere e media assoggettati al regime”.

Il pregio del libro di mons. Toso è quello di chiamare i cattolici ad avere una visione: “I cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti e in tutti i partiti politici. Il vescovo di Faenza invita ad organizzarsi e a non dimenticare che per avere una chance di cambiare le cose occorre generare consenso e coinvolgere in un’idea che sia una visione. Altrimenti ci si condanna all’insignificanza. Con ogni probabilità, c’è da aspettarsi che a Trieste il tema tornerà e si potrà discutere apertamente della collocazione politica dei cattolici. La Chiesa viene prima dei partiti. Si avverte l’urgenza di disinnescare le bombe dovute alla priorità di indossare casacche di appartenenza per mettere al primo posto il comune legame con la comunità cristiana”.

(Foto: Diocesi di Faenza-Modigliana)

Presentato il rapporto sulle povertà nella diocesi di Perugia – Città della Pieve: ‘catene spezzate’

E’ stato presentato mercoledì 5 giugno a Perugia il IX Rapporto diocesano sulle povertà e sulle risorse dal provocante titolo: ‘Catene spezzate’, curato dall’Osservatorio Caritas diocesana con gli interventi dell’arcivescovo diocesano, mons. Ivan Maffeis, il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, l’economista prof. Pierluigi Maria Grasselli, coordinatore dell’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale, l’assistente sociale Silvia Bagnarelli e lo statistico Nicola Falocci, componenti dell’equipe dello stesso Osservatorio.

Presentando il rapporto mons. Maffeis ha scandito il suo intervento in tre tappe: “La prima tappa va dai problemi alle persone: il Rapporto, mentre fotografa e documenta i problemi, guarda alle persone di cui la nostra Caritas si prende cura. E’ il primo modo per affrontare seriamente una carità che sia riflesso della carità di Dio e qualifichi anche il nostro rapporto con chi vive situazioni di povertà.

La seconda tappa va dalla società alle Istituzioni: i poveri non possono essere delegati ad addetti ai lavori. L’opera di ‘rete’ della nostra Caritas va nella direzione di una corresponsabilità e di una collaborazione che hanno a cuore il bene comune, il bene della città.

La terza è dalla denuncia delle ‘catene’ alla proposta di ‘liberazione’. Il Rapporto racconta di una comunità che sa rimboccarsi le maniche, che ci mette cuore, passione, intelligenza, perché la carità sia intelligente e sappia aprire piste percorribili”.

Il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, ha spiegato la scelta del titolo del IX rapporto: “Vedete in copertina questi piedi incatenati e le ‘Catene spezzate’ rappresentano il lavoro compiuto, la missione svolta con molto impegno dove tante famiglie sono tornate libere di poter camminare, sciolte da quelle catene che papa Francesco ci ricorda parlando della povertà… Essere nella condizione di povertà è una privazione di possibilità, è una privazione della libertà. Non avere la libertà di poter scegliere nel quotidiano e per il proprio futuro. La povertà è in aumento nella nostra diocesi con un dato importante, che ci dice che tante ‘catene’ sono state spezzate, ma che tante nuove ‘catene’ sono arrivate perché il 40% delle famiglie in difficoltà sono nuovi poveri nel rivolgersi per la prima volta alla Caritas nel loro cammino di vita”.

Infine il prof. Pierluigi Maria Grasselli ha presentato i punti salienti del rapporto diocesano: “Con riferimento alle attività del Centro di Ascolto della diocesi di Perugia-Città della Pieve, nel 2023, possono cogliersi aspetti dinamici e modificazioni qualitative nel complesso dei richiedenti aiuto. Prosegue nel 2023 l’aumento (+9,2%) del numero totale (1805) di questi presso tale Centro, anche se con una riduzione del tasso di crescita della povertà (nel 2022 segnava +12,7%). La quota degli italiani sale al 25,3% (con un aumento rispetto al 2022) e quella degli stranieri scende al 71,5%. Le persone con doppia cittadinanza il 3,2%. Prosegue la netta prevalenza degli stranieri (provenienti da Perù, Marocco, Ucraina, Nigeria ed altri Paesi)”.

Una particolare attenzione è stata posta sugli ‘utenti’: “Per classi di età, tra gli stranieri il peso dei giovani fino ai 34 anni è doppio di quello tra gli italiani, mentre quello degli anziani (65 ed oltre) è tra gli italiani quasi quattro volte quello degli stranieri. Tra i nuovi utenti si osserva un’incidenza molto maggiore delle classi più giovani, il che può indicare la loro sofferenza per le difficoltà della situazione attuale…

In termini di nucleo di convivenza, si evince, in continuità con il 2022, un cospicuo ulteriore aumento dell’incidenza di quelli che vivono soli, e una altrettanto forte diminuzione di quelli che vivono in un nucleo familiare. Tra i nuovi utenti, il marcato aumento della quota dei ‘soli’ risente dell’alto livello tra gli italiani (molto rilevanti i livelli assoluti: gli italiani passano da 123 a 181, gli stranieri da 200 a 292)”.

Per questo il numero complessivo degli interventi erogati tramite il Centro di ascolto diocesano nel 2023 è arrivato ad 85.049, con un aumento dell’11,6% rispetto al 2022, ed addirittura del 66,5% rispetto al 2020: “Al primo posto come quota di interventi sul totale di questi troviamo l’offerta di beni e servizi materiali, costituiti principalmente dai servizi di mensa, dall’attività degli Empori/market solidali, dalla distribuzione di pacchi viveri. Seguono i servizi di alloggio e quindi i servizi di ascolto, per lo più accompagnato da discernimento e progetto, nonché finalizzato ad attività di monitoraggio”.

Inoltre il rapporto ha evidenziato che le remunerazioni di stipendio in Umbria sono più basse rispetto a quelle di altre regioni italiane: “Per i suoi riflessi anche sulla povertà, risulta rilevante anche la presenza in Umbria, segnalata dall’AUR, di remunerazioni del lavoro dipendente più basse che in Italia; ciò a motivo, tra l’altro, di una minore presenza di figure ad alto profilo di qualificazione.

Le donne umbre, in particolare, guadagnano meno sia degli uomini umbri che delle donne italiane, anche per la diffusione del part-time, che riguarda la metà di esse. In ogni caso, le retribuzioni riflettono l’organizzazione del lavoro e la gestione delle risorse umane, e quindi la produttività media del lavoro, non elevata, delle imprese locali”.

(Foto: diocesi di Perugia – Città della Pieve)

Manifestazioni per non dimenticare piazza Tiananmen

Il 4 giugno dal 1989, al culmine delle proteste che coinvolsero molti giovani ed intellettuali della società cinese, l’esercito della Repubblica Popolare Cinese aprì il fuoco contro i dimostranti in piazza Tiananmen, a Pechino, causando un numero incerto di morti calcolato dalle centinaia alle migliaia. In occasione di questa 35^ ricorrenza il giornale ‘Chistian Times’ pubblica una pagina bianca, come ha riportato il sito ‘Asia News’, motivando la scelta, in quanto la ‘situazione attuale’ si può raccontare solo ‘trasformando i paragrafi in linee vuote e spazi bianchi’ in una società sempre più ‘restrittiva’.

Per tale anniversario il sito di Asia News ha riportato l’appello di ‘Chinese Human Rights Defenders’ per la liberazione di 14 protagonisti del 1989 ancora in galera: “Per 35 anni, tutti i massimi dirigenti cinesi, da Li Peng a Xi Jinping, si sono preoccupati di cancellare i ricordi del 4 giugno perseguitando coloro che pacificamente chiedono di assumersene la responsabilità. Tutti coloro che hanno a cuore la giustizia dovrebbero chiedere pubblicamente alle autorità cinesi di rilasciare immediatamente e senza condizioni questi e tutti gli altri prigionieri di coscienza in Cina”.

Inoltre Asia News ha tradotto una riflessione del vescovo di Hong Kong, card. Stephen Chow Sau-yan, sull’anniversario pubblicata sul sito del settimanale diocesano ‘Sunday Examiner’, in cui auspica un ‘perdono’, che non significa dimenticare, ma che possa permettere alla Cina di voltare pagina:

“Quanto è successo 35 anni fa ha lasciato una ferita profonda in alcune parti della nostra psiche, anche se è stata seppellita e cicatrizzata. Tuttavia, rimane un punto dolente che richiede un’attenzione adeguata per la guarigione. E io sto pregando affinché questa guarigione avvenga. Detto questo, capisco che non dobbiamo fermarci, ma andare avanti.  Una vita sana non dovrebbe rimanere bloccata in uno spazio buio di dolore e risentimento senza fine.

Questo non significa, però, che io possa dimenticare ciò che ho visto e sentito così profondamente quella notte e nelle settimane successive. Anche se i miei ricordi non sono più vividi, il mio cuore ha sentimenti che rimangono vivi, soprattutto in questo periodo dell’anno”.

Ed ha sottolineato che Dio è misericordioso: “Il suo perdono è sempre disponibile per quanti ne hanno bisogno ma non hanno ancora il coraggio di chiederlo. L’amore incondizionato di Dio per noi si esprime in modo travolgente attraverso la Passione e la morte del suo unico Figlio, anche quando viviamo in uno stato di peccato che non confessiamo.

Fortunatamente, è attraverso questo atto d’amore auto-sacrificale che siamo consapevoli del nostro bisogno di perdono di Dio. E con la risurrezione del Figlio, possiamo godere di un nuovo inizio. Proprio perché il perdono di Dio non richiede il nostro pentimento, possiamo anche imparare a perdonare in modo proattivo. Perdonare non significa dimenticare, ma offre una condizione preliminare per la nostra libertà interiore e un futuro più luminoso per tutti”.

La riflessione è stata conclusa con una preghiera: “Oh, Signore della storia, nelle preghiera ho camminato con le vittime e le loro famiglie negli ultimi 35 anni; non ho mancato di accompagnarle con momenti di riflessione e una tristezza altalenante che a volte sembra infinita. Allo stesso tempo, però, mantengo la mia speranza nel Signore risorto che è passato attraverso questa stessa morte. Ora, mi presento davanti a te in preghiera. Con fede e speranza, Signore, ti affido lo sviluppo democratico del Paese.

Tu che sei sempre giusto e saggio. Fammi indossare il tuo giogo e imparare da te. Che io possa intravedere, attraverso la tua bontà e umiltà, il desiderio eterno della vita. Avanzando nell’amore, sostenendoci a vicenda nell’affrontare le nostre contraddizioni, godiamo della bellezza della comunione trinitaria. Oh Signore, guidaci! Cammina con noi, popolo della Cina!”.

Papa Francesco: lo Spirito Santo non si può imprigionare

“Stiamo percorrendo questo mese dedicato al Sacro Cuore. Il 27 dicembre dello scorso anno ricorreva il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque. In quell’occasione si è aperto un periodo di celebrazioni che si concluderà il 27 giugno del prossimo anno. Per questo sono lieto di preparare il documento che raccolga le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale.

Credo che ci farà molto bene meditare su vari aspetti dell’amore del Signore che possano illuminare il cammino del rinnovamento ecclesiale; ma anche che dicano qualcosa di significativo a un mondo che sembra aver perso il cuore. Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera, in questo tempo di preparazione, con l’intenzione di rendere pubblico questo documento il prossimo settembre”.

Al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha annunciato che a settembre pubblicherà un documento sulla bellezza del Sacro Cuore con l’invito a meditare su tale ‘bellezza spirituale’ ed ha salutato i fedeli tedeschi per la festa di san Bonifacio: “Cari fratelli e sorelle, oggi la Chiesa celebra la festa di San Bonifacio, l’apostolo della Germania. Grati per la lunga e feconda storia di fede nelle vostre terre, invochiamo lo Spirito Santo affinché mantenga sempre viva in voi la fede, la speranza e la carità”.

Sempre al termine dell’udienza ai fedeli polacchi ha ricordato il primo viaggio apostolico di san Giovanni Paolo II in Polonia: “In questi giorni state commemorando l’anniversario del primo Viaggio Apostolico di San Giovanni Paolo II in Patria e la sua preghiera allo Spirito Santo di scendere e rinnovare la faccia della terra, della vostra terra – ed essa è stata rinnovata. Avete riacquistato la libertà. Non dimenticate, però, che la libertà che viene dallo Spirito non è un ‘pretesto per la carne’, come dice san Paolo, ma è un impegno a crescere nella verità rivelata da Cristo ed a difenderla dinanzi al mondo. Vi benedico di cuore”.

Mentre nell’udienza generale papa Francesco, continuando il ciclo di catechesi su ‘Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza’, ha incentrato la sua riflessione sul tema ‘Il vento soffia dove vuole. Dove c’è lo Spirito di Dio c’è libertà’: “La prima cosa che noi conosciamo di una persona è il nome. E’ con esso che la chiamiamo, che la distinguiamo e la ricordiamo. Anche la terza persona della Trinità ha un nome: si chiama Spirito Santo”.

Ha sottolineato l’importanza del nome nella Bibbia: “Nella Bibbia il nome è tanto importante da identificarsi quasi con la persona stessa. Santificare il nome di Dio, è santificare e onorare Dio stesso. Non è mai un appellativo meramente convenzionale: dice sempre qualcosa della persona, della sua origine, della sua missione. Così è anche del nome Ruach. Esso contiene la prima fondamentale rivelazione sulla persona e la funzione dello Spirito Santo”.

Lo Spirito Santo si identifica come vento: “Fu proprio osservando il vento e le sue manifestazioni, che gli scrittori biblici furono guidati da Dio a scoprire un ‘vento’ di natura diversa. Non a caso a Pentecoste lo Spirito Santo discese sugli Apostoli accompagnato dal ‘fragore di un vento impetuoso’. Era come se lo Spirito Santo volesse mettere la sua firma a quello che stava accadendo”.

Però oltre alla potenza il papa ha messo in evidenza la libertà del vento, come ha detto Gesù a Nicodemo: “Anche in questo caso, però, per scoprire il senso pieno delle realtà della Bibbia, bisogna non fermarsi all’Antico Testamento, ma arrivare a Gesù. Accanto alla potenza, Gesù metterà in luce un’altra caratteristica del vento, quella della sua libertà…

Il vento è l’unica cosa che non si può assolutamente imbrigliare, non si può ‘imbottigliare’ o inscatolare. Cerchiamo di ‘imbottigliare’ o inscatolare il vento: non è possibile, è libero. Pretendere di rinchiudere lo Spirito Santo in concetti, definizioni, tesi o trattati, come ha tentato di fare a volte il razionalismo moderno, significa perderlo, vanificarlo, ridurlo allo spirito puramente umano, uno spirito semplice”.

Il papa ha citato san Paolo per affermare la libertà dello Spirito Santo: “Una persona libera, un cristiano libero, è quello che ha lo Spirito del Signore. Questa è una libertà tutta speciale, assai diversa da ciò che comunemente si intende. Non è libertà di fare quello che si vuole, ma libertà di fare liberamente quello che Dio vuole! Non libertà di fare il bene o il male, ma libertà di fare il bene e farlo liberamente, cioè per attrazione, non per costrizione. In altre parole, libertà dei figli, non degli schiavi”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: l’Eucarestia è dono di Dio

“Prese il pane e recitò la benedizione (Mc 14,22). E’ il gesto con cui si apre il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Vangelo di san Marco. E noi potremmo partire da questo gesto di Gesù (benedire il pane) per riflettere sulle tre dimensioni del Mistero che stiamo celebrando: il ringraziamento, la memoria e la presenza”; dopo 7 anni, papa Francesco nel pomeriggio ha celebrato in san Giovanni in Laterano la solennità del Corpus Domini con la processione fino a Santa Maria Maggiore: partirà dopo la celebrazione e sarà terminata dalla benedizione solenne del Papa impartita con il Santissimo Sacramento, sottolineando tre le dimensioni del sacramento dell’Eucarestia, ringraziamento, memoria e presenza.

Ringraziamento, in quanto è la parola stessa che invita a rendere grazie: “La parola ‘Eucaristia’ vuole proprio dire ‘grazie’: ‘ringraziare’ Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante. E’ l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto. L’Eucaristia, allora, ci insegna a benedire, ad accogliere e baciare, sempre, in rendimento di grazie, i doni di Dio, e questo non solo nella celebrazione: anche nella vita”.

Il ringraziamento a Dio avviene attraverso concrete azioni: “Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore: perché tutto è dono e nulla può andare perduto, perchè nessuno può rimanere a terra, e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e di riprendere il cammino. E noi possiamo fare questo anche nella vita quotidiana, svolgendo il nostro lavoro con amore, con precisione, con cura, con precisione, come un dono e una missione. E sempre aiutare chi è caduto: una volta soltanto nella vita si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a risollevarsi. E questa è la nostra missione”.

Dopo il ringraziamento segue la benedizione del pane, che è memoria di un avvenimento: “Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio dell’esodo verso la terra promessa. Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte. Fare memoria della nostra vita, fare memoria dei nostri successi, fare memoria dei nostri sbagli, fare memoria di quella mano tesa del Signore che sempre ci aiuta a sollevarci, fare memoria della presenza del Signore nella nostra vita”.

In questa memoria si gioca la libertà di ciascuna persona: “C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e magari con prepotenza, fa tutto quello che vuole a dispetto degli altri. Questa non è libertà: questa è una schiavitù nascosta, una schiavitù che ci rende più schiavi ancora.

La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula per sé, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire loro il proprio servizio, la propria vita, come salvati”.

In questo modo l’Eucarestia diventa presenza ‘reale’: “E con questo ci parla di un Dio che non è lontano, che non è geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; che non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani. E questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama…

Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza! È urgente riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge”.

E la processione è un gesto di vicinanza a tutti: “E’ questo anche il significato del gesto che faremo tra poco, con la Processione Eucaristica: partendo dall’Altare, porteremo tra le case della nostra città il Signore. Non lo facciamo per metterci in mostra, e neanche per ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato. Facciamo la processione con questo spirito”.

Mentre dopo la recita dell’Angelus di questa mattina papa Francesco ha sottolineato la dimensione del dono eucaristico: “Comprendiamo allora che celebrare l’Eucaristia e cibarci di questo Pane, come facciamo specialmente alla domenica, non è un atto di culto staccato dalla vita o un semplice momento di consolazione personale; sempre dobbiamo ricordarci che Gesù, prendendo il pane, lo spezzò e lo diede loro, perciò, la comunione con Lui ci rende capaci di diventare anche noi pane spezzato per gli altri, capaci di condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo”.

E’ stato un invito a diventare ‘eucaristici’: “Ecco, fratelli e sorelle, a cosa siamo chiamati: a diventare ciò che mangiamo, a diventare ‘eucaristici’, cioè persone che non vivono più per sé stesse, nella logica del possesso e del consumo, ma che sanno fare della propria vita un dono per gli altri. Così, grazie all’Eucaristia, diventiamo profeti e costruttori di un mondo nuovo: quando superiamo l’egoismo e ci apriamo all’amore, quando coltiviamo legami di fraternità, quando partecipiamo alle sofferenze dei fratelli e condividiamo il pane e le risorse con chi è nel bisogno, quando mettiamo a disposizione di tutti i nostri talenti, allora stiamo spezzando il pane della nostra vita come Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

Libertà di credere o di non credere

Credere in Dio significa fidarsi completamente di Lui, riconoscere la Sua esistenza e vivere e agire secondo i Suoi insegnamenti e comandamenti. La fede che non si trasforma in vita vissuta è una fede morta (Giacomo 1, 26). “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo” (1Gv 4,19 – 5,4)

La fede, secondo il credo cristiano, è una chiamata alla libertà responsabile, poiché Dio può ritenerci responsabili solo in base alle nostre libere scelte. Chi è costretto a fare qualcosa non può essere punito per ciò che ha fatto inconsciamente o senza libertà. San Paolo afferma: “Fratelli, voi siete stati chiamati alla libertà” (Galati 5:13), e anche “Cristo ci ha liberati affinché godiamo di questa libertà e permaniamo in essa e non siamo più legati dal giogo della schiavitù” (Galati 5:1).

La fede di solito attraversa le tre fasi della crescita umana. La fase dell’infanzia spirituale, in cui si crede ciecamente a tutto senza discussioni, domande o dubbi. La fase dell’adolescenza spirituale, dove si rifiuta e ci si lamenta di tutto, facendo il contrario di tutto ciò che viene chiesto e si rifiuta ogni autorità superiore. La terza fase della maturità spirituale, quando si ama Dio, non per paura dell’inferno o per volere il paradiso, ma per un amare gratuito, per la convinzione che Dio è ciò che dà senso alla vita e che la luce della fede è l’unica in grado di illuminare le tenebre della vita, dare senso alle assurdità della malattia, della vita, della morte, del male e dell’esistenza.

La vera fede si traduce in una vita vissuta e in un modo di rapportarsi con sé stessi, con Dio, con gli altri, con la natura e con le altre creature. La fede non nega le difficoltà e non risolve i problemi della vita, ma ce li fa vedere e vivere in modo diverso e con la certezza che non siamo soli e che siamo frutto dell’amore di Dio. Siamo usciti dal Suo cuore e siamo immersi e viviamo e ci muoviamo nel Suo amore.

Una delle condizioni necessarie per un autentico atto di fede è che sia libero, volontario e incondizionato. Qualsiasi tipo di costrizione, coercizione o imposizione è incompatibile con la natura della fede. Cito qui un’espressione di sant’Agostino che dice: “Dio che ci ha creato senza di noi non vuole salvarci senza di noi”. E prosegue: “Questo suo modo di venire a salvarci è la via sulla quale pure invita noi a seguirlo, per continuare insieme a Lui a tessere l’umanità nuova, libera, riconciliata”.

 Dio, che ci ha creato perché ci ama, non può costringerci a contraccambiare il Suo amore o a obbedirgli o a sottometterci alla Sua santa volontà. L’amante non può costringere la persona che ama ad amarlo, altrimenti dichiarerebbe, con lo stesso atto, la falsità del suo amore.

Ciò ovviamente significa anche la libertà di rifiutare la fede e persino di negare l’esistenza di Dio. La fede si basa sul riconoscimento dell’esistenza di Dio, la cui esistenza non può essere né dimostrata né negata con prove materiali, e quindi l’uomo è libero di accettare liberamente l’esistenza di Dio o di rifiutarla, dubitare, obiettare o rimanere nella ricerca.

La vita ci insegna che i genitori possono avere diversi figli e dare a tutti le cure, le attenzioni, le possibilità e l’amore necessario. Tuttavia, uno di loro può diventare uno scienziato, l’altro un criminale, un terzo vivere una vita normale e questo nonostante il fatto che tutti i tre provengono dallo stesso padre e dalla stessa madre, hanno vissuto nelle stesse circostanze e nello stesso ambiente. La stessa cosa possiamo applicarla, nonostante i limiti dell’esempio, agli esseri umani che non possono essere tutti d’accordo su tutte le cose tangibili e, quindi come possono essere d’accordo su questioni immateriali e invisibili?

I non credenti, infatti, rendono alla fede e ai credenti un servizio meraviglioso perché li spingono a pensare, a contemplare, ad approfondire, a discutere e a studiare, raggiungendo così una fede matura, convinta, fiduciosa e ferma. Se non fosse stato per i terremoti, gli esseri umani non avrebbero imparato a costruire edifici antisismici e, se non vi fossero le domande e i dubbi, il credente non raggiungerebbe mai la vera fede. Dio ci ha creato come creature pensanti e autocoscienti che crescono e imparano attraverso l’esperienza, il fallimento, il successo, il dubbio e le domande.

Attaccare chi non crede con il pretesto di preservare la fede è in realtà una prova di debolezza e un atto che contraddice la stessa fede in Dio, che ci ha creato diversi e ci ha dato la ragione e la comprensione affinché possiamo raggiungerLo, amarLo e adorarLo con convinzione e fiducia.

Di fronte alle obiezioni dei non credenti occorre dare risposte, dialogare e ricercare con la convinzione che onestamente nessuno può provare o negare l’esistenza di Dio con prove materiali, così come non possiamo provare o negare l’esistenza dell’amore, dell’amicizia, della gratitudine, dell’odio o della gelosia come concetti astratti. Crediamo tutti nella loro esistenza perché ne vediamo l’eco e l’influenza nelle nostre vite e li abbiamo sperimentati nonostante la nostra incapacità di toccarli o dimostrarli fisicamente.

La fede in un Dio Creatore amorevole è un atto di libertà che include la possibilità di negare la Sua esistenza. Un vero credente è come un vero amico o un vero innamorato che deve dimostrare il suo amore e la sua amicizia attraverso atti e azioni concreti che facciano dubitare della loro posizione chiunque dubiti dell’esistenza dell’amore e dell’amicizia. Il vero acredente è colui che cerca la verità, non colui che la nega o si burla di chi ci crede o la difende.

La linea di demarcazione è la sincerità nella ricerca e il non insultare gli altri o cadere nell’abisso degli insulti, della violenza, della diffamazione, del disprezzo o dello sminuimento. La violenza verbale e fisica è una prova di debolezza dell’argomentazione, perché quanto più alta è la voce di chi ha un’idea, tanto più ciò indica la debolezza della sua idea o della sua incapacità di spiegarla.

Un non credente che alla ricerca della verità è migliore agli occhi di Dio di un credente ipocrita, violento o incoerente.

Il credente è un testimone che attraverso la sua vita e le sue azioni divulga la sua fede ed è migliore agli occhi di Dio un non credente sincero che un credente falso: “Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 14-20).

La cosa più inquietante è vedere credenti e chierici che cercano di difendere Dio con una violenza che riflette la loro ignoranza e sfregia il volto di Dio. Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno, ma è Lui che ci difende. Egli non ha bisogno che qualcuno uccida nel Suo nome perché Egli rigetta i violenti. Papa Francesco afferma: “Dio non vuole essere amato come si ama un condottiero”. Dio rifiuta chi usa la fede per terrorizzare e impaurire le persone invece di usarla per diffondere pace e bontà tra loro. Quindi non parlarmi di Dio, ma fammi piuttosto vedere Dio nella tua vita: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 16).

Si può tranquillamente negare Dio, l’importante è farlo con libertà e non fondare la negazione su posizioni o azioni errate di chi si presenta come credente, o su letture superficiali di alcuni non credenti oppure per seguire la moda. Si può anche credere in Dio però, trasformando questa fede in una vita autentica e coerente e testimoniando questa fede prima con la vita e laddove fosse necessario anche con le parole.

YouTopic Fest: 4.000 studenti in marcia per la pace a Rondine

Inaugurata l’Arena di Janine, realizzata raccogliendo la testimonianza di Liliana Segre, della sua permanenza ad Auschwitz e il messaggio contro l’indifferenza che ha affidato ai giovani di tutto il mondo. Il figlio Alberto Belli Paci raccoglie il suo “testimone” per portare avanti la sua testimonianza insieme a Rondine. Claudio Bisio, PIF, Michele Serra, Pera Toons, Daniele Mencarelli e Gherardo Colombo alcuni dei protagonisti di questa edizione   

Arezzo, 30 maggio 2024 – La Marcia per la Pace di circa 4.000 giovani ha aperto oggi l’ottava edizione di YouTopic Fest. Il Festival Internazionale sul Conflitto promosso da Rondine Cittadella della Pace, che, giunto alla sua ottava edizione, si svolge nel borgo alle porte di Arezzo fino a sabato 1° giugno riflettendo sul tema “Scommettere sulla fiducia, averla, riceverla, perderla, ritrovarla” (qui il programma: https://youtopicfest.rondine.org/). Liliana Segre, Claudio Bisio e PIF, Michele Serra, Pera Toons, Daniele Mencarelli e Gherardo Colombo sono solo alcuni dei protagonisti che animano questa edizione di YouTopic Fest.

“Inaugurare Youtopic Fest con la marcia della pace da Arezzo a Rondine è stato come immergersi in un bagno di giovani, adulti, istituzioni, professori, presidi, persone di tutti i tipi – dice Franco Vaccari, presidente di Rondine Cittadella della Pace -. Rondine vuole essere la casa di tutti coloro che hanno fatto un passo decisivo verso quella che chiamiamo la cultura della pace. I giovani di Rondine tutti i giorni spengono l’odio e rigenerano amicizie impossibili. Coppie di giovani coraggiosi hanno ricevuto l’abbraccio di queste 4.000 persone e sedendosi sull’Arena di Janine, è come se quel prato all’improvviso avesse messo 4.000 fiori, i giovani che si impegnano come Liliana a non prendere la pistola, a non rilanciare l’odio, ma promuovere ostinatamente dialogo”.

La Marcia, promossa dalla Cittadella della Pace in collaborazione con la Consulta Provinciale degli studenti, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e il Parlamento regionale degli studenti, partita da Arezzo, è giunta al borgo di Rondine (10 km circa) con la partecipazione di studenti da tutta la Toscana, che già da anni partecipano e scelgono di fare concretamente il loro passo possibile verso la pace.

La Marcia per la Pace si è svolta in contemporanea anche a Palermo dove il Liceo Danilo Dolci sta festeggiando il centenario della nascita di Danilo Dolci, il cosiddetto ‘Gandhi d’Italia’, testimone di pace e di speranza. Un ponte virtuale tra i 4.000 giovani toscani e 1.500 ragazzi siciliani che dalla loro scuola hanno camminato insieme fino a una struttura requisita alla mafia, per arrivare alla Croce di don Pino Puglisi, testimoniata dalla presenza sul palco di Rondine della vice preside, Linda Caccamo.  

“Non c’è bisogno di essere eroi, basta ritrovare il coraggio di fare le scelte”: la frase di don Tonino Bello campeggia in cima al serpentone dei marciatori. La Marcia della Pace scatta poco prima delle 10 e colora per centinaia di metri la strada Setteponti. “La politica deve fare la sua parte per aprire sentieri di pace e i sindaci sono le sentinelle più informate del territorio” spiega il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli, in marcia con gli altri. Poco distante il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, mons. Andrea Migliavacca, alla marcia si unisce anche l’europarlamentare Renata Polverini: “E’ un momento delicato per il mondo, è doveroso essere presenti a momenti di pace”.

“Firenze ha un legame profondo con Rondine, rafforzato dalla recente manifestazione a Palazzo Vecchio. Rondine un’utopia? Tutte le grandi idee all’inizio lo sono state, allora viva l’utopia”, dice il sindaco di Firenze Dario Nardella. Una volta conclusa la marcia, Gala Ivkovic, responsabile dell’innovazione sociale in Italia per Rondine, rilancia la raccolta fondi per poter aprire l’esperienza della Cittadella ad altri studenti provenienti da paesi in guerra. Alcuni di quegli studenti parlano al termine della marcia, unendosi alle parole di Liliana Segre: “Adesso sono pronta a raccontare alla mia famiglia e ai miei amici l’esperienza di Rondine”.

Alexandra ha 24 anni e arriva dalla Russia. “Rondine ci dà la forza di fare il nostro piccolo passo possibile: esserci l’uno per l’altra”. O per l’altra: come Valeriia che arriva dall’Ucraina. “Sono qui da due anni. Sono stati difficili perché ogni giorno, durante questi anni, persone sono morte in guerra nei nostri paesi e il mondo sembrava impazzire”. La cronaca e la ferita di quegli anni rivive nell’Arena di Janine, appena inaugurata dal presidente di Rondine Franco Vaccari e da Alberto Belli Paci. Tra gli applausi per gli alpini, che hanno messo a disposizione diecimila ore del loro lavoro per quell’area verde che accoglie i marciatori. E sulla quale Liliana Segre si affaccia dalla sua casa di Milano, nel cuore della sua Rondine magica. “Mi sento realizzata dal fatto che lì ci sia l’Arena di Janine”.

Emozionato all’apertura dell’arena di Janine il figlio di Liliana Segre, Alberto Belli Paci: “Rondine è un luogo magico per me, tutto il mondo intorno a noi è diverso da Rondine”. Liliana Segre stavolta non è nella cittadella della pace: ma manda un videomessaggio e apre la sua casa da Milano alle migliaia di giovani accorsi nel borgo a piedi, con la Marcia della Pace. “Soltanto a Rondine poteva esserci un luogo che si chiama Arena di Janine”. Rievoca di nuovo quella ragazza, la sua amica conosciuta ad Auschwitz, mandata alle camere a gas solo perché si era ferita lavorando. Rievoca il suo rimorso. “Non ebbi il coraggio di salutarla, di dirle una parola buona, di dirle ciao”.

Ora accomuna quel saluto ritrovato a quello che riserva ai giovani che la ascoltano con gli occhi incollati al maxi-schermo. Io vi ringrazio, carissimi ragazzi, che avete scelto a Rondine di portare avanti la vostra libertà, non parlando mai né di odio né di indifferenza”. Dall’Arena si alza un applauso, che continua quando il figlio di Liliana, Alberto Belli Paci, prende la parola per raccogliere il testimone della mamma:

“La sfida è trasformare un dolore spaventoso, e chi è figlio della Segre lo ha respirato con il Dna, in energia positiva. E trovo che Rondine sia un laboratorio speciale di dialogo e di confronto continui. A Rondine l’altro non è più un nemico davanti al quale stare in allerta, ma può diventare una persona, un amico, un qualcuno con il quale poter parlare. Rondine trasmette il dialogo, la comunicazione, il disarmarsi”.

L’Arena di Janine è stata resa possibile grazie al sostegno economico di Regione Toscana, Provincia Autonoma di Trento e Trentino Marketing con menzione d’onore ad Andrea Carbonari della forestale trentina e Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. All’arrivo anche il Governatore Eugenio Giani: “E’ un’esperienza unica al mondo, è per questo la Regione ha varato una delibera che la nomina agenzia formativa sull’educazione alla pace’.

“Come sapete – ha detto Giulia Zanotelli, assessore del Trentino all’agricoltura, promozione dei prodotti trentini, ambiente, difesa idrogeologica e enti locali – a causa della tempesta Vaia, i nostri boschi hanno subito una grande ferita che stiamo cercando di rimarginare grazie a tutto il sistema trentino. Un ringraziamento per questo progetto va anche all’Associazione nazionale alpini, con il coordinamento del Consigliere nazionale Maurizio Pinamonti, che ha deciso di donare oltre 10.000 ore di lavoro volontario, a Carbonari di APROFOD e a tutta la sua struttura per aver seguito ogni dettaglio così come il servizio foreste, a Trentino Marketing per il supporto e a tutti quelli che hanno contribuito alla sua realizzazione con passione. Come saprete, inoltre, alcuni istituti superiori del Trentino hanno aderito al Metodo Rondine nei propri programmi educativi. E’ quindi un onore per la nostra Provincia e per tanti trentini coinvolti aver partecipato a questa iniziativa; un pezzo di cuore del Trentino batte anche da voi”.

Andrea Sassi, della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze: “Siamo molto orgogliosi di aver contribuito a questa inaugurazione, un progetto che esporterà quello che è Rondine nel mondo. L’augurio è quello che progetti simili si possano replicare anche fuori da questi ‘confini’, anche se non ci piace molto come termine e contribuire a migliorare il mondo”.

“Le parole hanno bisogno di luoghi per diventare vere – ha detto mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro – Rondine è un luogo dove queste parole che parlano di pace e libertà le si scrive anche nei cuori, anche in quelli di coloro che oggi provengono da paesi in conflitto, ma quando queste parole scolpiscono il cuore cambia la vita e si diventa costruttori di pace. Questi giovani forse più di altri ci possono aiutare a scrivere queste parole nel cuore di ciascuno di noi”.

L’inaugurazione è stata anche occasione per conferire il titolo di Ambassador a Sebastiano Favero, Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini e tutti gli operai alpini; Maurizio Pinamonti Consigliere nazionale ANA responsabile lavori Rondine; l’imprenditore trentino Mauro Giacca; il Consigliere Dino Leonesi. Il titolo di Ambassador viene conferito ad amici e sostenitori di Rondine che si siano distinti per l’impegno profuso a favore di Rondine a livello sociale o professionale.

Al termine è stata inaugurata  l’opera “L’Albero della Vita” dell’artista Roberta Cipriani.

Questo è YouTopic Fest 2024 che terrà banco a Rondine fino a sabato 1 giugno con un cartellone serrato.

Scopri il programma e iscrivi per partecipare gratuitamente https://youtopicfest.rondine.org/. Il festival è realizzato con il patrocinio di: Regione Toscana, Consiglio Regionale della Toscana, Provincia di Arezzo, Comune di Arezzo, Comune di Castiglion Fibocchi e Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Unione dei Comuni del Pratomagno. Con il contributo di Tutela Legale, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Istituto per il Credito Sportivo. Con il sostegno di Estra S.p.A., Chimet, Camera di Commercio Arezzo Siena, BDC School, COINGAS S.p.A.

In collaborazione con Festival dei Cammini di Francesco, Sustainability Award, Solea, BARTLEBYFILM, Medusa Film, Fondazione il Cuore si scioglie, Unicoop Firenze, Coldiretti Arezzo, Anna Lindh Foundation, Sugar, Castiglione del Cinema, Fattoria La Vialla, Fondazione Arezzo InTour, D.O.G. Operatori di strada. Con la media partnership di QN-La Nazione, Famiglia Cristiana, Vatican News, Radio Vaticana.

Chiara di Assisi così come la racconta Susanna Nicchiarelli

Domenica 21 aprile a Roma si è conclusa la rassegna cinematografica in preparazione al Giubileo 2025 ‘Volti e contro-volti della Speranza’, curata dalla Prima sezione del Dicastero per l’Evangelizzazione, offrendo un ricco programma di proiezioni inaugurato e concluso da due capolavori del cinema italiano: ‘La porta del cielo’, di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini (1945), in una versione restaurata presentata dal curatore, mons. Dario E. Viganò, e ‘Cristo proibito’ (1951) di Curzio Malaparte con l’intervento del giornalista Enrico Magrelli.

Mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione ‘MAC – Memorie Audiovisive del Cattolicesimo’ ha spiegato il motivo della rassegna cinematografica: “Filo rosso del ciclo di opere è la speranza, dare forma e sostanza alla possibilità di riscatto, del bene, che traspare oltre le nuvole oscure dell’esistenza. E’ il recupero del senso del tempo affrancato dalla frenesia, di forza del femminile nelle esperienze spirituali. Un percorso che cerca di rinnovare l’urgenza di uno sguardo profondo”.

Nella rassegna è stato inserito anche il film, che racconta la storia di Chiara, che si svolge ad Assisi nel 1211: Chiara ha 18 anni, ed una notte scappa dalla casa paterna per raggiungere il suo amico Francesco. Da quel momento la sua vita cambia per sempre. Non si piegherà alla violenza dei famigliari, e si opporrà persino al papa: lotterà con tutto il suo carisma per sé e per le donne che si uniranno a lei, per vedere realizzato il suo sogno di libertà: nel monastero.

Con questa inquadratura inizia il film ‘Chiara’ della regista Susanna Nicchiarelli, che ci ha raccontato questa storia ‘entusiasmante’: “La storia di Chiara e Francesco è entusiasmante. Riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della ‘radicalità’ delle loro vite (la povertà; la scelta di condurre un’esistenza sempre dalla parte degli ultimi, ai margini di una società ingiusta; il sogno di una vita di comunità senza gerarchie e meccanismi di potere) significa riflettere sull’impatto che il francescanesimo ha avuto sul pensiero laico, interrogandosi con rispetto sul mistero della trascendenza. La vita di Chiara, meno conosciuta di quella di Francesco, ci restituisce l’energia del rinnovamento, l’entusiasmo contagioso della gioventù, ma anche la drammaticità che qualunque rivoluzione degna di questo nome porta con sé”.

In cosa consiste la ‘forza’ di questa storia?

“La forza della storia di Chiara sta per me nella sua radicalità: una radicalità che è sempre attuale, e che ci interroga in qualsiasi epoca. E’ la storia di una diciottenne che, per quanto in un contesto davvero distante dal nostro, abbandona la casa paterna, la ricchezza, la sicurezza, per combattere per un sogno di libertà: la mia speranza è che il film trasmetta a tutti l’energia di questa battaglia, che racconti con forza quel sogno di rinnovamento, quella rivoluzione voluta e desiderata con l’entusiasmo contagioso della gioventù”.

Come è nato l’incontro con questa Santa?

“L’incontro con Chiara è arrivato per caso ma è andato a toccare delle corde importanti della mia vita e del mio pensiero di donna e di regista, in un momento così particolare della nostra storia. Il 7 marzo 2020, alla vigilia del primo lockdown, avevo portato i miei bambini ad Assisi per far vedere loro gli affreschi di Giotto, in quanto io sono di origine umbra, e la casa della mia nonna paterna non è distante da Perugia.

Come tutti, sono sempre stata affascinata dalla figura di san Francesco; di santa Chiara invece sapevo poco. Perciò in quella occasione, nella libreria della basilica, ho comprato due libri su Chiara d’Assisi: libri che poi ho letto nei giorni successivi del marzo 2020 a Roma, nell’atmosfera assurda e spaventosa che si era creata, durante la quale il Medioevo, con le sue paure, non sembrava poi così lontano.

Il primo libro era una biografia molto tradizionale, nella quale Chiara era raccontata come votata fin da bambina alla clausura e alla preghiera. Il secondo invece mi ha appassionato: era un testo di Chiara Frugoni, la grande medievalista italiana che allo studio di Chiara e Francesco ha dedicato tutta la vita e che sarebbe diventata un’insostituibile consulente per la sceneggiatura del film”.

In fondo per quale motivo un film su Chiara di Assisi?

“La storia di Chiara non era mai stata raccontata veramente. Era stata sempre raccontata in funzione di Francesco, ma mai la sua storia. Ho scoperto così che della vera Chiara si sa poco perché la storiografia ufficiale e religiosa non l’ha mai raccontata: Chiara era una giovane suo percorso, eventi il cui racconto è così forte nella credenza e nelle rappresentazioni popolari, e così vivo nelle testimonianze delle sorelle di Chiara documentate durante il processo di canonizzazione, che non può essere trascurato.

Perciò ho provato ad immaginare questi episodi così come gli stessi protagonisti li hanno raccontati, inserendoli nella loro quotidianità; ed ho provato anche a immaginare l’effetto che dovevano avere questi eventi miracolosi su quelli che, come Chiara e Francesco, si trovavano a fare i conti con la propria ‘santità’.

Quando inizia la sua avventura Chiara infatti non solo scopre di avere un carisma inaspettato, che la porterà a guidare un gruppo sempre più numeroso di donne: si trova anche a fare i conti con una serie di miracoli che non sempre comprende né controlla. Miracoli che non possono non creare una distanza tra lei e le sue sorelle, tra lei e la gente: sono perlopiù miracoli quotidiani, persino alimentari, che semplicemente accadono, e per rappresentarli, senza cercare spiegazioni razionali né trascendenti, ho scelto la strada della semplicità. Affrontando questo aspetto della vita di Chiara ho voluto interrogarmi su come la santità ed il culto popolare, che ne conseguiva, non poteva che spaventare o entrare in contrasto con il bisogno di semplicità e di umiltà di Chiara e di Francesco”.

Quale è il rapporto tra Chiara e Francesco?

“E’ un rapporto fondamentale: senza Francesco non ci sarebbe stata Chiara, ma in qualche modo senza Chiara non ci sarebbe stato Francesco”.

Cosa l’ha colpita di più nella storia di Chiara?

“La cosa che mi ha colpito di più è stata la sua giovinezza: quando ha iniziato con il suo carisma a farsi seguire da donne di tutte le età. La cosa che maggiormente mi ha colpito è stato il suo sogno e con quanta energia si è contrapposta al potere per realizzare il suo sogno”.

In cosa consiste la ‘modernità’ di Chiara?

“La modernità di Chiara sta nella modalità delle sue scelte e  nel coraggio con cui si è contrapposta al potere maschile. La sua modernità sta nella comunità che ha costruito, che ancora oggi è molto moderna”.

In quale modo una non credente racconta la storia di una santa?

“L’ho raccontata come una storia di un essere umano. Naturalmente ho raccontato anche i miracoli e tutti quei fenomeni che non possono avere una spiegazione razionale, anche se hanno cercato di dare una spiegazione razionale alla santità ed ai miracoli. Io li ho raccontati così come vanno raccontati nelle storie di vita di Chiara. Ho raccontato la sua umanità e di come lei si stupiva di fronte a questi miracoli, perché sono convinta che in qualche modo fosse così”. 

(Tratto da Aci Stampa)

Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, un colloquio con don Cosimo Schena

“L’evoluzione dei sistemi della cosiddetta ‘intelligenza artificiale’, sulla quale ho già riflettuto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile. Si tratta di un cambiamento che coinvolge tutti, non solo i professionisti. L’accelerata diffusione di meravigliose invenzioni, il cui funzionamento e le cui potenzialità sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento e ci pone inevitabilmente davanti a domande di fondo: cosa è dunque l’uomo, qual è la sua specificità e quale sarà il futuro di questa nostra specie chiamata homo sapiens nell’era delle intelligenze artificiali? Come possiamo rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?”

Quest’anno, in occasione della 58^ Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, in programma domenica 12 maggio, papa Francesco ha scritto il messaggio ‘Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana’ con l’invito a riflettere sul rapporto tra intelligenza artificiale e cuore con una citazione iniziale del filosofo cattolico Romano Guardini:

“Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana. Il cuore, inteso biblicamente come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità, ma evoca anche gli affetti, i desideri, i sogni, ed è soprattutto luogo interiore dell’incontro con Dio. La sapienza del cuore è perciò quella virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi”.

Per comprendere meglio il messaggio papale abbiamo chiesto a don Cosimo Schena, parroco nella parrocchia ‘San Francesco d’Assisi’ a Brindisi, con 180.000 follower su instagram, però anche attivo su facebook, youtube e spotify con lo scopo di raggiungere le persone, soprattutto i giovani, che si trovano lontane dalla Chiesa e dal Vangelo, e di offrire loro un messaggio di speranza e di vicinanza, condividendo le sue poesie, accompagnate da musiche e immagini, che raccontano la bellezza dell’amore di Dio e della vita.

Allora per tale occasione chiediamo di spiegarci quale rapporto ci può essere tra intelligenza artificiale e la sapienza del cuore: “L’interazione tra intelligenza artificiale e la profondità emotiva dell’essere umano è affascinante. Consideriamo l’Intelligenza Artificiale come un alleato potenziale nel nostro percorso verso il bene comune.

Se guidata dalla saggezza intrinseca del cuore umano, l’Intelligenza Artificiale può diventare uno strumento per manifestare la compassione e l’empatia. Tuttavia, va ricordato che l’Intelligenza Artificiale non può replicare la complessità delle emozioni umane, ma può aiutarci a comprendere meglio noi stessi e gli altri”.

L’intelligenza artificiale permette di crescere in umanità?

“L’Intelligenza Artificiale offre promettenti opportunità per il progresso umano. Se utilizzata con discernimento e orientata verso valori etici e morali, può migliorare la nostra qualità di vita, rendendo l’apprendimento più accessibile e promuovendo una maggiore comprensione tra le persone. Tuttavia, è fondamentale che l’umanità mantenga il controllo su come l’Intelligenza Artificiale viene sviluppata e utilizzata, assicurandosi che gli aspetti umani e spirituali siano sempre al centro di ogni innovazione”.

E’ vero che la rivoluzione digitale rende più liberi?

“La rivoluzione digitale ci offre un universo di possibilità, consentendoci di accedere a un’enorme quantità di informazioni e di comunicare in modi che erano impensabili solo pochi decenni fa. Questo potenziale di liberazione è straordinario, ma richiede anche una profonda riflessione sul modo in cui utilizziamo queste tecnologie. La vera libertà non è solo l’accesso illimitato, ma anche la capacità di fare scelte consapevoli e responsabili, orientate al bene comune e al rispetto degli altri”.

‘Credo che la Chiesa abbia bisogno di esplorare nuove strade per essere più inclusiva e accogliente nei confronti di coloro che hanno bisogno di riscoprire o trovare la fede. Così questo libro è per me un nuovo tentativo di costruire un ponte di speranza, di portare Dio nella vita di tutti’: così scrive nel libro ‘Dio è il mio coach. Consigli evangelici su misura per te’ con la prefazione di mons. Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione, in cui interagisce con i giovani attraverso consigli evangelici pratici per superare le difficoltà e ricominciare ad apprezzare il presente, con le sue sfide ma anche con i momenti felici che spesso diamo per scontati. Per quale motivo Dio è un coach?

“La visione di Dio come un coach spirituale è affascinante e toccante. Immaginare Dio come colui che ci guida con amore e saggezza attraverso le sfide della vita, incoraggiandoci a realizzare il nostro pieno potenziale e ad abbracciare i valori spirituali, ci offre conforto e ispirazione. Questa prospettiva ci invita a vedere ogni esperienza come un’opportunità di crescita e di avvicinamento a Dio”.

Quali strade deve esplorare la Chiesa per comunicare il Vangelo?

“La Chiesa si trova di fronte a nuove sfide e opportunità nella comunicazione del Vangelo nell’era digitale. Esplorare piattaforme come i social media, le app e le piattaforme digitali può essere un modo efficace per raggiungere un pubblico più ampio e diversificato. Tuttavia, è essenziale che la Chiesa mantenga la sua autenticità e fedeltà al messaggio evangelico, adattando le sue modalità di comunicazione senza compromettere la sua identità e la sua missione spirituale”.

Come comunicare il messaggio evangelico attraverso la rete?

“Per comunicare il messaggio evangelico in modo efficace online, dobbiamo essere presenti nei luoghi virtuali dove le persone si riuniscono. Utilizzare un linguaggio chiaro e accessibile è importante, così come condividere storie ed esperienze che risuonino con le sfide e le gioie della vita quotidiana delle persone. In questo modo, possiamo trasmettere il messaggio evangelico in modo autentico e significativo, offrendo speranza e ispirazione a coloro che incontriamo online”.

Allora, è possibile coniugare la fede con il mondo digitale?

“Coniugare religione e digitale significa poter vivere la propria fede anche online e nei modi più diversi in un connubio che fa da propulsore per una maggiore partecipazione ed in un impegno profuso all’interno della comunità, che, in tal modo, si estende ben oltre i limiti fisici. Ho compreso che i nuovi media sono strumenti efficaci per diffondere la Parola di Dio, soprattutto in un momento storico che spinge fortemente verso l’individualismo e dove emerge sempre di più la drammaticità della solitudine, il bisogno di amare ed essere amati, ascoltare ed essere ascoltati.

Non dobbiamo dimenticare che noi siamo stati creati dall’amore, di conseguenza non possiamo non amare. L’arte dell’ascolto crea ponti solidi ed invita a considerare e a rispettare ogni essere umano per la sua unicità e la preziosa testimonianza del vissuto di cui ciascuno è portatore”.

(Tratto da Aci Stampa)

Aldo Moro e la visione di una nuova Europa

“Per quanto riguarda l’Europa il Governo si propone di continuare la propria azione diretta ad assicurare la piena ripresa dell’attività comunitaria nel rispetto dei Trattati al fine di realizzare l’integrazione economica quale premessa dell’unità politica dell’Europa. Tale azione si svolgerà in tutte le sedi comunitarie, economiche e politiche, continuando ad interessare ad essa il Parlamento ed il Paese e portando avanti il progetto di elezione a suffragio universale di un Parlamento europeo”: questo inciso è parte del discorso di Aldo Moro alla Camera dei Deputati ed al Senato in occasione del suo insediamento da presidente del Consiglio dei ministri.

Una ricorrenza, quella del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, che coincide con la festa dell’Europa, che a ben vedere non è proprio casuale, in quanto ricorda la dichiarazione di Robert Schuman per ‘creare’ l’Unione Europea come unità degli Stati e dei popoli, come ha sottolineato il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella: “Dal 1985 si celebra la Festa dell’Europa e i valori che ad essa sono intrinsecamente legati: pace, democrazia, tutela dei diritti delle persone e dei popoli.

Il 9 maggio segna l’anniversario della dichiarazione con la quale nel 1950 Robert Schuman proponeva la creazione di una comunità di Stati i cui membri avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio, convinto che ‘la pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano’. Parole che risuonano, oggi, in tutta la loro straordinaria forza e drammatica attualità”.

Nel messaggio il presidente Mattarella ha ricordato che l’Unione Europea ha garantito ai suoi Stati, fino a qualche anno fa, la pace: “L’Unione Europea, nella sua vita, ha saputo affrontare con successo sfide e crisi, confermando la sua capacità di assicurare il futuro dell’Europa e dell’Italia in un contesto di convivenza pacifica, di crescita economica, di sviluppo sociale, di garanzia di libertà”.

Ed ha garantito alle persone il diritto democratico del voto: “Con la partecipazione al voto potremo plasmare il governo di un’Unione Europea unita, in pace, dinamica, capace di armonizzare secondo principi di solidarietà i diversi punti di vista dei suoi popoli. Presidio della nostra sicurezza.

Con lo stesso coraggio e la medesima determinazione di cui diedero prova i Padri fondatori dell’Europa unita dobbiamo prendere nelle nostre mani il destino della civiltà europea, per contribuire a rendere più giusto il mondo in cui viviamo”.

Negli anni ’60 Aldo Moro fu un protagonista fondamentale per il consolidamento dell’Unione Europea e nell’intervento da Presidente del Consiglio il 12 dicembre 1963 mise in luce la novità parlamentare della svolta politica verso l’alleanza atlantica e la solidarietà europea: “La politica di solidarietà europea, che sarà perseguita nella forma dell’integrazione democratica, economica e politica, fuori di ogni particolarismo, offre al nostro Paese uno spazio ed un ambiente adatti per la sua espansione economica e per una significativa partecipazione alla politica internazionale in proporzione alle sue forze, alla sua tradizione e cultura, al suo peso economico e sociale. Il governo si propone una azione coerente per superare le remore opposte, con iniziative estranee alla finalità dei trattati di Roma, alla creazione dell’unità democratica dell’Europa.”.

Mentre durante i lavori della X Assemblea ordinaria dei parlamentari dell’UEO (Unione Europea Occidentale) nel giugno 1964 Aldo Moro rese omaggio ad Alcide De Gasperi ed ai Padri fondatori per aver dato vita ad un’Europa democratica e plurale: “L’Europa che noi ci sforziamo di costruire è una Europa intesa in senso democratico: è questo uno dei cardini fondamentali della nostra concezione associativa. Democrazia, come noi la intendiamo, significa anche e necessariamente una prospettiva di sviluppi sociali e di giustizia da attuarsi nella libertà”.

Quindi l’Europa disegnata da Aldo Moro era un’Europa aperta ad una visione mondiale per la libertà di tutti i popoli: “Se noi negassimo e sottovalutassimo queste nuove profonde esigenze, ci chiuderemmo nel passato, anziché rivolgerci all’avvenire: e l’Europa è l’avvenire. A questo riguardo non abbiamo alcun dubbio.

Anche avendo riguardo alle presenti difficoltà nel dare rapido sviluppo al processo europeo, siamo ottimisti nel risultato finale, proprio perché crediamo che l’Europa sia un mezzo per rispondere efficacemente a quegli aneliti di democrazia e di libertà che sono propri dell’uomo e quindi permanentemente radicati nelle aspirazioni dei popoli in una concezione umana, cristiana della realtà sociale e politica.

In secondo luogo vogliamo un’Europa aperta a tutti i Paesi capaci di assumere gli impegni che ne derivano. In un mondo che si muove nell’ambito dei grandi spazi, in una situazione internazionale nella quale si profilano un’unità africana, un’integrazione latino-americana, strumenti di collaborazione afro-asiatica…, sarebbe un controsenso che rimanessero attaccati a gretti egoismi nazionali gli europei che si sono così spesso posti all’avanguardia dei grandi movimenti di rinnovamento umano”.

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