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Liturgia virale per vivere l’Eucarestia

Negli ultimi anni, la pandemia ha scosso le fondamenta della nostra società, mettendo alla prova non solo la salute pubblica, ma anche la dimensione spirituale delle nostre vite. In particolare, il modo in cui viviamo la liturgia ha subito trasformazioni drastiche, ponendo interrogativi profondi sul suo ruolo in tempi di emergenza. Il libro Liturgia Virale di don Enrico Finotti affronta proprio questi temi, proponendo una riflessione lucida e documentata sulle difficoltà incontrate e sulle risposte che la Chiesa ha cercato di dare.

Quale posto ha la liturgia nelle nostre vite? Possiamo davvero celebrare l’Eucaristia senza il popolo? La Messa trasmessa online è una soluzione sufficiente? Quali conseguenze ha avuto la pratica della Comunione nelle mani? E soprattutto: cosa ci ha insegnato questo periodo sulla centralità della liturgia nella vita cristiana?

Liturgia Virale ripercorre le problematiche liturgiche emerse durante la pandemia, offrendo risposte chiare e fondate sulla Tradizione della Chiesa. Un testo che non solo aiuta a comprendere il passato recente, ma che diventa un monito per il futuro, affinché la celebrazione dei Sacramenti non venga mai più relegata a semplice optional nella vita dei fedeli.

Il libro si struttura in una serie di capitoli che affrontano, con precisione e rigore, questioni di grande attualità: la Messa senza il popolo: riflessioni sulla sua legittimità e sul valore della celebrazione comunitaria. Il diritto liturgico: quali sono le norme fondamentali che regolano la celebrazione dei Sacramenti? La sanificazione delle chiese e la santificazione delle anime: un confronto tra sicurezza sanitaria e necessità spirituali.

Gli audiovisivi nella liturgia: un’opportunità o un rischio di desacralizzazione? La crisi dei novissimi: perché la pandemia ha fatto emergere una crisi profonda nella predicazione su morte, giudizio, inferno e paradiso?

Don Enrico Finotti non si limita a un’analisi teorica, ma invita il lettore a interrogarsi sulla propria vita spirituale. La liturgia non è un semplice rituale, ma il cuore pulsante della fede cristiana. Come possiamo riscoprirne il valore autentico?

In tempi di crisi, la tentazione è quella di trovare soluzioni pratiche immediate, ma senza una vera riflessione sul significato profondo della liturgia. Liturgia Virale ci aiuta a prendere coscienza di quanto sia importante custodire e vivere con fedeltà il culto divino, indipendentemente dalle difficoltà contingenti.

Un libro per tutti i fedeli e gli operatori pastorali; per chi vuole comprendere meglio le sfide liturgiche emerse durante la pandemia; per sacerdoti e catechisti che desiderano approfondire il diritto liturgico e la pastorale sacramentale; per i fedeli che si chiedono quale sia il vero posto della liturgia nella loro vita e come affrontare le crisi con una fede più salda.

Con la presentazione di Aurelio Porfiri, ‘Liturgia Virale’ si propone come un testo di grande valore per chi desidera capire e difendere il vero significato della liturgia in tempi difficili. Un libro che non solo illumina il passato recente, ma che offre anche strumenti concreti per affrontare il futuro con una fede più consapevole e radicata.

Papa Francesco invita a celebrare bene la liturgia

Finestre del Gemelli con statua Giovanni Paolo II e foto di Papa Francesco

‘Come nei giorni scorsi, la notte è trascorsa tranquilla e il Papa ora sta riposando’: lo ha reso noto la Sala Stampa Vaticana nell’aggiornamento di stamani, 28 febbraio, sullo stato di salute del Pontefice ricoverato dal 14 febbraio al Policlinico Gemelli. Anzi nei giorni scorsi ha inviato anche un messaggio ai partecipanti al ‘Corso internazionale di formazione per responsabili delle celebrazioni liturgiche del vescovo’ svoltosi a Roma in cui ha invitato a studiare la liturgia:

“Tale dimensione tocca la vita del popolo di Dio e gli rivela la sua vera natura spirituale. Perciò il responsabile delle celebrazioni liturgiche non è soltanto un docente di teologia; non è un rubricista, che applica le norme; non è un sacrestano, che prepara ciò che serve per la celebrazione. Egli è un maestro posto al servizio della preghiera della comunità. Mentre insegna umilmente l’arte liturgica, deve guidare tutti coloro che celebrano, scandendo il ritmo rituale e accompagnando i fedeli nell’evento sacramentale”.

E’ stato un invito alla cura liturgica delle celebrazioni: “Come mistagogo, predispone ogni celebrazione con saggezza, per il bene dell’assemblea; traduce in prassi celebrativa i principi teologici espressi nei libri liturgici; affianca e sostiene il Vescovo nel ruolo di promotore e custode della vita liturgica. Così coadiuvato, il pastore può condurre dolcemente tutta la comunità diocesana nell’offerta di sé al Padre, a imitazione di Cristo Signore”.

Per questo è importante la cura della preghiera: “In ogni vostra mansione, non dimenticate che la cura per la liturgia è anzitutto cura per la preghiera, cioè per l’incontro con il Signore. Proclamando Santa Teresa d’Avila dottore della Chiesa, san Paolo VI ne definiva l’esperienza mistica come un amore che diventa luce e sapienza: sapienza delle cose divine e delle cose umane.

Questa grande maestra della vita spirituale vi sia di esempio: infatti, preparare e guidare le celebrazioni liturgiche significa coniugare tra loro sapienza divina e sapienza umana. La prima si acquisisce pregando, meditando, contemplando; la seconda viene dallo studio, dall’impegno di approfondire, dalla capacità di mettersi in ascolto”.

E’ stato un invito a ‘guardare’ i fedeli: “Per riuscire in questi compiti, vi consiglio di tenere lo sguardo rivolto al popolo, del quale il Vescovo è pastore e padre: questo vi aiuterà a capire le esigenze dei fedeli, come pure le forme e le modalità per favorire la loro partecipazione all’azione liturgica”.

Per celebrare bene occorre coniugare dottrina e pastorale: “Poiché il culto è opera di tutta l’assemblea, l’incontro tra dottrina e pastorale non è una tecnica opzionale, bensì un aspetto costitutivo della liturgia, che deve sempre essere incarnata, inculturata, esprimendo la fede della Chiesa. Di conseguenza, le gioie e le sofferenze, i sogni e le preoccupazioni del popolo di Dio possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare.

Mi piace richiamare, a riguardo, quanto scriveva il primo preside del Pontificio Istituto Liturgico, l’Abate benedettino Salvatore Marsili. Era il 1964: con lungimiranza egli invitava a prendere coscienza del messaggio del Concilio Vaticano II, alla luce del quale non è possibile una vera pastorale senza liturgia, perché la liturgia è il culmine a cui tende tutta l’azione della Chiesa”.

Però per il mercoledì delle Ceneri le celebrazioni saranno presiedute dal Penitenziere Maggiore il Cardinale Angelo De Donatis, e in prospettiva si attendono gli esercizi spirituali della Curia Romana che iniziano la prima domenica di Quaresima.

Papa Francesco: speranza è Dio fattosi uomo

Questa mattina papa Francesco ha ricevuto in udienza i vescovi, formatori e seminaristi della Provincia Ecclesiastica di Valencia, regione colpita nello scorso ottobre dalle alluvioni, mettendolo subito in evidenza: “Non mi è facile esprimervi i miei sentimenti, pensando ai Natali sicuramente atipici con quell’esperienza che ‘Dio si è fatto argilla’ in voi”.

Però, ha sottolineato che il dolore apre alla speranza: “Un dolore e un lutto che, pur nella sua durezza, ci apre alla speranza perché, costringendoci a toccare il fondo e a lasciare alle spalle tutto ciò che sembrava sostenerci, ci permette di andare oltre. Non è qualcosa che possiamo fare da soli, è un’immensa oscurità che avete sperimentato e state vivendo. E penso all’aiuto disinteressato di tante persone, gli occhi pieni di dedizione della gente, hanno saputo illuminarci con la tenerezza di Dio”.

E’ stato un invito ad essere in ogni situazione, in quanto tali fenomeni meteorologici (DANA) si possono ripetere, ed il compito dei cristiani si concretizza nella presenza e nella vicinanza: “Sei chiamato a lavorare in questo campo. DANA non è un fenomeno atipico che semplicemente speriamo non si ripeta, è l’estrapolazione di ciò che sperimenta ogni essere umano che affronta una perdita e si sente solo, fuori posto e bisognoso di sostegno per poter continuare.

Gesù lo dice molto chiaramente: ‘Per questo sono stato unto (per questo siete unti voi) per fasciare i cuori spezzati e proclamare l’anno di grazia del Signore’. Siamo già in quest’Anno di Grazia, che ho voluto dedicare alla speranza e che vivrete in tutta la sua forza meditando queste parole”.

Quindi ha concluso l’incontro ribandendo che la speranza non è ottimismo: “Una volta ho detto che ‘speranza’ non è ‘ottimismo’. ‘Ottimismo’ è un’espressione leggera, la speranza è un’altra cosa. Non possiamo prendere alla leggera la sofferenza delle persone e cercare di consolarle con frasi di circostanza e di bontà”.

La speranza è Gesù, con l’invito a donarsi: “La nostra speranza ha un nome, Gesù, quel Dio che non si è sentito disgustato dal nostro fango e che, invece di salvarci dal fango, si è fatto fango per noi. Ed essere prete è essere un altro Cristo, è diventare fango nelle lacrime della gente, e quando vedi la gente distrutta, perché a Valencia c’è gente distrutta, che ha perso la vita a pezzi, dai pezzi di voi stessi, come fa Cristo nell’Eucaristia. Per favore donatevi gratuitamente, perché tutto ciò che avete è stato ricevuto gratuitamente, non dimenticatevi della gratuità”.

Inoltre ha inviato un messaggio a p. Geoffroy Kemlin, abate di Saint-Pierre di Solesmes e presidente della Congregazione di Solesmes in occasione del 150° anniversario della morte di dom Prosper Guéranger: “Desidero esprimere il mio incoraggiamento e la mia affettuosa vicinanza a quanti hanno impegnato la loro vita sulla scia di questo servitore della Chiesa, o si adoperano per far conoscere la sua vita e la sua opera. Benedico anima mea Domino. Questo versetto del Salmo 102 fu una delle ultime parole che pronunciò prima di rimettere la sua anima nelle mani del Padre il 30 gennaio 1875”.

Nel messaggio il papa ha sottolineato alcune caratteristiche di questo fondatore: “Evocando dom Guéranger, i miei predecessori hanno sottolineato le diverse espressioni del suo carisma ricevute per l’edificazione di tutta la Chiesa: il suo ruolo di restauratore della vita monastica benedettina in Francia, la sua scienza liturgica posta al servizio del popolo di Dio, la sua ardente pietà verso il Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Maria, la sua opera a favore della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e di quello dell’infallibilità pontificio, i suoi scritti in difesa della libertà della Chiesa”.

Per questo ha sottolineato due aspetti particolari, soffermandosi sulla liturgia: “Vorrei, a mia volta, evidenziare due aspetti di questo carisma che corrispondono a due esigenze attuali della Chiesa: la fedeltà alla Santa Sede e al Successore di Pietro, particolarmente nell’ambito della liturgia, e la paternità spirituale.

Dom Guéranger è stato senza dubbio uno dei primi artefici del Movimento Liturgico, il cui bel frutto è stata la Costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ del Concilio Vaticano II. La riscoperta storica, teologica ed ecclesiologica della liturgia, come linguaggio della Chiesa ed espressione della sua fede, fu al centro della sua opera, prima come sacerdote diocesano poi come monaco benedettino.

Questa riscoperta ispirò in particolare le sue pubblicazioni a favore del ritorno delle diocesi di Francia all’unità della liturgia romana, e fu ciò che lo spinse a scrivere i volumi de ‘L’Anno liturgico’ per mettere alla portata dei sacerdoti e dei laici la bellezza e la ricchezza della liturgia”.

 L’altro aspetto del suo carisma consiste nella paternità spirituale: “Attento allo Spirito Santo operante nelle anime, dom Guéranger desiderava una sola cosa: aiutarle nella ricerca di Dio. Plasmato dalla Regola benedettina e dalla lode divina, la sua dolce e gioiosa fiducia in Dio toccava il cuore dei monaci che si stringevano attorno a lui, delle monache che beneficiavano dei suoi insegnamenti, ma anche degli uomini e delle donne con responsabilità Chiesa e società, e soprattutto padri e madri, figli, piccoli e umili che ricorrevano ai suoi consigli spirituali. Nei tempi di pace come nei giorni di avversità, tutti trovavano in Lui il rafforzamento o il rinnovamento della fede, il gusto della preghiera e l’amore della Chiesa”.

Ecco il motivo per cui il papa prega perché la sua opera porti ‘frutto’: “Prego affinché l’opera del servo di Dio, dom Guéranger, continui a produrre frutti di santità in tutto il popolo fedele, e rimanga anche una testimonianza viva della fecondità della vita monastica, nel cuore della Chiesa”.

Infine ha inviato un messaggio al metropolita di Korça Locum Tenens della Chiesa Ortodossa, sua eminenza Giovanni, per la scomparsa di sua beatitudine Anastas, arcivescovo di Tirana, Durrës e di tutta l’Albania, deceduto a 95 anni il 25 gennaio: “La fede della comunità ortodossa albanese è stata certamente incarnata nella vita del nostro caro fratello, il cui zelante servizio pastorale ha aiutato la gente a riscoprirne la ricchezza e la bellezza dopo gli anni di ateismo e persecuzione imposti dallo Stato. A questo proposito, ho cari ricordi del mio incontro con Sua Beatitudine durante il mio primo viaggio apostolico fuori dall’Italia, e custodisco gelosamente l’abbraccio fraterno e le parole scambiate in quell’occasione”.

Ed ha ricordato il suo ‘fervente’ ministero: “Nel corso della sua lunga vita e del suo ministero come sacerdote e come vescovo, ha sempre manifestato una profonda dedizione al Vangelo, servendo e annunciando il Signore in vari contesti geografici e culturali, in Grecia, Africa e Albania…

Quando ha assunto la responsabilità di guidare la Chiesa ortodossa in Albania, ha desiderato entrare profondamente nei cuori di coloro che gli erano stati affidati, in particolare nelle loro tradizioni e identità, senza mai perdere la comunione con le altre Chiese ortodosse. Allo stesso tempo, si è anche impegnato volentieri nel dialogo e ha promosso la pacifica convivenza con altre Chiese e religioni”.

(Foto: Santa Sede)

Luca Diotallevi spiega perché la Messa è sbiadita

“In questo tempo non una piccola porzione di cristiani, ma una larga maggioranza è consapevole che ‘il tempo si è fatto breve’… Oggi possiamo vederlo ancora più chiaramente questo kairos della fede, a condizione di saper affrontare con onestà la domanda con cui il Gesù del quarto Vangelo mise con le spalle al muro i discepoli inviatigli dal Battista, forse ancora un po’ appannati da un entusiasmo che ancora non sapevano essere nel loro interesse dismettere. ‘Cosa cercate?’ gli chiese Gesù poco prima delle quattro di quel pomeriggio”.

Così iniziava la prolusione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna del prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università Roma Tre, autore del volume ‘La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019’, incontrato a Macerata, invitato dall’Azione Cattolica diocesana.

Durante l’incontro il prof. Luca Diotallevi, presidente diocesano dell’Azione Cattolica di Terni, ha sottolineato le possibili ‘cause’ della diminuzione della partecipazione dei fedeli alla messa domenicale: “Oltre a calare di volume ed a perdere di rilevanza extra-religiosa, l’appartenenza ecclesiale risente di una elevatissima e crescente frammentazione. A cause storiche ben note, di recente se ne è aggiunta una nuova.

Un vero e proprio consumismo religioso non solo è dilagato, ma è stato assecondato dall’azione pastorale. Dalle risposte raccolte l’arcipelago di gruppi, movimenti, santuari, feste patronali, modalità e luoghi di culto i più vari, viene giudicato un fattore di frammentazione del tessuto ecclesiale e una minaccia al regime di comunione. I criteri di discernimento delle aggregazioni ecclesiali che la Conferenza Episcopale Italiana aveva formulato negli anni ’90 sembrano essere ignorati, sino al punto di venire rimossi o tranquillamente contraddetti”.

Per il sociologo le iniziative proposte non offrono continuità e soffrono di frammentazione: “Cammini, gruppi, tecniche, movimenti, uffici pastorali, ed una quantità di iniziative e di eventi sui quali si investe nella speranza di trovarvi la soluzione al problema della nuova evangelizzazione o ‘primo annuncio’, nella larga maggioranza dei casi non favoriscono lo sviluppo di una maturità umana e cristiana, ecclesiale e civile.

Essi non appaiono in grado di garantire quello che per tanto tempo aveva garantito l’associazionismo ecclesiale e che ancora, seppur tra ostacoli e difficoltà anche pastorali, è capace di offrire (in particolare di Azione Cattolica secondo la definizione del punto 20 della decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem”.

Ed il crollo della partecipazione alla messa domenicale è evidente: si è passati dal 37,3% della popolazione adulta nel 1993 al 23,7% del 2019. I giovani che dichiarano di frequentare sono l’8% e gli adolescenti il 12%. Nel 2019 le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7% delle prime contro il 18,3% dei secondi. Tuttavia il dato da evidenziare è che nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%:

“Il declino alla frequenza al rito domenicale è dunque più veloce tra le donne che tra gli uomini, ed è evidente che questo gender factor ha consistenti e crescenti effetti tanto religiosi quanto extrareligiosi, e questo fattore nuovo produrrà ulteriori e profonde trasformazioni. La vita ordinaria delle parrocchie italiane è infatti composta prevalentemente da donne così come l’educazione religiosa dei figli nelle famiglie”.

Al termine dell’incontro abbiamo chiesto se a 25 anni dall’invito ai giovani, presenti a Roma nella Giornata Mondiale della Gioventù, a guardare in alto di san Giovanni Paolo II può considerarsi ancora valido: “E’ valido nel senso evangelico del termine, cioè dobbiamo saper porre una discontinuità nel nostro modo di fare le cose,fidandoci del Signore e cominciando a farle in modo diverso”.

Lei ha scritto il volume ‘La messa è sbiadita’: perché si è sbiadita?

“Probabilmente è diventata più uno spettacolo che una liturgia. Gli spettacoli sono anche gradevoli, ma dopo i quali la vita continua come prima; mentre la liturgia consiste nell’iniziare a vivere in un altro modo. Le nostre messe sono spettacoli, di cui ne fruiamo individualmente”.

Ma cosa sta succedendo?

“I processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte inerzia: se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti. Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale. Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio all’età adulta da parte di coloro che hanno ‘fatto’ il Sessantotto”.

In questi anni come è cambiato il sentimento del popolo cattolico verso la fede?

“Ci si è convinti che ognuno si fa la fede sua. Le Sacre Scritture, il Magistero della Chiesa, la Tradizione non contano: entro in chiesa allo stesso modo in cui entro in un supermarket. Compro qualcosa e lascio qualcos’altro”.

Nel libro evidenzia che il calo dei laici è superiore alla crisi vocazionale dei sacerdoti:  da cosa dipende?

“Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli ordinati negli anni ‘90 ma non c’è paragone con i laici che si recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane”.

In un capitolo lei mette in confronto la partecipazione alla vita sociale della città con la partecipazione alla messa: esiste un rapporto?

“La partecipazione è in crisi in ogni ambito della società e non solo nell’ambito ecclesiale, in quanto siamo abituati a prendere i ‘prodotti’ finiti e non a partecipare alla loro costruzione. Non facciamo politica, non partecipiamo al sindacato, non mangiamo insieme ed anche alla messa prendiamo quello che serve. Quindi non sappiamo più partecipare”.

La sua indagine mostra che la partecipazione era ‘scarsa’ anche prima dell’effetto del Covid 19: per quale motivo non si è avuto il coraggio di riconoscere prima le dinamiche?

“Non si sono volute riconoscere prima queste dinamiche, perché se riconosco che una cosa non funziona sono costretto ad escogitare qualcosa per cercare di cambiare. Il Covid è riuscito a rilevare questo problema, fornendoci un grande alibi… Però dopo il Covid continua quello che c’era prima”.

Come poter fare comprendere che la messa è una verità ‘sinfonica’?

“Attraverso la partecipazione a quei gesti senza mettersi nascosti in un angolo, prendendo quello che serve. La messa, come tutte le prassi, è qualcosa che va capito ed approfondito. Non è una cosa semplice. Banalizzare serve solo a sbiadire”.

In tale contesto quale è il compito dell’Azione Cattolica?

“Formare il più possibile la coscienza, la volontà, l’intelletto e sperimentare l’amicizia nella Chiesa con grande libertà”.   

(Tratto da Aci Stampa)

Cei: la missione è centrale per la formazione dei sacerdoti

Sacerdote con Rosario

“All’origine della formazione presbiterale sta la Parola di Dio che raggiunge il chiamato domandando di essere da lui accolta. Quando ciò avviene, la Parola comincia ad agire efficacemente in tutta la persona (‘vi farò diventare’), rimanendo il fondamentale principio formativo verso una particolare configurazione a Cristo Signore, in unione d’amore, con la mediazione della Chiesa che riconosce, custodisce, accompagna l’opera di Dio”: nei giorni scorsi è entrato in vigore, ad experimentum per tre anni, il documento ‘La formazione dei presbiteri nelle Chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari’, approvato dalla 78^ Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi a novembre di due anni fa.

Il testo, che ha ottenuto la conferma della Santa Sede con decreto del Dicastero per il Clero, presenta un iter formativo al presbiterato articolato in due tempi: una prima fase di carattere iniziatico, dedicata alla costruzione della consistenza interiore, in un rapporto educativo forte con i formatori, attraverso lo sviluppo di una solida vita spirituale, l’applicazione seria allo studio e alla preghiera, una vita comunitaria intensa, la conoscenza di sé. La seconda fase è dedicata alla scoperta del Popolo di Dio e al maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al presbiterato.

Nel primo capitolo si risponde alla domanda su quale prete si debba formare e per quale Chiesa. Per questo, da una parte, si assume la formazione permanente in alcuni suoi elementi, ritenuti necessari al presbitero italiano odierno, come paradigma della formazione in Seminario; dall’altra, si accentuano decisamente le due dimensioni della missione e della comunione come orizzonte fondamentale di tale formazione:

“La liturgia ben vissuta è lo spazio quotidiano in cui, sia il seminarista che il presbitero, insieme con le loro comunità, possono cogliere gli appelli alla conversione permanente e attingere alla grazia che consente la prosecuzione del processo di configurazione a Cristo Servo, Pastore e Sposo. La liturgia, infatti, è paradigma della vita cristiana e, per essere vissuta in modo efficace e fruttuoso, deve inserirsi in un contesto comunitario aperto all’ascolto profondo del Vangelo e dei fratelli e delle sorelle. Lì nasce e si sviluppa una comunità che dall’ascolto del Signore diviene disponibile alla comunione fraterna, pronta al servizio dei poveri, alla missione verso coloro che non conoscono il Signore e al dialogo con chiunque il Signore ponga sulla nostra strada”.

Nel secondo capitolo la pastorale vocazionale è presentata come impegno di tutta la comunità ecclesiale, passando poi a specificare le modalità di accompagnamento vocazionale dei ragazzi e dei giovani, basato su una seria formazione spirituale: “La proposta educativa, strutturata nelle quattro dimensioni (umana, spirituale, intellettuale e pastorale) si declina nel vissuto ordinario, fatto di proposte di gioco, laboratori, percorsi formativi, incontri con testimoni, esperienze di carità, colloqui con i formatori, studio, momenti di ritiro, tempi di rielaborazione del vissuto, permette a chi vi aderisce di integrare gradualmente fede e vita e di interrogare il proprio vissuto e la propria storia con autenticità e alla luce del Vangelo”.

Perciò sono delineate alcune ‘caratteristiche’: “Alcuni tratti genuini che testimoniano il cammino di crescita sono: la capacità di intessere relazioni con tutti, l’amore per la verità, lo spirito di iniziativa, l’assunzione responsabile dei propri impegni, la rielaborazione delle esperienze vissute, il superamento delle ansie da prestazione e degli atteggiamenti compiacenti, la consegna di sé nella trasparenza e l’orientamento ad una scelta di vita. L’esito di tale percorso può essere la decisione di iniziare il cammino nell’anno propedeutico oppure di continuare un discernimento vocazionale”.

Il terzo capitolo presenta le quattro tappe dell’itinerario formativo proposto dalla Ratio fundamentalis: propedeutica (un anno), discepolare (due anni), configuratrice (quattro anni) e di sintesi vocazionale (un anno), ponendo attenzione anche alla dimensione ‘affettivo-sessuale’ del candidato: “La dimensione affettivo-sessuale è un’area di primaria importanza per l’efficacia del ministero presbiterale vissuto in una prospettiva di amore-carità, dono di sé; nella libertà intima e relazionale che nel celibato (secondo la tradizione latina) trova un contesto di particolare fecondità e apertura nelle relazioni con persone, donne e uomini, giovani e anziani, laici, famiglie e consacrate/i, che animano le nostre comunità. L’attuale contesto socio-culturale, insieme a contraddizioni e ambiguità, offre particolari opportunità di crescita più autentica in questo ambito. La libertà con cui si affrontano oggi questi temi è buona premessa perché anche nel contesto della formazione dei candidati al presbiterato ci possano essere frutti di sempre maggiore maturità umana, affettiva, psichica e spirituale”.

In questo discernimento è importante la relazione: “Durante il discernimento e il percorso formativo, i formatori devono favorire nei candidati uno stile relazionale aperto alla discussione e fondato sulla sincerità. Occorre infatti stimolare il candidato ad una profonda autovalutazione attraverso il confronto con l’altro in un percorso di maturazione finalizzato al raggiungimento di un equilibrio generale che permetta al candidato di prendere sempre più consapevolezza e coscienza di sé, della propria personalità e di tutte le parti che contribuiscono a definirla, compresa quella sessuale e il proprio orientamento, in modo da integrarle e gestirle con sufficiente libertà e serenità, coerentemente con la natura e gli obiettivi propri della vocazione presbiterale. E’ essa a ispirare vita e stile relazionale del sacerdote celibe e casto”.

In tale capitolo un paragrafo è ‘dedicato’ alla formazione della personalità del candidato, ovvero sulla castità: “Nel processo formativo, quando si fa riferimento a tendenze omosessuali, è anche opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, così come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale… La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore”.

E’ un superamento per migliorare la propria consapevolezza: “Questo non significa solo controllare i propri impulsi sessuali, ma crescere in una qualità di relazioni evangeliche che superi le forme della possessività, che non si lasci sequestrare dalla competizione e dal confronto con gli altri e sappia custodire con rispetto i confini dell’intimità propria e altrui. Essere consapevole di ciò è fondamentale e indispensabile per realizzare l’impegno o la vocazione presbiterale, ma chi vive la passione per il Regno nel celibato dovrebbe diventare anche capace di motivare, nella rinuncia per esso, le frustrazioni, compresa la mancata gratificazione affettiva e sessuale”.

Per questo i vescovi chiedono più attenzione verso chi chiede di essere ammesso in seminario: “Massima attenzione dovrà essere prestata al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione al Seminario maggiore non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito.”

Nel quarto capitolo si parla della formazione nel Seminario Maggiore che viene presentata come unica, integrale, comunitaria e missionaria: non si esaurisce nell’apprendimento di nuovi contenuti, né si limita ai comportamenti morali o disciplinari, ma deve riguardare il campo delle motivazioni e delle convinzioni personali, è formazione della coscienza: “I candidati al presbiterato siano perciò provocati ad avere cuore e mentalità missionari, ad allargare gli orizzonti del loro impegno apostolico e a essere disponibili alla missione.

C’è una missionarietà del cuore che si manifesta nella piena disponibilità a ‘faticare’ per il Vangelo ed a privilegiare l’incontro con chi non crede o non pratica; c’è una missionarietà all’interno della Diocesi e delle parrocchie, che richiede disponibilità all’itineranza e alla mobilità interparrocchiale; c’è una missionarietà ad gentes, che si esprime nel servizio come preti fidei donum e nella cooperazione fra le Chiese”.

Nel quinto capitolo  è recepita la richiesta emersa nel Cammino sinodale di allargare la condivisione dell’opera formativa dei seminaristi: “Coloro che entrano in seminario sono chiamati innanzitutto a confrontarsi per avere conferma che il Signore li chiami a vivere la grazia battesimale nella forma specifica del ministero presbiterale. Per verificare la chiamata del Signore bisogna che essi si mettano ai piedi del Maestro, per essere con lui, frequentarlo, conoscerlo e diventare continuamente discepoli missionari nella vita con gli altri, mettendo alla prova sé stessi. , coinvolgendo la comunità ecclesiale e invitando a pensare creativamente le forme di collaborazione possibili con particolare riguardo alla figura femminile”.

Papa Francesco invita a formare i giovani

Dopo l’incontro con i partecipanti agli Stati generali della Natalità papa Francesco in Vaticano ha incontrato i teologi della ‘Rete Internazionale della Società di Teologia Cattolica’, il cui intervento è stato solo consegnato, definendo la teologia un ministero ecclesiale ‘prezioso’ per alcuni motivi: “Anzitutto, perché appartiene alla fede cattolica il rendere ragione della speranza a chiunque lo chieda. E sappiamo che la speranza non è un’emozione o un sentimento, ma la persona stessa di Gesù, via verità e vita.

Poi, la teologia è preziosa nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, in società multietniche in continua mobilità, con interconnessione di popoli, lingue e culture diverse da orientare, con consapevolezza critica, verso la costruzione di una convivenza nella pace, nella solidarietà e nella fratellanza universale e nella cura della nostra casa comune”.

Ha inoltre sottolineato l’importanza di mantenere una tradizione ‘vivente’: “Allora deve crescere, incarnando il Vangelo in ogni angolo della terra e in tutte le culture. Perché il Vangelo annuncia l’evento di Gesù morto e risorto ed è sapienza di vita per tutti: è il sapere per l’esistenza umana, la cui luce entra nelle fibre di tutta la realtà indagata dalle scienze. La transdisciplinarietà dei saperi non è, pertanto, una moda del momento, ma è un’esigenza della scienza teologica: essa infatti ‘ascolta’ le scoperte degli altri saperi per approfondire le dottrine delle fede, mentre offre la sapienza cristiana per lo sviluppo umano delle scienze”.

Ecco l’invito a scoprire il ‘carattere sapienziale’ della teologia, come ha sempre ribadito papa Benedetto XVI: “Questo allargamento deve avvenire anche nella teologia, perché sia sapere critico per la vita di ogni essere umano e del Popolo di Dio, unendo scienza e virtù, ragione critica e amore. Perché la fede cattolica è fede che opera attraverso la carità, altrimenti è fede morta”.

Ugualmente con la delegazione del ‘Merrimack College’ ha incentrato la riflessione sulla missione di educare i giovani ad affrontare le sfide per crescere nella solidarietà: “Si tratta, allora, di formare le nuove generazioni a vivere le difficoltà come opportunità, non tanto per lanciarsi verso un futuro ricco di denaro e di successo, quanto d’amore: per edificare insieme un umanesimo solidale…

Ad esempio, è vero che la globalizzazione in atto presenta aspetti negativi, quali l’isolamento, l’emarginazione e la cultura dello scarto; al tempo stesso, però, ne ha anche di positivi, come la possibilità di amplificare e ingrandire la solidarietà e di promuovere l’equità, attraverso mezzi e potenzialità sconosciuti a chi ci ha preceduto, come abbiamo visto in tempi recenti, in occasione di disastri climatici e guerre”.

Mentre alla delegazione spagnolo dell’Istituto Superiore di Liturgia di Barcellona ha indicato come modello di discernimento san Benedetto: “Forse per questo, San Benedetto, agli albori del discernimento vocazionale dei suoi monaci (che possiamo accogliere come lezione per ogni cristiano e per ogni liturgo) ci pone come criterio per vedere se si cerca veramente Dio il fatto che il candidato sia pronto per l’opera di Dio, per la partecipazione alla Liturgia divina, nel suo significato d’incontro personale e comunitario con Dio”.

Ed anche nella liturgia è necessaria l’obbedienza per rendere la vita una ‘liturgia’ quotidiana: “Ma senza dimenticare quella stessa urgenza per l’obbedienza, ossia per il servizio, per vivere il mandato supremo dell’amore fraterno, in ciò che Dio ci vorrà chiedere; e per le umiliazioni, abbracciando la croce, lasciandoci modellare da Dio e toccando la piaga aperta del Signore nelle membra del suo Corpo mistico”.

Infine ha inviato un messaggio al card. Czerny, presidente della Fondazione ‘Giovanni Paolo II per il Sahel’, in occasione del 40^ anniversario della creazione, ricordando l’appello del papa san Giovanni Paolo II, che invitava a ‘lavorare’ per la pace, la giustizia e la sicurezza, in modo da non svilire la dignità umana:

“Paesi di questa regione dell’Africa occidentale stanno ancora attraversando una crisi che minaccia sempre più la pace, la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo. Questi fenomeni sono collegati al terrorismo, alla precarietà economica, al cambiamento climatico ed aggravano la vulnerabilità degli Stati e la povertà dei cittadini, con la conseguenza della migrazione dei giovani”.

Nel messaggio il papa ha ricordato le parole care al papa santo: “In questo giorno di commemorazione, facendo eco alle grida del cuore del Santo Papa Giovanni Paolo II, ribadisco oggi il suo appello a tutte le persone di buona volontà del mondo: lavorare per la sicurezza, la giustizia, la pace nella Sahel! La pace consente uno sviluppo umano integrale, che si costruisce giorno dopo giorno nella ricerca dell’ordine voluto da Dio, e può fiorire solo quando tutti riconoscono la propria responsabilità nella sua promozione”.

Infine ha evidenziato la responsabilità delle ‘parti interessate’: “Non c’è più tempo per aspettare, dobbiamo agire! Nessuno può negare il diritto fondamentale di ogni essere umano a vivere con dignità e a realizzare il proprio pieno potenziale”.

(Foto: Santa Sede)

La Chiesa ha ricordato i martiri copti

Giovedì 15 febbraio scorso nella basilica di san Pietro si è svolta la prima commemorazione dei 21 Martiri Copti di Libia, il cui inserimento nel Martirologio Romano era stato annunciato da papa Francesco nello scorso 11 maggio, organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stata presieduta dal card. Kurt Koch, con la partecipazione di mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto-cattolico emerito di Ghizeh, di p. Thaouphilos, vicario generale della diocesi copto-ortodossa di Torino-Roma, di don Antonio Gabriel, parroco della chiesa copta di san Mina a Roma, animata dal coro copto di Roma.

Nell’omelia il card. Koch ha sottolineato il significato di sacrificio: “La croce di Gesù mostra chiaramente che l’amore non può esistere senza l’investimento della propria vita a favore degli altri, e testimonia ciò che la fede cristiana intende per sacrificio. Il vero sacrificio di Gesù Cristo non consiste nel sacrificio di animali o nell’offerta di beni materiali a Dio, ma risiede nel dono di sé da parte del Figlio al Padre, per noi uomini.

Non poteva essere sufficiente che Gesù offrisse a Dio cose materiali: animali o altri doni, come avveniva nel Tempio di Gerusalemme. Gesù non ha offerto nulla se non se stesso. Per questo è diventato il nuovo Tempio e ha introdotto nel mondo una nuova forma di culto, realizzandola sulla croce tramite il dono della sua vita per noi”.

Il ‘sacrificio’ di Gesù mostra che Egli ama l’umanità: “Questa nuova liturgia è il sacrificio che Gesù ha compiuto non solo per mostrarci il suo amore a parole, con dichiarazioni astratte, ma per farci sperimentare il suo amore, che è senza limiti, nel dono della sua vita. La croce è la manifestazione del più grande amore di Gesù; essa mostra che Gesù Cristo è il primo martire, e dunque il vero amico dell’uomo”.

Però il martirio non è fine a se stesso: “La passione di Gesù è il primo martirio e, allo stesso tempo, è il modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella sua sequela e donano la propria vita per amore di Lui, avendo così parte al suo martirio. Il martirio originale di Gesù mostra cosa è un martire nello spirito cristiano.

Come Gesù si è conformato interamente alla volontà del Padre celeste per noi uomini e ha dato la vita sulla croce a motivo del suo amore infinito per noi, così anche il martire cristiano non cerca il martirio, ma se il martirio giunge in maniera inevitabile lo prende su di sé, come conseguenza della lealtà alla sua fede”.

L’essere ucciso non costituisce di per sé il martirio: “Pertanto il fatto di essere uccisi non costituisce in sé il martirio secondo la tradizione della Chiesa cattolica. Non è la morte in sé a fare del cristiano un martire, ma è piuttosto il suo intento e quindi la sua disposizione interiore, come ha notato sant’Agostino: ‘Christi martirem non facit poena, sed causa’. Se per il martirio cristiano prendiamo come esempio Gesù Cristo, allora il suo segno distintivo sarà l’amore. Il martire mette in pratica la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte”.

Ciò è stato vissuto dai martiri coopti ortodossi: “I martiri copti ortodossi, che sono stati uccisi crudelmente in Libia il 15 febbraio 2015 e che oggi ricordiamo con gratitudine per la loro testimonianza di fede, hanno testimoniato ciò con il sacrificio della loro vita… I martiri della Chiesa non sono un fenomeno marginale, ma costituiscono il suo fulcro fondamentale”.

Perciò il martirio è un aspetto essenziale del cristianesimo: “Questa convinzione si è rivelata vera ripetutamente nel corso della storia della Chiesa. Ciò si riconferma anche nel mondo odierno, dove si contano addirittura più martiri rispetto al tempo delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che oggi sono perseguitati a causa della loro fede sono cristiani. Attualmente, la fede cristiana è la religione più perseguitata. La cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, in misura incomparabile”.

E l’ecumenismo dei martiri era stato evidenziato da san Giovanni Paolo II durante l’Anno Santo del 2000: “Nell’ecumenismo dei martiri, papa Giovanni Paolo II aveva già ravvisato una fondamentale unità tra noi cristiani e aveva sperato che i martiri potessero aiutare la cristianità a ritrovare la piena comunione…

Come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri sarebbe stato seme di nuovi cristiani, così anche oggi possiamo nutrire la speranza nella fede che il sangue di tanti martiri del nostro tempo possa un giorno rivelarsi seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo, ferito da così tante divisioni. In fondo, nel sangue dei martiri (possiamo esserne certi) siamo già diventati una cosa sola”.

Quindi i martiri pongono la sfida dell’unità dei cristiani: “Difatti, la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo odierno costituisce un’esperienza comune che ci aiuta ad avvicinarci gli uni agli altri. E la comunione dei martiri parla senza dubbio in maniera più eloquente delle divisioni che ancora oggi ci dividono.

In questo spirito di ecumenismo del sangue, papa Francesco ha sempre considerato molto importante la testimonianza dei martiri copti ortodossi. Includendoli nel Martirologio Romano come ‘segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese’, egli ha voluto mostrare che i martiri copti ortodossi sono testimoni della fede anche nella Chiesa cattolica, e che dunque sono anche i nostri martiri”.

Al termine della celebrazione è stato proiettato ‘I 21. La potenza della fede’, un documentario sulla vita dei martiri girato proprio nel villaggio da dove provenivano i martiri, che aveva il patrocinio del Patriarcato coopto.

(Foto: Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani)

Cresce il mercato degli articoli religiosi in Italia

Cresce ancora il mercato degli articoli religiosi prodotti in Italia, dopo i primi segnali positivi registrati nello scorso anno seguiti alla pesante crisi del periodo pandemico. Sono infatti oltre 3.000 le aziende attive in questo settore, soprattutto piccole e medie imprese a gestione familiare, che nel 2023 hanno fatto registrare un fatturato intorno ad € 700.000.000, con un aumento di oltre il 10% rispetto ai risultati pre-covid del 2019.

Nuovi luoghi di incontro ed accoglienza in conventi e seminari a ‘Devotio 2024’

Alloggi per genitori di bambini ricoverati in ospedale, strutture di accoglienza per persone disagiate, centri di spiritualità per sacerdoti, spazi per attività culturali e anche un ristorante gourmet. Sono queste alcune delle iniziative di diocesi, comunità religiose e associazioni che saranno presentate al convegno ‘Ripartire dall’incontro: luoghi dell’annuncio e spazi di comunità’, che si svolgerà durante ‘Devotio 2024’, quarta edizione della più grande fiera internazionale sui prodotti e i servizi per il mondo religioso, in programma dall’11 al 13 febbraio a BolognaFiere.

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