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Papa Francesco: fare la volontà di Dio

“Con queste parole l’autore della Lettera agli Ebrei manifesta la piena adesione di Gesù al progetto del Padre. Oggi le leggiamo nella festa della Presentazione del Signore, Giornata mondiale della Vita Consacrata, durante il Giubileo della speranza, in un contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce. E tutti voi, sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come ‘Sposa davanti allo Sposo… avvolta dalla sua luce’; vi siete consacrati a quello stesso disegno luminoso del Padre che risale alle origini del mondo… Riflettiamo allora su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete professato, anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo”.
Prendendo spunto dalla lettera agli Ebrei di san Paolo (‘Ecco io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà’) papa Francesco nel pomeriggio ha celebrato la XXIX Giornata Mondiale della Vita Consacrata, che ricorre ogni anno nella festa della Presentazione di Gesù al tempio, in cui ha invitato sui tre voti, di cui il primo è la povertà: “Essa ha le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Esercitando così la povertà, la persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza (egoismo, cupidigia, dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte) ed abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà. E Paolo lo dice: ‘Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio’. Questo è la povertà”.
La seconda ‘luce’ riguarda la castità, che ha origine anche essa nella Trinità: “La sua professione, nella rinuncia all’amore coniugale e nella via della continenza, ribadisce il primato assoluto, per l’essere umano, dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale, e lo indica come fonte e modello di ogni altro amore. Lo sappiamo, noi stiamo vivendo in un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del ‘ciò che piace a me’ spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo”.
La ‘castità’ consacrata è una ‘medicina’ che libera dal male: “Che medicina per l’anima è incontrare religiose e religiosi capaci di una relazionalità matura e gioiosa di questo tipo! Sono un riflesso dell’amore divino. A tal fine, però, è importante, nelle nostre comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, già dalla formazione iniziale, anche in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di vere e proprie ‘doppie vite’. La lotta contro la tentazione della doppia vita è quotidiana”.
Infine il papa ha offerto la ‘luce’ dell’obbedienza: “E’ proprio la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai incontrarsi davvero, perché non ci si mette veramente in gioco l’uno per l’altro”.
E’ stato un invito al dialogo: “Tante volte, nel dialogo quotidiano, prima che uno finisca di parlare, già esce la risposta. Non si ascolta. Ascoltarci prima di rispondere. Accogliere la parola dell’altro come un messaggio, come un tesoro, anche come un aiuto per me. L’obbedienza consacrata è un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo… Solo così la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio”.
E’ stato anche un invito a ritornare alle origini, cioè all’adorazione: “Ritorno proprio all’origine della nostra vita. In proposito, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il primo e più importante ‘ritorno alle origini’ di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo ed al suo ‘sì’ al Padre. Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le ‘tavole rotonde’ (si devono fare, sono utili) si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione. Sorelle, fratelli, noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Siamo troppo pratici, vogliamo fare le cose, ma … Adorare. Adorare. La capacità di adorazione nel silenzio”.
Sempre nel pomeriggio il papa ha avuto un incontro online con alcuni giovani ucraini a Kyiv e in altre città dell’Europa e dell’America, secondo un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, in cui il papa ha ricordato la vita di Oleksandr, giovane combattente di cui conserva il libretto del Vangelo e dei Salmi e il rosario ‘come reliquie’ sulla scrivania, ma ha anche domandato loro di avere sogni, esprimendo il suo desiderio di pace per l’Ucraina: ‘la pace si costruisce col dialogo, non stancatevi di dialogare’ ed anche se a volte è difficile, fare sempre lo sforzo di cercare il dialogo.
(Santa Sede)
Epifania del Signore: Dio si manifesta alle genti

L’Epifania è la ‘manifestazione’ di Gesù a tutte le genti; è la festa della vocazione missionaria della Chiesa istituita da Cristo Gesù. Con Abramo si era data vita al popolo ebreo, popolo di Dio, caratterizzato del ‘monoteismo’: credo in un Dio uno e unico ed Israele è il suo popolo. Con l’incarnazione del Verbo e la nascita di Gesù la benedizione di Dio è estesa a tutta l’umanità, chiamata ad essere il suo popolo.
Nel Natale del Signore una grande luce è scesa sulla terra e da Betlem si è irradiata a tutto il mondo: in mezzo al popolo ebreo con gli angeli che invitarono i pastori alla grotta; in mezzo al mondo ancora pagano con una stella cometa apparsa in Oriente ed i Magi che intravidero in essa la chiamata di Dio e subito partirono alla ricerca del Bambino Gesù. L’Epifania è l’evento che oggi la Chiesa celebra mostrando Gesù nell’Eucaristia: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo’; ecco la vera luce!
L’Epifania è la manifestazione di Dio all’umanità; per manifestarsi si è incarnato, ha preso un corpo nel grembo della Santissima Vergine e fu mostrato ai Pastori e ai Magi. Lo stesso avviene nell’Eucaristia; è lo stesso Gesù che i Magi e i Pastori videro Bambino, oggi, sotto il velo del pane e del vino, nella Messa è mostrato al popolo: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo’. Nella prima Epifania è Gesù bambino incarnato; nella Messa è lo stesso Gesù che è morto poi in croce ed è risorto aprendo a noi le porte del regno dei cieli.
Da qui la necessità all’inizio del nuovo anno di purificare il nostro cuore, consapevoli che non siamo figli della terra ma del cielo; saremo da Lui accolti se purificati; è necessario convertirsi all’amore verso Dio e verso i fratelli in nome di Dio, che è amore. L’arrivo dei Magi a Betlem per adorare il Re dei Giudei, è il segno eclatante della manifestazione di Gesù come Re universale, Re di tutti i popoli.
L’arrivo dei Magi è un movimento di amore e di unione, opposto a quello avvenuto con la costruzione della torre di Babele, quando gli uomini vollero costruire una torre alta sino al cielo e Dio confuse le loro lingue e dovettero disperdersi.. Betlem è il richiamo del popolo di Dio (i pastori) e dei popoli pagani ( i Magi che vengono dall’oriente). Si passa così dalla dispersione alla riconciliazione, è il richiamo che ci ricorda la pentecoste e il dono delle lingue.
I Magi sono la primizia della chiamata alla fede, i primi pagani a ricevere l’annuncio della rivelazione dell’amore di Dio verso l’umanità. I Magi sono i veri ricercatori di Dio: camminano sulla terra guardando il cielo, la meta del viaggio è chiara: essi chiedono: ‘Dove è nato il re dei Giudei?’ E’ la stessa espressione che diventa ‘capo di accusa’ portata avanti dai Capi del popolo e dai Sommi sacerdoti contro Gesù davanti a Ponzio Pilato: ‘Dice di essere re; noi non abbiamo altro re che Cesare!’
I Magi arrivarono a Betlem, fecero i loro doni. oro, incenso e mirra. L’Epifania che oggi celebriamo è la manifestazione di Gesù presente in noi ogni volta che celebriamo la messa e ci avviciniamo alla Comunione. Infatti è lo stesso Gesù che nacque a Betlem. I magi si inginocchiano ed adorano lo stesso Dio che noi adoriamo nell’Eucaristia: i Magi videro il bambino Gesù con Maria, sua madre, ed adorarono il Figlio di Dio incarnato; noi vediamo nell’Eucaristia il Pane e i Vino, frutto del lavoro dell’uomo, e sotto quelle apparenze adoriamo il Figlio di Dio incarnato per amore e presente in mezzo a noi.
La Messa che celebriamo è la suprema Epifania che si ripete, dove Gesù, vero Dio e vero uomo, mostra all’umanità tutto il suo amore ed invita ogni credente: ‘Siete stanchi, affaticati, venite a me ed Io vi ristorerò’. Come Maria presentò il Bambino ai Magi ed essi adorarono il Figlio di Dio, così nella messa il sacerdote dice: ecco l’agnello i Dio che toglie i peccati del mondo. Amici carissimi, ogni celebrazione della messa è l’Epifania che si ripete: la Madonna ci aiuti a vivere con fede profonda il nostro essere cristiani.
Papa Francesco: Dio condivide la vita umana

Nell’Angelus odierna papa Francesco, incoraggiando i presente in piazza san Pietro nonostante la pioggia, ha raccontato la ‘potenza’ del brano evangelico odierno: “Oggi il Vangelo, parlandoci di Gesù, Verbo fatto carne, ci dice che ‘la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta’. Ci ricorda, cioè, quanto è potente l’amore di Dio, che non si lascia vincere da nulla e che, al di là di ostacoli e rifiuti, continua a risplendere e a illuminare il nostro cammino”.
Attraverso il Vangelo di questa domenica Dio si manifesta nell’umiltà: “Lo vediamo nel Natale, quando il Figlio di Dio, fattosi uomo, supera tanti muri e tante divisioni. Affronta la chiusura di mente e di cuore dei ‘grandi’ del suo tempo, preoccupati più di difendere il potere che di cercare il Signore.
Condivide la vita umile di Maria e Giuseppe, che lo accolgono e crescono con amore, ma con le possibilità limitate e i disagi di chi non ha mezzi: erano poveri. Si offre, fragile e indifeso, all’incontro con i pastori, uomini dal cuore segnato dalle asprezze della vita e dal disprezzo della società; e poi con i Magi, che spinti dal desiderio di conoscerlo affrontano un lungo viaggio e lo trovano in una casa di gente comune, in grande povertà”.
E nonostante le ‘chiusure’Dio continua ad elargire misericordia: “Di fronte a queste e a tante altre sfide, che sembrano contraddizioni, Dio non si ferma mai: trova mille modi per arrivare a tutti e a ciascuno di noi, là dove ci troviamo, senza calcoli e senza condizioni, aprendo anche nelle notti più oscure dell’umanità finestre di luce che il buio non può coprire. E’ una realtà che ci consola e che ci dà coraggio, specialmente in un tempo come il nostro, un tempo non facile, dove c’è tanto bisogno di luce, di speranza e di pace, un mondo dove gli uomini a volte creano situazioni così complicate, che sembra impossibile uscirne”.
Quindi il Vangelo odierno è stato un invito ad aprirsi all’amore: “Sembra impossibile uscire da tante situazioni, ma oggi la Parola di Dio ci dice che non è così! Anzi, ci chiama a imitare il Dio dell’amore, aprendo spiragli di luce dovunque possiamo, con chiunque incontriamo, in ogni contesto: familiare, sociale, internazionale. Ci invita a non aver paura di fare il primo passo. Questo è l’invito del Signore oggi: non abbiamo paura di fare il primo passo: ci vuole coraggio per farlo, ma non abbiamo paura”.
Ci si apre all’amore attraverso una risposta positiva alla vita: “Spalancando finestre luminose di vicinanza a chi soffre, di perdono, di compassione, di riconciliazione: questi sono i tanti primi passi che noi dobbiamo fare per rendere il cammino più chiaro, sicuro e possibile per tutti. E questo invito risuona in modo particolare nell’Anno giubilare da poco iniziato, sollecitandoci ad essere messaggeri di speranza con semplici ma concreti ‘sì’ alla vita, con scelte che portano vita. Facciamolo, tutti: è questa la via della salvezza!”
Ed oggi è stata aperta anche l’ultima Porta Santa romana, quella della Basilica di San Paolo fuori le Mura, con una celebrazione eucaristica del card. James Michael Harvey, arciprete della Basilica, che nell’omelia ha fatto riferimento alla gioia e alla speranza che caratterizzano il tempo di Natale e quello del Giubileo: “La Chiesa fa un ulteriore passo decisivo nella sua storia millenaria… Le parole che il salmista canta alla città santa Gerusalemme ora la liturgia le canta alla Chiesa universale e a ogni singolo membro di essa.
Questa mattina con l’apertura della Porta Santa, un atto tanto semplice quanto suggestivo, abbiamo varcato la soglia del tempio sacro con immensa gioia perché in modo emblematico abbiamo varcato la porta della speranza. La gioia e la speranza sono il binomio del rito liturgico. Gioia perché è nato il Salvatore, speranza perché Cristo Salvatore è la nostra speranza. E’ la letizia del tempo natalizio in cui il mondo cristiano contempla il disegno di salvezza di Dio».
L’arciprete della Basilica ha ricordato che lo scopo dell’incarnazione del Figlio di Dio è non solo “essere in mezzo a noi ma essere uno di noi. Ci ha comunicato la sua stessa vita filiale per metterci in rapporto intimo con Dio. In Gesù riceviamo l’adozione a figli, ci conduce in una pienezza di vita insuperabile… La gioia è il sentimento giusto anche per il dono della redenzione.
L’apertura della Porta Santa segna il passaggio salvifico aperto da Cristo chiamando tutti i membri della Chiesa a riconciliarsi con Dio e con il prossimo. Varcando con fede questa soglia entriamo nel tempio della misericordia e del perdono. Quanto abbiamo bisogno adesso della speranza, in questo periodo post-pandemia ferito da tragedie, guerre, crisi di varia natura. La speranza è indubbiamente legata al futuro ma si sperimenta anche nel presente”.
Concludendo l’omelia il cardinale ha ricordato che “la città eterna si prepara ad accogliere pellegrini di tutto il mondo; anche noi di Roma ripetiamo gesti che caratterizzano l’esperienza giubilare e la viviamo come speciale dono di grazia, penitenza e perdono dei peccati. La Chiesa invita ciascun pellegrino a percorrere un viaggio spirituale sulle orme della fede. Nello spirito di veri pellegrini, camminando per così dire con la croce in mano, accogliamo con gioia l’appello rivolto a tutta la Chiesa dal papa, un appello pressante e impegnativo, a non accontentarci solo di avere ma anche irradiare speranza, essere seminatori di speranza. E’ il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera”.
Mentre nei giorni precedenti il card. Rolandas Makrickas aveva aperto la porta santa della basilica di santa Maria Maggiore: “Dalla cima dell’Esquilino, punto più elevato del centro di Roma, fin dal primo Giubileo della Chiesa essa continua sino ad oggi a diffondere il suo suono per tutta la Città Eterna, a conforto di ogni pellegrino. Il suono di questa campana non solo scandisce le ore e i tempi per la preghiera, ma trasforma in suono la tradizionale immagine ascritta a Maria, quella di guida e segnavia, la Stella Maris, che illumina il cammino nel buio della notte”.
Nell’omelia il cardinale si è soffermato sul valore della ‘pienezza del tempo’: “Il tempo acquista la sua pienezza quando è unito all’eternità, cioè con il tempo infinito di Dio. Il tempo è una grande creatura di Dio. L’uomo spesso e in diversi modi ha voluto aumentare o perfezionare il tempo con le nuove tecnologie, ma ogni suo tentativo si risolve sempre nella sua perdita o in quella che potremmo definire la ‘stanchezza del tempo’. Basti pensare ai computer o ai telefonini: progettati per salvare e arricchire il tempo, ne diventano spesso i suoi peggiori nemici. Non ci si può, invece, sentire mai sperduti, persi o stanchi del tempo vissuto con Dio”.
In questa chiesa è custodita l’icona mariana della ‘Salus Populi Romani’: “Ogni pellegrino che varcherà la soglia della Porta Santa di questo primo santuario Mariano d’Occidente durante l’Anno Giubilare si disporrà alla preghiera di fronte all’icona della Madre di Dio, Salus Populi Romani, e di fronte alla Sacra Culla di Gesù e non potrà uscire di qui senza avvertire una sensazione particolare”.
(Foto: Santa Sede)
Seconda domenica di Natale: il Verbo si fece carne!

La liturgia oggi ci invita a meditare il Natale dal prologo del Vangelo di Giovanni: una descrizione altamente filosofica e teologica che fa gustare la grandezza del mistero della nascita di Gesù, vero Dio e vero uomo. ‘In principio era il Verbo’: il termine ‘Verbo’ traduce in italiano la parola ‘Verbum’, in greco ‘Logos’; questo termine esprime sia la parola così come esce dalle labbra sia il concetto che esso vuole significare. Ogni termine esprime un ‘concetto od idea’; la grande ‘Parola’ o ‘Verbum’ divino esprime la Sapienza eterna del Padre, che è eterno; il grande poeta Dante nella Divina Commedia sulla porte dell’inferno evidenzia la scritta: ‘Fecimi la Divina potestate (Padre), la Somma Sapienza (Figlio) e il Primo Amore (lo Spirito santo)’.
Gesù é il Verbum o Sapienza eterna incarnatasi nel seno purissimo della vergine Maria. La creazione del mondo operata da Dio è opera della sapienza eterna: ‘Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste’. La nascita di Gesù è perciò la luce divina che è venuta per irradiare il cammino dell’uomo, che, a causa del peccato, viveva nelle tenebre, nell’oscurità più profonda perchè lontano da Dio, fonte della luce vera. Il prologo di questo Vangelo costituisce una sintesi mirabile di tutto il Vangelo di Giovanni.
La nascita od incarnazione del Logos (o sapienza eterna) fu preparata ed annunziata da Giovanni Battista, che non era la luce ma era nato per rendere testimonianza alla Luce vera. Quando qualcuno cominciò a scambiare Giovanni Battista per il Messia, Giovanni evidenziò: ‘Io non sono degno neppure di sciogliere i legacci dei suoi sandali … io battezzo con acqua ma Gesù, il messia, battezzerà con lo spirito santo e il fuoco!’
La nascita di Gesù era stata preannunciata dai profeti, che parlavano in nome di Dio; il popolo purtroppo, che viveva spesso nelle tenebre trascurando l’insegnamento dei profeti, aveva con il tempo deformato la figura del Messia trasformandolo in un ‘guerriero’, un re alla maniera umana. Gesù, sapienza eterna, nato dalla vergine Maria a Betlemme, come predetto dai profeti, venne tra i suoi, ma questi non lo riconobbero, non si trovò posto per Lui nella città e fu costretto a nascere in una grotta.
La sua nascita fu annunziata da una luce: ai pastori (gli angeli), ai magi (una stella cometa) e subito vennero ad adorarlo. L’incarnazione del Verbo è perciò un evento, un fatto incontrovertibile d cui si può prendere atto e non scaturisce da una speculazione filosofica e scientifica ma da un intervento particolare di Dio. Questo evento divino non si dimostra ma si accetta con fede viva e profonda, chi lo accetta sarà chiamato ad essere ‘figlio di Dio’ innestandosi a Cristo Gesù con il battesimo.
L’evento dell’incarnazione è avvenuto nel tempo ma non è legato al tempo: è un mistero dell’amore di Dio. Nella sua infinita misericordia Dio ha voluto salvare l’uomo ma nel rispetto della sua libertà: Dio vuole tutti salvi ma non costringe nessuno. Ciascuno di noi deve fare la sua scelta: accogliere o meno l’opera di Cristo Gesù non con le parole ma con i fatti; una persona non si salva perchè è giusta, osserva le leggi, ma si salva solo se accoglie Cristo e il suo messaggio di amore: ‘A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio’.
Accogliere Cristo significa innestarsi a Lui con il battesimo e amare Dio ed i fratelli in nome di Dio; Dio infatti è amore. All’inizio del nuovo anno, amico che leggi o ascolti, ti invito a camminare con il piede giusto: ama e sarai dalla parte di Cristo Gesù. La preghiera, il riflettere sulla parola di Dio, partecipare alla Messa sono mezzi insostituibili per vivere ed accogliere l’evento dell’Incarnazione del Verbo eterno.
Da Gaza un appello alla pace

Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha concluso questa mattina la sua visita di solidarietà alla comunità cristiana di Gaza rientrando a mezzogiorno a Gerusalemme; durante la visita, fa sapere il Patriarcato latino, “il cardinale ha presieduto la celebrazione eucaristica della Natività del Signore presso la Chiesa della Sacra Famiglia, pregando con i fedeli e portando un messaggio di speranza e resilienza alla comunità parrocchiale. Sua Beatitudine ha anche incontrato l’arcivescovo Alexios nella parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio, sottolineando lo spirito di fraternità e di unità tra le comunità cristiane di Gaza”.
Il patriarca, spiegano dal Patriarcato, ha anche visionato “le iniziative di aiuto umanitario in corso organizzate dal Patriarcato latino e dal Sovrano Ordine di Malta. Ha verificato i risultati delle consegne di aiuti e ha valutato i bisogni urgenti della comunità locale. Insieme alla parrocchia locale, ha confermato le prossime tappe degli aiuti umanitari e ha approvato i piani e le iniziative per l’apertura della scuola”. Infine il patriarca “prega affinché questo Natale porti una rinnovata speranza per la fine della tragedia in corso a Gaza e nella regi regione in generale, segnando l’inizio di un futuro più luminoso e pacifico per tutti”.
In tale visita ieri il patriarca di Gerusalemme ha officiato a Gaza la celebrazione eucaristica di Natale alla chiesa della Santa Famiglia, esprimendo la propria gioia: “Innanzitutto esprimo la mia grande gioia di essere oggi in mezzo a voi e vi porgo i saluti di tutti coloro che vi trasmettono il loro amore, le loro preghiere e la loro solidarietà. Tutti volevano venire a stare con voi e portare doni, ma non abbiamo potuto portare molto. Siete diventati la luce della nostra Chiesa nel mondo intero”.
Il card. Pizzaballa a Gaza ha parlato di luce: “A Natale celebriamo la luce e ci chiediamo: dov’è questa luce? La luce è qui, in questa chiesa. L’inizio della luce è Gesù Cristo, che è la fonte della nostra vita. Se siamo una luce per il mondo, è solo grazie a Lui. A Natale, prego che Gesù ci conceda questa luce”.
Una luce che sappia squarciare le tenebre ordite dagli uomini: “Viviamo in un tempo pieno di tenebre, e non c’è bisogno di approfondire perché lo sapete bene. In questi momenti, dobbiamo innanzitutto guardare a Gesù, perché Lui ci dà la forza di sopportare questo periodo buio. Nell’ultimo anno abbiamo imparato che non possiamo fare affidamento sugli uomini.
Quante promesse sono state fatte e mai mantenute? E quanta violenza e odio sono nati a causa delle persone? Per rimanere saldi nella speranza, dobbiamo essere profondamente radicati in Gesù. Se siamo legati a Lui, possiamo guardarci l’un l’altro in modo diverso”.
Nell’omelia ha parlato chiaramente di una speranza che la guerra terminerà con la Chiesa che sarà a fianco di questo popolo che abita Gaza: “Non so quando o come finirà questa guerra, e ogni volta che ci avviciniamo alla fine, sembra di ricominciare da capo. Ma prima o poi la guerra finirà e non dobbiamo perdere la speranza. Quando la guerra finirà, ricostruiremo tutto: le nostre scuole, i nostri ospedali e le nostre case.
Dobbiamo rimanere resilienti e pieni di forza. E ripeto: non vi abbandoneremo mai e faremo tutto il possibile per sostenervi e assistervi. Ma soprattutto non dobbiamo permettere all’odio di infiltrarsi nei nostri cuori. Se vogliamo rimanere una luce, dobbiamo mettere i nostri cuori a disposizione solo di Gesù”.
Tale situazione è una ‘sfida’ per la fede, ribadendo che Dio è l’Emmanuele: “Quest’anno è stato una sfida significativa per la nostra fede, per tutti noi e soprattutto per voi… Dobbiamo rimanere saldi nella nostra fede, pregare per la fine di questa guerra e confidare completamente nel fatto che, con Cristo, nulla può vincerci”.
Ma nelle tenebre è sorta una Luce: “Nonostante la violenza di cui siamo stati testimoni lo scorso anno, abbiamo assistito anche a molti miracoli. In mezzo alle tenebre, c’erano persone che volevano aiutare e non si sono fatte ostacolare da nulla. Il mondo intero, non solo i cristiani, ha voluto sostenervi e stare al vostro fianco. La guerra finirà e ricostruiremo di nuovo, ma dobbiamo custodire i nostri cuori per essere capaci di ricostruire. Vi amiamo, quindi non temete e non arrendetevi mai”.
E’ stato un appello a non scoraggiarsi, ma a mantenere ‘viva’ la Luce: “Dobbiamo preservare la nostra unità per mantenere la luce di Cristo qui a Gaza, nella nostra regione e nel mondo. Abbiamo una missione e anche voi dovete dare qualcosa, non solo ricevere. Il mondo che vi guarda deve vedere a chi appartenete, se alla luce o alle tenebre? Appartenete a Gesù, che dà la sua vita, o a un altro?”
Ed ha ringraziato loro per questa testimonianza: “Quando il mondo vi guarda, deve notare che noi siamo diversi… Grazie per tutto quello che fate. Forse non ve ne accorgete nella vostra difficile vita quotidiana, ma il mondo intero lo fa. Siamo tutti orgogliosi di voi, non solo per quello che fate, ma perché avete conservato la vostra identità di cristiani appartenenti a Gesù.
L’appartenenza a Gesù rende tutti amici, e la nostra vita diventa una vita di donazione a tutti. Concludo dicendo: Grazie. Che il Natale porti luce a ciascuno di noi. Non abbiate paura, perché nessuno può toglierci la luce di Cristo. Continuate a dare una buona testimonianza della fede cristiana”.
Mentre nel messaggio natalizio il card. Pizzaballa ha sottolineato che per Gesù non c’è stato un alloggio disponibile: ““Il Vangelo, inoltre ci dice che per questo evento importante della storia, la nascita del Salvatore, non c’è posto: ‘lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio’. Gesù entra nella storia così, come uno che non trova posto, che non si impone, che non esige, che non fa la guerra per trovarsi un posto.
Accetta di non avere posto, e va a cercare tutti coloro che, come Lui non hanno un posto nella storia, come i pastori. Gesù viene per loro, il segno è per loro, è il segno che il Salvatore vuole salvarci dalla sventura di non avere posto. Lui stesso, la sua vita, diventa la casa, lo spazio di tutti coloro che non hanno posto”.
Quindi il suo pensiero è andato a chi vive in Terra Santa: “Come non pensare ai tanti ultimi, per i quali sembra non esserci posto nel mondo, come pure ai tanti nostri fratelli e sorelle in questa nostra martoriata Terra Santa, per i quali non sembra esserci un posto, dignità e speranza?
All’annuncio dell’angelo, deve seguire una risposta. Una decisione: accogliere oppure no l’invito dell’angelo ad andare a vedere il Salvatore. La risposta, infatti, non è scontata. Non si muove Erode, non si muovono gli anziani di Gerusalemme. Gesù viene, ma non impone a nessuno di mettersi in cammino per andare a Lui. Non fa come Cesare Augusto, che obbliga tutti ad andare a censirsi”.
Però questa è la libertà di Dio fatto uomo, richiamando la responsabilità di ciascuno: “Gesù lascia liberi. Ci indica un segno, ma poi si rimette alla nostra libertà. Il Natale è il tempo della scelta, se mettersi in cammino verso Colui che viene, oppure no. Anche in questo Natale una possibilità ci è data, di far posto a Colui che non trova posto, per scoprire, poi, che Lui stesso è la nostra strada, la nostra casa, il nostro pane buono, la nostra speranza. E, lungo il cammino, scopriremo tanti fratelli e sorelle, bisognosi di casa e di pane, come noi, e per i quali fare posto e dare speranza”.
Mentre i vescovi italiani nell’augurio natalizio riprendono i messaggi del nunzio apostolico a Damasco, card. Mario Zenari, e di fr. Francesco Patton, custode di Terra Santa: “Conosciamo la situazione che diversi Paesi del Medio Oriente stanno vivendo ormai da diverso tempo, al pari di altri luoghi del mondo spesso dimenticati. Mentre accogliamo il Signore che viene tra noi e contempliamo il mistero del Dio fatto carne, il nostro pensiero e la nostra preghiera vanno proprio al dolore profondo che sta dilaniando intere nazioni”.
(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)
Papa Francesco: per Natale tacciano le armi

Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha incontrato i bambini del dispensario pediatrico Santa Marta: “Questa mattina ho avuto la gioia di stare con i bambini, con le loro mamme, che frequentano il Dispensario Santa Marta in Vaticano, portato avanti dalle Suore Vincenziane. Brave suore queste! Fra di loro c’è una suora che è come la nonna di tutti, la brava suor Antonietta, che ricordano con tanto amore. Ed a me questi bambini, erano tanti, mi hanno riempito il cuore di gioia. Ripeto: ‘Nessun bambino è un errore”. I bambini hanno consegnato un regalo al papa e la festa è continuata con i giocolieri.
Eppoi ha benedetto i ‘Bambinelli’: “E ora benedico i ‘Bambinelli’, io ho portato il mio. Le statuine di Gesù Bambino che voi, cari bambini e ragazzi, avete portato qui e che poi, tornando a casa, metterete nel presepe. Vi ringrazio di questo gesto semplice ma importante. Benedico di cuore tutti voi, i vostri genitori, i nonni, le vostre famiglie! E per favore non dimenticatevi dei vostri nonni! Che nessuno rimanga solo in questi giorni”.
Eppoi ha invitato i fedeli a pregare per la pace nelle zone di guerra: “Seguo sempre con attenzione e preoccupazione le notizie che giungono dal Mozambico, e desidero rinnovare a quell’amato popolo il mio messaggio di speranza, di pace e di riconciliazione. Prego affinché il dialogo e la ricerca del bene comune, sostenuti dalla fede e dalla buona volontà, prevalgano sulla sfiducia e sulla discordia.
La martoriata Ucraina continua ad essere colpita da attacchi contro le città, che a volte danneggiano scuole, ospedali, chiese. Tacciano le armi e risuonino i canti natalizi! Preghiamo perché a Natale possa cessare il fuoco su tutti i fronti di guerra, in Ucraina, in Terra Santa, in tutto il Medio Oriente e nel mondo intero. E con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà; ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e ospedali… Quanta crudeltà!”
Prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha raccontato l’incontro tra due donne in cinta, Maria ed Elisabetta, felici per la vita: “Entrambe hanno tanto di cui gioire, e forse potremmo sentirle lontane, protagoniste di miracoli così grandi, che non si verificano normalmente nella nostra esperienza. Il messaggio che l’Evangelista vuol darci, però, a pochi giorni dal Natale, è diverso.
Infatti, contemplare i segni prodigiosi dell’azione salvifica di Dio non deve mai farci sentire lontani da Lui, ma piuttosto aiutarci a riconoscere la sua presenza e il suo amore vicino a noi, ad esempio nel dono di ogni vita, di ogni bambino, e della sua mamma. Il dono della vita”.
Ed ha chiesto di non essere indifferenti davanti alla vita: “Per favore, non restiamo indifferenti alla loro presenza, impariamo a stupirci della loro bellezza, come hanno fatto Elisabetta e Maria, quella bellezza delle donne in attesa. Benediciamo le mamme e diamo lode a Dio per il miracolo della vita!”
E’ stato un invito a gioire davanti ad ogni nascita: “Ricordiamoci, però, di esprimere sentimenti di gioia ogni volta che incontriamo una madre che porta in braccio o in grembo il suo bambino. E quando ci succede, preghiamo nel nostro cuore e diciamo anche noi, come Elisabetta: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!’; cantiamo come Maria: ‘L’anima mia magnifica il Signore’, perché sia benedetta ogni maternità, e in ogni mamma del mondo sia ringraziato ed esaltato il nome di Dio, che affida agli uomini e alle donne il potere di donare la vita ai bambini”.
E dalla Terra Santa è arrivato un messaggio natalizio dei capi delle Chiese di Terra Santa ai loro fedeli e a tutto il mondo, che prende le mosse dal versetto 16 del quarto capitolo del Vangelo di Matteo: “Nella Natività di Cristo, la luce della salvezza di Dio è venuta per la prima volta nel mondo, illuminando tutti coloro che Lo avrebbero accolto, sia allora sia oggi, offrendo loro ‘grazia su grazia’ per sconfiggere le forze oscure del male che cospirano incessantemente per portare alla distruzione della creazione di Dio”.
Di questa ‘Luce’ sono testimoni molti cristiani: “Esteriormente poco sembra essere cambiato. Eppure interiormente, la santa nascita del nostro Signore Gesù Cristo ha innescato una rivoluzione spirituale che continua a trasformare e indirizzare innumerevoli cuori e menti verso le vie della giustizia, della misericordia e della pace”.
Ed hanno pregato per il ‘cessate il fuoco’ raggiunto nel Libano, auspicando che esso sia raggiunto anche a Gaza: “In questo spirito natalizio colmo di speranza, rendiamo grazie all’Onnipotente per il recente cessate il fuoco tra due delle parti in guerra nella nostra regione e chiediamo che venga esteso a Gaza e a molti altri luoghi, ponendo fine alle guerre che affliggono questa parte del mondo.
Rinnoviamo inoltre il nostro appello per il rilascio di tutti i prigionieri e delle persone private della libertà, il ritorno dei senzatetto e degli sfollati, la cura dei malati e dei feriti, il soccorso di coloro che hanno fame e sete, il ripristino di proprietà ingiustamente sequestrate o minacciate; la ricostruzione di tutte le strutture civili, pubbliche e private, che sono state danneggiate o distrutte”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: una teologia aperta per tutti

“Sono contento di vedervi e di sapere che un numero così grande di docenti, ricercatori e decani, provenienti da ogni parte del mondo, si sono radunati per riflettere su come ereditare il grande patrimonio teologico delle generazioni passate e per immaginarne il futuro. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per questa iniziativa. E grazie di cuore a voi, care teologhe e cari teologi, per il lavoro che fate, spesso nascosto ma tanto necessario. Spero che il Congresso segni il primo passo di un fecondo cammino comune… Avanti, insieme!”
Con queste parole papa Francesco oggi ha salutato i partecipanti al Congresso Internazionale sul futuro della teologia a tema su ‘Eredità e immaginazione’ (promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che si svolge oggi e domani presso la Pontificia Università Lateranense), il quale ha parlato di luce:
“Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce. Infatti, grazie alla luce le cose emergono dall’oscurità, i volti rivelano i propri contorni, le forme e i colori del mondo finalmente appaiono. La luce è bella perché fa sì che le cose appaiano ma senza mettere in mostra sé stessa. Qualcuno di voi ha visto la luce? Ma vediamo ciò che fa la luce: fa apparire le cose”.
E la luce è grazia con l’invito a cercare la grazia di Cristo: “Adesso, qui, noi ammiriamo questa sala, vediamo i nostri volti, ma non scorgiamo la luce, perché essa è discreta, è gentile, umile e, perciò, rimane invisibile. E’gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo.
Da questa osservazione deriva per voi una strada: cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore ma anche di commovente bellezza”.
Una serie di domanda per comprendere il ruolo della teologia nel mondo contemporaneo con un ‘rimando’ al Secondo libro dei Re: “E’ un cammino che siete chiamati a fare insieme, teologhe e teologi. Mi ricordo di quanto racconta il Secondo Libro dei Re. Durante il restauro del Tempio di Gerusalemme, viene ritrovato un testo; forse è la prima edizione del Deuteronomio, andata perduta.
Un sacerdote e alcuni studiosi lo leggono; anche il re lo studia; intuiscono qualcosa, ma non lo capiscono. Allora il re decide di consegnarlo a una donna, Culda, che immediatamente lo comprende e aiuta il gruppo di studiosi (tutti uomini) a intenderlo. Ci sono cose che solo le donne intuiscono e la teologia ha bisogno del loro contributo. Una teologia di soli uomini è una teologia a metà. Su questo c’è ancora parecchia strada da fare”.
Ecco il compito della teologia è fornire un nuovo modo di pensare: “La prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione. Infatti, la realtà è complessa, le sfide sono variegate, la storia è abitata dalla bellezza e allo stesso tempo ferita dal male, e quando non si riesce o non si vuole reggere il dramma di questa complessità, allora si tende facilmente a semplificare. Ma la semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.
Il desiderio del papa è quello di una teologia del fermento: “Si tratta di far ‘fermentare’ insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, secondo quanto dice anche l’apostolo Paolo: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?”
Ed ha ricordato due ‘grandi’ teologi: “Quest’anno celebriamo il 750° anniversario della morte di due grandi teologi: Tommaso d’Aquino e Bonaventura. Tommaso ricorda che non abbiamo un senso solo, ma sensi molteplici e differenti, affinché non ci sfugga la realtà (De Anima, lib. 2, lect. 25). E Bonaventura afferma che nella misura in cui si ‘crede, spera e ama Gesù Cristo’ si ‘riacquista l’udito e la vista […], l’odorato, […] il gusto e il tatto’ (Itinerarium mentis in Deum, IV, 3). Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità”.
Infine l’invito a rendere una teologia ‘accessibile’ a tutti: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria…
! Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora. Preparatevi a questo. Immaginate cose nuove nei programmi di studio perché la teologia sia accessibile a tutti”.
(Foto: Santa Sede)
Padre Nardelli: ripartire dalla Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’

“Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo”.
Questo è l’inizio della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, ‘Lumen Gentium’, emanata il 21 novembre 1964, che costituisce la ‘chiave di volta’ di tutto il magistero conciliare, come affermò papa san Giovanni Paolo II prima della recita dell’Angelus di domenica 22 ottobre 1995: “Grande merito della ‘Lumen Gentium’ è di averci ricordato con forza che, se si vuol cogliere adeguatamente l’identità della Chiesa, pur senza trascurare gli aspetti istituzionali, occorre partire dal suo mistero. La Chiesa è mistero, perché innestata in Cristo e radicata nella vita trinitaria. Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, è la ‘luce’ che risplende sul volto della Chiesa”.
A 60 anni dalla pubblicazione con p. Fabio Nardelli, docente di Ecclesiologia all’Istituto Teologico di Assisi ed alla Pontificia Università Antonianum di Roma, nonché assistente alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma, abbiamo cercato di sottolineare i punti di forza di questa Costituzione dogmatica e soprattutto il motivo, per cui papa Francesco ha chiesto un approfondimento sulla ‘Lumen gentium’ in vista del Giubileo:
“In preparazione all’anno giubilare, papa Francesco ha chiesto di dedicare una particolare attenzione alle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II, quale occasione per crescere nella fede. In realtà, come è noto, tale evento è stato realmente un faro per il pensare e l’agire ecclesiale, e quindi non è inopportuno riprendere in mano quegli insegnamenti per applicarli in un contesto che, dopo circa 60 anni, è chiaramente mutato. La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ è stata definita la ‘magna charta’ conciliare e la sua ricchezza teologica è ancora una guida attuale nel contesto ecclesiale sinodale che la Chiesa attraversa, in quanto ‘Popolo di Dio’ in cammino verso il Regno”.
In cosa consiste la ‘luce della Chiesa’?
“Nella Costituzione forte è il riferimento cristologico, in quanto il Cristo è definito la ‘luce delle genti’ che risplende sul volto della Chiesa. In realtà è noto che, secondo l’interpretazione di alcuni, il Concilio Vaticano II intendeva correlare il discorso sulla Chiesa a quello sul Figlio, ma nello stesso tempo non poteva parlare di Cristo senza parlare del Padre, mettendosi in ascolto dello Spirito. Per questa ragione l’ecclesiologia cristologica del Concilio si è necessariamente allargata alla dimensione trinitaria ( LG 2-4). Si può pertanto dire che ogni discorso sulla Chiesa è necessariamente ‘subordinato’ al discorso su Dio e quindi non deve stupire che anche i testi del Concilio, e in particolare la Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’, propongano una ecclesiologia propriamente teologica”.
Dalla Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ al recente Sinodo dei vescovi: perché la vocazione della Chiesa è profezia?
“La Costituzione ‘Lumen gentium afferma che ‘il Popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo, quando gli rende una viva testimonianza, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità’ (LG 12). La missione profetica di Cristo è estesa, quindi, a tutti i battezzati secondo le indicazioni della Scrittura (Gl 3,1-5; At 2,17-18). Pertanto la funzione profetica non è più riservata solo ad alcuni, come ‘ufficio di pochi’, ma è un attributo di tutta la comunità dei credenti che, in forza del Battesimo, diventa ‘popolo di profeti’ che annuncia e testimonia il Vangelo”.
Quanto è importante la Chiesa domestica nel tramandare la fede?
“La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ utilizza l’espressione ‘Chiesa domestica’ per esplicitare il modo di esercizio del sacerdozio comune di ogni battezzato e, in particolare, dei coniugi cristiani (cfr. LG 11). L’immagine individua e sottolinea in modo specifico il compito essenziale della famiglia nella Chiesa che è, sempre, quello di ‘custodire’ e ‘trasmettere’ la fede. In questo modo, nell’attuale contesto ecclesiale, infatti, viene ribadita la chiamata per ogni battezzato ad annunciare il Vangelo. La dimensione relazionale, e quindi familiare, chiaramente messa in luce dal Documento finale del Sinodo, è già presente nella Costituzione ecclesiologica e rimanda alla realtà della primitiva comunità cristiana descritta nel libro degli Atti (cfr. At 2,42-47)”.
Per quale motivo la Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ sottolinea il carattere missionario della Chiesa?
“L’ecclesiologia della Costituzione dogmatica può essere definita missionaria nelle sue più intime fibre, in quanto le principali categorie che il testo considera in chiave missionaria sono quelle di Popolo di Dio (sacerdotale, profetico e regale), sacramento, popolo messianico e, certamente, di ‘popolo missionario’ (cfr. LG 17). La Costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’, quindi, ha presentato l’indole essenzialmente missionaria della Chiesa a partire, proprio, dal fondamento teologico della sua natura, di cui indica la finalità specifica. Se volessimo sintetizzare la visione missionaria della Costituzione dogmatica, si potrebbe affermare che il documento intende enunciare il fondamento trinitario della missione, la sua manifestazione nelle ‘realtà locali’ attraverso la prassi dell’inculturazione, la destinazione universale del suo messaggio di salvezza e la corresponsabilità di tutto il Popolo di Dio all’azione di evangelizzazione”.
Dopo 60 anni quale è l’attualità di questa Costituzione dogmatica?
“Il testo risulta particolarmente attuale perché richiama alla dimensione comunionale e missionaria che il recente Sinodo ha messo in evidenza, domandandosi ‘come essere Chiesa sinodale-missionaria’. Il valore della Costituzione ecclesiologica è perennemente vivo, in quanto il documento nasceva in un contesto in cui la Chiesa aveva bisogno di riflettere sulla sua identità e, oggi, dopo 60 anni riafferma tale identità missionaria in quanto ‘Popolo di Dio’ in cammino verso il Regno. Riscoprire i contenuti dottrinali e pastorali di questo documento conciliare è particolarmente urgente nell’epoca attuale”.
(Tratto da Aci Stampa)
Le diocesi chiedono la protezione della Madonna per le città

E’ stato il card. Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, a presiedere il Pontificale, domenica scorsa, per la festa del Patrocinio di Santa Lucia, patrona di Siracusa nel ricordo del miracolo del 1646 quando a Siracusa imperversava una carestia ed i siracusani chiesero aiuto alla patrona: dal mare arrivarono navi cariche di grano ed una colomba avvertì i fedeli riuniti in preghiera in Cattedrale.
La Festa è inserita nell’Anno Luciano, indetto dall’arcivescovo di Siracusa, mons. Francesco Lomanto, il 13 dicembre scorso e che si concluderà il 20 dicembre prossimo quando sarà a Siracusa il corpo della martire siracusana che si trova custodito a Venezia, sul tema ‘In luce ambulamus’, che trae origine dal titolo della lettera pastorale dell’arcivescovo Lomanto: “A Santa Lucia chiediamo di continuare a proteggere la nostra Città e la nostra Chiesa siracusana che si gloria di averle dato i natali”.
In tale discorso il vescovo ha chiesto alla santa patrona di sostenere i fedeli nella fede: “Santa Lucia, nella sua vita e nel suo martirio, ha testimoniato il suo amore a Gesù, la sua carità ai fratelli e la sua speranza nella vita eterna, scegliendo la via della semplicità, dell’umiltà e dell’aiuto agli altri, soprattutto verso i più bisognosi”.
Il discorso del vescovo siracusano è un invito all’impegno affinché la speranza non si spenga: “Noi che guardiamo con ammirazione e devozione a santa Lucia, vogliamo impegnarci come lei a piantare il seme della speranza nella nostra società, che rischia di smarrirsi nei freddi calcoli degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Una società, che vuole essere umana, deve mettere al centro la persona e non le statistiche, la carità e non i like, l’incontro con gli altri e non le visualizzazioni sterili, che il più delle volte sono segno di solitudini infinite”.
E’ un invito a costruire in comunione il bene comune: “La politica sia sempre al servizio del bene comune, mirando ad un’economia solidale e attenta verso chi è nel bisogno, perché se il più debole è tutelato nelle giuste attenzioni, ne guadagna tutta la società. La sanità ponga al centro la dignità della persona umana e garantisca il diritto alla salute uguale per tutti con strutture idonee, come l’auspicata costruzione del nuovo ospedale civico di Siracusa. E’ urgente pensare insieme, progettare insieme, disegnare sentieri di pace, operare per il bene di tutti, impegnandoci per la promozione sociale con l’intelligenza del cuore e non delegando a nessuna intelligenza artificiale”.
E’ un invito a porre attenzione ai poveri, come santa Lucia: “Insieme a santa Lucia adoperiamoci per la costruzione di un mondo migliore, seminando il seme della risurrezione di Gesù negli ambienti in cui viviamo, amiamo e speriamo, per portare amore dove non c’è amore, affinché tutto si trasformi in amore. Guardiamo a Santa Lucia, nostra sorella e Patrona, e guardiamo con santa Lucia in avanti, in alto e in profondità nel mistero di Dio per scorgere l’infinita dignità dell’uomo. Insieme a santa Lucia testimoniamo Gesù unico fondamento della nostra speranza, salvezza della nostra vita, fiducia delle nostre famiglie, benedizione della nostra società”.
Mentre il vescovo di Imola, mons. Giovanni Mosciatti, nel messaggio per l’inizio delle Rogazioni della Beata Vergine del Piratello, per chiedere aiuto alla Madonna: “Carissimi, anche questo anno le solenni rogazioni in onore della Beata Vergine del Piratello accadono in un momento importante della nostra vita. Nel latino rogare vuol dire pregare, chiedere aiuto, protezione, liberazione dal male. Ne abbiamo proprio bisogno in questo tempo così drammatico”.
Ed ha richiamato ai valori di papa Pio VII, sottolineati recentemente da papa Francesco: “Il santo padre ci ha indicato i tre valori cardine di cui papa Chiaramonti è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia. Mi ha molto colpito il suo richiamo perché ha descritto tre doni importanti da chiedere per tutti noi, tre punti importanti per il nostro cammino comune”.
Tre sono le pratiche che papa Pio VII ha ritenuto fondamentali: “La comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci, con ferite sanguinanti sia morali che fisiche. La sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità ci aiuta a guardare al nostro tempo, ad essere costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!
La testimonianza. Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Abbiamo bisogno oggi di questa testimonianza reciproca: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace. Testimoni tra noi e nelle nostre comunità di mansuetudine e disponibilità al sacrificio.
La misericordia. Pio VII fu un grande uomo di carità, fino a concedere ospitalità proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia”.
E’ un invito a partecipare alla ‘sinfonia’ di preghiera: “Vogliamo chiedere alla Vergine Maria, nostra patrona, di poter essere testimoni di questa comunione e di questo amore e così accompagnare la nostra Chiesa anche nel cammino di preparazione all’evento di grazia del Giubileo 2025”.
(Foto: Diocesi di Siracusa)
La Fiaccola della Pace e del Perdono accesa a Enna, città gemellata 2024

“In questo tempo in cui sembriamo abituarci alle guerre, smarrendo la speranza nel buio della violenza, la luce della Fiaccola di Santa Rita ci desta per ricordarci che oggi la pace ha tanti nomi, quelli di chi non accetta di vivere nell’odio, e nel quotidiano fa sì che essa sia la norma e non l’eccezione. Che da Enna questo fuoco sacro raggiunga nella preghiera ogni popolo in conflitto, a partire da Ucraina e Terra Santa, per smuovere le coscienze di chi può porre subito fine alle ostilità e per riscaldare i cuori di quanti ne sono vittime”.
Così suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia commenta dall’Umbria l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono, simbolo dei festeggiamenti di maggio della patrona dei casi impossibili, avvenuta questa sera a Enna, nel Duomo Maria Santissima della Visitazione, gremito di fedeli. La città siciliana è stata scelta per il Gemellaggio di Fede e Pace, che ogni anno Cascia stringe con una località, per amplificare il messaggio e i valori della santa, attuali, universali e preziosi.
La Fiaccola, che la notte del 21 maggio tornerà a Cascia per dare vita alla Festa di Santa Rita, ha suggellato l’unione con Enna, dove la delegazione casciana è in visita. Ieri è rientrata dopo la Messa, celebrata da don Davide Travagli, parroco di Cascia, in rappresentanza dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, nella Chiesa di Sant’Anna. Inoltre è stata consegnata la Reliquia ex ossibus di Santa Rita, portata, a nome del Monastero, dall’oblata Alessandra Paoloni, anche segretaria generale della Pia Unione Primaria Santa Rita, realtà molto attiva a Enna nel rendere concreti i valori ritiani.
“La Fiaccola ci dice che Santa Rita opera per la riconciliazione in tante comunità, che accolgono ogni anno la sua luce e nel cuore il suo esempio, per essere con lei e con Dio impronte di pace”: lo ha evidenziato il Rettore della Basilica di Santa Rita da Cascia, p. Mario De Santis, ad Enna per la famiglia agostiniana.
Insieme anche Padre Giustino Casciano, Priore Provinciale degli Agostiniani d’Italia, che ha sottolineato: “In questo mondo lacerato dalle guerre, Santa Rita è un punto di riferimento, perché la sua capacità di perdono e di pace è una grande luce per tutta la società. Ringraziamo i rappresentanti religiosi e le autorità civili di Enna che hanno accolto Rita come messaggera di pace, dialogo e perdono”.
“Attraverso il gemellaggio con Enna – ha detto il sindaco di Cascia Mario De Carolis, in Sicilia con l’amministrazione, il Comitato Cascia per Santa Rita e alcuni cittadini – viene rinnovato un messaggio molto importante e purtroppo attuale, che porta in sé l’accensione della Fiaccola della Pace e del Perdono. Un messaggio che dal 1958 si ripete in tante parti del mondo, fino ad arrivare a Enna, dove c’è forte devozione verso Santa Rita, anche grazie al legame con la Pia Unione”.
A presiedere la celebrazione dell’accensione della Fiaccola, mons. Antonino Rivoli, vicario generale della diocesi di Piazza Armerina: “Nella Parola del Signore, che stasera abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni, il popolo è diviso nel giudizio su Gesù. Oggi, che le fratture sono mondiali, Cristo ci chiama a scegliere da che parte stare. E, questa sera, insieme, abbiamo levato sulla Terra e al Cielo la nostra risposta: siamo col Signore per la pace, guidati da Santa Rita da Cascia. Una scelta da confermare e onorare ogni giorno”.
Ad accendere la Fiaccola, il sindaco di Enna, Maurizio Dipietro, che ha dichiarato: “La scelta del gemellaggio con il nostro Comune si basa sulla fortissima devozione della città di Enna a Santa Rita. Facciamo voti affinché la luce e il calore della Fiaccola della Pace e del Perdono, che celebra questo legame ed è simbolo della vittoria sulle tenebre che Santa Rita è capace di portare in ogni cuore, raggiungano anche l’Ucraina e la Palestina e siano foriere di dialogo, speranza e pace per queste terre martoriate dalla guerra e per tutto il mondo”.