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Caritas Ugento per sostenere la popolazione del Medio Oriente

La Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca comunica che oggi, III Domenica di Avvento, si svolge l’ ‘Avvento di Carità 2024’, una proposta di animazione comunitaria per vivere nella solidarietà e nella fraternità il tempo che ci prepara al Natale e come segno concreto verso il Giubileo.

Papa Francesco, nella ‘Spes non confundit’, bolla di indizione del Giubileo 2025 ha scritto: “Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti le desiderano. Possa la nostra vita dire loro: ”Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore”(Sal 27,14). …. invitando tutti a essere ‘Pellegrini di speranza’.

 La questua di Domenica 15 dicembre, nelle 43 Parrocchie,  sarà a sostegno della mensa   in  Saranda-Albania e della Caritas libanese per il sostegno alla popolazione coinvolta nella guerra .

Dall’anno scolastico 2006/07 le suore Marcelline di Saranda in Albania, hanno messo sù una MENSA dove ogni giorno, dal lunedì al venerdì, più di 70 bambini e ragazzi dei villaggi che frequentano le scuole in Saranda ricevono un pranzo caldo per consentire una crescita sana e prevenire i disturbi fisici e mentali derivanti da una nutrizione scarsa, poco varia e con limitato valore nutrizionale. Si offre ad ogni bambino un pranzo caldo comprendente primo, secondo di carne e verdura, frutta, per 5 giorni alla settimana da gennaio a giugno 2025, l’obiettivo è di raggiungere la somma di 833,33 euro al mese per sei mesi, per un totale di € 5.000,00.

CARITAS LIBANO SOSTEGNO AGLI SFOLLATI A CAUSA DELLA GUERRA:

Padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano scrive: “La guerra ci ha colti di sorpresa… Ha spostato le nostre famiglie e appesantito i nostri cuori. Non ci saremmo mai aspettati che le cose potessero degenerare a questo punto…Tutti sono in stato di massima allerta, stanno facendo l’impossibile per aiutare ogni persona anziana, ogni bambino, padre e madre. Nei primi giorni della crisi, operatori, operatrici e volontari di Caritas Libano, molti giovanissimi, si sono attivati per assistere centinaia di migliaia di sfollati in tutto il Paese.

Sono state attivate squadre di emergenza che hanno distribuito generi di conforto alle tante famiglie in fuga bloccate negli ingorghi, generi di prima necessità nei centri di accoglienza e avviato attività di animazione per i bambini. Nei primi due giorni sono già state assistite più di 6.187 persone (distribuiti 3.925 pasti caldi, 276 kit igienici, 1.000 pezzi di vestiario, 500 kit alimentari, 868 kit alimentare leggeri). Si sono rivolti a noi di Caritas Libano, chiedendo: Cosa potete offrirci? La nostra risposta è stata: Vi daremo tutto ciò che possiamo. Ma la dolorosa verità è che le nostre risorse sono scarse, poiché abbiamo già fornito ciò che avevamo a coloro che soffrono ancora per la crisi in corso nel Libano”.

Per aiutare concretamente i due progetti è possibile effettuare un’ offerta detraibile a favore della Fondazione Mons. Vito De Grisantis, causale: Avvento di Carità 2024: IBAN: IT23K0306234210000002904373 – Centro Caritas Ugento-S. Maria di Leuca – Piazza Cappuccini, 15 – 73039 Tricase (Le). Info: https://www.caritasugentoleuca.it/  email: segreteria@caritasugentoleuca.it telefono:0833/219865.

Cei ed Aiuto alla Chiesa che Soffre stanziano € 2.000.000 per il supporto in Libano

La Presidenza della CEI, ha stanziato € 1.000.000 dai fondi dell’8xmille, che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, per far fronte alle necessità della popolazione del Libano. L’erogazione, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, servirà a fornire accoglienza e assistenza umanitaria alle centinaia di migliaia di profughi e sfollati, assicurando aiuti d’urgenza in ambito alimentare e socio-sanitario, supporto psicosociale e accompagnamento.

In questo modo sarà possibile rispondere alle numerose richieste della Caritas e di altri enti e soggetti ecclesiali locali, già impegnati sul territorio, con i quali negli ultimi 30 anni sono stati realizzati 143 progetti di sviluppo in diversi settori per quasi € 34.000.000, sempre con il sostegno della CEI, come ha affermato l’arcivescovo di Bologna, card. Matteo Zuppi, presidente della CEI:

“Le Chiese in Italia si uniscono al grido del Santo Padre per esprimere ai fratelli e alle sorelle del Libano e di tutto il Medio Oriente vicinanza e solidarietà: siamo con voi! Mentre continuiamo a invocare il dono della pace, ci rivolgiamo a quanti hanno responsabilità politiche affinché tacciano le armi e si imbocchi la via del dialogo e della diplomazia. Al contempo, ci facciamo prossimi concretamente a quanti vivono sulla propria pelle il dramma della guerra e della violenza”.

Infatti la Chiesa italiana è accanto alla popolazione locale, come racconta il dossier ‘Libano: nel buio della notte’ che, con dati e testimonianze, fa il punto sui 143 progetti finanziati dal 1991 attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli. Con quasi € 34.000.000 provenienti dai fondi 8xmille sono state sostenute iniziative in diversi settori, in particolare istruzione e accompagnamento di bambini e ragazzi, formazione e sensibilizzazione per educare alla pace e alla convivenza, inclusione, sanità, attività per lo sviluppo integrato economico e sociale.

Significativo l’impegno per percorsi di uscita dalla tossicodipendenza e di sostegno e inclusione comunitaria delle persone con disabilità. Pronte anche le risposte a situazioni di emergenza come l’assistenza umanitaria ai profughi e agli sfollati e aiuti d’urgenza, supporto psicosociale, formazione, accompagnamento.

Il dossier traccia un quadro economico e politico, che ha colpito il Libano negli ultimi 5 anni: “Duramente provato da cinque anni di crisi finanziaria e dalla paralisi istituzionale, il Libano è ancora una volta teatro di guerra. Dopo il conflitto del 1982 e quello del 2006, da cui è uscito in ginocchio, il Paese si trova di nuovo al centro di bombardamenti e operazioni militari che hanno causato finora più di 1200 morti e centinaia di migliaia di sfollati.

Gli scontri (intensificatisi a seguito dell’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah) hanno provocato morte e distruzione che vanno ad aggravare le condizioni socioeconomiche già precarie. In un Rapporto di maggio 2024 la Banca Mondiale ha rilevato che negli ultimi dieci anni la popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è passata dal 12 al 44%, con sproporzioni a livello geografico e punte del 70% (come nel distretto settentrionale di Akkar, al confine con la Siria).

Già prima del recente inasprimento del conflitto, gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano nel sud del Paese avevano causato 95.000 sfollati e, secondo il Ministero dell’Agricoltura, i bombardamenti avevano distrutto quasi 2.000 ettari di terra, con danni a proprietà e infrastrutture che si aggirano attorno a $ 1.500.000.000.

Da due anni il Libano si trova con un governo dimissionario e senza un Capo di Stato. La paralisi politica ha impedito l’elezione del successore di Michel Aoun, il cui mandato da Presidente della Repubblica è scaduto a ottobre 2022. Gli scontri tra Hezbollah e l’esercito israeliano hanno cristallizzato una polarizzazione tra il partito-milizia ed i suoi rivali   politici locali. A ciò si aggiunge la decisione di rinviare, per la terza volta in tre anni, le elezioni municipali.

Oltre ai campi con rifugiati palestinesi, il Libano ospita inoltre circa 2.000.000 di siriani. Nei confronti di questi ultimi, in un clima di crescente tensione, a maggio 2024 si sono inserite nuove misure restrittive. Più di 50.000 libanesi e siriani che vivono in Libano sono già entrati in Siria a causa dell’acuirsi del conflitto”.

Nell’introduzione, riprendendo gli appelli dei papi per il Libano, il dossier chiede un deciso impegno della diplomazia internazionale: “In un Medio Oriente sempre più in fiamme, c’è bisogno dell’impegno deciso della diplomazia e della comunità internazionale, ma anche di un lavoro educativo e solidale nella quotidianità con iniziative concrete nel segno del dialogo, per aiutare la popolazione libanese a rialzarsi e a mantenere sempre accesa la speranza di tornare ad essere un progetto di pace.

Il futuro sarà pacifico solo se comune. Lo sanno bene quanti ogni giorno danno concretezza alla cultura dell’incontro, del vivere insieme nella pace e nella fratellanza tra tutte le tradizioni religiose. In queste pagine vogliamo dar voce a loro, operatori di concordia e di rinnovamento. Occorre attraversare la notte per giungere all’alba, ma attingendo alle radici del vivere insieme nel rispetto e nel pluralismo: il popolo libanese, come il cedro, saprà resistere anche a questa tempesta e ritornare a seminare pace”.

Anche Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha annunciato una campagna di emergenza per raccogliere almeno € 1.000.000 per aiutare la Chiesa in Libano, avendo già contattato le sette diocesi e le cinque congregazioni religiose più direttamente coinvolte nelle operazioni di soccorso e sta raccogliendo i fondi necessari per soddisfare i loro bisogni, che nella maggior parte dei casi includono cibo, prodotti sanitari, materassi e coperte, farmaci e altri beni di prima necessità.

Molti dei cristiani nel sud del Libano sono agricoltori rimasti senza reddito a causa della distruzione dei loro campi e delle loro piantagioni. Anche le scuole cattoliche, la maggior parte delle quali ha aperto le lezioni online, avranno bisogno di assistenza poiché i genitori, nelle regioni più colpite dalla guerra, a causa della mancanza di reddito faranno fatica a pagare le tasse scolastiche.

Sebbene la crisi stia colpendo l’intero Paese, le aree più minacciate si trovano nelle regioni di confine tra Israele e Libano. I cristiani costituiscono una parte significativa della popolazione di quest’area e ne sono direttamente colpiti. Per migliaia di loro salvarsi significa rompere i legami familiari, poiché le madri e i figli cercano rifugio nelle strutture della Chiesa o nelle case dei parenti in zone più sicure, mentre i padri restano nella casa di famiglia per prevenire il furto di proprietà.

Focsiv rivolge appello a Governo Italiano Europa e Onu per cessate il fuoco in Medio Oriente

“Un immediato cessate il fuoco; accesso umanitario incondizionato alla popolazione di Gaza e di tutte le comunità colpite dalla guerra; liberazione immediata degli ostaggi sequestrati nel corso del disumano attacco del 7 ottobre; avvio di un processo che ponga fine ai massacri e di una Conferenza di Pace nel Medio Oriente, nella prospettiva del pieno e reciproco riconoscimento dei due Stati della Palestina e di Israele”:

è l’appello al Governo Italiano, all’Unione Europea, alle Nazioni Unite lanciato da Focsiv e dai suoi soci (Associazione Francesco Realmonte, Celim, Engim, FMSI, Fundation Promotion Social, ISCOS, La Salle Foundation, Overseas, Punto Missione, Progettomondo, RTM) perché sia rispettato ‘il diritto internazionale e trovi attuazione concreta la difesa delle popolazioni civili’ per “scongiurare che il conflitto si estenda ulteriormente a scala regionale.

E’ tempo di dare voce e sostanza alla diplomazia della pace. Che la diplomazia della pace faccia il suo corso, che la comunità internazionale e il nostro Governo si facciano sentire per rimettere al centro l’umanità, il diritto alla vita e alla protezione prima di ogni cosa, e per scongiurare una ulteriore spirale di violenza”.

Per questo davanti a tali drammaticità Focsiv ha chiesto che si fermi la guerra: “E’ tempo che si dica basta, tutti e con forza: basta alle bombe, basta alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, basta alle azioni militari o operazioni speciali che colpiscono sempre e solo gli innocenti più inermi… Non vogliamo la guerra!”

Ed ha chiesto che intervenga la diplomazia a garantire la pace attraverso: “l’avvio di un processo che ponga fine ai massacri e di una Conferenza di Pace nel Medio Oriente, nella prospettiva del pieno e reciproco riconoscimento dei due Stati della Palestina e di Israele. Bisogna scongiurare che il conflitto si estenda ulteriormente a scala regionale.

E’ tempo di dare voce e sostanza alla diplomazia della pace. Che la diplomazia della pace faccia il suo corso, che la comunità internazionale e il nostro Governo si facciano sentire per rimettere al centro l’umanità, il diritto alla vita e alla protezione prima di ogni cosa, e per scongiurare una ulteriore spirale di violenza”.

Inoltre per quanto riguarda il ‘Piano Mattei’ Focsiv ha sottolineato alcune criticità: “La trasparenza e la rendicontazione periodica sono elementi fondamentali per garantire la credibilità e l’efficacia del Piano. Un monitoraggio continuo è cruciale non solo per valutare l’impatto dei progetti finanziati, ma anche per assicurarsi che le risorse vengano utilizzate in modo ottimale e in linea con gli obiettivi dichiarati del Piano.

Attualmente, la selezione dei progetti inclusi nel DPCM solleva interrogativi significativi. La mancanza di trasparenza del processo di selezione dei progetti e della pubblicazione della valutazione d’impatto, inclusa una valutazione di alternative più sostenibili, rischia di esporre questa scelta all’influenza di interessi precostituiti, di imprese o governi di Paesi terzi, piuttosto che essere dettata da una visione strategica d’impatto e un processo inclusivo e trasparente in linea con i rispettivi interessi pubblici. Questa ambiguità può minare la fiducia pubblica e internazionale nel Piano, compromettendo il suo potenziale di contribuire realmente allo sviluppo sostenibile in Africa”.

Infine per rendere ‘credibile’ tale paino Focsiv ha proposto di intraprendere alcune iniziative: “A fronte dei vari interrogativi ancora aperti, è necessario lavorare per raggiungere maggiore chiarezza, trasparenza e aderenza della definizione dei progetti rispetto agli obiettivi dichiarati del Piano Mattei. Questo, non solo in ambito bilaterale, ma anche multilaterale e intergovernativo.

L’impegno italiano sul clima emerso alla COP28 dovrà essere rinnovato alla COP29 di Baku, dove si discuterà principalmente di finanza per il clima – e l’Africa, secondo le stime, necessiterebbe di almeno $ 200.000.000.000 l’anno da qui al 2030 per colmare i propri bisogni in quest’area.

Il Piano Mattei dovrebbe assumere una direzione più concreta anche nel quadro della ministeriale G7 Sviluppo a fine ottobre (alla luce anche della dichiarazione finale del Summit G7 di Borgo Egnazia, dove il Piano Mattei è stato accolto positivamente a fianco di più ampie iniziative come le sopracitate Global Gateway e Partnership for Global Infrastructure and Investment – PGII). Iniziative, queste, il cui focus sulla transizione energetica e sul relativo sviluppo infrastrutturale può fornire la giusta ampiezza e ancoraggio al Piano Mattei nel suo ruolo di catalizzatore di crescita verde e sviluppo sostenibile per il Continente africano”.

Per questo il ‘Piano Mattei’ può essere ancora un’opportunità per l’Italia e per i Parsi africani: “La finestra di opportunità politica per rendere il Piano Mattei un vero piano che supporta il futuro dell’Africa è ancora aperta – ma per coglierla occorre ricalibrare i prossimi passi nella giusta direzione. La credibilità del Piano (e con esso dell’Italia come attore internazionale, nei confronti dei Paesi africani ma non solo) dipenderà da ora in poi da quello che si farà nel concreto più che dalla narrativa”.

Michele Zanzucchi: alto il rischio di conflitto in Medio Oriente

“Seguo con grandissima preoccupazione quanto sta accadendo in Medio Oriente, e auspico che il conflitto, già terribilmente sanguinoso e violento, non si estenda ancora di più. Prego per tutte le vittime, in particolare per i bambini innocenti, ed esprimo vicinanza alla comunità drusa in Terra Santa e alle popolazioni in Palestina, Israele, e Libano… Gli attacchi, anche quelli mirati, e le uccisioni non possono mai essere una soluzione. Non aiutano a percorrere il cammino della giustizia, il cammino della pace, ma generano ancora più odio e vendetta. Basta, fratelli e sorelle! Basta! Non soffocate la parola del Dio della Pace ma lasciate che essa sia il futuro della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero! La guerra è una sconfitta!”

Partendo dall’appello di domenica scorsa dopo la recita dell’Angelus da parte di papa Francesco per la pace in Medio Oriente dialoghiamo con il prof. Michele Zanzucchi, già direttore della rivista ‘Città Nuova’ e docente di comunicazione all’università ‘Sophia’ di Loppiano ed all’università ‘Gregoriana’ di Roma: “Come rispondere se non che l’instabilità è la nota che da ottant’anni, e forse più, sta occupando i pensieri e le azioni di chi vive in quella regione? Tale instabilità è dovuta a molteplici ragioni, la principale delle quali è la presenza di troppe potenze globali e locali in lotta per questioni di geopolitica, ma anche per il possesso delle risorse di idrocarburi, come di acqua e di minerali preziosi, le tanto citate ‘terre rare’.

L’instabilità è accentuata dalla questione israeliana, che ha avuto origine da una gestione poco illuminata del post-colonialismo, per la cattiva coscienza di chi aveva vinto (o perso) la Seconda guerra mondiale. L’eredità indicibile della Shoah ha impedito quella lucidità che avrebbe forse permesso di evitare un conflitto epocale come quello israelo-palestinese. Il solo tentativo di vera pace nella regione, gli Accordi di Oslo, è stata spazzata via sì dall’assassino del presidente Rabin, ma soprattutto dagli interessi che quella pace aveva osato toccare”.

Quanto è destabilizzante per il mondo il conflitto in Medio Oriente?

“Ovviamente non si può rispondere che lo è in sommo grado. Si può addirittura dire che l’instabilità nel Medio Oriente ha delle conseguenze globali, anche in terre da lì lontanissime. La comunità internazionale, anche per la progressiva e ininterrotta delegittimazione delle istanze internazionali, Onu in testa, e per la progressiva creazione di organismi intermedi (i vari G6, G7, G8 e via dicendo), ha creato destabilizzazione più che trovare soluzioni ai singoli problemi. Anche perché i vari ‘G’ non hanno che la legittimazione della forza, non certo del diritto. Il mondo soffre di questa mancanza di coordinamento internazionale, soprattutto dopo le tragedie della pandemia e delle ultime guerre e per il sorgere di problemi di governance mondiale per via della rivoluzione digitale”.

‘Tornare in Libano suscita inevitabilmente sorpresa. Accompagnato dallo stillicidio degli spacci di agenzia sui lanci di missili da parte di Hezbollah contro Israele e delle reazioni dell’esercito con la stella di Davide, fatte di bombardamenti e lanci di ogni sorta di ordigni, mentre imperversa una invisibile cyberwar, una guerra digitale, un visitatore mal avvertito avrebbe il terrore di finire nel pentolone infernale della tenzone che dal 1948, praticamente ininterrotta, imperversa su quella che era e resta una parte della Terra Santa, ‘terra di latte e di miele’ di biblica memoria’: qualche mese fa lei scrisse così in un articolo per la rivista ‘Città Nuova’ a conclusione di una sua visita in Libano. E se ‘scoppia’ il Libano cosa può succedere?

“Dio ci preservi da una tale sciagura che, oltre a destabilizzare nuovamente il Paese dei cedri, che non ha ancora sanato le ferite della lunga guerra (in)civile, provocherebbe un conflitto realmente globale, perché una guerra tra Israele ed Hezbollah vorrebbe dire aprire un conflitto tra Iran e Israele, e tra i rispettivi alleati. Il rischio attuale di apertura delle ostilità in modo generalizzato (in realtà dal 7 ottobre sono migliaia i colpi di missili, mortai e droni che hanno viaggiato al di sopra delle teste dell’Unifil, la forza di interposizione che dal 2006, per un’intuizione importante di Romano Prodi e del suo amico Massimo Toschi) porterebbe a un aumento delle ostilità in Siria, in Iraq, probabilmente anche nel Kurdistan e chissà ancora dove. Il che ci avvicinerebbe a una guerra mondiale militare generalizzata”.

Ma quale è la visione dell’Occidente per il Medio Oriente?

“Non c’è nessuna visione, questa è la realtà. Si riesce solo a ipotizzare scenari di dominio e non di collaborazione tra popoli e culture. L’Europa è assente, se non con qualche apprezzato intervento pacificatore, a livello locale. Servirebbe una visione che, attualmente, solo le autorità religiose più illuminate, come papa Francesco o il patriarca Bartolomeo riescono ad avere”.

Anche un po’ più lontano dal Medio Oriente, nelle repubbliche del Caucaso il fondamentalismo si sta ‘ravvivando’: stiamo vivendo la terza guerra mondiale?

“Bisogna fare attenzione a non fare amalgama non corrette. Le questioni caucasiche (anzi cis-caucasiche) sono innanzitutto interne alla Confederazione russa, al contrasto esistente da decenni tra movimenti di liberazione nazionale locali musulmane, contrastate dalle autorità del Cremlino e dai loro alleati locali, come Ramzan Kadyrov. Il fondamentalismo islamista (Daesh e simili) ha la sua importanza, ma non credo che le questioni del Daghestan e della Cecenia, così come dell’Inguscezia e dell’Ossezia del Nord, o anche della Cabardino-Balcaria, abbiano una valenza globale. A proposito della Terza guerra mondiale a pezzi, credo che l’espressione fortunata proposta da Bergoglio nel viaggio di ritorno dalla Corea e a Redipuglia non sia più di attualità, perché siamo già in presenza di una guerra mondiale generalizzata; solo che essa si sta svolgendo su livelli diversi, commerciale, industriale (la produzione di armi), di intelligenze, digitale, mediatica… e anche militare”.

‘Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a

un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di paradigma tecnocratico’.Al G7 di giugno scorso papa Francesco ha parlato di un ‘paradigma tecnocratico’: come limitarlo?

“La questione è grave, quando un manipolo di enormi gruppi del digitale hanno assunto una potenza straordinaria, superando i budget di Stati importanti come la Spagna o la Svizzera. Queste imprese cercano di detenere non solo la ricchezza, ma anche le chiavi scientifiche atte a incrementare il loro potere economico. Pensiamo alle ricerche sul DNA, pensiamo all’intelligenza artificiale, pensiamo allo sfruttamento dei cieli. La questione va regolata, ma soprattutto nella governance mondiale bisogna integrare Stati, società civile e settore privato”.

Dalle associazioni cattoliche un appello per la pace in Medio Oriente

“Seguo con grandissima preoccupazione quanto sta accadendo in Medio Oriente, e auspico che il conflitto, già terribilmente sanguinoso e violento, non si estenda ancora di più. Prego per tutte le vittime, in particolare per i bambini innocenti, ed esprimo vicinanza alla comunità drusa in Terra Santa e alle popolazioni in Palestina, Israele, e Libano. Non dimentichiamo il Myanmar. Si abbia il coraggio di riprendere il dialogo perché cessi subito il fuoco a Gaza e su tutti i fronti, si liberino gli ostaggi, si soccorrano le popolazioni con gli aiuti umanitari. Gli attacchi, anche quelli mirati, e le uccisioni non possono mai essere una soluzione. Non aiutano a percorrere il cammino della giustizia, il cammino della pace, ma generano ancora più odio e vendetta. Basta, fratelli e sorelle! Basta! Non soffocate la parola del Dio della Pace ma lasciate che essa sia il futuro della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero! La guerra è una sconfitta!”

Questo appello pronunciato domenica al termine della recita dell’Angelus da papa Francesco è stato accolto da Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, Francesco Scoppola e Roberta Vincini, presidenti del Comitato nazionale Agesci, Matteo Fadda, presidente della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Cristiana Formosa e Gabriele Bardo, responsabili nazionali del Movimento Focolari Italia, mons. Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi, che in una nota congiunta hanno chiesto di porre fine ai combattimenti in Terra Santa nel ricordo dell’anniversario dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, evitando la ‘nostra’ complicità:

“I giorni che stiamo vivendo sono sempre più carichi di sofferenza e morte. Soffiano forti venti di guerra. Quella Terza Guerra Mondiale a pezzi ci sembra sempre più vicina e angosciante. Troppi popoli in molti luoghi del mondo sono dilaniati dalla guerra. Possiamo restare indifferenti o spettatori? O peggio ancora complici?

Uniamo le nostre voci e il nostro impegno per chiedere ai responsabili delle sorti del mondo: basta, cessate il fuoco! Già più volte in questi ultimi anni abbiamo unito le nostre voci e le nostre forze per chiedere un impegno concreto di disarmo”.

L’appello delle associazioni cattoliche risuona ormai da anni attraverso la campagna per la messa al bando delle armi nucleari: “Sono i giorni dell’anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Come vivere questi anniversari se non rinnovando la richiesta all’Italia di aderire al Trattato ONU per la messa al bando delle armi nucleari? Lo chiediamo da anni con la campagna Italia ripensaci”.

Riprendendo stralci del discorso papale al Corpo Diplomatico le associazioni cattoliche hanno ribadito l’analisi del papa circa l’immoralità di costruire armi nucleari: “E’ un appello che rivolgiamo ai capi delle nazioni, ma anche a tutti i credenti, a chi vuole vivere il vangelo della pace, insieme a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Prima che sia troppo tardi”.

Riprendendo quel discorso pronunciato lo scorso 8 gennaio al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il papa era preoccupato per la destabilizzazione della Terra Santa: “Il conflitto in corso a Gaza destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni. In particolare, non si può dimenticare il popolo siriano, che vive nell’instabilità economica e politica, aggravata dal terremoto del febbraio scorso. La Comunità internazionale incoraggi le Parti coinvolte a intraprendere un dialogo costruttivo e serio e a cercare soluzioni nuove, perché il popolo siriano non abbia più a soffrire a causa delle sanzioni internazionali. Inoltre, esprimo la mia sofferenza per i milioni di rifugiati siriani che ancora si trovano nei Paesi vicini, come la Giordania e il Libano”.

Ed invitava ad un uso ‘proporzionato’ della legittima difesa: “Anche quando si tratta di esercitare il diritto alla legittima difesa, è indispensabile attenersi ad un uso proporzionato della forza. Forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono ‘danni collaterali’. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro.

Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia ed ‘un’inutile strage’, che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra”.

Il discorso del papa era un chiaro monito, inascoltato, a perseguire il disarmo: “D’altra parte, le guerre possono proseguire grazie all’enorme disponibilità di armi. Occorre perseguire una politica di disarmo, poiché è illusorio pensare che gli armamenti abbiano un valore deterrente. Piuttosto è vero il contrario: la disponibilità di armi ne incentiva l’uso e ne incrementa la produzione.

Le armi creano sfiducia e distolgono risorse. Quante vite si potrebbero salvare con le risorse oggi destinate agli armamenti? Non sarebbe meglio investirle in favore di una vera sicurezza globale? Le sfide del nostro tempo travalicano i confini, come dimostrano le varie crisi (alimentare, ambientale, economica e sanitaria) che stanno caratterizzando l’inizio del secolo”.

Gridare al mondo che vogliamo la pace: la voce dei cristiani in Medio Oriente

“Vogliamo gridare al mondo che vogliamo la pace, che la violenza genera violenza e che la nostra fiducia in Dio è grande. Ma se Dio ci chiamasse a sé, siate certi che dal Cielo continueremo a pregare con voi e a supplicarlo con maggiore forza di avere compassione del suo popolo e di voi. Pace, sicurezza, unità e fratellanza universale, questo è ciò che desideriamo e questa è la volontà di Dio e anche la nostra. Come in cielo così in terra”.

Dal Libano un appello di pace per il Medio Oriente

Nei giorni scorsi il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme ha condannato un bombardamento israeliano contro la chiesa di San Porfirio, a Gaza City, nel quartiere di Al-Zaytoun, che ha causato almeno otto morti e decine di feriti:

Una preghiera per la pace per la Terra Santa

La Presidenza della CEI, oggi, promuove una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione, in comunione con i cristiani di Terra Santa secondo le indicazioni del card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, che a nome di tutti gli Ordinari ha chiesto alle comunità locali di incontrarsi ‘nella preghiera corale, per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione’.

Giovanni Paolo II: no al terrorismo ed ai conflitti armati

45 anni fa, in piazza San Pietro, è risuonato ‘Habemus Papam!’, con l’annuncio che un cardinale polacco di Cracovia era stato eletto papa. Che pronunciò tali parole: “siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma.

Da Rondine parole di pace per il Medio Oriente

Quando scoppia una guerra è come se s’interrompesse un discorso, un cammino. A Rondine è il discorso che affronta il conflitto, è il cammino che guarda la pace. In questi giorni tragici nei quali la guerra, il terrorismo e ogni forma di violenza sembrano avere interrotto quel cammino, la Cittadella della Pace si interroga, come tanti, sulla sua missione.

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