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Ramadan e Quaresima per andare oltre le ideologie

“Cari fratelli e sorelle musulmani, all’inizio del mese di Ramadan il Dicastero per il Dialogo Interreligioso vi porge i suoi più calorosi saluti e la sua amicizia. Questo periodo di digiuno, preghiera e condivisione è un’occasione privilegiata per avvicinarsi a Dio e rinnovarsi nei valori fondamentali della fede, della compassione e della solidarietà”: lo ha scritto il Dicastero per il Dialogo interreligioso nel messaggio inviato oggi alle comunità musulmane di tutto il mondo in occasione del Ramadan, che si intitola ‘Cristiani e musulmani: ciò che speriamo di diventare insieme’.

Nel messaggio si mette in evidenza la coincidenza che vede quest’anno il Ramadan e la Quaresima cristiana sovrapporsi nello stesso periodo: “Quest’anno il Ramadan coincide in gran parte con la Quaresima, che per i cristiani è un periodo di digiuno, supplica e conversione a Cristo. Questa vicinanza nel calendario spirituale ci offre un’opportunità unica di camminare fianco a fianco, cristiani e musulmani, in un percorso comune di purificazione, preghiera e carità. Per noi cattolici è una gioia condividere questo momento con voi, perché ci ricorda che siamo tutti pellegrini su questa terra e che stiamo tutti cercando di ‘vivere una vita migliore’.

Quest’anno desideriamo riflettere con voi non solo su ciò che possiamo fare insieme per ‘vivere una vita migliore’, ma soprattutto su ciò che vogliamo diventare insieme, come cristiani e musulmani, in un mondo in cerca di speranza. Vogliamo essere semplici collaboratori per un mondo migliore o autentici fratelli e sorelle testimoni comuni dell’amicizia di Dio con tutta l’umanità?”

Ma Quaresima e Ramadan non sono semplici periodi di astinenza e di penitenza: “Più che un semplice mese di digiuno, noi cattolici consideriamo il Ramadan come una scuola di trasformazione interiore. Astenendosi dal cibo e dalle bevande, i musulmani imparano a controllare i loro desideri e a porre l’attenzione su ciò che è essenziale. Questo tempo di disciplina spirituale è un invito a coltivare la pietà, quella virtù che avvicina a Dio e apre il cuore agli altri.

Come sapete, nella tradizione cristiana, la stagione santa della Quaresima ci invita a seguire un percorso simile: attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina cerchiamo di purificare il nostro cuore e di concentrarci su Colui che guida e dirige la nostra vita. Queste pratiche spirituali, sebbene espresse in modo diverso, ci ricordano che la fede non è solo una questione di gesti esteriori, ma un percorso di conversione interiore”.

Nel messaggio il card. George Koovakad, da poche settimane prefetto di questo organismo della Santa Sede e il segretario mons. Indunil Kodithuwakku Janakaratne Kankanamalage, hanno sottolineato il significato di speranza: “In un mondo segnato dall’ingiustizia, dai conflitti e dall’incertezza sul futuro la nostra vocazione comune implica molto di più di pratiche spirituali analoghe. Il nostro mondo ha sete di fraternità e di dialogo autentico. Insieme, musulmani e cristiani, possono essere testimoni di questa speranza, nella convinzione che l’amicizia è possibile nonostante il peso della storia e delle ideologie che intrappolano.

La speranza non è semplice ottimismo: è una virtù ancorata nella fede in Dio, il Misericordioso, nostro Creatore. Per voi, cari amici musulmani, la speranza si nutre della fiducia nella misericordia divina che perdona e guida. Per noi cristiani, essa si fonda sulla certezza che l’amore di Dio è più forte di tutte le prove e gli ostacoli”.

Ed ecco emergere il valore della fraternità: “Quello che vogliamo diventare insieme è perciò essere fratelli e sorelle in umanità, che si stimano profondamente a vicenda. La nostra fede in Dio è un tesoro che ci unisce, ben oltre le nostre differenze. Ci ricorda che siamo tutte creature, spirituali, incarnate e amate, chiamate a vivere nella dignità e nel rispetto reciproco. E noi desideriamo diventare custodi di questa sacra dignità, rifiutando ogni forma di violenza, discriminazione ed esclusione. Quest’anno, mentre le nostre due tradizioni spirituali si ritrovano nel celebrare il Ramadan e la Quaresima, abbiamo un’opportunità unica di mostrare al mondo che la fede trasforma le persone e la società, e che è una forza propulsiva di unità e riconciliazione”.

Quindi il messaggio è un invito a ‘costruire’ ponti: “Non vogliamo semplicemente coesistere; vogliamo vivere insieme in sincera e reciproca stima. I valori che condividiamo, come la giustizia, la compassione e il rispetto per il creato dovrebbero ispirare le nostre azioni e i nostri rapporti e servirci da bussola per essere costruttori di ponti anziché di muri, fautori della giustizia anziché dell’oppressione, essere protettori dell’ambiente anziché distruttori. La nostra fede e i suoi valori dovrebbero aiutarci a essere voci che si ergono contro l’ingiustizia e l’indifferenza e che proclamano la bellezza della diversità umana”.

Il messaggio si chiude con l’invito a ‘seminare’ speranza: “In questo tempo di Ramadan e con l’approssimarsi di ‘Id al-Fitr siamo felici di condividere questa speranza con voi. Che le nostre preghiere, i nostri gesti di solidarietà e i nostri sforzi per la pace siano segni tangibili della nostra sincera amicizia con voi. Che questa festa sia un’occasione di incontri fraterni tra musulmani e cristiani in cui possiamo celebrare insieme la bontà di Dio. Questi semplici, ma profondi momenti di condivisione, sono semi di speranza che possono trasformare le nostre comunità e il nostro mondo. Che la nostra amicizia sia una brezza ristoratrice per un mondo assetato di pace e fraternità!”

Don Raffaele Ponticelli racconta il Cuore di Cristo

“Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (1 Gv 4,10). Grazie a Gesù ‘abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16). Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”:  scrive papa Francesco ad inizio dell’enciclica ‘Dilexit nos’.

Partiamo da questo incipit dell’enciclica papa per un dialogo sull’importanza del cuore con don Raffaele (Lello) Ponticelli, docente di psicologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, psicologo-psicoterapeuta, autore del libro ‘Cuore di Cristo Cuore di Uomo’ e membro della Commissione per l’Anno Santo dell’arcidiocesi di Napoli, che ha invitato a riflettere sul magistero pedagogico del papa:

“Riflettendo sul magistero pedagogico di papa Francesco mi è parso di individuare due passi concreti per avanzare in quell’educazione emotivo-affettiva che molti invocano: un passo è quello di percorrere la strada nei sentimenti di Cristo (lo disse al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015), l’altro è dato dall’acquisizione dello stile del Samaritano (qui la citazione è dall’enciclica ‘Fratelli tutti’), stile che sintetizza quei sentimenti in un’empatia che si eleva a compassione… Ancora papa Francesco, in un convegno sulla sfida educativa a Roma nel 2017, indicava come necessaria una alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani)”.

Allora, quanto è importante il cuore?

“Quanto la persona stessa e l’intero mondo! Il papa dedica il primo capitolo dell’enciclica ad esplorare quest’importanza, perché nel cuore è simboleggiato tutto il paradosso umano: mistero di limite e d’infinito, di drammatico e di bello, affascinante.  Il cuore è simbolo di tutta la persona, del sacrario suo più intimo, luogo di orientamenti e decisioni radicali dove si gioca la partita del tempo e dell’eternità. Gesù nel Vangelo ce lo ricorda (Mc7,14-23) e ci offre la medicina della misericordia e dell’amore di Dio per guarirlo dalla sclerosi (sclerocardia) e renderlo capace di amare alla Sua stessa maniera”.

Qual è la differenza tra il cuore di Cristo e il cuore dell’uomo?

“Cristo ha amato con cuore d’ uomo’, è scritto nella Costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’. Allora verrebbe da dire che non c’è alcuna differenza. Ma il Cuore di Cristo è anche il Cuore di Dio stesso: ama in modo imperituro, senza inquinamenti o riserve. Attraversato umanamente, come il nostro, da lotte (le tentazioni, l’esperienza del Getsemani) non s’è piegato, perché libero e unificato.

Il cuore umano invece soffre in se stesso una divisione, è baratro che può anche esser invaso dal male, dalla chiusura a Dio, agli altri, a se stesso. Perciò il Cuore di Cristo, in quanto Cuore di Dio e Cuore dell’uomo sognato da Dio, è paradigma di com’è chiamato a diventare il nostro cuore, per creazione e per redenzione. Non c’è che una tristezza al mondo: parafrasando Peguy, quella di non avere ancora in noi i sentimenti del Cuore di Cristo”.

Perché ‘solo con il cuore si vede bene’?

“Non con qualsiasi cuore! Anche ‘Il Piccolo Principe’ sarebbe d’accordo. Un cuore inquinato (dall’odio, dall’indifferenza…) potrebbe vedere in modo distorto o non vedere affatto! Si vede bene solo col cuore quando il cuore è nelle sue migliori condizioni, allora vede con l’occhio dell’amore allungando lo sguardo oltre l’apparenza, la superficialità…  Le sue ragioni vanno oltre la ragione (Pascal), superandola non per disprezzo, ma per luminosità e compassione, di cui il cuore è pur sempre capace”.

Di quanti cuori racconta nel libro?

“Di quelli che pulsano in ciascuno di noi, più o meno consapevolmente. Ma il libro desidera soprattutto lasciar intravedere il Cuore di Cristo e la ricchezza dei suoi sentimenti, affinché ciascuno possa sentirne l’eco, il fascino, la nostalgia e gioire della loro presenza che, talvolta segreta, ci fa amare come Cristo ama. Non a caso le domande per la riflessione personale e le briciole di meditazioni, poste alla fine d’ogni capitolo, sono un invito a scavare nei desideri del nostro cuore e scalare quelli del Cuore di Cristo, per diventare umile implorazione in una semplice giaculatoria”.

In quale modo è possibile imparare da Gesù la mitezza del cuore?

“Chiedendola nella preghiera e mettendosi continuamente alla scuola del Vangelo e dei Santi, con un discepolato permanente, faticoso e gioioso insieme, nella certezza che Gesù non ce lo avrebbe chiesto (imparate da me che sono mite e umile di cuore) senza darci i mezzi per apprenderne l’arte. Sono mezzi anzitutto quelli della grazia dei Sacramenti: l’Eucaristia, la Riconciliazione. Lo è l’accompagnamento spirituale ed ogni altro aiuto a riconoscere la propria aggressività, a gestirla rieducandosi allo stile di non violenza, amorevolezza, perdono: vero antidoto in una società spesso ostile e rancorosa. La mitezza di Gesù non è dabbenaggine ma occasione per la rivoluzione della tenerezza che disarma il cuore, la parola e le mani”.

Quale cuore occorre per contribuire alla costruzione della civiltà dell’amore?

Solo quello che permette allo Spirito di trapiantare in noi i sentimenti del Cuore di Cristo. E’ stata la consegna di Papa Francesco a Firenze, nel 2015: invitava la Chiesa italiana a contribuire ad un nuovo umanesimo tornando ai sentimenti di Cristo: umiltà, disinteresse, beatitudine”.

 Com’è possibile avere un cuore umile?

“C’è da ricordare, anzitutto, che l’umiltà passa per la via dell’umiliazione… Umile lo diventa un cuore che si abbassa e scende con la stessa umiltà di Dio. In Cristo Dio è sceso: da onnipotente ha accettato i limiti e l’onnidebolezza dell’amore, da creatore si è fatto creatura, da Re s’è fatto servo chinandosi ai nostri piedi per lavarli, da innocente s’è fatto peccato. Da Altissimo a Bassissimo. È disceso agli inferi, ora Risorto vive e non disdegna di vivere in noi donandoci la stessa sua umiltà quando accettiamo di seguirne le orme”.

(Tratto da Aci Stampa)

Sesta domenica Tempo Ordinario: Beato chi confida nel Signore!

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo!… beato l’uomo che  confida nel Signore” così scrive il profeta Geremia. La nostra fede ha base granitica perché fondata su Cristo risorto: Cristo, vero Dio e vero uomo; Cristo maestro e guida sicura. Il brano del vangelo ascoltato presenta una contrapposizione: quattro beatitudini e, subito dopo, quattro ammonimenti: ‘guai a voi…’. Gesù dichiara beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati, mentre ammonisci i ricchi, i sazi, quelli che ridono e godono.

Le beatitudini proclamate da Gesù non sono un elenco di situazioni di debolezza o di fallimento, né la promessa di un ribaltamento della situazione precedente. Le beatitudini ci parlano di una battaglia della mente e del cuore; una battaglia che il cristiano è chiamato a combattere ogni giorno.  E’ l’esperienza della nostra debolezza, la sofferenza della vita di fronte a difficoltà che sembrano insopportabili; è certo una esperienza  dolorosa ma  che non può spaventare l’uomo che pone la sua fiducia nel Signore (cfr. Ger. 17, 7-8).

Le beatitudini rappresentano il programma completo della vita cristiana; ci insegnano a mostrare misericordia, a conservare la purezza di spirito, ad amarci l’un l’altro, ad essere operatori di pace: ama il prossimo tuo come te stesso perchè è tuo fratello con pari dignità. Da qui: ‘Beati i poveri di spirito!’ Essere poveri sulle orme di Cristo Gesù significa puntare sulla fiducia in Dio e riconoscere che in noi non c’è nulla che non abbiamo ricevuto. L’anima non può e non deve essere legata ai beni terreni ma distaccata nella piena convinzione che i beni terreni sono mezzi e non fine della vita.

La vera ricchezza è la dignità della persona umana verso la quale bisogna avere il massimo rispetto. Da qui anche le altre beatitudini come consolare gli afflitti, avere fame e sete di giustizia. La ricchezza che Gesù denuncia è quella che porta ad una forma di autosufficienza; uscire da questa trappola illusoria è la via regia che porta alla vera beatitudine. E’ una vera maledizione cercare nella propria realtà  la soluzione e la sicurezza. Le beatitudini ci richiamano a quella fortezza di sè che ci pone a servizio dell’uomo e al trionfo del bene sul male.

Questa è la via maestra che ci porta al regno di Dio, dove Dio tergerà ogni lacrima dagli occhi che piangono perchè possa trionfare l’amore, che è servizio. Da 0qui le parole di Gesù: “rallegratevi ed esultate perchè grande è la ricompensa nei cieli (Mt. 5, 12). Quello del Vangelo è un messaggio nuovo già adombrato da Geremia: ‘Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno, benedetto l’uomo che confida nel Signore’.

L’uomo chiuso nel gretto egoismo della sua umanità sperimenta solo il suo individualismo esagerato dove contano solo le ricchezze, il piacere, la gloria. E’ proprio questo individualismo materialista ed ateo ci riporta all’origine della vita, ai nostri progenitori che, appena conobbero il bene e il male, pensarono solo di potere fare a meno di Dio e scoprirono solo di essere ‘nudi’,  di avere perduto tutto, specie l’amore di Dio. Con il discorso delle beatitudini Gesù apre gli occhi: siamo chiamati alla felicità, ad essere beati, ma diventiamo tali nella misura in cui ci mettiamo dalla parte di Dio, dalla parte di ciò che non è effimero e passeggero; siamo felici se ci riconosciamo bisognosi di Dio: ‘Signore, ho bisogno di te!’

Non cercare mai la felicità, come evidenzia papa Francesco, tra i venditori di fumo, professionisti dell’illusione. Apriamo gli occhi sui valori dello spirito, sulla parola di Dio che ci scuote,  ci sazia, ci dà gioia e dignità. Pratica le beatitudini e sarai vero discepolo di Gesù. La Madonna, madre di Cristo Gesù e madre della Chiesa, ci aiuti a vivere il messaggio del Vangelo con le opere e la testimonianza della vita.p

Papa Francesco invita a lasciarsi convertire dalla misericordia di Gesù

“Il Giubileo è per le persone e per la Terra un nuovo inizio; è un tempo dove tutto va ripensato dentro il sogno di Dio. E sappiamo che la parola ‘conversione’ indica un cambiamento di direzione. Tutto si può vedere, finalmente, da un’altra prospettiva e così anche i nostri passi vanno verso mete nuove. Così sorge la speranza che mai delude. La Bibbia racconta questo in molti modi. E anche per noi l’esperienza della fede è stata stimolata dall’incontro con persone che nella vita hanno saputo cambiare e sono, per così dire, entrate nei sogni Dio. Infatti, anche se nel mondo c’è tanto male, noi possiamo distinguere chi è diverso: la sua grandezza, che coincide spesso con la piccolezza, ci conquista”.

Oggi nella seconda udienza giubilare  papa Francesco, incontrando pellegrini e fedeli, ha offerto loro  la figura di Maria Maddalena, ‘guarita’ dalla misericordia di Gesù: “Nei Vangeli, la figura di Maria Maddalena emerge per questo su tutte le altre. Gesù l’ha guarita con la misericordia e lei è cambiata. Sorelle e fratelli, la misericordia cambia, la misericordia cambia il cuore. E Maria Maddalena, la misericordia l’ha riportata nei sogni di Dio e ha dato nuove mete al suo cammino”.

Il papa ha sottolineato un verbo, quello del voltarsi, come suggerisce il racconto evangelico: “Il Vangelo di Giovanni racconta il suo incontro con Gesù Risorto in un modo che ci fa pensare. Più volte è ripetuto che Maria si voltò. L’Evangelista sceglie bene le parole! In lacrime, Maria guarda dapprima dentro il sepolcro, quindi si volta: il Risorto non è dalla parte della morte, ma dalla parte della vita. Può essere scambiato per una delle persone che incontriamo ogni giorno”.

Il voltarsi è legato al nome: “Poi, quando sente pronunciare il proprio nome, il Vangelo dice che di nuovo Maria si volta. E’ così che cresce la sua speranza: ora vede il sepolcro, ma non più come prima. Può asciugare le sue lacrime, perché ha ascoltato il proprio nome: solo il suo Maestro lo pronuncia così. Il mondo vecchio sembra ci sia ancora, ma non c’è più”.

Attraverso una domanda il papa ha invitato i fedeli a riconoscere la voce di Gesù: “Quando noi sentiamo che lo Spirito Santo agisce nel nostro cuore e sentiamo che il Signore ci chiama per nome, sappiamo distinguere la voce del Maestro? Cari fratelli e sorelle, da Maria Maddalena, che la tradizione chiamò ‘apostola degli apostoli’, impariamo la speranza.

Si entra nel mondo nuovo convertendosi più di una volta. Il nostro cammino è un costante invito a cambiare prospettiva. Il Risorto ci porta nel suo mondo, passo dopo passo, a condizione che non pretendiamo di sapere già tutto”.

E’ un invito a lasciarsi convertire: “Un io troppo sicuro, troppo orgoglioso ci impedisce di riconoscere Gesù Risorto: anche oggi, infatti, il suo aspetto è quello di persone comuni che rimangono facilmente alle nostre spalle. Persino quando piangiamo e ci disperiamo, lo lasciamo alle spalle. Invece di guardare nel buio del passato, nel vuoto di un sepolcro, da Maria Maddalena impariamo a voltarci verso la vita. Lì il nostro Maestro ci attende. Lì il nostro nome è pronunciato”.

Ed ha assicurato che nella vita ognuno ha un ‘posto’: “Perché nella vita reale c’è un posto per noi, sempre e dovunque. C’è un posto per te, per me, per ciascuno. Nessuno può prenderlo, perché è stato pensato da sempre per noi. È brutto, come si dice nel parlato volgare, è brutto lasciare la sedia vuota. Questo posto è per me, se io non ci vado… Ognuno può dire: io ho un posto, io sono una missione! Pensate questo: qual è il mio posto? Qual è la missione che il Signore mi dà? Che questo pensiero ci aiuti a prendere un atteggiamento coraggioso nella vita”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco: Gesù è venuto per annunciare la liberazione

“Domani ricorre la Giornata Internazionale di Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto: ottant’anni dalla liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz. L’orrore dello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi avvenuto in quegli anni non può essere né dimenticato né negato. Ricordo la brava poetessa ungherese Edith Bruck, che abita a Roma… Ricordiamo anche tanti cristiani, tra i quali numerosi martiri.

Rinnovo il mio appello affinché tutti collaborino a debellare la piaga dell’antisemitismo, insieme ad ogni forma di discriminazione e persecuzione religiosa. Costruiamo insieme un mondo più fraterno, più giusto, educando i giovani ad avere un cuore aperto a tutti, nella logica della fraternità, del perdono e della pace”: al termine della recita dell’Angelus odierno papa Francesco ha ricordato che domani ricorre il ‘Giorno della memoria’, invitando a non dimenticare.

Eppoi ha invocato la pace per il Sudan e la Colombia, sottolineando che oggi si celebra la giornata per i malati di lebbra: “Il conflitto in corso in Sudan, iniziato nell’aprile 2023, sta causando la più grave crisi umanitaria nel mondo, con conseguenze drammatiche anche nel Sud Sudan. Sono vicino alle popolazioni di entrambi i Paesi e le invito alla fraternità, alla solidarietà, ad evitare ogni sorta di violenza e a non lasciarsi strumentalizzare. Rinnovo l’appello alle parti in guerra in Sudan affinché cessino le ostilità e accettino di sedere a un tavolo di negoziati. Esorto la comunità internazionale a fare tutto il possibile per far arrivare gli aiuti umanitari necessari agli sfollati ed aiutare i belligeranti a trovare presto strade per la pace.

Guardo con preoccupazione alla situazione della Colombia, in particolare nella regione del Catatumbo, dove gli scontri tra gruppi armati hanno provocato tante vittime civili e più di trentamila sfollati. Esprimo la mia vicinanza a loro e prego.

Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra. Incoraggio quanti operano in favore dei colpiti da questa malattia a proseguire il loro impegno, aiutando anche chi guarisce a reinserirsi nella società. Non siano emarginati!”

In precedenza aveva invitato ad immaginare lo sconcerto del popolo di fronte alle parole di Gesù: “Immaginiamo la sorpresa e lo sconcerto dei concittadini di Gesù, i quali lo conoscevano come il figlio del falegname Giuseppe e non avrebbero mai immaginato che Egli potesse presentarsi come il Messia. E’ stato uno sconcerto. Eppure è proprio così: Gesù proclama che, con la sua presenza, è giunto ‘l’anno di grazia del Signore’. E’ il lieto annuncio per tutti e in modo speciale per i poveri, per i prigionieri, per i ciechi, per gli oppressi, così dice il Vangelo”.

Ugualmente avviene oggi: “Sorelle e fratelli, questo avvenimento, con le dovute analogie, succede anche per noi oggi. Anche noi siamo interpellati dalla presenza e dalle parole di Gesù; anche noi siamo chiamati a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, il nostro Salvatore. Ma può capitarci, come allora ai suoi compaesani, di pensare che noi lo conosciamo già, che di Lui sappiamo già tutto, siamo cresciuti con Lui, a scuola, in parrocchia, al catechismo, in un Paese di cultura cattolica… E così per noi è una Persona vicina, anzi, ‘troppo’ vicina”.

Invece nella domenica dedicata alla Parola di Dio, a conclusione del giubileo dedicato al mondo della comunicazione, il papa ha sottolineato che essa è viva: “La Parola di Dio è viva: attraverso i secoli cammina con noi, e per la potenza dello Spirito Santo opera nella storia. Il Signore, infatti, è sempre fedele alla sua promessa, che mantiene per amore degli uomini”.

Anche oggi colpisce lo stupore per la sua vitalità in una perfetta coincidenza: “Nella Domenica della Parola di Dio, ancora agli inizi del Giubileo, viene proclamata questa pagina del Vangelo di Luca, nella quale Gesù si rivela come il Messia ‘consacrato con l’unzione’ e mandato a ‘proclamare l’anno di grazia del Signore’! Gesù è la Parola Vivente, in cui tutte le Scritture trovano pieno compimento… Ho detto una parola: stupore. Quando noi sentiamo il Vangelo, le parole di Dio, non si tratta soltanto di ascoltarle, di capirle, no. Devono arrivare al cuore, e produrre quello che ho detto: ‘stupore’. La Parola di Dio sempre ci stupisce, sempre ci rinnova, entra nel cuore e ci rinnova sempre”.

La profezia si compie in cinque azioni, di cui la prima consiste nel ‘lieto annuncio’: “Ecco il “vangelo”, la buona notizia che Gesù proclama: il Regno di Dio è vicino! E quando Dio regna, l’uomo è salvato. Il Signore viene a visitare il suo popolo, prendendosi cura dell’umile e del misero. Questo Vangelo è parola di compassione, che ci chiama alla carità, a rimettere i debiti del prossimo e a un generoso impegno sociale. Non dimentichiamo che il Signore è vicino, misericordioso e compassionevole. Vicinanza, misericordia e compassione sono lo stile di Dio. Lui è così: misericordioso, vicino, compassionevole”.

Un lieto annuncio che proclama la liberazione ai prigionieri: “Fratelli, sorelle, il male ha i giorni contati, perché il futuro è di Dio. Con la forza dello Spirito, Gesù ci redime da ogni colpa e libera il nostro cuore, lo libera da ogni catena interiore, portando nel mondo il perdono del Padre. Questo Vangelo è parola di misericordia, che ci chiama a diventare testimoni appassionati di pace, di solidarietà, di riconciliazione”.

Dona la vista ai ciechi: “Il Messia ci apre gli occhi del cuore, spesso abbagliati dal fascino del potere e dalla vanità: malattie dell’anima, che impediscono di riconoscere la presenza di Dio e che rendono invisibili i deboli e i sofferenti. Questo Vangelo è parola di luce, che ci chiama alla verità, alla testimonianza della fede e alla coerenza della vita”.

E la libertà agli oppressi: “Nessuna schiavitù resiste all’opera del Messia, che ci rende fratelli nel suo nome. Le carceri della persecuzione e della morte vengono spalancate dall’amorevole potenza di Dio; perché questo Vangelo è parola di libertà, che ci chiama alla conversione del cuore, all’onestà del pensiero e alla perseveranza nella prova”.

Tutto ciò si conclude nella proclamazione dell’anno ‘di grazia del Signore’: “Si tratta di un tempo nuovo, che non consuma la vita, ma la rigenera. E’ un Giubileo, come quello che abbiamo iniziato, preparandoci con speranza all’incontro definitivo col Redentore. Il Vangelo è parola di gioia, che ci chiama all’accoglienza, alla comunione e al cammino, da pellegrini, verso il Regno di Dio”.

E’ un invito a leggere la Bibbia: “Tutta la Bibbia fa memoria di Cristo e della sua opera e lo Spirito la attualizza nella nostra vita e nella storia. Quando noi leggiamo le Scritture, quando le preghiamo e le studiamo, non riceviamo solo informazioni su Dio, bensì accogliamo lo Spirito che ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto… Fratelli, sorelle, dobbiamo essere più abituati alla lettura delle Scritture.

A me piace consigliare che tutti abbiano un piccolo Vangelo, un piccolo Nuovo Testamento tascabile, e lo portino nella borsa, lo portino sempre con sé, per prenderlo durante la giornata e leggerlo… E così, durante la giornata, c’è questo contatto con il Signore”.

(Foto: Santa Sede)

Terza Domenica del Tempo Ordinario: Eccomi a voi! Dio ha mantenuto la promessa!

Assai significativo il brano del Vangelo. Ogni volta che leggiamo il Vangelo ci segniamo la fronte, la bocca e il cuore ad indicare che la ‘Parola di Dio’ va meditata, proclamata con la bocca, custodita nel cuore. L’episodio del vangelo è semplice ed affascinante. Un giorno di sabato Gesù si reca nella sinagoga di Nazareth, sua città dove era vissuta per circa trenta anni; da tutti  conosciuto come il figlio di Maria e di Giuseppe, il falegname del paese; da tutti amato ed apprezzato.

I compaesani erano però alterati perchè Gesù mai aveva operato prodigi; andato via e stabilitosi a Cafarnao, folle intere andavano a trovarlo per ascoltarlo ed ottenere guarigioni. Gesù avvertì il bisogno di entrare anche nella sinagoga di Nazareth; vi rientra al momento della preghiera, prende il volume della Bibbia e legge il passo del profeta Isaia: ‘Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione   e mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto annunzio…’. Terminata la lettura, chiude il libro e dice ai  presenti: ‘Oggi si è compiuta questa scrittura…’.

I compaesani restano trasecolati; conoscono Gesù come figlio di Maria e Giuseppe ma non certo come il Messia promesso da Dio. Se leggiamo il proseguo: Gesù alla fine andrà via  e non ritornerà più a Nazareth dicendo: ‘Nessuno è profeta accetto nella sua patria’. Chi è Gesù? Egli è l’atteso del popolo ebreo ma la sua presenza ha sempre suscitato ammirazione e, subito dopo, minacce di morte: nasce a Betlemme e mentre corrono a 4trovarlo i pastori e i magi, il re Erode si prepara a compiere la strage degli innocenti nella speranza di colpire Gesù.

Rientrato ora a Nazareth, dove era vissuto circa trent’anni, si ripete qualcosa di analogo: i Nazaretani restano quasi scandalizzati e Gesù è costretto ad andare via senza ritorno. Gesù si è presentato per la prima volta tra i suoi come il ‘Verbo di Dio’, la sapienza divina, il Figlio di Dio concepito per opera dello Spirito santo. Egli afferma chiaramente di essere il Messia promesso da Dio, il Salvatore. Parole assai ferme e forti ! Solo a chi non ha fede il cristianesimo appare un vero paradosso. La soluzione del paradosso sta solo in una parola: amore, l’Amore di Dio per l’uomo, creato a sua immagine.

Dio ama l’uomo, suo capolavoro; e dopo il peccato originale disse a satana: ‘Metterò inimicizia tra te e la donna e … verrà colui che ti schiaccerà la testa!’ Il Salvatore incarnato è proprio il Figlio di Dio, la seconda persona della Santissima Trinità. è il Verbo eterno incarnato. Egli, pur essendo Dio, si è incarnato, assumendo in sè la natura umana nel grembo di Maria. Dio, amici carissimi, vuole tutti salvi ma rispetta sempre la libertà dell’uomo.

Alla grotta di Betlemme ciascuno di noi può scoprire la verità di Dio e la verità dell’uomo. Nel Bambino Gesù, nato dalla vergine Maria, scriveva papa Benedetto XVI, è coniugato l’anelito dell’uomo alla vita eterna ed il cuore grande e misericordioso di Dio, che non si è vergognato di assumere la condizione umana. Maria ha rivelato il Cristo Gesù ai pastori e ai Magi ed ha conservato nel cuore quanto si diceva di Lui.

Così Maria davanti alla cugina Elisabetta poté cantare: ‘L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l’umiltà della sua serva’. A Nazareth Gesù ebbe a dire: ‘Sono venuto per portare ai poveri il lieto annunzio!’ Chi sono i poveri ai quali è annunciato il messaggio? 

La risposta si deduce da tutto il vangelo: non si tratta di uno stato sociale (è povero chi non ha soldi)  ma è un atteggiamento dello spirito umano; è povero   chi prende coscienza che quello che siamo ed abbiamo è solo dono di Dio; siamo depositari di questi doni e con umiltà dobbiamo riconoscere la mano misericordiosa di Dio.

‘Includiamoci – Giustizia con Misericordia’: incontro ad Ugento

La Diocesi Ugento – S. Maria di Leuca attraverso la Caritas diocesana, comunica che oggi alle ore 18.30, presso la Cattedrale di Ugento, si svolgerà l’incontro pubblico: ‘PROGETTO IncludiAMOci – GIUSTIZIA CON MISERICORDIA’.

L’evento si inserisce in preparazione della festa di San Vincenzo, il 22 gennaio, patrono della Diocesi, considerato il più insigne dei martiri spagnoli, martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano, tra il 304 e il 306. Vincenzo, subì il duro carcere e il martirio, nella città di Valencia, nelle parole del poeta, Aurelio Prudenzio Clemente, canta della presenza del Signore nel duro carcere ……  ”Il carcere .si illumina; strani profumi sostituiscono i fetidi vapori; il suolo si ricopre di fiori; si spezzano i ceppi e le catene; si ode il battito di ali angeliche e il martire riceve le liete ambasciate dei beati”. (dal Peristephanon )

Papa Francesco nella bolla “Spes non confundit” di annuncio del Giubileo ha espresso la volontà di aprire la Porta Santa in un carcere, come è poi avvenuto (è stata la seconda) nel carcere di Rebibbia a Roma: “Come segno di speranza per recuperare fiducia in sé stessi e ritrovare la stima e la solidarietà della società”.

L’incontro, moderato da Don Lucio CIARDO – Direttore della Caritas diocesana,  è l’ occasione per  illustrare i risultati raggiunti nell’attuazione del progetto, sostenuto da Caritas Italiana e Intesa San Paolo per il Sociale, inizia con  il saluto istituzionale di Salvatore CHIGA, Sindaco di Ugento, proseguirà con gli interventi di Rocco PEZZULLO, Caritas Italiana, Paolo BONASSI, Intesa Sanpaolo Chief Social Impact Officer, Antonella ATTANASIO, Referente ambito Giustizia Caritas Ugento – S. Maria di Leuca – “Sportello VI Opera”, Giuseppe SANTORO, Dirigente Penitenziario UDEPE, Padre Angelo DE PADOVA, Cappellano Casa Circondariale Borgo San Nicola a Lecce, Luogotente Alessandro BORGIA, Comandante Stazione Carabinieri Ugento e con le conclusioni di Mons. Vito ANGIULI, Vescovo di Ugento – S. Maria di Leuca.

Dal 2020, la Caritas Diocesana ha stilato una Convenzione con il Tribunale di Lecce, alla luce del protocollo tra Caritas Italiana e Ministero di Grazia e Giustizia, per l’accoglienza di persone coinvolte in misure di esecuzione penale esterna. Negli anni alcune parrocchie della Diocesi, hanno accolto queste persone senza un coordinamento che tenesse traccia delle accoglienze e dei risultati raggiunti alla fine di ogni percorso e, soprattutto, senza interazioni tra i vari attori. Grazie al progetto, è stato avviato lo “sportello VI Opera” che sta svolgendo la funzione di creare un coordinamento funzionale alle prese in carico, dando vita a percorsi di accompagnamento educativo rivolti alle persone più vulnerabili, come quelle colpite da procedimenti penali, ad uscire dalla loro situazione, anche attraverso l’attenzione alle loro famiglie.

Inoltre è stato realizzato un programma con l’obiettivo di formare dei volontari, in grado di supportare le comunità in queste azioni di accoglienza ed inclusività. Lo sportello è diventato un importante riferimento degli Uffici dell’UDEPE e degli avvocati, ma soprattutto dei beneficiari; ciò ha portato ad un aumento non previsto delle richieste, infatti si è passati dall’accoglienza di 15 Affidati in Prova e di 12 LPU all’attuale numero: 49 Volontari in Affidamento in Prova e 28 LPU, in più sta supportando una comunità parrocchiale nell’accoglienza di un ragazzo agli arresti domiciliari. Inoltre, le varie azioni sono state portate avanti insieme agli enti gestori di Caritas diocesana: l’Associazione Form.Ami APS-ETS e la Cooperativa Sociale I.P.A.D. Mediterranean.

Nonostante l’assenza di un Istituto penitenziario all’interno della nostra Diocesi, l’attenzione alle persone che hanno avuto o che hanno problemi con la giustizia è cresciuta nell’ultimo periodo e grazie a questo progetto la nostra Caritas ha fatto emergere il valore pedagogico di percorsi che sono sì delle condanne, ma che possono essere per le persone occasioni di redenzione e riscatto. Si è consapevoli che la dignità è il più alto valore di ogni persona, che deve essere rispettata nonostante gli errori. Promuovere relazioni positive e responsabilizzare la comunità è l’impegno da assumersi come atto d’amore verso tutti coloro che soffrono. “Non vogliamo perdere nessuno” è il motto che abbiamo scelto e che ci accompagna in ogni agire.

L’evento potrà essere seguito in diretta streaming su: www.radiodelcapo.it.

Papa Francesco: Dio condivide la vita umana

Nell’Angelus odierna papa Francesco, incoraggiando i presente in piazza san Pietro nonostante la pioggia, ha raccontato la ‘potenza’ del brano evangelico odierno: “Oggi il Vangelo, parlandoci di Gesù, Verbo fatto carne, ci dice che ‘la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta’. Ci ricorda, cioè, quanto è potente l’amore di Dio, che non si lascia vincere da nulla e che, al di là di ostacoli e rifiuti, continua a risplendere e a illuminare il nostro cammino”.

Attraverso il Vangelo di questa domenica Dio si manifesta nell’umiltà: “Lo vediamo nel Natale, quando il Figlio di Dio, fattosi uomo, supera tanti muri e tante divisioni. Affronta la chiusura di mente e di cuore dei ‘grandi’ del suo tempo, preoccupati più di difendere il potere che di cercare il Signore.

Condivide la vita umile di Maria e Giuseppe, che lo accolgono e crescono con amore, ma con le possibilità limitate e i disagi di chi non ha mezzi: erano poveri. Si offre, fragile e indifeso, all’incontro con i pastori, uomini dal cuore segnato dalle asprezze della vita e dal disprezzo della società; e poi con i Magi, che spinti dal desiderio di conoscerlo affrontano un lungo viaggio e lo trovano in una casa di gente comune, in grande povertà”.

E nonostante le ‘chiusure’Dio continua ad elargire misericordia: “Di fronte a queste e a tante altre sfide, che sembrano contraddizioni, Dio non si ferma mai: trova mille modi per arrivare a tutti e a ciascuno di noi, là dove ci troviamo, senza calcoli e senza condizioni, aprendo anche nelle notti più oscure dell’umanità finestre di luce che il buio non può coprire. E’ una realtà che ci consola e che ci dà coraggio, specialmente in un tempo come il nostro, un tempo non facile, dove c’è tanto bisogno di luce, di speranza e di pace, un mondo dove gli uomini a volte creano situazioni così complicate, che sembra impossibile uscirne”.

Quindi il Vangelo odierno è stato un invito ad aprirsi all’amore: “Sembra impossibile uscire da tante situazioni, ma oggi la Parola di Dio ci dice che non è così! Anzi, ci chiama a imitare il Dio dell’amore, aprendo spiragli di luce dovunque possiamo, con chiunque incontriamo, in ogni contesto: familiare, sociale, internazionale. Ci invita a non aver paura di fare il primo passo. Questo è l’invito del Signore oggi: non abbiamo paura di fare il primo passo: ci vuole coraggio per farlo, ma non abbiamo paura”.

Ci si apre all’amore attraverso una risposta positiva alla vita: “Spalancando finestre luminose di vicinanza a chi soffre, di perdono, di compassione, di riconciliazione: questi sono i tanti primi passi che noi dobbiamo fare per rendere il cammino più chiaro, sicuro e possibile per tutti. E questo invito risuona in modo particolare nell’Anno giubilare da poco iniziato, sollecitandoci ad essere messaggeri di speranza con semplici ma concreti ‘sì’ alla vita, con scelte che portano vita. Facciamolo, tutti: è questa la via della salvezza!”

Ed oggi è stata aperta anche l’ultima Porta Santa romana, quella della Basilica di San Paolo fuori le Mura, con una celebrazione eucaristica del card. James Michael Harvey, arciprete della Basilica, che nell’omelia ha fatto riferimento alla gioia e alla speranza che caratterizzano il tempo di Natale e quello del Giubileo: “La Chiesa fa un ulteriore passo decisivo nella sua storia millenaria… Le parole che il salmista canta alla città santa Gerusalemme ora la liturgia le canta alla Chiesa universale e a ogni singolo membro di essa.

Questa mattina con l’apertura della Porta Santa, un atto tanto semplice quanto suggestivo, abbiamo varcato la soglia del tempio sacro con immensa gioia perché in modo emblematico abbiamo varcato la porta della speranza. La gioia e la speranza sono il binomio del rito liturgico. Gioia perché è nato il Salvatore, speranza perché Cristo Salvatore è la nostra speranza. E’ la letizia del tempo natalizio in cui il mondo cristiano contempla il disegno di salvezza di Dio».

L’arciprete della Basilica ha ricordato che lo scopo dell’incarnazione del Figlio di Dio è non solo “essere in mezzo a noi ma essere uno di noi. Ci ha comunicato la sua stessa vita filiale per metterci in rapporto intimo con Dio. In Gesù riceviamo l’adozione a figli, ci conduce in una pienezza di vita insuperabile… La gioia è il sentimento giusto anche per il dono della redenzione.

L’apertura della Porta Santa segna il passaggio salvifico aperto da Cristo chiamando tutti i membri della Chiesa a riconciliarsi con Dio e con il prossimo. Varcando con fede questa soglia entriamo nel tempio della misericordia e del perdono. Quanto abbiamo bisogno adesso della speranza, in questo periodo post-pandemia ferito da tragedie, guerre, crisi di varia natura. La speranza è indubbiamente legata al futuro ma si sperimenta anche nel presente”.

Concludendo l’omelia il cardinale ha ricordato che “la città eterna si prepara ad accogliere pellegrini di tutto il mondo; anche noi di Roma ripetiamo gesti che caratterizzano l’esperienza giubilare e la viviamo come speciale dono di grazia, penitenza e perdono dei peccati. La Chiesa invita ciascun pellegrino a percorrere un viaggio spirituale sulle orme della fede. Nello spirito di veri pellegrini, camminando per così dire con la croce in mano, accogliamo con gioia l’appello rivolto a tutta la Chiesa dal papa, un appello pressante e impegnativo, a non accontentarci solo di avere ma anche irradiare speranza, essere seminatori di speranza. E’ il dono più bello che la Chiesa può fare all’umanità intera”.

Mentre nei giorni precedenti il card. Rolandas Makrickas aveva aperto la porta santa della basilica di santa Maria Maggiore: “Dalla cima dell’Esquilino, punto più elevato del centro di Roma, fin dal primo Giubileo della Chiesa essa continua sino ad oggi a diffondere il suo suono per tutta la Città Eterna, a conforto di ogni pellegrino. Il suono di questa campana non solo scandisce le ore e i tempi per la preghiera, ma trasforma in suono la tradizionale immagine ascritta a Maria, quella di guida e segnavia, la Stella Maris, che illumina il cammino nel buio della notte”.

Nell’omelia il cardinale si è soffermato sul valore della ‘pienezza del tempo’: “Il tempo acquista la sua pienezza quando è unito all’eternità, cioè con il tempo infinito di Dio. Il tempo è una grande creatura di Dio. L’uomo spesso e in diversi modi ha voluto aumentare o perfezionare il tempo con le nuove tecnologie, ma ogni suo tentativo si risolve sempre nella sua perdita o in quella che potremmo definire la ‘stanchezza del tempo’. Basti pensare ai computer o ai telefonini: progettati per salvare e arricchire il tempo, ne diventano spesso i suoi peggiori nemici. Non ci si può, invece, sentire mai sperduti, persi o stanchi del tempo vissuto con Dio”.

In questa chiesa è custodita  l’icona mariana della ‘Salus Populi Romani’: “Ogni pellegrino che varcherà la soglia della Porta Santa di questo primo santuario Mariano d’Occidente durante l’Anno Giubilare si disporrà alla preghiera di fronte all’icona della Madre di Dio, Salus Populi Romani, e di fronte alla Sacra Culla di Gesù e non potrà uscire di qui senza avvertire una sensazione particolare”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco chiede la remissione dei debiti

“All’alba di questo nuovo anno donatoci dal Padre celeste, tempo Giubilare dedicato alla speranza, rivolgo il mio più sincero augurio di pace ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita. A tutti voi speranza e pace, perché questo è un Anno di Grazia, che proviene dal Cuore del Redentore!”: il messaggio per la giornata mondiale della pace si intitola ‘Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace’, ed in sintonia del Giubileo papa Francesco ha sottolineato che è anno di grazia.

Ad inizio del messaggio papa Francesco ha sottolineato che il giubileo è annuncio di liberazione: “Il ‘giubileo’ risale a un’antica tradizione giudaica, quando il suono di un corno di ariete (in ebraico yobel) ogni quarantanove anni ne annunciava uno di clemenza e liberazione per tutto il popolo. Questo solenne appello doveva idealmente riecheggiare per tutto il mondo, per ristabilire la giustizia di Dio in diversi ambiti della vita: nell’uso della terra, nel possesso dei beni, nella relazione con il prossimo, soprattutto nei confronti dei più poveri e di chi era caduto in disgrazia. Il suono del corno ricordava a tutto il popolo, a chi era ricco e a chi si era impoverito, che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore”.

Nel messaggio il papa ha invitato a riscoprire l’essenza del Giubileo, che richiama alla giustizia: “Anche oggi, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno, all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del ‘grido disperato di aiuto’ che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra e che Dio non smette mai di ascoltare.

A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che san Giovanni Paolo II definì ‘strutture di peccato’, poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa”.

Ed ha richiamato alla responsabilità della cura del creato: “Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta”.

Con uno sguardo particolare ai migranti, invocando cambiamenti ‘duraturi’: “Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare.

Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. All’inizio di quest’anno, pertanto, vogliamo metterci in ascolto di questo grido dell’umanità per sentirci chiamati, tutti, insieme e personalmente, a rompere le catene dell’ingiustizia per proclamare la giustizia di Dio. Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo”.

Ed ecco che il ‘legame con il Padre’ richiama alla solidarietà: “Quando una persona ignora il proprio legame con il Padre, incomincia a covare il pensiero che le relazioni con gli altri possano essere governate da una logica di sfruttamento, dove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole. Come le élites ai tempi di Gesù, che approfittavano delle sofferenze dei più poveri, così oggi nel villaggio globale interconnesso, il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri. La logica dello sfruttamento del debitore descrive sinteticamente anche l’attuale ‘crisi del debito’, che affligge diversi Paesi, soprattutto del Sud del mondo”.

Questo è il motivo per cui il papa chiede costantemente la remissione del debito: “Non mi stanco di ripetere che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati. A ciò si aggiunga che diverse popolazioni, già gravate dal debito internazionale, si trovano costrette a portare anche il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati.

Il debito ecologico e il debito estero sono due facce di una stessa medaglia, di questa logica di sfruttamento, che culmina nella crisi del debito. Prendendo spunto da quest’anno giubilare, invito la comunità internazionale a intraprendere azioni di condono del debito estero, riconoscendo l’esistenza di un debito ecologico tra il Nord e il Sud del mondo. E’ un appello alla solidarietà, ma soprattutto alla giustizia”.

In ultimo il papa traccia tre ‘possibili’ azioni per riaccendere la speranza, riprendendo Isacco di Ninive: “Dio, che non deve nulla a nessuno, continua a elargire senza sosta grazia e misericordia a tutti gli uomini… Dio non calcola il male commesso dall’uomo, ma è immensamente ‘ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato’. Al tempo stesso, ascolta il grido dei poveri e della terra. Basterebbe fermarsi un attimo, all’inizio di quest’anno, e pensare alla grazia con cui ogni volta perdona i nostri peccati e condona ogni nostro debito, perché il nostro cuore sia inondato dalla speranza e dalla pace”.

La preghiera del ‘Padre nostro’ esplicita chiaramente la remissione dei debiti: “rimettere un debito agli altri e dare loro speranza occorre, infatti, che la propria vita sia piena di quella stessa speranza che giunge dalla misericordia di Dio. La speranza è sovrabbondante nella generosità, priva di calcoli, non fa i conti in tasca ai debitori, non si preoccupa del proprio guadagno, ma ha di mira solo uno scopo: rialzare chi è caduto, fasciare i cuori spezzati, liberare da ogni forma di schiavitù”.

E’ una richiesta a ripensare le finanze degli Stati: “Riconoscendo il debito ecologico, i Paesi più benestanti si sentano chiamati a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono. Certamente, perché non si tratti di un atto isolato di beneficenza, che rischia poi di innescare nuovamente un circolo vizioso di finanziamento-debito, occorre, nello stesso tempo, lo sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli”.

E’ una ripresa precisa dell’appello dei papi conciliari: “Oso anche rilanciare un altro appello, richiamandomi a san Paolo VI ed a Benedetto XVI, per le giovani generazioni, in questo tempo segnato dalle guerre: utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico. Dovremmo cercare di eliminare ogni pretesto che possa spingere i giovani a immaginare il proprio futuro senza speranza, oppure come attesa di vendicare il sangue dei propri cari. Il futuro è un dono per andare oltre gli errori del passato, per costruire nuovi cammini di pace”.

Insomma il papa ha chiesto di costruire basi solide per la pace: “Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo”.

Terza domenica di Avvento: cosa dobbiamo fare?

Gaudete

‘Rallegrati, figlia di Sion…’, così il profeta Sofonia, mentre  l’apostolo Paolo esorta: ‘fratelli, siate sempre lieti nel Signore’. Questa è la domenica ‘gaudete’, domenica della gioia. Siamo ormai vicini al Natale, la solennità che ci ricorda la prima venuta di Cristo, la sua nascita a Betlemme. Protagonista nel Vangelo è Giovanni Battista, colui che viene per preparare la via al Signore: raddrizzare i sentieri, cioè ‘convertirsi’.    

La folla chiede a Giovanni: cosa dobbiamo fare? Le risposte di Giovanni non sono moralistiche ma molto concrete: anzitutto a) condividere (chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha); b) non appropriarsi iniquamente (non esigere di più di quanto è stato fissato); c) non fare violenza ma rispettare gli altri.

Giovanni non è il Cristo, il Messia: questi annuncerà una giustizia superiore; Gesù dirà: a chi ti toglie il mantello non rifiutare la tunica; a chi ti dà uno schiaffo sulla destra, a lui porgi anche la sinistra. Giovanni non dice alla folla: fate quello che faccio io, ma ‘age quad agis’ (fai bene quello che fai), compi onorevolmente il tuo ruolo nella famiglia e nella società.

Dio non richiede miracoli da nessuno nè cose straordinarie; ma tu, uomo, sii sempre fedele al tuo ruolo di uomo creato ad immagine di Dio. Dio è amore, allora ama Dio con tutto il cuore e il prossimo tuo come te stesso. Non fare dell’egoismo il criterio del tuo agire; da qui la necessità del Battesimo, di lavarsi per rinascere ad una vita nuova.

Non è il solo rito del battesimo che ti purifica e neppure l’appartenenza al popolo di Dio: sei figlio di Dio? Allora sii misericordioso; ti vanti di avere Abramo per padre, allora compi le opere di Abramo. Non approfittare del tuo ruolo, della tua posizione per arricchirti ingiustamente, ma ama il prossimo tuo come te stesso, non fare agli altri quello che vorresti non fosse fatto a te; la vita di ogni giorno deve incarnare l’amore.

Giovanni esorta a compiere opere di misericordia: queste sono la misura della vera conversione. Un cuore pentito si vede e si misura di come e di quanto è capace di essere caritatevole, soccorritore, benefattore del prossimo. Ami veramente se hai il coraggio di prendere per mano chi ha veramente bisogno; la violenza non trova mai giustificazione da qualunque parte è effettuata. Solo l’amore genera la gioia; ‘La gioia del cristiano è la gioia del sabato che prelude la domenica’.

Questa è la domenica della gioia perchè prelude il Natale ormai vicino, la venuta di Gesù, il Salvatore. Dove c’è Gesù, c’è sempre la vera gioia. Da qui l’apostolo Pietro scrive: ‘Siate ricolmi di gioia, anche se siete afflitti da varie prove’ (1 Pt. 1,3-4).

Sei tu il Messia?, chiede la folla a Giovanni; perchè battezzi? La risposta di Giovanni: ‘Io battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me a cui non sono degno di sciogliere i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire l’aia e raccoglierà il frumento nel suo granaio, la paglia sarà bruciata con un fuoco inestinguibile’.

E’ il linguaggio che riguarda la seconda venuta quando giudicherà i buoni e i cattivi come il pastore separa le pecore dalle capre. Il Battesimo di Gesù non si limita a perdonare i peccati, come quello di Giovanni, ma ci innesta a Cristo, trasforma l’uomo, imprime il carattere di figli di Dio per cui preghiamo: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’. Se Dio è il Padre nostro, noi siamo figli di Dio e fratelli e sorelle tra di noi.

Le esortazioni profetiche di Giovanni ci guidano con fermezza verso la consapevolezza che nel cristianesimo non c’è spazio per la ‘mediocrità’ ma è necessario la concretezza, lo slancio e le scelte coraggiose. Chi ama osa e mette in giuoco tutto. Allora, amici carissimi, è tempo di presa di coscienza, di operare una vera conversione; domani potrebbe essere troppo tardi. Nella gioia prepariamoci ed un Natale cristiano.

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