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Egidio Bandini: don Camillo in dialogo con Cristo è la lezione di Guareschi

“Si era oramai sotto Natale e bisognava tirar fuori d’urgenza dalla cassetta le statuette del Presepe, ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature. Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Sentì bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone…Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende e tutt’e due tacquero per un bel pò. Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone.
Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera. Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna. ‘Il mio bambino sta imparando la poesia di Natale’, annunciò con fierezza Peppone. ‘Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. E’ un fenomeno’. ‘Lo so. Anche la poesia per il Vescovo l’aveva imparata a meraviglia’, ammise don Camillo”.
Prendiamo spunto dal racconto del presepe, raccontato da Giovannino Guareschi in ‘Giallo e Rosa’ apparso nel settimanale umoristico ‘Candido’ del 21 dicembre 1947, per presentare il volume ‘In dialogo con Cristo. La lezione di don Camillo’, a cura dell’associazione ‘Amici di Giovannino Guareschi’: “Questo libro è strutturato in modo molto semplice: le istruzioni per l’uso le ha scritte il nostro presidente; a queste segue un’introduzione scritta diversi annetti or sono da uno dei maggiori scrittori italiani: Alessandro Baricco.
Ad essa seguono interventi di grandi personaggi che non sono più con noi: i cardinali Biffi e Maggiolini, oltre all’indimenticabile amico di sempre Giorgio Torelli e, per spezzare la monotonia Frate Indovino. Quindi la più straordinaria introduzione mai scritta per il Don Camillo: quella di Michele Serra per la biblioteca di Cuore. Di qui si procede in ordine alfabetico con docenti universitari esteri: il professor Alan R. Perry dell’Università di Gettysburg e la professoressa Olga Gurevich dell’Università di Mosca, traduttrice in russo del Don Camillo e della Favola di Natale”.
Al presidente dell’associazione ‘Amici di Giovannino Guareschi’, Egidio Bandini, condirettore del mensile ‘Candido’, abbiamo chiesto di raccontarci il mondo di Giovannino Guareschi: “Un mondo antico e sempre nuovo, fatto di valori irrinunciabili come la fiducia nel prossimo, il reciproco rispetto, la ricerca della verità, il coraggio di affrontare anche le situazioni più drammatiche, la solidarietà e la compassione, l’amicizia incondizionata e, alla base di tutto, la fede nella Divina Provvidenza e nelle leggi di Dio che, assieme alla Patria e alla Famiglia (entrambe con l’iniziale maiuscola) rappresentava il fondamento del piccolo mondo guareschiano che, però, dovrebbe essere grande come il mondo”.
A Firenze papa Francesco così aveva ‘dipinto’ Guareschi: ‘Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente… Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto’. Per quale motivo don Camillo era un pastore con l’odore delle pecore?
“Perché era sempre dentro, insieme, legato al suo gregge. Riferimento per tutti, fedeli e non, credenti e scettici, don Camillo conosce tutti i suoi parrocchiani, le loro angosce e i loro dolori, le loro gioie e i loro desideri: piange con loro e ride con loro. Proprio quello che ha detto papa Francesco”.
In quale modo don Camillo risvegliava la coscienza?
“Lascio rispondere Giorgio Vittadini: … non ho potuto fare a meno di pensare ai dialoghi tra don Camillo e il Cristo del suo crocefisso, passaggi cruciali dell’opera ‘Mondo Piccolo’ di Giovannino Guareschi. Come ebbe a scrivere lo stesso autore, ‘chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo cioè la voce della mia coscienza’. Don Camillo parla con Cristo di quello che gli accade, mettendo a tema le vicende tristi e liete della vita quotidiana, sue e delle persone intorno a lui: la povertà, il lavoro, la giustizia sociale, la meschinità, la sete di vendetta e in generale il male procurato dagli uomini e quello che viene dalla natura, la politica locale e quella globale. Il linguaggio della ‘coscienza di Guareschi’, espressa dal Cristo nei racconti è quello dei Vangeli. Non si impone con violenza e autoritarismo, ma partendo dall’osservazione dei fatti spinge don Camillo, spesso con ironia, a riflettere, a ragionare, utilizzando la verità che è dentro di lui”.
Quale era il rapporto di don Camillo con Dio?
“Lo stesso di Guareschi: amore sconfinato e obbedienza assoluta alle leggi divine che, in quanto tali, non possono essere messe in discussione”.
Chi era Cristo per don Camillo?
“La voce della sua coscienza che, poi, era la coscienza di Giovannino Guareschi perché, non dimentichiamolo, don Camillo è null’altro che il suo stesso autore”.
Quale è la ‘lezione’ di don Camillo in dialogo con Cristo?
“Lascio ancora una volta la parola a Giorgio Vittadini: Guareschi, in controtendenza, fa del dialogo continuo e personale con il Cristo che parla la radice stessa della personalità di Don Camillo. Don Camillo obbedisce senza sé e senza ma alla Chiesa universale, ma non può fare a meno di paragonare tutto quel che sente e tutto quel che gli capita con questa misteriosa Presenza. Così scopre che Gesù non è una idea, un concetto, una astrazione ma una Presenza reale il compagno, l’amico, l’autorità vera che lo accompagna, lo conforta, lo corregge”.
Concludiamo con la ‘favola di Natale’, un particolare racconto di Guareschi: “Nel dicembre 1944 Guareschi scrive la favola che viene letta e rappresentata il 24 dicembre insieme all’amico Coppola il quale ‘con la fisarmonica accompagnava le canzoncine di cui io avevo scritto il testo e che vennero eseguite da un gruppo di pezzenti come me, pieni di freddo, di fame, di nostalgia. In quella squallida baracca zeppa di altri pezzenti come noi’. Per Guareschi era il secondo Natale in prigionia e scrisse la favola per resistere con l’allegria alla tristezza sua e quella tra i compagni del lager. La nostalgia che divorava i prigionieri, era, a suo modo, nostalgia di futuro non del passato.
A guerra conclusa Guareschi illustrerà la favola con stupendi disegni riprodotti che ne fanno una sorta di inedito fumetto. Tra fame e freddo Guareschi scrive la storia di Albertino, della nonna, del papà prigioniero, e delle piccole creature (buone o cattive) che vivono e parlano in un bosco fantastico. Il bambino, la nonna e il papà si incontrano a metà strada nel bosco dove, solo nella notte di Natale, si incontrano creature e sogni di due mondi nemici e rivali. Con questa convinzione si svolge il pranzo di Natale dove il panettone ha il sapore del cielo e del bosco, dove nella notte si rinnova il miracolo di Dio che si fa uomo tra gli uomini”.
(Tratto da Aci Stampa)
Da Betlemme il card. Pizzaballa chiede la grazia di vivere il Natale

Mentre a Roma papa Francesco apriva la Porta Santa a Betlemme il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, celebrava la messa della notte di Natale con la ‘fatica’ dell’annuncio della nascita di Gesù, in quanto ancora non c’è pace: “Non ho problemi quest’anno a riconoscere la mia fatica ad annunciare a voi che siete qui e a quanti da tutto il mondo guardano a Betlemme la gioia del Natale di Cristo. Il canto degli Angeli, che cantano gloria, gioia e pace mi sembra stonato dopo un anno faticoso, fatto di lacrime, sangue, sofferenza, speranze spesso deluse e progetti infranti di pace e di giustizia. Il lamento sembra sopraffare il canto e la rabbia impotente sembra paralizzare ogni cammino di speranza”.
Di fronte a queste difficoltà il patriarca ha indicato la testimonianza dei pastori: “Mi sono chiesto più volte in queste ultime settimane come vivere, se non superare, questa fatica, questa spiacevole sensazione di inutilità delle parole, anche quelle della fede, di fronte alla durezza della realtà, alla evidenza di una sofferenza che pare non voler finire.
Mi sono però venuti in soccorso i pastori del Natale che, come me e i vescovi e i presbiteri di questa terra, vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Essi in quella notte, che è questa, hanno ascoltato gli angeli credendoci. Ed allora mi sono deciso ad ascoltare anche io, di nuovo, il racconto del Natale dentro il contesto sofferto nel quale ci troviamo, non molto diverso dal contesto di allora”.
Ed ecco il racconto evangelico della nascita di Gesù: “Mi ha colpito questo aspetto: Giuseppe e Maria vivono la grazia del loro Natale, del vero Natale, non in un modo, in un tempo o in circostanze decise da loro, o particolarmente favorevoli. Una volontà imperialistica di potenza governava allora il mondo e pensava di deciderne i destini, sociali ed economici. Questa nostra Terra Santa in quel tempo era soggetta a giochi di interessi internazionali non meno di oggi.
Un popolo di poveri viveva facendosi registrare, contribuendo con la propria fatica e il proprio lavoro al benessere di altri…. Eppure, senza lamentarsi, senza rifiutarsi, senza ribellarsi, Giuseppe e Maria vanno a Betlemme, disposti al Natale proprio lì. Rassegnazione la loro? Cinismo? Impotenza? Inettitudine? No! Era fede! E la fede, quando è profonda e vera, è sempre uno sguardo nuovo e illuminato sulla storia, perché chi crede, vede!”.
Grazie a Giuseppe e Maria Dio si può incarnare nella storia: “E cosa hanno visto Giuseppe e Maria? Hanno visto, per la parola dell’Angelo, Dio nella storia, il Verbo farsi carne, l’Eterno nel tempo, il Figlio di Dio fatto uomo! Ed è quello che vediamo anche noi qui, stanotte, illuminati dalla Parola evangelica.
Noi vediamo in questo Bambino il gesto inedito e inaudito di un Dio che non fugge la storia, non la guarda indifferente da lontano, non la rifiuta sdegnato perché troppo dolorosa e cattiva ma la ama, la assume, vi entra con il passo delicato e forte di un Bambino appena nato, di una Vita eterna che riesce a farsi spazio, nella durezza del tempo, attraverso cuori e volontà disponibili ad accoglierla. Il Natale del Signore è tutto qui: attraverso il Suo Figlio, il Padre si coinvolge personalmente nella nostra storia e se ne carica il peso, ne condivide la sofferenza e le lacrime fino al sangue, e le offre una via di uscita di vita e di speranza”.
Nell’omelia il card. Pizzaballa ha sottolineato il ‘modo’ con cui Dio entra nella storia: “Egli però non vi entra in concorrenza con gli altri potenti di questo mondo. La potenza dell’amore divino non è semplicemente più potente del mondo ma è diversamente potente… Il passo con cui Dio entra nella storia è quello dell’Agnello, perché solo l’Agnello è degno di potenza e forza, e solo a lui appartiene la salvezza.
I Cesari Augusti di questo mondo sono dentro il circolo vizioso della forza, che elimina a vicenda i nemici per crearne sempre di nuovi (e dobbiamo constatarlo amaramente ogni giorno). L’Agnello di Dio, invece, immolato e vittorioso, vince, perché vince davvero, guarendo alla radice il cuore violento dell’uomo, con l’amore disposto a servire e a morire, generando così vita nuova. Maria e Giuseppe, mentre sembrano obbedire passivamente a una storia più grande di loro, in realtà l’hanno attraversata e dominata con il passo di chi guarda a Dio e al suo progetto, e vi fanno entrare gloria e pace”.
E’ questa la scelta di Dio, a cui i cristiani sono chiamati: “Anche noi possiamo e dobbiamo abitare questa nostra terra e vivere questa nostra storia: non costretti, però, e nemmeno rassegnati o, ancor meno, pronti a fuggire appena possibile. Noi siamo chiamati dagli Angeli di questa notte a viverla con fede e speranza. Anche noi come Giuseppe e Maria, come i pastori, dobbiamo scegliere e deciderci: accogliere con fede l’annuncio dell’angelo, o andarcene per la nostra strada”.
E’ una scelta di campo: “Credere o lasciare. Decidersi per Cristo e fare nostro lo stile di Betlemme, lo stile di chi è disposto a servire con amore e scrivere una storia di fraternità. Oppure assumere lo stile di Cesare Augusto, Erode e tanti altri, e scegliere di appartenere a chi presume di scrivere la storia con il potere e la sopraffazione”.
Però in questa scelta Dio non abbandona: “Il Bambino di Betlemme ci prende per mano questa notte e ci conduce con Lui dentro la storia, ci accompagna ad assumerla fino in fondo e a percorrerla con il passo della fiducia e della speranza in Lui. Egli non ha avuto paura di nascere in questo mondo né di morire per esso (non horruisti Virginis uterum). Ci chiede di non avere paura delle potenze di questo mondo, ma di perseverare nel cammino della giustizia e della pace”.
E’ stato un invito a percorrere le strade tracciate da Dio: “Noi possiamo e dobbiamo, come Giuseppe e Maria, come i pastori e i magi, percorrere le vie alternative che il Signore ci indica, trovare gli spazi adatti dove possano nascere e crescere stili nuovi di riconciliazione e di fraternità, fare delle nostre famiglie e delle nostre comunità le culle del futuro di giustizia e di pace, che è già iniziato con la venuta del Principe della Pace.
E’ vero: siamo pochi e forse anche insignificanti nelle costellazioni del potere e nello scacchiere dove si giocano le partite degli interessi economici e politici. Siamo però, come i pastori, il popolo cui è destinata la gioia del Natale ed è partecipe della vittoria Pasquale dell’Agnello”.
Ecco il motivo per cui i cristiani sono ‘pellegrini di speranza’: “Noi cristiani, infatti, non attraversiamo la storia da turisti distratti e indifferenti e nemmeno come nomadi senza meta sballottati qua e là dagli eventi. Noi siamo pellegrini, e pur conoscendo e condividendo le gioie e le fatiche, i dolori e le angosce dei nostri compagni di strada, camminiamo verso la meta che è Cristo, vera porta santa spalancata sul futuro di Dio. Noi osiamo credere che, da quando il Verbo qui si è fatto carne, in ogni carne e in ogni tempo egli continua a fecondare la storia, orientandola alla pienezza della gloria”.
Questo è il ‘canto degli angeli’, che ancora oggi risuona in chi soffre: “E così, carissimi, proprio quest’anno, proprio qui, ha ancora più senso ascoltare il canto degli angeli che annunciano la gioia del Natale! Proprio ora ha senso ed è bello vivere l’Anno santo del Signore, anzi, l’Anno santo che è il Signore! Quel canto infatti non è stonato, ma rende stonati i rumori di guerra e la vuota retorica dei potenti! Quel canto non è troppo debole ma risuona con forza dentro le lacrime di chi soffre, e incoraggia a disarmare la vendetta con il perdono. Possiamo essere pellegrini di speranza anche dentro le strade e tra le case distrutte della nostra terra, perché l’Agnello cammina con noi verso il trono della Gerusalemme celeste”.
Questo è il Giubileo: “L’anno del giubileo, secondo la tradizione biblica, è un anno speciale in cui vengono liberati i prigionieri, cancellati i debiti, le proprietà vengono restituite e anche la terra riposa. È un anno nel quale si fa esperienza della riconciliazione con il prossimo, si vive in pace con tutti e si promuove la giustizia. Un anno di rinnovamento spirituale, personale e comunitario. Avviene questo perché, con il giubileo, è Dio che per primo cancella tutti i debiti con noi. E’ l’anno della riconciliazione tra Dio e l’uomo, dove tutto si rinnova. E Dio vuole che tale riconciliazione si completi nel rinnovo della vita e delle relazioni tra gli uomini. E’ il mio augurio per questa nostra Terra Santa, che ha bisogno più di tutti di un vero giubileo”.
Il giubileo è occasione di un nuovo inizio: “Abbiamo bisogno di un nuovo inizio in tutti gli ambiti della vita, di nuova visione, di coraggio di guardare al futuro con speranza, senza arrendersi al linguaggio della violenza e dell’odio, che invece chiudono ogni possibilità di futuro. Possano le nostre comunità vivere un vero rinnovamento spirituale. Che anche per noi in Terra Santa, dunque, ci sia questo nuovo inizio: che vengano rimessi i debiti, siano liberati i prigionieri, siano restituite le proprietà e si possano davvero iniziare con coraggio e determinazione percorsi seri e credibili di riconciliazione e di perdono, senza i quali non ci sarà mai vera pace”.
L’omelia è conclusa con un pensiero agli abitanti di Betlemme e di Gaza: “Voglio ringraziare i nostri fratelli di Gaza, che ho potuto nuovamente incontrare di recente. Rinnovo a voi, cari fratelli e sorelle, la nostra preghiera, la nostra vicinanza e la nostra solidarietà. Non siete soli. Davvero voi siete un segno visibile si speranza in mezzo al disastro della totale distruzione che vi circonda. Ma voi non siete distrutti, siete ancora uniti, saldi nella speranza. Grazie della vostra meravigliosa testimonianza di forza e di pace!
Un pensiero va anche a voi cari fratelli e sorelle di Betlemme. Anche quest’anno per voi è stato un Natale triste, all’insegna dell’insicurezza, della povertà, della violenza. Il giorno più importante per voi, è vissuto ancora una volta nella fatica e nell’attesa di giorni migliori. Anche a voi dico: coraggio! Non dobbiamo perdere la speranza. Rinnoviamo la nostra fiducia in Dio. Lui non ci lascia mai soli. E qui a Betlemme, proprio noi celebriamo il Dio-con-noi e il luogo dove si è fatto conoscere. Coraggio. Vogliamo che da qui ancora risuoni per tutto il mondo lo stesso annuncio di pace di duemila anni fa! Allora con i pastori andiamo a vedere sempre di nuovo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.
Da Betlemme il racconto di Natale di Nizar Lama

“Vorrei stanotte dare voce a un sentimento profondo che credo proviamo tutti e che trova eco nel Vangelo appena proclamato: ‘perché non c’era posto per loro’ (Lc 2,7). Come per Maria e Giuseppe, anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme”.
Così si esprimeva nello scorso Natale il patriarca di Gerusalemme dei Latini, card. Pierbattista Pizzaballa, che alcuni mesi fa a Jenin invitava a non disperare: “In questo momento non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Non siete soli. Nonostante i tempi duri, la disperazione non è una opzioni”.
Partendo da queste parole a pochi giorni da Natale abbiamo contattato Nizar Lama, guida biblica e turistica professionista cattolica a Betlemme, chiedendo di raccontarci quale Natale sarà in Terra Santa: “Quest’anno il Natale in Terra Santa sarà diverso, come spesso accade quando la nostra terra è attraversata dal dolore e dall’incertezza.
Betlemme, la città della Natività, porta su di sé il peso delle divisioni e delle tensioni che ci circondano, ma anche la luce della speranza che nasce ogni anno dalla grotta di Gesù. Sarà un Natale intriso di preghiera, in cui ogni celebrazione sarà un grido verso il cielo per la pace e la giustizia. La Terra Santa è un luogo in cui la storia si intreccia con l’eternità, ma il Natale, per noi, non è solo una memoria del passato: è un appello a vivere il messaggio di amore e riconciliazione che Gesù ci ha lasciato”.
Come si apprestano a vivere i cristiani il Natale?
“Noi cristiani di Betlemme ci prepariamo al Natale con il cuore pieno di fede, anche se le difficoltà quotidiane spesso ci mettono alla prova. Le case e le chiese si riempiono di canti natalizi e luci, ma non possiamo dimenticare il dolore che ci circonda. Le messe, le processioni e le preghiere assumono un significato ancora più profondo: non sono solo tradizioni, ma veri momenti di comunione e speranza. Molti di noi sentono il peso delle difficoltà economiche e della paura, ma troviamo forza nel Vangelo, che ci ricorda che Gesù è venuto in un mondo altrettanto fragile e travagliato. Le nostre celebrazioni sono un atto di fede che supera la disperazione e testimonia la gioia della nascita del Salvatore”.
A Betlemme cosa vuol dire la nascita di Gesù?
“La nascita di Gesù a Betlemme è il cuore pulsante della nostra fede. E’ una memoria vivente perché Dio si è fatto vicino a noi, scegliendo questa città semplice e umile per entrare nella storia dell’umanità. Camminare per le strade di Betlemme, pregare nella Basilica della Natività e meditare davanti alla stella che segna il luogo della nascita di Cristo ci riempie di meraviglia. E’ un richiamo potente alla semplicità e all’umiltà, alla capacità di vedere Dio nei piccoli gesti e nei volti delle persone che ci circondano. La nascita di Gesù qui non è solo un evento del passato: è una promessa di redenzione che ci sostiene ancora oggi”.
Come vivete l’annuncio dell’arcangelo ai pastori?
“L’annuncio dell’arcangelo ai pastori risuona ancora tra le colline di Betlemme. Ogni Natale, leggendo quel passo del Vangelo, ci sentiamo parte di quella storia. I pastori rappresentano la semplicità e l’umiltà, ma anche la vulnerabilità, qualità che riflettono molto la nostra condizione attuale. Quando cantiamo ‘Gloria a Dio nell’alto dei cieli’ durante la messa, ci uniamo a quel coro di angeli, chiedendo al Signore di portare pace sulla Terra e nei nostri cuori. Questo annuncio ci ricorda che la gloria di Dio si manifesta proprio nei luoghi e nei momenti più improbabili, offrendoci speranza anche nei tempi più bui”.
Quali difficoltà vivete a Betlemme, come cristiani?
“La vita quotidiana a Betlemme non è facile per noi cristiani. Viviamo in una realtà fatta di barriere fisiche e psicologiche, con restrizioni di movimento e incertezze economiche che pesano su ogni famiglia. Come comunità, siamo sempre più piccoli numericamente, e molti sono costretti a emigrare in cerca di un futuro migliore. Nonostante ciò, cerchiamo di mantenere viva la nostra fede e le nostre tradizioni. La presenza dei pellegrini ci dà forza, ma quando il conflitto si intensifica, spesso la loro assenza ci fa sentire ancora più isolati.
Siamo però consapevoli che essere cristiani qui, nella città della nascita di Cristo, è un dono ed una responsabilità. Ogni giorno, vivendo il Vangelo e testimoniando l’amore di Dio, cerchiamo di essere strumenti di pace, anche in mezzo alle difficoltà. La nostra vita non è solo una lotta per sopravvivere, ma una vocazione ad essere segno di speranza, proprio come la grotta di Betlemme lo è stata più di 2.000 anni fa. Questo Natale, preghiamo affinché il mondo intero guardi a Betlemme e ascolti il messaggio di pace che Dio ci ha donato nella notte più luminosa della storia”.
Chi desidera sostenere i cristiani a Betlemme queste sono le coordinate del Ser.Mi.T.: Intesa Sanpaolo – IT09D036969200100000006377; Poste Italiane – IT66N0760113400000014616627.
Papa Francesco ribadisce la necessità della pace

Questa notte si è rinnovato il mistero che non cessa di stupirci e di commuoverci: la Vergine Maria ha dato alla luce Gesù, il Figlio di Dio, lo ha avvolto in fasce e lo ha deposto in una mangiatoia. Così lo hanno trovato i pastori di Betlemme, pieni di gioia, mentre gli angeli cantavano: ‘Gloria a Dio e pace agli uomini’. Pace agli uomini”: nella benedizione natalizia ‘Urbi et Orbi’ papa Francesco ha di nuovo sottolineato la necessità di riconciliazione e di pace, dopo aver aperto, ieri, la Porta santa.
Lo ha fatto ribadendo la necessità del perdono, che si rinnova grazie alla nascita di Gesù: “Sì, questo avvenimento, accaduto più di duemila anni fa, si rinnova per opera dello Spirito Santo, lo stesso Spirito d’Amore e di Vita che fecondò il grembo di Maria e dalla sua carne umana formò Gesù. E così oggi, nel travaglio di questo nostro tempo, si incarna nuovamente e realmente la Parola eterna di salvezza, che dice ad ogni uomo e ogni donna, che dice al mondo intero (questo è il messaggio): ‘Io ti amo, io ti perdono, ritorna a me, la porta del mio cuore è aperta per te!’
Sorelle, fratelli, la porta del cuore di Dio è sempre aperta, ritorniamo a Lui! Ritorniamo al cuore che ci ama e ci perdona! Lasciamoci perdonare da Lui, lasciamoci riconciliare con Lui! Dio perdona sempre! Dio perdona tutto. Lasciamoci perdonare da Lui”.
L’appello è stato quello di non avere paura, quello stesso che ad inizio pontificato ‘gridò’ san Giovanni Paolo II: “Questo significa la Porta Santa del Giubileo, che ieri sera ho aperto qui a San Pietro: rappresenta Gesù, Porta di salvezza aperta per tutti. Gesù è la Porta; è la Porta che il Padre misericordioso ha aperto in mezzo al mondo, in mezzo alla storia, perché tutti possiamo ritornare a Lui. Tutti siamo come pecore smarrite e abbiamo bisogno di un Pastore e di una Porta per ritornare alla casa del Padre. Gesù è il Pastore, Gesù è la Porta. Fratelli, sorelle, non abbiate paura!”
E’ stato un invito a ‘lasciarsi’ riconciliare: “La Porta è aperta, la Porta è spalancata! Non è necessario bussare alla Porta. E’ aperta. Venite! Lasciamoci riconciliare con Dio, e allora saremo riconciliati con noi stessi e potremo riconciliarci tra di noi, anche con i nostri nemici. La misericordia di Dio può tutto, scioglie ogni nodo, abbatte ogni muro di divisione, la misericordia di Dio dissolve l’odio e lo spirito di vendetta. Venite! Gesù è la Porta della pace”.
Chiaramente è stato invito alla pace: “Spesso noi ci fermiamo solo sulla soglia; non abbiamo il coraggio di oltrepassarla, perché ci mette in discussione. Entrare per la Porta richiede il sacrificio di fare un passo (piccolo sacrificio; fare un passo per una cosa così grande), richiede di lasciarsi alle spalle contese e divisioni, per abbandonarsi alle braccia aperte del Bambino che è il Principe della pace. In questo Natale, inizio dell’Anno giubilare, invito ogni persona, ogni popolo e nazione ad avere il coraggio di varcare la Porta, a farsi pellegrini di speranza, a far tacere le armi e a superare le divisioni!”
Ed ha chiesto pace per quei luoghi martoriati dall guerra: “Tacciano le armi nella martoriata Ucraina! Si abbia l’audacia di aprire la porta al negoziato e a gesti di dialogo e d’incontro, per arrivare a una pace giusta e duratura. Tacciano le armi in Medio Oriente! Con gli occhi fissi sulla culla di Betlemme, rivolgo il pensiero alle comunità cristiane in Palestina e in Israele, e in particolare alla cara comunità di Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima”.
Dopo le inutili polemiche dei giorni scorsi papa Francesco ha ribadito la linea del Vaticano per la pace in Medio Oriente, ricordando anche la ‘dimenticata’ Libia: “Cessi il fuoco, si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata dalla fame e dalla guerra. Sono vicino anche alla comunità cristiana in Libano, soprattutto al sud, e a quella di Siria, in questo momento così delicato. Si aprano le porte del dialogo e della pace in tutta la regione, lacerata dal conflitto. E voglio ricordare qui anche il popolo libico, incoraggiando a cercare soluzioni che consentano la riconciliazione nazionale”.
Ed ha chiesto pace nel continente africano, sempre più terra depredata: “Possa la nascita del Salvatore portare un tempo di speranza alle famiglie di migliaia di bambini che stanno morendo per un’epidemia di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo, come pure alle popolazioni dell’Est di quel Paese e a quelle del Burkina Faso, del Mali, del Niger e del Mozambico. La crisi umanitaria che le colpisce è causata principalmente dai conflitti armati e dalla piaga del terrorismo ed è aggravata dagli effetti devastanti del cambiamento climatico, che provocano la perdita di vite umane e lo sfollamento di milioni di persone.
Penso pure alle popolazioni dei Paesi del Corno d’Africa per le quali imploro i doni della pace, della concordia e della fratellanza. Il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale nel favorire l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione civile del Sudan e nell’avviare nuovi negoziati in vista di un cessate-il-fuoco”.
Ha chiesto che si arrivi a soluzione di pace e di giustizia anche nel Myanmar e nell’America centrale: “L’annuncio del Natale rechi conforto agli abitanti del Myanmar, che, a causa dei continui scontri armati, patiscono gravi sofferenze e sono costretti a fuggire dalle proprie case. Il Bambino Gesù ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, affinché si trovino al più presto soluzioni efficaci nella verità e nella giustizia, per promuovere l’armonia sociale, in particolare penso ad Haiti, in Venezuela, Colombia e Nicaragua, e ci si adoperi, specialmente in quest’Anno giubilare, per edificare il bene comune e riscoprire la dignità di ogni persona, superando le divisioni politiche”.
Ha auspicato che il Giubileo possa essere occasione per abbattere i troppi muri ancora esistenti: “Il Giubileo sia l’occasione per abbattere tutti i muri di separazione: quelli ideologici, che tante volte segnano la vita politica, e anche quelli fisici, come la divisione che interessa da ormai 50 anni l’isola di Cipro e che ne ha lacerato il tessuto umano e sociale. Auspico che si possa giungere a una soluzione condivisa, una soluzione che ponga fine alla divisione nel pieno rispetto dei diritti e della dignità di tutte le comunità cipriote”.
Quindi ha ribadito la sacralità della vita con un pensiero ai bambini: “Gesù, il Verbo eterno di Dio fatto uomo, è la Porta spalancata; è la Porta spalancata che siamo invitati ad attraversare per riscoprire il senso della nostra esistenza e la sacralità di ogni vita (ogni vita è sacra), e per recuperare i valori fondanti della famiglia umana. Egli ci attende sulla soglia.
Attende ciascuno di noi, specialmente i più fragili: attende i bambini, tutti i bambini che soffrono per la guerra e soffrono per la fame; attende gli anziani, costretti spesso a vivere in condizioni di solitudine e abbandono; attende quanti hanno perso la propria casa o fuggono dalla propria terra, nel tentativo di trovare un rifugio sicuro; attende quanti hanno perso o non trovano un lavoro; attende i carcerati che, nonostante tutto, rimangono figli di Dio, sempre figli di Dio; attende quanti sono perseguitati per la propria fede. Ce ne sono tanti”.
Inoltre ha ricordato gli operatori della pace: “In questo giorno di festa, non manchi la nostra gratitudine verso chi si prodiga per il bene in modo silenzioso e fedele: penso ai genitori, agli educatori, agli insegnanti, che hanno la grande responsabilità di formare le generazioni future; penso agli operatori sanitari, alle forze dell’ordine, a quanti sono impegnati in opere di carità, specialmente ai missionari sparsi nel mondo, che portano luce e conforto a tante persone in difficoltà. A tutti loro vogliamo dire: grazie!”
Infine ha chiesto la remissione dei debiti: “Fratelli e sorelle, il Giubileo sia l’occasione per rimettere i debiti, specialmente quelli che gravano sui Paesi più poveri. Ciascuno è chiamato a perdonare le offese ricevute, perché il Figlio di Dio, che è nato nel freddo e nel buio della notte, rimette ogni nostro debito. Egli è venuto per guarirci e perdonarci. Pellegrini di speranza, andiamogli incontro! Apriamogli le porte del nostro cuore. Apriamogli le porte del nostro cuore, come Lui ci ha spalancato la porta del suo Cuore”.
(Foto: Santa Sede)
Natale del Signore: Alleluia! Oggi è nato il Salvatore!

Oggi è la solennità del Natale, giorno di vera speranza perchè il Bambino che contempliamo adagiato nella mangiatoia è il bambino Gesù, disceso dal cielo per la nostra salvezza. E’ questo il messaggio degli Angeli ai pastori; è il messaggio all’umanità; è autentica la nostra fede se accogliamo con fede il messaggio di Natale. Mentre Maria e Giuseppe erano a Betlemme si compirono per lei i giorni del parto e diede alla luce il figlio primogenito, lo avvolse in fasce, lo depose in una mangiatoria.
Questo Bambino, nato in una grotta, è il Salvatore: Cristo Signore e gli Angeli cantarono: ‘Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace agli uomini, che Egli ama’. Nell’umile e disadorna grotta di Betlemme lo hanno potuto incontrare solo poche persone, ma Egli è nato per tutti giudei e pagani, ricchi e poveri, vicini e lontani, credenti e non credenti. Ciò che è necessario, ciò che conta è dire il nostro ‘sì’, come Maria, perchè la luce divina rischiari il cuore. In quella notte ad accogliere il Verbo incarnato furono solo Maria e Giuseppe, che lo avevano atteso con amore, e i pastori, gente umile, che trascorrevano la notte vegliando accanto al gregge.
Una piccola comunità che accorse alla grotta per adorare il bambino, ma che rappresenta la Chiesa, gli uomini amati dal Signore. Il Natale è proprio la festa della luce, la festa dell’amore; Gesù è la luce viva che si propaga ovunque perchè Egli è venuto per salvare tutti. La liturgia oggi ci parla di una luce diversa, speciale, mirata a richiamare gli uomini di buona volontà. Una luce orientata verso il ‘noi’, quel ‘noi’ che è l’umanità per la quale il Verbo si è incarnato, il Figlio di Dio si è fatto uomo. Il ‘noi’ è la Chiesa, la grande famiglia dei credenti: in essa ‘chi crede e sarà battezzato, sarà salvo’.
Questo ‘noi’ è la Chiesa, la famiglia dei credenti in Cristo, che hanno atteso con speranza la nascita del salvatore ed oggi celebrano nel mistero l’attualità di questo evento salvifico, questa Chiesa chiamata ad essere lievito di riconciliazione e di pace nel mondo intero. Il ‘noi’ della Chiesa oggi sprona a superare la mentalità egoistica, a promuovere il bene comune e rispettare soprattutto i deboli. Il ‘noi’ della Chiesa oggi invita tutti i popoli ad abbandonare ogni logica di violenza e di vendetta e a vivere l’amore distintivo vero del cristiano.
L’umanità, che aveva atteso con speranza la nascita del salvatore, finalmente ha visto la luce vera: ecco il mistero del Natale. La luce del primo Natale fu come un fuoco acceso nella notte: da questo fuoco inizia la storia millenaria della Chiesa che nel suo cammino attraverso i secoli è chiamata ad essere fonte di luce per l’umanità. I pastori andarono, trovarono il Bambino, fecero i loro doni e tornarono pieni di gioia, di serenità, di amore; lo stesso faranno i Magi, che arrivano dall’Oriente, guidati da una luce, una stella cometa, la luce che porta a Cristo Gesù.
‘Gloria a Dio, pace agli uomini amati dal Signore’ è stato il grido che echeggiò la prima volta nella grotta di Betlemme; questo grido parla proprio di un avvicinamento singolare, straordinario, unico al mondo di Dio verso l’uomo. Questa notte santa, contrassegnata dalla luce che promana dalla grotta, segna l’inizio dell’era nuova, della santificazione dell’uomo per mezzo di Cristo Gesù, ed invita la Chiesa, l’uomo di oggi, a guardare ancora una volta verso la Terra santa, dove Gesù è nato, perchè i suoi abitanti, ebrei e musulmani, abbandonino finalmente la logica della violenza e della vendetta e si impegnino in una logica di amore, solidarietà e condivisione.
Il Natale, è il ‘noi’ della Chiesa, che vive oggi guardando questo mare Mediterraneo, divenuto non più mare che unisce ed affratella, ma cimitero per tanta gente affamata che cerca libertà, pace, lavoro e vita serena; il vero credente oggi sente il dovere religioso e umano di elevare a Dio la supplica perchè la pace di Cristo Gesù affratelli tutti i popoli. E’ veramente Natale, se è un Natale di pace e di amore a tutti i livelli. Ecco il mio voto augurale e quello della Chiesa tutta: Buon Natale di pace e di amore.
Natale di speranza: il coraggio silenzioso delle madri dimenticate

In attesa del Natale, il mio cuore è rivolto a tutte le mamme che, in questo periodo, mi hanno cercato, contattato e incontrato. Sono donne che portano con sé un dolore profondo, nei cui volti si leggono i segni di una sofferenza che, a volte, sembra non avere fine. Si trovano ad affrontare momenti di grande difficoltà, segnati dalla solitudine e dalla disperazione. Sono mamme che spesso portano sulle spalle il peso insostenibile del senso di colpa, donne che si sentono inadeguate e che convivono con il cuore ferito per un figlio smarrito, inghiottito dal buio di un bosco diabolico che sembra non avere vie d’uscita.
Ho incontrato madri che vivono questo dolore in completa solitudine, lontane dalle attenzioni istituzionali, abbandonate dalle parole di conforto e, a volte, ferite ulteriormente da sguardi giudicanti. Ho sofferto con loro. Ho condiviso l’angoscia di quei lunghi momenti di attesa, aspettando un messaggio, una telefonata. Ho visto la loro disperazione mentre cercavano un figlio tra le sterpaglie di quel bosco maledetto, un luogo che sembra non conoscere speranza.
Sono state mamme che hanno provato in tutti i modi a portare i loro figli lungo un percorso di recupero, a dar loro una possibilità di salvezza, ma …. Mamme che hanno lottato, che hanno cercato aiuto, che hanno insistito per dare ai loro figli una chance di rialzarsi, senza mai arrendersi. Eppure, nonostante ogni tentativo, ogni sacrificio, si sono trovate a dover affrontare la realtà di un cammino difficile, che sembrava non portare a nulla.
Madri che hanno visto i loro ragazzi spegnersi sotto il peso della droga, della disperazione, e a quelle che non ricevono notizie dei propri figli da mesi, forse da anni. Madri che appendono volantini con le foto dei loro figli scomparsi, madri che attraversano il freddo e l’oscurità dei boschi come quello di Rogoredo, sfidando la paura e i venditori di morte, pur di intravedere ancora, anche solo per un istante, lo sguardo di un figlio amato.
Queste sono storie troppo spesso dimenticate, vite spezzate troppo presto. Eppure, quei figli restano impressi per sempre nel cuore di chi li ha amati, perché l’amore di una madre non si arrende mai. Eppure, anche in questo buio che sembra senza fine, credo ancora nella speranza. Credo che, persino nei luoghi più oscuri, possa accendersi una piccola luce, una luce capace di ricordarci che non tutto è perduto. Anche nel dolore più profondo è possibile trovare la forza di rialzarsi, di ricominciare, di sperare ancora.
A queste mamme coraggiose e sofferenti va il mio pensiero più sincero. Che possano trovare, dentro di loro, la forza di continuare a camminare, anche sotto il peso della loro croce. Che la luce di questo Natale, con il suo messaggio di rinascita, entri nei loro cuori, illumini le notti più buie e porti conforto e speranza.
A quelle madri che lottano senza tregua, che non dormono più, che si sentono sfinite e senza più forze, voglio dire con tutto il cuore: non arrendetevi mai, sono con voi! Anche quando il cuore si spezza, anche quando tutto sembra perduto, c’è sempre una ragione per sperare. Perché l’amore di una madre può vincere il buio e diventare quella luce che guida, passo dopo passo, un figlio smarrito verso casa.
Auguro a queste donne e ai loro figli, ovunque si trovino, che questo Natale porti con sé un soffio di speranza, un sorriso inatteso e una nuova forza per credere in un domani migliore. Perché, anche nei momenti più difficili, la vita non smette mai di sorprenderci con la sua capacità di rinascere.
Da Gaza un appello alla pace

Il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha concluso questa mattina la sua visita di solidarietà alla comunità cristiana di Gaza rientrando a mezzogiorno a Gerusalemme; durante la visita, fa sapere il Patriarcato latino, “il cardinale ha presieduto la celebrazione eucaristica della Natività del Signore presso la Chiesa della Sacra Famiglia, pregando con i fedeli e portando un messaggio di speranza e resilienza alla comunità parrocchiale. Sua Beatitudine ha anche incontrato l’arcivescovo Alexios nella parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio, sottolineando lo spirito di fraternità e di unità tra le comunità cristiane di Gaza”.
Il patriarca, spiegano dal Patriarcato, ha anche visionato “le iniziative di aiuto umanitario in corso organizzate dal Patriarcato latino e dal Sovrano Ordine di Malta. Ha verificato i risultati delle consegne di aiuti e ha valutato i bisogni urgenti della comunità locale. Insieme alla parrocchia locale, ha confermato le prossime tappe degli aiuti umanitari e ha approvato i piani e le iniziative per l’apertura della scuola”. Infine il patriarca “prega affinché questo Natale porti una rinnovata speranza per la fine della tragedia in corso a Gaza e nella regi regione in generale, segnando l’inizio di un futuro più luminoso e pacifico per tutti”.
In tale visita ieri il patriarca di Gerusalemme ha officiato a Gaza la celebrazione eucaristica di Natale alla chiesa della Santa Famiglia, esprimendo la propria gioia: “Innanzitutto esprimo la mia grande gioia di essere oggi in mezzo a voi e vi porgo i saluti di tutti coloro che vi trasmettono il loro amore, le loro preghiere e la loro solidarietà. Tutti volevano venire a stare con voi e portare doni, ma non abbiamo potuto portare molto. Siete diventati la luce della nostra Chiesa nel mondo intero”.
Il card. Pizzaballa a Gaza ha parlato di luce: “A Natale celebriamo la luce e ci chiediamo: dov’è questa luce? La luce è qui, in questa chiesa. L’inizio della luce è Gesù Cristo, che è la fonte della nostra vita. Se siamo una luce per il mondo, è solo grazie a Lui. A Natale, prego che Gesù ci conceda questa luce”.
Una luce che sappia squarciare le tenebre ordite dagli uomini: “Viviamo in un tempo pieno di tenebre, e non c’è bisogno di approfondire perché lo sapete bene. In questi momenti, dobbiamo innanzitutto guardare a Gesù, perché Lui ci dà la forza di sopportare questo periodo buio. Nell’ultimo anno abbiamo imparato che non possiamo fare affidamento sugli uomini.
Quante promesse sono state fatte e mai mantenute? E quanta violenza e odio sono nati a causa delle persone? Per rimanere saldi nella speranza, dobbiamo essere profondamente radicati in Gesù. Se siamo legati a Lui, possiamo guardarci l’un l’altro in modo diverso”.
Nell’omelia ha parlato chiaramente di una speranza che la guerra terminerà con la Chiesa che sarà a fianco di questo popolo che abita Gaza: “Non so quando o come finirà questa guerra, e ogni volta che ci avviciniamo alla fine, sembra di ricominciare da capo. Ma prima o poi la guerra finirà e non dobbiamo perdere la speranza. Quando la guerra finirà, ricostruiremo tutto: le nostre scuole, i nostri ospedali e le nostre case.
Dobbiamo rimanere resilienti e pieni di forza. E ripeto: non vi abbandoneremo mai e faremo tutto il possibile per sostenervi e assistervi. Ma soprattutto non dobbiamo permettere all’odio di infiltrarsi nei nostri cuori. Se vogliamo rimanere una luce, dobbiamo mettere i nostri cuori a disposizione solo di Gesù”.
Tale situazione è una ‘sfida’ per la fede, ribadendo che Dio è l’Emmanuele: “Quest’anno è stato una sfida significativa per la nostra fede, per tutti noi e soprattutto per voi… Dobbiamo rimanere saldi nella nostra fede, pregare per la fine di questa guerra e confidare completamente nel fatto che, con Cristo, nulla può vincerci”.
Ma nelle tenebre è sorta una Luce: “Nonostante la violenza di cui siamo stati testimoni lo scorso anno, abbiamo assistito anche a molti miracoli. In mezzo alle tenebre, c’erano persone che volevano aiutare e non si sono fatte ostacolare da nulla. Il mondo intero, non solo i cristiani, ha voluto sostenervi e stare al vostro fianco. La guerra finirà e ricostruiremo di nuovo, ma dobbiamo custodire i nostri cuori per essere capaci di ricostruire. Vi amiamo, quindi non temete e non arrendetevi mai”.
E’ stato un appello a non scoraggiarsi, ma a mantenere ‘viva’ la Luce: “Dobbiamo preservare la nostra unità per mantenere la luce di Cristo qui a Gaza, nella nostra regione e nel mondo. Abbiamo una missione e anche voi dovete dare qualcosa, non solo ricevere. Il mondo che vi guarda deve vedere a chi appartenete, se alla luce o alle tenebre? Appartenete a Gesù, che dà la sua vita, o a un altro?”
Ed ha ringraziato loro per questa testimonianza: “Quando il mondo vi guarda, deve notare che noi siamo diversi… Grazie per tutto quello che fate. Forse non ve ne accorgete nella vostra difficile vita quotidiana, ma il mondo intero lo fa. Siamo tutti orgogliosi di voi, non solo per quello che fate, ma perché avete conservato la vostra identità di cristiani appartenenti a Gesù.
L’appartenenza a Gesù rende tutti amici, e la nostra vita diventa una vita di donazione a tutti. Concludo dicendo: Grazie. Che il Natale porti luce a ciascuno di noi. Non abbiate paura, perché nessuno può toglierci la luce di Cristo. Continuate a dare una buona testimonianza della fede cristiana”.
Mentre nel messaggio natalizio il card. Pizzaballa ha sottolineato che per Gesù non c’è stato un alloggio disponibile: ““Il Vangelo, inoltre ci dice che per questo evento importante della storia, la nascita del Salvatore, non c’è posto: ‘lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio’. Gesù entra nella storia così, come uno che non trova posto, che non si impone, che non esige, che non fa la guerra per trovarsi un posto.
Accetta di non avere posto, e va a cercare tutti coloro che, come Lui non hanno un posto nella storia, come i pastori. Gesù viene per loro, il segno è per loro, è il segno che il Salvatore vuole salvarci dalla sventura di non avere posto. Lui stesso, la sua vita, diventa la casa, lo spazio di tutti coloro che non hanno posto”.
Quindi il suo pensiero è andato a chi vive in Terra Santa: “Come non pensare ai tanti ultimi, per i quali sembra non esserci posto nel mondo, come pure ai tanti nostri fratelli e sorelle in questa nostra martoriata Terra Santa, per i quali non sembra esserci un posto, dignità e speranza?
All’annuncio dell’angelo, deve seguire una risposta. Una decisione: accogliere oppure no l’invito dell’angelo ad andare a vedere il Salvatore. La risposta, infatti, non è scontata. Non si muove Erode, non si muovono gli anziani di Gerusalemme. Gesù viene, ma non impone a nessuno di mettersi in cammino per andare a Lui. Non fa come Cesare Augusto, che obbliga tutti ad andare a censirsi”.
Però questa è la libertà di Dio fatto uomo, richiamando la responsabilità di ciascuno: “Gesù lascia liberi. Ci indica un segno, ma poi si rimette alla nostra libertà. Il Natale è il tempo della scelta, se mettersi in cammino verso Colui che viene, oppure no. Anche in questo Natale una possibilità ci è data, di far posto a Colui che non trova posto, per scoprire, poi, che Lui stesso è la nostra strada, la nostra casa, il nostro pane buono, la nostra speranza. E, lungo il cammino, scopriremo tanti fratelli e sorelle, bisognosi di casa e di pane, come noi, e per i quali fare posto e dare speranza”.
Mentre i vescovi italiani nell’augurio natalizio riprendono i messaggi del nunzio apostolico a Damasco, card. Mario Zenari, e di fr. Francesco Patton, custode di Terra Santa: “Conosciamo la situazione che diversi Paesi del Medio Oriente stanno vivendo ormai da diverso tempo, al pari di altri luoghi del mondo spesso dimenticati. Mentre accogliamo il Signore che viene tra noi e contempliamo il mistero del Dio fatto carne, il nostro pensiero e la nostra preghiera vanno proprio al dolore profondo che sta dilaniando intere nazioni”.
(Foto: Patriarcato di Gerusalemme)
Quarta domenica di Avvento: l’azione mirabile dello Spirito Santo in Maria e in Elisabetta

Nella Liturgia oggi cambia il protagonista: non è più Giovanni Battista ma apparentemente è Maria, la madre di Gesù; in realtà vero protagonista è lo Spirito Santo che opera in Maria, invitandola a visitare la cugina Elisabetta, che, a sua volta, accoglie la cugina Maria con le parole: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo’. Il mistero di questa visita è un’anticipazione della Pentecoste, grazie all’umiltà di queste due donne, dalle quali si evince le debolezza dell’uomo e la magnificenza dell’Altissimo.
Due donne che determinano solo stupore: l’Una vergine, l’altra ufficialmente sterile, ma entrambe già mamme in attesa ciascuna di un bimbo. L’arcangelo Gabriele aveva annunciato a Maria: ‘Tua cugina Elisabetta, la donna da tutti ritenuta sterile, è al sesto mese di gravidanza; nulla è impossibile a Dio’. Maria interpreta le parole dell’arcangelo come un progetto divino davanti al quale all’uomo non resta che dire il suo ‘eccomi’. ‘Age quod agis’, fai bene quello che fai e Dio compie il suo miracolo di amore. Chi sa rispondere a Dio con un suo ‘eccomi’ generoso, si ritrova sempre sulla via tracciata da Dio, che è amore, servizio, condivisione.
La liturgia, ormai alla vigilia del Natale, non poteva non presentare la protagonista del presepe, la Donna benedetta che con il suo ‘eccomi’ all’Angelo è divenuta ‘la serva del Signore’ contribuendo all’opera della redenzione. La grandezza di Maria sta nella sua umiltà e santità che la pone come la nuova Eva dell’umanità redenta da Cristo. Elisabetta, illuminata dallo Spirito, saluta la cugina Maria e, assai meravigliata, esclama: ‘A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?’
Maria, consapevole di quanto Dio ha operato in lei, intona il ‘Magnificat’: l’anima mia magnifica il Signore perchè Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. Maria non inneggia alla sua umiltà di donna quanto alla grandezza singolare di Dio e alla sua misericordia, che ha realizzato la promessa di un Salvatore e ‘il Verbo si fece carne’.
Così al peccato di superbia ed orgoglio di Eva si contrappone l’umiltà di Maria: l’umiltà è verità, è presa di coscienza che tutto quello che siamo ed abbiamo è dono di Dio e a Lui va la lode e la gloria. Spinta dallo Spirito Santo Maria evidenzia che vivere è amare, amare è servire; da qui anche la sua corsa dalla cugina Elisabetta, il mettersi a suo servizio perchè la cugina è sola, è in età avanzata, necessita di assistenza.
Dio premia la sollecitudine di Maria e nella casa di Elisabetta si verifica una vera pentecoste: il Bambino, che Elisabetta porta nel grembo, ripieno della potenza dello Spirito Santo, sussulta di gioia mentre Maria innalza l’inno di gioia e di lode a Dio grande e misericordioso: ‘l’anima mia magnifica il Signore’. Il Magnificat ci parla solo di Dio, del suo agire, del suo stile divino: Egli disperde i superbi, ha rovesciato i superbi, ha rimandato a mani vuote i ricchi;
Dio è proprio quel padre buono, amorevole che Gesù mostra nella parabola della pecorella smarrita o del figliol prodigo: Padre sempre pronto a perdonare non sette volte ma settanta volte sette. Il Natale ci parla solo di ubbidienza ed amore; ci insegna che non si può essere cristiani, non si può essere discepoli di Cristo se non si esce fuori dal gretto egoismo e si abbraccia il fratello che tende la mano, alza le braccia, ha bisogno di amore concreto. E’ Natale se, come Maria, sai dire il tuo ‘eccomi’ al Signore. Da Maria impariamo ad accogliere la parola di Dio e a viverla nel quotidiano
Papa Francesco rivolge gli auguri di Natale: la salvezza è costruita da artigiani

“Sono felice che possiamo scambiarci gli auguri di Natale. Esprimo prima di tutto la mia gratitudine a ciascuno di voi per il lavoro che fate, sia a beneficio della Città del Vaticano che della Chiesa universale. Come ogni anno, siete venuti con le vostre famiglie e per questo vorrei riflettere un momento, brevemente, con voi proprio su questi due valori: lavoro e famiglia”: giornata di auguri natalizi per papa Francesco con i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e con la Curia romana.
Ai dipendenti vaticani papa Francesco incentra il messaggio augurale sulla famiglia e sul lavoro: “Quello che fate è certamente tanto. Passando per le strade e nei cortili della Città del Vaticano, nei corridoi e negli uffici dei vari Dicasteri e nei diversi luoghi di servizio, la sensazione è di trovarsi come in un grande alveare. E anche adesso c’è chi sta lavorando per rendere possibile questo incontro e non è potuto venire: diciamo loro grazie!”
E’ un lavoro ‘nascosto’ come lo è stato quello di Gesù: “Gesù stesso ce l’ha mostrata: Lui, il Figlio di Dio, che per amore nostro si è fatto umilmente apprendista falegname alla scuola di Giuseppe. A Nazaret pochi lo sapevano, quasi nessuno, ma nella bottega del carpentiere, assieme e attraverso tante altre cose, si costruiva, da artigiani, la salvezza del mondo! Avete pensato a questo: che la salvezza è stata costruita ‘da artigiani’? E lo stesso, in senso analogo, vale per voi, che col vostro lavoro quotidiano, nelle Nazaret nascoste delle vostre particolari mansioni, contribuite a portare a Cristo l’intera umanità e a diffondere in tutto il mondo il suo Regno”.
L’altro punto sottolineato è quello della famiglia, che invita ad amare, riprendendo la ‘lezione’ di san Giovanni Paolo II: “Amate la famiglia, per favore! Ed è vero: la famiglia, infatti, fondata e radicata nel matrimonio, è il luogo in cui si genera la vita (e quanto è importante, oggi, accogliere la vita!) Poi è la prima comunità in cui, fin dall’infanzia, si incontrano la fede, la Parola di Dio e i Sacramenti, in cui si impara a prendersi cura gli uni degli altri e a crescere nell’amore, a tutte le età…
Nella famiglia è stata trasmessa la fede. Vi incoraggio perciò (genitori, figli, nonni e nipoti, i nonni hanno una grande importanza vi incoraggio a restare sempre uniti, stretti tra voi e attorno al Signore: nel rispetto, nell’ascolto, nella premura reciproca”.
Eppoi un invito alla preghiera insieme: “Sempre uniti, mi raccomando, anche nella preghiera fatta insieme, perché senza preghiera non si va avanti, neanche in famiglia. Insegnate a pregare ai bambini! Ed in proposito, in questi giorni, vi suggerisco di trovare qualche momento in cui raccogliervi, assieme, attorno al Presepe, per rendere grazie a Dio dei suoi doni, per chiedergli aiuto per il futuro e per rinnovarvi a vicenda il vostro affetto davanti al Bambino Gesù”.
Mentre nell’augurio alla curia romana l’invito del papa è quello della benedizione: “Questo atteggiamento, il parlare bene e non parlare male, è un’espressione dell’umiltà, e l’umiltà è il tratto essenziale dell’Incarnazione, in particolare del mistero del Natale del Signore, che ci apprestiamo a celebrare. Una comunità ecclesiale vive in gioiosa e fraterna armonia nella misura in cui i suoi membri camminano nella via dell’umiltà, rinunciando a pensare male e parlare male degli altri”.
E lo ha fatto con un insegnamento di Doroteo di Gaza: “Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri. Doroteo è uno di questi. Nella scia di grandi Padri come Basilio ed Evagrio, egli ha edificato la Chiesa con istruzioni e lettere piene di linfa evangelica. Oggi anche noi, mettendoci alla sua scuola, possiamo imparare l’umiltà di accusare sé stessi per non dire male del prossimo”.
Infatti l’invito di Doroteo di Gaza consiste nella trasformazione del male in bene: “Accusare sé stessi è un mezzo, ma è indispensabile: è l’atteggiamento di fondo in cui può mettere radici la scelta di dire ‘no’ all’individualismo e ‘sì’ allo spirito comunitario, ecclesiale. Infatti, chi si esercita nella virtù di accusare sé stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio, il solo che crea l’unione dei cuori.
E così, se ciascuno progredisce su questa strada, può nascere e crescere una comunità in cui tutti sono custodi l’uno dell’altro e camminano insieme nell’umiltà e nella carità. Quando uno vede un difetto in una persona, può parlarne soltanto con tre persone: con Dio, con la persona stessa e, se non può con questa, con chi nella comunità può prendersene cura. E niente di più”.
E’ stato un invito ad essere ‘artigiani’ della benedizione: “Possiamo immaginare la Chiesa come un grande fiume che si dirama in mille e mille ruscelli, torrenti, rivoli (un po’ come il bacino amazzonico), per irrigare tutto il mondo con la benedizione di Dio, che scaturisce dal Mistero pasquale di Cristo”.
E’ la realizzazione del ‘disegno’ di Dio promesso ad Abramo: “Questo disegno presiede a tutta l’economia dell’alleanza di Dio con il suo popolo, che è ‘eletto’ non in senso escludente, ma al contrario nel senso che cattolicamente diremmo ‘sacramentale’: cioè facendo arrivare il dono a tutti attraverso una singolarità esemplare, meglio, testimoniale, martiriale”.
Infine ha rivolto un augurio ai ‘minutanti’, prendendo spunto da una frase di uno di loro apposto sulla porta (‘Il mio lavoro è umile, umiliato, umiliante’): “Direi che esprime lo stile tipico dell’artigianato della Curia, da intendere però in senso positivo: l’umiltà come via del bene-dire. La strada di Dio che in Gesù si abbassa e viene ad abitare la nostra condizione umana, e così ci benedice. E questo posso testimoniarlo: nell’ultima Enciclica, sul Sacro Cuore, che ha menzionato il cardinale Re, quanti hanno lavorato! Quanti! Le bozze andavano, tornavano… Tanti, tanti, con piccole cose”.
La mattinata di papa Francesco si è conclusa con l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione del re del Belgio Baldovino: “Volendo dare seguito a quanto disposto, il Dicastero ha iniziato il previsto iter costituendo in data 17 dicembre 2024 la regolare Commissione storica, composta da illustri esperti nella ricerca archivistica e nella storia del Belgio, per raccogliere e valutare la documentazione riguardante il Re Baldovino”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco chiede all’Azione Cattolica Ragazzi di vivere lo stupore del Presepe

Mancano pochi giorni a Natale e, come consuetudine, papa Francesco ha ricevuto la visita i ragazzi dell’Azione Cattolica per uno scambio di auguri, ricordando la necessità dello stupore per i giorni di Natale, chiedendo di guardare negli occhi i bisognosi, non dimenticando i bambini bisognosi con un pensiero particolare ai ragazzi ucraini che hanno vissuto la guerra e che hanno dimenticato il sorriso, con l’invito ad essere pescatori di uomini:
“Avete scelto, come guida per il cammino formativo di quest’anno, il tema ‘Prendere il largo’. Questo fa pensare subito ai primi discepoli di Gesù, che erano pescatori; Gesù li ha fatti diventare ‘pescatori di uomini’. Allora vorrei riflettere un momento con voi su queste due immagini: la pesca e lo stupore”.
Ed allora ecco l’importanza di essere pescatori: “Primo: la pesca, essere pescatori di uomini. Cosa vuol dire? Forse ‘catturare” le persone, magari usando reti più moderne? Non è certo questo che vuole il Signore. Dio non vuole ‘catturare’ nessuno, perché rispetta la nostra libertà. Invece offre a tutti il suo amore e la sua salvezza, senza pretendere nulla in cambio e senza esclusioni… E’ così che Gesù fa il ‘pescatore di uomini’: contagiandoli con la gioia e la meraviglia del suo amore”.
Ma solo con la gioia nasce lo stupore: “Perché questa gente non si sa stupire! Tutto così, tutto uguale, monotono: hanno perso la capacità dello stupore. Natale è un momento davvero speciale in questo senso: le strade si riempiono di luci, si scambiano i regali, la liturgia si arricchisce di canti e di suoni bellissimi… I bambini e i ragazzi dell’Azione Cattolica vengono qui e, uno due tre, cantano… Tutto è bello”.
Per questo il papa ha affermato che il presepe suscita stupore: “Pensiamo al Presepe: quanto stupore c’è lì! I pastori, i Magi e gli altri personaggi circondano la grotta coi loro volti meravigliati, coinvolgendo come in una grande festa perfino gli animali e tutto il paesaggio. Fermatevi davanti a un presepio e guardate bene; poi andate ad un altro e guardate bene… In tutti c’è varietà, i presepi napoletani sono bellissimi! Ma in tutti non mancano mai Gesù, la Madonna e Giuseppe: quell’Amore che Dio ci ha inviato e la Madonna e Giuseppe che lo fanno crescere”.
Lo stupore ha caratterizzato la vita di Carlo Acutis con l’invito a non essere ‘fotocopia’: “Attenti, però, perché questo non vale solo a Natale. Tutta la nostra vita, infatti, è un dono straordinario: ciascuno di noi è unico e ogni giorno è speciale, come amava dire il beato Carlo Acutis. Lo conoscete voi? Sapete che presto sarà santo? Bello! Lui diceva: dobbiamo essere ‘originali’, non ‘fotocopie’! E quanta gente non ha capacità di essere originale. Sono fotocopie!
Oggi si fa questo perché il giornale dice che si deve fare, o per abitudine. E il Natale per tanta gente è una ‘fotocopia’ di tante cose e non è l’incontro (tanto bello!) che ogni anno ci porta novità, novità all’anima e al cuore di ognuno di noi. Guardate il presepe, guardate la Madonna, Giuseppe e il Bambino, i Magi, i pastori, gente umile, che va a guardare Gesù”.
Per questo il papa ha invitato a vivere lo stupore del Natale: “Impariamo allora a stupirci. Per favore non perdete la capacità dello stupore. Impariamo a non dare mai nulla per scontato, soprattutto l’amore: quello di Dio e quello delle persone che incontriamo. Contagiamo tutto e tutti con la nostra meraviglia: di casa in casa, di parrocchia in parrocchia, di città in città, di nazione in nazione.
Così diffondiamo felicità, fiducia e consolazione. Il Natale è una bella notizia. Non è per fare il cenone e niente di più. Si fa il cenone, è bello, la famiglia… Ma anche altre cose: si guarda il presepe, si va in chiesa. E’ una festività che è alla radice della nostra fede”.
Ed infine li ha ringraziati per i regali per chi ne ha bisogno, rallegrandosi gli Angeli, specialmente per i bambini ucraini: “So che avete portato dei doni per chi ha più bisogno. Non dimenticate i bisognosi! E quando voi trovate bambini bisognosi, gente bisognosa, guardateli negli occhi e toccate la mano quando date l’elemosina, vicinissimi, con quella vicinanza che soltanto dà l’amore.
E Maria e Gesù erano bisognosi. Chi di voi va a partorire dove è nato Gesù? Vanno alla clinica o alla casa… Gesù è nato lì, in una stalla. Erano poveri, erano bisognosi. Non dimenticatevi dei bambini bisognosi, cercateli! E date il vostro amore, la vostra compagnia e aiutateli. Mi piace questo, che avete portato doni da dare ai poveri.
E vi incoraggio ad essere sempre vicini, nella preghiera e nella carità, a chi soffre, a tanti ragazzi come voi che stanno male per la fame, la guerra, le malattie. A proposito della guerra, vengono qui dei ragazzi dall’Ucraina: li portano per toglierli da quella guerra brutta. Sapete che i ragazzi ucraini, che hanno vissuto la guerra, hanno dimenticato il sorriso? Non sanno sorridere. Pensate a questi bambini, a questi ragazzi”.
Poi ha incontrato anche una delegazione della Federazione Italiana Bocce, uno sport molto ‘simpatico’ al papa, perché è ‘sociale’: “Penso che i campioni di bocce siano gente che fa l’impiegato, o l’insegnante, o l’idraulico… Insomma persone normali che hanno la passione per questo gioco forse un po’ fuori moda, ma tanto ricco di umanità.
E qui vengo al secondo motivo della mia simpatia per le bocce: è uno sport che io associo a un certo tipo di socialità, di amicizia sociale… Una volta era molto diffuso nei paesi, nel mondo rurale, dappertutto c’era il campo delle bocce, anche nelle parrocchie. Era un modo di stare insieme, di passare il tempo in compagnia, un divertimento sano e tranquillo. La società è cambiata, e così pure lo sport delle bocce: giocano anche le donne, i giovani; lo praticano tante persone con disabilità, e mi congratulo con voi per tutto”.
(Foto: Santa Sede)