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Papa Francesco invita alla comunione tra Chiese

In mattinata papa Francesco ha ricevuto in udienza il personale sanitario degli ospedali di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia, a cui ah consegnato il discorso a motivo di problemi salutari, nel quale ha ‘esaltato’ la professione delle ostetriche e dei ginecologi: “In effetti, in Italia, e anche in altri Paesi, sembra si sia perso l’entusiasmo per la maternità e la paternità; le si guarda come fonte di difficoltà e di problemi, più che come lo spalancarsi di un nuovo orizzonte di creatività e di felicità”.
E’ stato un appello ad invertire la ‘rotta’ della denatalità, soffermandosi su tre parole: “E questo dipende molto dal contesto sociale e culturale. Per questo voi, come Ordine professionale, vi siete dati un obiettivo programmatico: invertire la tendenza della denatalità. Bravi! Mi congratulo con voi. E allora vorrei riflettere con voi su tre ambiti complementari e interdipendenti della vostra vita e della vostra missione: la professionalità, la sensibilità umana e, per chi crede, la preghiera”.
Per il papa, innanzitutto, è necessario essere professionali: “Il continuo miglioramento delle competenze è parte non solo del vostro codice deontologico, ma anche di un cammino di santità laicale. La competenza è lo strumento con cui potete esercitare al meglio la carità che vi è affidata, sia nell’accompagnamento ordinario delle future mamme, sia affrontando situazioni critiche e dolorose. In tutti questi casi la presenza di professionisti preparati dona serenità e, nelle situazioni più gravi, può salvare la vita”.
Però, oltre la professionalità, occorre possedere la sensibilità: “In un momento cruciale dell’esistenza come quello della nascita di un figlio o di una figlia, ci si può sentire vulnerabili, fragili, e perciò più bisognosi di vicinanza, di tenerezza, di calore. Fa tanto bene, in tali circostanze, avere accanto persone sensibili e delicate. Vi raccomando perciò di coltivare, oltre all’abilità professionale, anche un grande senso di umanità”.
Infine ha invitato anche a mettere al centro della professione la preghiera: “E veniamo al terzo punto: la preghiera. E’ una medicina nascosta ma efficace che chi crede ha a disposizione, perché cura l’anima. A volte sarà possibile condividerla con i pazienti; in altre circostanze, la si potrà offrire a Dio con discrezione e umiltà, nel proprio cuore, rispettando il credo e il cammino di tutti…
Vi incoraggio perciò a sentire nei confronti delle mamme, dei papà e dei bambini che Dio mette sulla vostra strada, la responsabilità di pregare anche per loro, specialmente nella Santa Messa, nell’Adorazione eucaristica e nell’orazione semplice e quotidiana”.
Inoltre ha incontrato anche i sacerdoti ed i monaci delle Chiese Autocefale Orientali, a cui ha detto (sempre nel discorso consegnato) di essere contento della visita: “Questa è la quinta visita di studio per giovani sacerdoti e monaci ortodossi orientali organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Visite simili per sacerdoti cattolici sono state preparate dal Catholicossato armeno di Etchmiadzin e dalla Chiesa Ortodossa Sira Malankarese. Sono molto grato per questo ‘scambio di doni’, promosso dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, perché permette di affiancare il dialogo della carità al dialogo della verità”.
Quindi ha ricordato l’importanza del Concilio di Nicea: “La vostra visita ha una rilevanza particolare nell’anno in cui si celebra il 17° centenario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, che professò il Simbolo della fede comune a tutti i cristiani. Vorrei quindi riflettere con voi sul termine ‘Simbolo’, che ha una forte dimensione ecumenica, nel suo triplice significato.
In senso teologico, per Simbolo s’intende l’insieme delle principali verità della fede cristiana, che si completano e si armonizzano tra loro. In questo senso, il Credo niceno, che espone sinteticamente il mistero della nostra salvezza, è innegabile e ineguagliabile”.
Ed ha spiegato il significato ecclesiologico di questo Simbolo: “Tuttavia, il Simbolo ha anche un significato ecclesiologico: infatti, oltre alle verità, unisce anche i credenti. Nell’antichità, la parola greca symbolon indicava la metà di una tessera spezzata in due da presentare come segno di riconoscimento. Il Simbolo è quindi segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti”.
Ecco l’importanza del Simbolo: “Ognuno possiede la fede come “simbolo”, che trova la sua piena unità solo assieme agli altri. Abbiamo dunque bisogno gli uni degli altri per poter confessare la fede, ed è per questo che il Simbolo niceno, nella sua versione originale, usa il plurale ‘noi crediamo’. Andando oltre in questa immagine, direi che i cristiani ancora divisi sono come dei ‘cocci’ che devono ritrovare l’unità nella confessione dell’unica fede. Portiamo il Simbolo della nostra fede come un tesoro in vasi d’argilla”.
Infine il terzo significato è quello ‘spirituale’: “Non dobbiamo mai dimenticare che il Credo è soprattutto una preghiera di lode che ci unisce a Dio: l’unione con Dio passa necessariamente attraverso l’unità tra noi cristiani, che proclamiamo la stessa fede. Se il diavolo divide, il Simbolo unisce! Come sarebbe bello che, ogni volta che proclamiamo il Credo, ci sentissimo uniti ai cristiani di tutte le tradizioni!”
Ed ha auspicato che tale ‘fede comune’ possa diventare comunione: “La proclamazione della fede comune, difatti, richiede prima di tutto che ci amiamo gli uni gli altri, come la liturgia orientale invita a fare prima della recita del Credo: ‘Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito, professiamo la nostra fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo’.
Cari fratelli, auspico che la vostra presenza diventi un ‘simbolo’ della nostra comunione visibile, mentre perseveriamo nella ricerca di quella piena unità che il Signore Gesù ha ardentemente desiderato”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco invita le banche a lavorare nelle comunità territoriali

“Questo incontro ci dà occasione di riflettere sulle potenzialità e sulle contraddizioni dell’economia e della finanza attuale. La Chiesa ha dimostrato un’attenzione particolare alle esperienze bancarie a livello popolare, e in molti casi uomini e donne impegnati nella comunità ecclesiale hanno promosso e dato vita a Monti di pietà, banche, istituti di credito cooperativo, casse rurali. L’intento è sempre stato quello di dare opportunità a chi altrimenti non ne aveva. E’ bello questo: aprire la porta delle opportunità”: ricevendo in udienza le delegazioni di alcuni istituti bancari italiani papa Francesco ha evidenziato che quando nelle banche l’unico criterio è il profitto, ci sono conseguenze negative per l’economia.
Ed in breve ha ripercorso la storia economica del credito: “Nella prima metà del secolo XV, con la nascita dei Monti di pietà, il francescanesimo aveva dato concretezza a un’idea importante: la presenza di poveri in città è segno di una malattia sociale. E questo anche oggi, anche oggi è vero questo. Le banche, i Monti di pietà e i Monti frumentari hanno offerto credito a chi non poteva permetterselo e hanno consentito a molte famiglie di rialzarsi e di integrarsi nelle attività economiche e sociali della città”.
Mentre con l’enciclica ‘Rerum Novarum’ si evidenziò la necessità di un’economia a sostegno dello sviluppo territoriale: “Tra Otto e Novecento, anche in seguito alla pubblicazione dell’Enciclica ‘Rerum Novarum’ di Leone XIII, si è realizzato qualcosa di analogo nelle campagne italiane. Si è sviluppata un’economia legata al territorio grazie all’iniziativa di preti e laici illuminati. Il credito bancario ha potuto sostenere tante attività economiche, sia nel campo dell’agricoltura che in quello dell’industria e del commercio”.
Di conseguenza ha criticato quelle multinazionali che spostano attività in luoghi dove è più facile sfruttare il lavoro mettendo in difficoltà famiglie e comunità: “La memoria di queste vicende serve a leggere le contraddizioni in cui versa un certo modo di fare banca e finanza nel nostro tempo. Purtroppo, nel mondo globalizzato la finanza non ha più un volto e si è distanziata dalla vita della gente. Quando l’unico criterio è il profitto, abbiamo conseguenze negative per l’economia reale. Ci sono multinazionali che spostano attività in luoghi dove è più facile sfruttare il lavoro, per esempio, mettendo in difficoltà famiglie e comunità e annullando competenze lavorative che si sono costruite in decenni”.
Quindi ha condannato una finanza ‘usuraia’: “E c’è una finanza che rischia di servirsi di criteri usurai, quando favorisce chi è già garantito ed esclude chi è in difficoltà e avrebbe bisogno di essere sostenuto con il credito. Infine, il rischio che vediamo è la distanza dai territori. C’è una finanza che raccoglie fondi in un luogo e sposta quelle risorse in altre zone con l’unico scopo di aumentare i propri interessi. Così la gente si sente abbandonata e strumentalizzata. Quando la finanza calpesta le persone, fomenta le disuguaglianze e si allontana dalla vita dei territori, tradisce il suo scopo. Diventa, direi, un’economia incivile: le manca la civiltà”.
Di conseguenza ha ‘elogiato’ l’economia civile: “Avete storie e strutture differenti per rispondere a bisogni diversi delle persone. In effetti, senza sistemi finanziari adeguati, capaci di includere e di favorire la sostenibilità, non ci sarebbe uno sviluppo umano integrale. Gli investimenti e il sostegno al lavoro non sarebbero realizzabili senza il ruolo di intermediazione tipico delle banche e del credito, con la necessaria trasparenza. Ogni volta che l’economia e la finanza hanno ricadute concrete sui territori, sulla comunità civile e religiosa, sulle famiglie, è una benedizione per tutti”.
Riprendendo le parole di don Primo Mazzolari papa Francesco ha parlato della necessità della remissione del debito: “La finanza è un po’ il sistema circolatorio’, per così dire, dell’economia: se si blocca in alcuni punti e non circola in tutto il corpo sociale, si verificano infarti e ischemie devastanti per l’economia stessa. La finanza sana non degenera in atteggiamenti usurai, in pura speculazione e in investimenti che danneggiano l’ambiente e favoriscono le guerre”.
In conclusione, il Giubileo impone scelte coraggiose: “Care amiche, cari amici, gli istituti bancari hanno responsabilità grandi per incoraggiare logiche inclusive e per sostenere un’economia di pace. Il Giubileo alle porte ci ricorda la necessità di rimettere i debiti. E’ la condizione per generare speranza e futuro nella vita di molta gente, soprattutto dei poveri. Vi incoraggio a seminare fiducia. Non stancatevi di accompagnare e di tenere alto il livello di giustizia sociale”.
Al termine la presidente di Banca Etica, Anna Fasano, ha ringraziato il papa: “Siamo grati a papa Francesco per l’incoraggiamento che, con le sue parole di oggi, ma non solo, ha voluto porgere a chi mette in pratica una finanza inclusiva, capace di offrire speranza, al servizio delle persone, soprattutto le più fragili; una finanza che non mette il profitto prima di tutto ma che interpreta il suo ruolo al servizio di uno sviluppo economico e sociale inclusivo e sano. Siamo felici di aver avuto l’opportunità di portare il messaggio della finanza etica a Papa Francesco, al quale abbiamo voluto consegnare un’immagine che rappresenta l’impegno della finanza etica verso gli ultimi, e in particolare verso le persone migranti insieme alle tante associazioni e organizzazioni che sono nostre compagne di viaggio”.
Ad inizio giornata il papa aveva ricevuto la comunità filippina: “I filippini sono uomini di fede, donne di fede. Qui in Vaticano lavorano alcuni di voi, è fantastico, è fantastica la fede che hanno, la testimonianza che danno. Continuate a rendere testimonianza in questa società che è diventata troppo ricca, troppo competente, troppo sufficiente”.
Inoltre con i rappresentanti del Consiglio Metodista mondiale si è soffermato sul significato del Concilio di Nicea: “Il prossimo anno, i cristiani di tutto il mondo celebreranno i millesettecento anni dal primo Concilio ecumenico, Nicea. Questo anniversario ci ricorda che professiamo la stessa fede e, quindi, abbiamo la stessa responsabilità di offrire segni di speranza che testimoniano la presenza di Dio nel mondo… Mi viene in mente una cosa che diceva il grande Zizioulas, quel Vescovo ortodosso, cioè che lui già sapeva la data dell’unione, lui sapeva la data dell’unità: sarebbe il giorno dopo il giudizio finale! Ma nel frattempo, dobbiamo camminare insieme, come fratelli, pregare insieme, fare la carità insieme, e andare avanti insieme nel dialogo. Era grande questo Zizioulas!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: dialogo ecumenico per la pace nel mondo

“La commemorazione liturgica dell’apostolo Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, mi offre l’opportunità di esprimere, a nome di tutta la Chiesa cattolica e a nome mio, sentiti auguri a Vostra Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero, ai monaci e a tutti i fedeli riuniti nella Cattedrale patriarcale di San Giorgio a Phanar. Vi invio anche l’assicurazione delle mie fervide preghiere affinché Dio Padre, fonte di ogni dono, vi conceda abbondanti benedizioni celesti per intercessione di Sant’Andrea, primo dei chiamati e fratello di San Pietro. La delegazione che ho inviato anche quest’anno dimostra l’affetto fraterno e il profondo rispetto che continuo a nutrire per Vostra Santità e per la Chiesa affidata alle vostre cure pastorali”: così ha scritto papa Francesco nel messaggio inviato al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della festa di sant’Andrea Apostolo, recapitato dal card. Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.
La delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta dal patriarca ecumenico nella chiesa patriarcale di san Giorgio al Fanar ed ha avuto un incontro con il patriarca e conversazioni con la commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica, nel ricordo dell’anniversario del decreto ‘Unitatis Redintegratio’:
“Pochi giorni fa, il 21 novembre, è stato il sessantesimo anniversario della promulgazione del Decreto ‘Unitatis Redintegratio’, che ha segnato l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. Questo importante documento del Concilio Vaticano II ha aperto la strada al dialogo con le altre Chiese. Il nostro dialogo con la Chiesa ortodossa è stato e continua ad essere particolarmente fruttuoso. Il primo dei frutti ottenuti è certamente la rinnovata fraternità che oggi viviamo con particolare intensità, e per questo rendo grazie a Dio Padre Onnipotente”.
Nel messaggio il papa ha sottolineato che il documento ha segnato l’inizio del dialogo ecumenico: “Tuttavia, ciò che la Unitatis Redintegratio indica come fine ultimo del dialogo, la piena comunione tra tutti i cristiani, la condivisione dell’unico calice eucaristico, non si è ancora realizzato nemmeno con i nostri fratelli e sorelle ortodossi. Ciò non sorprende, perché le divisioni che risalgono a un millennio fa non possono essere risolte in pochi decenni. Allo stesso tempo, come sostengono alcuni teologi, l’obiettivo di ristabilire la piena comunione ha un’innegabile dimensione escatologica, in quanto il cammino verso l’unità coincide con quello della salvezza già donata in Gesù Cristo, alla quale la Chiesa parteciperà pienamente solo alla fine dei tempi”.
E la strada del dialogo ecumenico è stato sottolineato anche dal recente Sinodo dei vescovi: “L’impegno irreversibile della Chiesa cattolica sulla via del dialogo è stato riaffermato dalla recente Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi in Vaticano dal 2 al 27 ottobre 2024. L’impulso a un rinnovato esercizio della sinodalità nella Chiesa cattolica favorirà certamente le relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che ha sempre mantenuto viva questa costitutiva dimensione ecclesiale. Sono particolarmente lieto che i rappresentanti di altre Chiese, tra cui il metropolita Giobbe di Pisidia, delegato del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, abbiano partecipato attivamente al processo sinodale. La sua presenza e il suo assiduo lavoro sono stati un arricchimento per tutti e un segno tangibile dell’attenzione e del sostegno che avete sempre dato al processo sinodale”.
Ed infine un richiamo all’anniversario del Concilio di Nicea: “Santità, l’ormai prossimo 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea sarà un’altra occasione per testimoniare la crescente comunione che già esiste tra tutti coloro che sono battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ho già espresso più volte il desiderio di poter celebrare questo evento insieme a voi, e ringrazio sinceramente tutti coloro che hanno già iniziato a lavorare per renderlo possibile.
Questo anniversario non riguarderà solo le antiche sedi che parteciparono attivamente al Concilio, ma tutti i cristiani che continuano a professare la loro fede con le parole del Credo niceno-costantinopolitano. Il ricordo di quell’importante evento rafforzerà sicuramente i legami già esistenti e incoraggerà tutte le Chiese a una rinnovata testimonianza nel mondo di oggi”.
Mentre ai membri dell’associazione giapponese ‘Hidden Christian Research Association’ ha ricordato la fedeltà dei cristiani giapponese: “E’ appropriato che il nostro incontro abbia luogo alla vigilia della celebrazione della memoria di San Francesco Saverio, il grande missionario che sognò che la predicazione del Vangelo avrebbe prodotto una ricca messe di anime nella vostra Terra nativa. Come eredi di tale sogno, possa il vostro lavoro di educazione e conservazione rendere meglio noto e apprezzato questo eminente capitolo della storia dell’evangelizzazione.
Cari amici, quando pensiamo all’eroismo dei primi missionari, al coraggio dei martiri giapponesi e alla perseveranza della piccola ma fedele Comunità cattolica del vostro Paese, come non rivolgere il pensiero ai fratelli cristiani che ai nostri giorni subiscono la persecuzione e perfino la morte per il nome di Gesù? Vi chiedo di unirvi a me nel pregare per loro, e per quelli che soffrono per i frutti amari della guerra, della violenza, dell’odio e dell’oppressione”.
Ed anche ai partecipanti al convegno nel centenario della prima ‘All Religions’ Conference’, promossa dalla ‘Sree Narayana Dharma Sanghom Trust’, il papa ha ricordato il primo organizzatore, Sree Narayana Guru: “Sree Narayana Guru ha dedicato la sua vita a promuovere il riscatto sociale e religioso con il suo chiaro messaggio che tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro etnia o dalle loro tradizioni religiose e culturali, sono membri dell’unica famiglia umana.
frateHa insistito sul fatto che non ci dev’essere discriminazione contro nessuno, in nessun modo e a nessun livello. Il suo messaggio è molto adatto al nostro mondo di oggi, dove assistiamo a crescenti casi di intolleranza e odio tra popoli e nazioni. Purtroppo, manifestazioni di discriminazione ed esclusione, tensioni e violenze basate sulle differenze di origine etnica o sociale, razza, colore, lingua e religione sono un’esperienza quotidiana per molte persone e comunità, soprattutto tra i poveri, gli indifesi e coloro che non hanno voce”.
E’ stato un richiamo al documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale: “Tutte le religioni insegnano la verità fondamentale che, in quanto figli dell’unico Dio, dobbiamo amarci e onorarci l’un l’altro, rispettare le diversità e le differenze in uno spirito di fraternità e di inclusione, prendendoci cura gli uni degli altri, nonché della terra, nostra casa comune. Il mancato rispetto dei nobili insegnamenti delle religioni è una delle cause della travagliata situazione in cui il mondo oggi si trova. I nostri contemporanei riscopriranno il valore degli alti insegnamenti delle tradizioni religiose solo se tutti ci sforzeremo di viverli e di coltivare relazioni fraterne e amichevoli con tutti, all’unico scopo di rafforzare l’unità nella diversità, assicurare una convivenza armoniosa tra le differenze ed essere operatori di pace, nonostante le difficoltà e le sfide che dobbiamo affrontare”.
Mentre ad un gruppo di parlamentari francesi ha chiesto di dare un’educazione ai giovani: “La prima realtà che vi invito a considerare oggi è l’urgenza di offrire ai giovani un’educazione che li orienti verso i bisogni degli altri e sappia incentivare il senso dell’impegno. Il giovane in crescita necessita di un ideale, perché è fondamentalmente generoso e aperto alle domande esistenziali. Sbaglia chi pensa che i giovani non aspirino ad altro che stare sul divano o sui social! Coinvolgere i giovani, coinvolgerli nel mondo reale, in una visita ad anziani o a persone disabili, una visita a poveri o migranti, questo li apre alla gioia dell’accoglienza e del dono, offrendo un po’ di conforto a persone rese invisibili da un muro di indifferenza. È curioso come l’indifferenza uccide la sensibilità umana! Esistono già diverse iniziative degne di nota che chiedono solo di essere seguite, incoraggiate e moltiplicate!”
Inoltre ha chiesto loro una riflessione sulla questione del ‘fine vita’: “Spero inoltre che, anche con il vostro contributo, il dibattito sulla questione essenziale della fine della vita possa essere condotto nella verità. Si tratta di accompagnare la vita al suo termine naturale attraverso uno sviluppo più ampio delle cure palliative. Come sapete, le persone alla fine della vita hanno bisogno di essere sostenute da assistenti che siano fedeli alla loro vocazione, che è quella di fornire assistenza e sollievo pur non potendo sempre guarire. Le parole non sempre servono, ma prendere per mano un ammalato, prendere per mano, questo fa tanto bene e non solo all’ammalato, anche a noi”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ha il desiderio di recarsi a Nicea

“Siamo vicini, ormai, all’apertura della Porta Santa del Giubileo e abbiamo da poco concluso la XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. A partire da questi due eventi desidero rivolgervi due pensieri: il primo è rimettere Cristo al centro, il secondo è sviluppare una teologia della sinodalità”: con questi pensieri papa Francesco oggi ha ricevuto i partecipanti all’assemblea plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sottolineando la centralità di Gesù.
Anzi parlando del Concilio di Nicea ha espresso il desiderio di un viaggio apostolico: “Il Giubileo ci invita a riscoprire il volto di Cristo e a ricentrarci in Lui. E durante questo Anno Santo, avremo anche l’occasione di celebrare la ricorrenza dei 1700 anni del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. Io penso di recarmi lì. Questo Concilio costituisce una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità, perché la fede in Gesù, Figlio di Dio fatto carne per noi e per la nostra salvezza, è stata formulata e professata come luce che illumina il significato della realtà e il destino di tutta la storia”.
Ripetendo l’invito di san Pietro, che invita a rispondere della ragione della propria fede il papa ha ribadito l’essenzialità evidenziata dal concilio niceno: “Questa esortazione, che è rivolta a tutti i cristiani, si può applicare in modo particolare al ministero che i teologi sono chiamati a svolgere come servizio al Popolo di Dio: favorire l’incontro con Cristo, approfondire il significato del suo mistero, affinché possiamo meglio comprendere ‘quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza’.
Il Concilio di Nicea, affermando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, mette in luce qualcosa di essenziale: in Gesù possiamo conoscere il volto di Dio e, allo stesso tempo, anche il volto dell’uomo, scoprendoci figli nel Figlio e fratelli tra di noi”.
Perciò ecco la necessità di un approfondimento di tale Concilio: “E’ importante, allora, che abbiate dedicato gran parte di questa Plenaria a lavorare su un documento che vuole illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea. Tale documento potrà essere prezioso, nel corso dell’anno giubilare, per nutrire e approfondire la fede dei credenti e, a partire dalla figura di Gesù, offrire anche spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all’umanità di Cristo”.
Ecco il significato della centralità di Gesù: “Oggi, infatti, in un mondo complesso e spesso polarizzato, tragicamente segnato da conflitti e violenze, l’amore di Dio che si rivela in Cristo e ci viene donato nello Spirito diventa un appello rivolto a tutti, perché impariamo a camminare nella fraternità e a essere costruttori di giustizia e di pace. Solo in questo modo possiamo spargere semi di speranza là dove viviamo. Rimettere Cristo al centro significa riaccendere questa speranza e la teologia è chiamata a farlo, in un lavoro costante e sapiente, nel dialogo con tutti gli altri saperi”.
Da qui l’appello a sviluppare una ‘teologia della sinodalità’: “L’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha dedicato un punto del documento finale al compito della teologia, nel contesto dei ‘carismi, vocazioni e ministeri per la missione’… Questa è stata una visione di san Paolo VI alla fine del Concilio, quando ha creato il Segretariato del Sinodo dei Vescovi. In quasi 60 anni si è sviluppata questa teologia sinodale, a poco a poco, e oggi possiamo dire che è matura. Ed oggi non si può pensare una pastorale senza questa dimensione di sinodalità”.
In questo modo si coglie meglio la visione ecclesiologica: “Perciò, insieme alla centralità di Cristo, vorrei invitarvi a tenere presente anche la dimensione ecclesiologica, per sviluppare al meglio la finalità missionaria della sinodalità e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio nella sua varietà di culture e tradizioni. Direi che è venuto il momento di compiere un passo coraggioso: sviluppare una teologia della sinodalità, una riflessione teologica che aiuti, incoraggi, accompagni il processo sinodale, per una nuova tappa missionaria, più creativa e audace, che sia ispirata dal kerygma e che coinvolga tutte le componenti della Chiesa”.
Ed ha concluso sollecitando all’umorismo affinché la teologia possa essere feconda: “Rimanendo, per così dire, appoggiata al Cuore del Signore, la vostra teologia attingerà alla fonte e porterà frutti nella Chiesa e nel mondo. E una cosa fondamentale per fare una teologia feconda è non perdere il senso dell’umorismo, per favore! Questo aiuta tanto. Lo Spirito Santo è quello che ci aiuta in questa dimensione di gioia e di umorismo”.
In precedenza aveva ricevuto in udienza i religiosi e le religiose della Famiglia Calasanziana, in occasione del 75° anniversario di fondazione, con l’invito ad essere docili alla Provvidenza, come ha sperimentato san Giuseppe Calasanzio: “Il vostro Fondatore, di famiglia agiata, destinato probabilmente a una ‘carriera ecclesiastica’ (termine che mi ripugna e che andrebbe abolito), venuto a Roma con incarichi di un certo livello, non ha esitato a stravolgere programmi e prospettive della sua vita per dedicarsi ai ragazzi di strada incontrati in città”.
Egli, infatti, è stato attento ai poveri dell’epoca: “Così sono nate le Scuole Pie: non tanto per un piano predefinito e garantito, quanto per il coraggio di un bravo prete che si è lasciato coinvolgere dalle necessità del prossimo, là dove il Signore gliele ha poste davanti. Questo è molto bello, e io vorrei invitare anche voi a mantenere, nelle vostre scelte, la stessa apertura e la stessa prontezza, senza calcolare troppo, vincendo timori e titubanze, specialmente di fronte alle tante nuove povertà dei nostri giorni.
Le nuove povertà. Sarebbe bello che uno di questi giorni, nella vostra riunione, cercaste di descrivere le nuove povertà, quali sono le nuove povertà. Non temete di avventurarvi, per rispondere ai bisogni dei poveri, in sentieri diversi da quelli già battuti nel passato, anche a costo di rivedere schemi e di ridimensionare aspettative. È in questo abbandono fiducioso che affondano le vostre radici, e rimanendo fedeli ad esse manterrete vivo il vostro carisma”.
L’altro aspetto riguarda la cura per la crescita integrale della persona: “La grande novità della Scuole Pie era di insegnare ai giovani poveri, assieme alle verità della fede, anche le materie di istruzione generale, integrando formazione spirituale e intellettuale per preparare adulti maturi e capaci. E’ stata una scelta profetica a quei tempi, pienamente valida anche adesso.
A me piace parlare, in proposito, di fare unità, nella persona, tra le ‘tre intelligenze’: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani (le mani sono intelligenti!) e così noi possiamo fare con le mani quello che si sente e si pensa, sentire quello che si pensa e si fa, pensare quello che si sente e si fa. Le tre intelligenze”.
Per questo ha chiesto un aiuto affinché i ragazzi possano fare una ‘sintesi armonica’: Oggi è molto urgente aiutare i ragazzi a fare questo tipo di sintesi, unità armonica delle tre intelligenze, a ‘fare unità’ in sé stessi e con gli altri, in un mondo che li spinge invece sempre più nella direzione della frammentarietà nei sentimenti e nelle cognizioni e dell’individualismo nelle relazioni… Le tre intelligenze. Questo è importante, che i ragazzi facciano questa unità in sé stessi, con gli altri e con il mondo. Lo stile educativo integrale è un “talento carismatico” importantissimo che Dio vi ha affidato, perché lo mettiate a frutto al meglio delle vostre capacità per il bene di tutti”.
(Foto: Santa Sede)
La prof.ssa Boni spiega l’importanza dello studio della storia del diritto canonico

Nella nuova formulazione quest’anno il Codice di Diritto Canonico ha compiuto 40 anni, ed è stato con una iniziativa di alto profilo all’Università di Bologna, presentando il manuale ‘Il diritto nella storia della Chiesa’ per aiutare a comprendere come l’idea di diritto si sia sviluppato nella storia della Chiesa, grazie alla prof.ssa Geraldina Boni, ordinario di Diritto Canonico, Diritto Ecclesiastico e Storia del Diritto presso la stessa Università, e la dott.ssa Ilaria Samoré, che collabora alla sua cattedra e alla quale si deve il lavoro di raccolta di appunti e temi delle lezioni che hanno affrontato le questioni del diritto nella Chiesa.
Dalla prof.ssa Geraldina Boni ci facciamo spiegare il motivo per cui la Chiesa si è data un diritto ‘canonico’?
“Nell’ottica cattolica la Chiesa non si è ‘data’, non ha cioè ‘inventato’ un diritto canonico, in quanto gli elementi essenziali di giuridicità che la contrassegnano scaturiscono dalla volontà divina: la rispondenza a giustizia delle prescrizioni e degli istituti in cui essa si articola è indelebilmente impressa dal suo Fondatore e non può essere tradita. Benché la parabola storica della comunità ecclesiale sia stata costellata di frequente da fermenti di contestazione della dimensione giuridica, essi sono sempre stati intransigentemente respinti, poiché il diritto canonico si radica e trova legittimazione nello ‘ius divinum’. Il quale ultimo non può essere discrezionalmente mutato né in alcun modo scalfito dall’autorità gerarchica, neppure da quella suprema.
Può tuttavia evolvere e approfondirsi la comprensione e la penetrazione del diritto divino da parte dell’intelligenza dell’uomo di ogni tempo: determinando aggiustamenti normativi che rispecchino questa più matura consapevolezza del disegno superiore. Per questo, con tali trasformazioni, non si induce alcun relativismo, dovendosi comunque tutte le riforme giuridiche innestare saldamente nella Tradizione. Ciò è particolarmente evidente pure in tematiche delicate e continuamente dibattute nella Chiesa, anche attualmente: come la configurazione del primato del vescovo di Roma o la collegialità episcopale, ovvero quella sinodalità che tanto sta a cuore a Papa Francesco; o, ancora, come il ruolo dei chierici e dei laici, ovvero delle donne”.
Quanto è importante il diritto canonico?
Ovviamente io sono un poco “partigiana” nel rispondere alla domanda, occupandomi di tale materia da trent’anni. Ma al di là della necessità per così dire ‘ad intra’ della compagine ecclesiale di studiare il diritto canonico per le ragioni appena dette, ad extra (io del resto lo insegno in una Università statale) sono convinta che conoscerlo sia importantissimo: esso, infatti, rappresenta una chiave di lettura straordinariamente illuminante (oltre che avvincente) per investigare l’origine e lo sviluppo della civiltà occidentale.
Per più di un millennio la Chiesa romana ha dispiegato una funzione cruciale nella guida spirituale e altresì politica dell’Europa; ne discende che il diritto canonico e il graduale dipanarsi delle sue istituzioni hanno sensibilmente contribuito a delineare non solo la fisionomia degli odierni ordinamenti di ‘civil law’ e di ‘common law’, specie in riferimento a capitali principi che li attraversano e li fondano: ma hanno segnato a fondo il linguaggio, il sapere condiviso e il patrimonio intellettuale collettivo, pure le sembianze dei territori.
Esplorare la storia del diritto canonico costituisce dunque uno strumento prezioso e impareggiabile per la decodificazione del nostro passato: e, di conseguenza, per una più piena cognizione dell’identità che ad esso si ricollega. Aggiungo che alcune connotazioni intrinsecamente caratterizzanti ancor oggi lo ‘ius canonicum’, in particolare la sua plastica elasticità nel piegarsi ad ogni realtà concreta affinché in ognuna affiori e si affermi la ‘res iusta’, possono offrire ai cultori dei diritti secolari non poche suggestioni per pervenire a soluzioni più ragionevoli perché più confacenti, appunto, a giustizia.
Come si è sviluppato nei secoli il diritto canonico?
Fermi i capisaldi innervati nello ‘ius divinum’, il diritto canonico di produzione umana, pur tra crisi e regressi, non ha mai cessato di progredire e perfezionarsi, adattandosi costantemente al mutare delle diversificate e capillari domande di giustizia dei ‘christifideles’: lasciandosi interrogare e aderendo al mutare delle contingenze temporali e ambientali. Ciò del resto risponde pienamente alla fisionomia inconfondibile di una religione incarnata come quella cristiana: la Chiesa, con il suo diritto, si è fatta così ‘romana’ coi ‘romani’, ‘barbara’ coi ‘barbari’…
La logica dell’incarnazione si proietta e si ripercuote nell’aspirazione a una perpetua inculturazione anche del diritto canonico. Esso viene sollecitato, arricchito, spronato a nuove e inedite soluzioni giuridiche dal rapporto e dal confronto con le varie culture, ‘filtrandole’ alla luce della buona novella evangelica affinché si mantenga integra la conformità al progetto divino”.
Come si inserisce il diritto canonico nell’azione missionaria della Chiesa?
“Proprio quanto appena ricordato permette di capire come l’azione missionaria della Chiesa non possa comportare l’esportazione e l’imposizione di schemi giuridici del tutto alieni a coloro cui viene proposto l’annuncio cristiano. In passato, ad esempio, con il superamento dei confini dell’Occidente al seguito delle potenze iberiche, la ‘societas Ecclesiae’ entrò in contatto con popoli estranei all’universo greco-latino nel grembo del quale il cristianesimo e il suo diritto si erano formati: e quest’ultimo fu in grado di adeguarsi e plasmarsi alla cultura dei convertiti, alimentando tra l’altro un laboratorio di soluzioni giuridiche inedite e innovative che poi in gran parte, per la loro proficuità, sono state estese all’intera cristianità.
Anche oggi la sfida missionaria, volta semmai ai Paesi di antica cristianità oramai pressoché completamente secolarizzati, richiede strumenti giuridici differenti, che sappiano rispondere alle impellenze esistenziali degli uomini e delle donne del postmoderno. Le urgenze poste quindi dalle esigenze missionarie dimostrano eloquentemente la capacità del diritto della Chiesa di elaborare istituti canonistici calati e forgiati sui bisogni via via emergenti, escogitando disposizioni sempre ispirate alla giustizia di ogni situazione”.
Quindi il diritto canonico è un esercizio di libertà della Chiesa?
“Anzitutto il diritto salvaguarda la libertà: una Chiesa senza diritto sarebbe, come molti hanno osservato, una Chiesa dell’arbitrio e della prevaricazione. Il diritto canonico può essere inoltre considerato un esercizio di libertà nella Chiesa perché ha congegnato e sperimenta criteri di flessibilità che permettono di modellarlo caso per caso, nonostante la rigidità e l’immutabilità che contraddistinguono lo ‘ius divinum’, e pertanto rimanendo sempre entro quella cornice che neppure il papa può varcare o forzare. Ciò è veicolato ed espresso attraverso quell’aequitas canonica che, rinvenendo i suoi primi barlumi nei precorritori dell’età aurea del diritto canonico medievale, si esercita creativamente consentendo di attenuare la durezza del rigor iuris con la dolcezza della misericordia.
Un esercizio di libertà, infine, che è garantito non soltanto all’autorità ecclesiastica, ma che spetta a tutti fedeli: tra essi, in forza della rigenerazione battesimale, vige una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, come recita il can. 208 del Codex Iuris Canonici vigente, cooperando a pieno titolo all’edificazione del Corpo di Cristo”.
Nel prossimo anno si celebrano 1700 anni del Concilio di Nicea, che fu presieduto dall’imperatore Costantino: ciò provocò problemi nella Chiesa e come si risolsero?
Non solo Nicea, ma tutti i primi otto concili ecumenici del primo millennio, come noto, si riuniscono sotto l’egida dell’imperatore, il quale, specie dal momento in cui il cristianesimo viene elevato a ‘religione di Stato’, si fa ‘custos et vindex’ (protettore e garante) di quest’ultima. La figura di Costantino, ricca di chiaroscuri e di ambigue sfaccettature, sin da subito fa sorgere il problema di una difesa della Chiesa da parte del potere politico che rischia di divenire un controllo opprimente e asfissiante. La presenza di Costantino a Nicea quale ‘vescovo di foro esterno’ (stando alla testimonianza di Eusebio) è un sintomo, cioè, di quella pericolosa pretesa di commistione tra autorità secolare e autorità spirituale che a lungo perdurerà nei secoli e che cagionerà non pochi conflitti e danni funesti.
Il principio dualista cristiano del ‘date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’, seppur teoricamente di una chiarezza cristallina, ha faticato e stenta ancor oggi a realizzarsi nell’esperienza pratica: con invasioni ed esorbitanze, invero da una parte e dall’altra, continue e difficilmente contenibili, ma che vanno tuttavia tenacemente contrastate. Anche proprio rivendicando e facendo valere quella libertà dei figli di Dio che il diritto canonico tutela e promuove per ammonire le autorità civili e quelle ecclesiastiche al rispetto della libertà religiosa, da una parte, e dell’autonomia dell’ordine temporale, dall’altra”.
Nicea 1700 anni dopo

È in uscita un nuovo numero di Studia patavina (2/2024), la rivista della Facoltà teologica del Triveneto, con un focus dal titolo Nicea andata e ritorno. Traiettorie di un Concilio, a cura di Chiara Curzel (Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini” di Trento) e Maurizio Girolami (Facoltà teologica del Triveneto), scaricabile gratuitamente dal sito www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf
Nel 2025 ricorreranno i 1700 anni dal concilio di Nicea (325 d.C.), il primo evento ecumenico nella storia della cristianità, da cui scaturì una professione di fede condivisa che tuttora rappresenta per i cristiani un elemento in cui identificarsi e trovare unità. La Facoltà teologica del Triveneto ha già organizzato un convegno sul tema (14 ottobre 2024), da cui nascono gli approfondimenti proposti in questo fascicolo.
Il percorso affronta innanzitutto questioni storiche, teologiche, linguistiche, scritturistiche e guarda poi alla recezione di Nicea nel territorio del Nord Est italiano. In apertura, Emanuela Prinzivalli (Sapienza Università di Roma, Istituto Patristico Augustinianum) delinea un ampio quadro storico-teologico generale delle questioni: studia i prodromi di Nicea, le poche fonti disponibili sul suo andamento, l’innovazione costituita dal Credo niceno.
L’evento, la ricezione e la comunicazione di Nicea sono sviscerati da alcuni docenti dell’area patristica della Facoltà, che hanno anche curato la parte scientifica del convegno: Chiara Curzel (Trento), Cristina Simonelli e Zeno Carra (Verona), Davide Fiocco (Belluno).
La chiesa di Aquileia, madre delle chiese del Nord Est, ebbe un ruolo importante nella vicenda: polmone tra Roma e l’Oriente, fu un territorio sul quale visioni di chiese diverse trovarono tensioni e scontri, ma fu anche ponte di dialogo nella catena di trasmissione della fede. Alcuni affondi su autori e territori di area aquileiese sono proposti da altri docenti della Facoltà: Giuseppe Laiti (Verona), Alessio Persic (Udine), Tatiana Radaelli (Treviso), Paolo Cordioli (Verona), Massimo Frigo (Vicenza), Maurizio Girolami (Padova).
Millesettecento anni fa venne posto come soggetto il “noi”, cioè la comunità diversificata per luoghi e culture ma accomunata dalla fede condivisa e, da quel momento in poi, da un condiviso modo di esprimerla e di trasmetterla. «Il cammino sinodale che stiamo compiendo oggi – scrivono nell’editoriale Curzel e Girolami – ci riconsegna l’importanza di ripartire da questo assunto fondamentale: la fede è un dono dato a una comunità di discepoli e questi insieme credono, insieme celebrano, insieme testimoniano la loro appartenenza a Cristo».
Per l’oggi della fede sono di grande attualità due temi derivanti da Nicea: quello del generare e quello dell’uso del linguaggio. «La cultura contemporanea sembra non riconoscere più il valore della generazione – proseguono i curatori –. Generare significa riconoscere che ogni generazione ha il suo posto nel piano dell’umanità e che ciascuna sa dare il proprio contributo nel dialogo con chi viene prima e pensando a chi viene dopo.
Il dialogo tra generazioni, al quale tante volte richiama papa Francesco, è una vocazione di umanità che attende da tutti attenzione e cura, perché anche così si prende coscienza dell’essere generati e della potenzialità di essere generatori di futuro». L’altro grande contributo di Nicea è la riflessione sul linguaggio, cioè il richiamo al necessario compito di cercare in ogni epoca e contesto le parole più proprie per esprimere la fede. «L’impegno a trovare parole per dire “Gesù è Signore” in questo nostro tempo è la sfida che ci raggiunge da Nicea» concludono i curatori.
Oltre al Focus, la rivista pubblica l’articolo di Antonio Ricupero Ministeri laicali e carismi in Luigi Sartori, proposto nell’anniversario del primo centenario della nascita del teologo padovano. Completa il fascicolo una ricca sezione di recensioni e segnalazioni bibliografiche.
Il focus del fascicolo 2/2024 è scaricabile gratuitamente dal sito della Facoltà teologica del Triveneto www.fttr.it al link https://www.fttr.it/wp-content/uploads/2024/07/Studia-Patavina-2-2024-FOCUS-NICEA.pdf. L’intero fascicolo 2/2024 può essere richiesto (al costo di € 17,00) a studiapatavina.abbonamenti@fttr.it ed è in vendita su Libreriadelsanto.it
Papa Francesco pensa ad un viaggio a Nicea

“Proprio nel 2025 ricorrerà anche il 1700° anniversario del Primo Concilio Ecumenico di Nicea. Auspico che la memoria di questo importantissimo evento possa far crescere in tutti i credenti in Cristo Signore la volontà di testimoniare insieme la fede e l’anelito a una maggiore comunione. In particolare, mi rallegro che il Patriarcato Ecumenico e il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani abbiano cominciato a riflettere su come commemorare insieme questo anniversario; e ringrazio Sua Santità Bartolomeo per avermi invitato a celebrarlo nei pressi del luogo dove il Concilio si riunì. E’ un viaggio che desidero fare, di cuore”.
Al termine dell’udienza con una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo, che ricorre domani, papa Francesco ha espresso il desiderio di recarsi a Nicea nel prossimo anno su invito del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, con un ringraziamento della presenza a Roma:
“La vostra venuta in questa ricorrenza, così come l’invio al Fanar di una mia delegazione in occasione della festa dell’Apostolo Andrea, fratello di Pietro, offrono l’opportunità di sperimentare la gioia dell’incontro fraterno e testimoniano i profondi legami che uniscono le Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli, con la ferma di decisione di procedere insieme verso il ristabilimento dell’unità alla quale soltanto lo Spirito Santo può guidarci, quella della comunione nella legittima diversità”.
Tale ‘riavvicinamento’ era iniziato con papa Paolo VI ed il patriarca Atenagora: “Dopo secoli di reciproco estraniamento, quell’incontro è stato un segno di grande speranza, che non cessa di ispirare i cuori e le menti di tanti uomini e donne che oggi bramano di giungere, con l’aiuto di Dio, al giorno in cui potremo partecipare insieme al banchetto eucaristico”.
Proseguito nel tempo con il patriarca Bartolomeo: “Dieci anni fa, nel maggio 2014, il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo ed io ci siamo recati pellegrini a Gerusalemme, per commemorare il 50° anniversario di quello storico evento. Proprio là, dove il nostro Signore Gesù Cristo è morto, risorto e asceso al cielo, e dove lo Spirito Santo è stato effuso per la prima volta sui discepoli, abbiamo ribadito il nostro impegno a continuare a camminare insieme verso l’unità per la quale Cristo Signore ha pregato il Padre, ‘perché tutti siano una sola cosa’ (Gv 17,21)”.
Quindi il papa ha incoraggiato i componenti della Commissione internazionale per studiare alcune questioni teologiche per aumentare il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa: “Auspico che i pastori e i teologi coinvolti in questo processo vadano oltre le dispute puramente accademiche e si dispongano in docile ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice alla vita della Chiesa, come pure che quanto è già stato oggetto di studio e di accordo trovi piena recezione nelle nostre comunità e luoghi di formazione. Sempre ci sarà resistenza a questo, dappertutto, ma dobbiamo andare avanti con coraggio”.
Ricordando l’incontro di 10 anni fa ha invocato la pace in Terra Santa ed in Ucraina: “A distanza di dieci anni, la storia attuale ci mostra in modo tragico la necessità e l’urgenza di pregare insieme per la pace, perché questa guerra finisca, i Capi delle Nazioni e le parti in conflitto possano ritrovare la via della concordia e tutti si riconoscano fratelli. Naturalmente, questa invocazione di pace si estende a tutti i conflitti in corso, in particolare alla guerra che si combatte nella martoriata Ucraina”.
Ed infine ha invitato gli ortodossi a vivere insieme il Giubileo del prossimo anno: “Vi sarò grato se voi e la Chiesa che rappresentate vorrete accompagnare e sostenere con la vostra preghiera questo anno di grazia, perché non manchino abbondanti frutti spirituali. Anche con la vostra presenza, sarà molto bello”.
Mentre ai i membri della Società del Verbo Divino, (Padri Verbiti), riuniti in capitolo sul tema ‘Risplenda la vostra luce davanti agli uomini’, il papa ha chiesto di essere fedeli discepoli: “Tutti i battezzati sono chiamati a essere discepoli missionari, e la fedeltà a questa vocazione è il nostro impegno, sempre con la grazia di Dio. Il discepolo fedele si vede dalla gioia del Vangelo che traspare dal suo volto, dal suo stile di vita, con cui trasmette agli altri l’Amore che lui per primo ha ricevuto e riceve ogni giorno. Sperimentare l’Amore trinitario e alimentare la fiamma dello Spirito è il valore centrale per crescere come discepoli e religiosi missionari”.
Ed anche missionari creativi: “Da dove viene la creatività vostra? Quella buona, sana, non quella apparente, che sempre è autoreferenziale e mondana. Invece, la missionarietà sana viene dalla Parola e dallo Spirito, cioè da Cristo vivo in voi, che vi rende partecipi della sua missione. E’ Lui che attira i cuori, non siamo noi! È lo Spirito il protagonista, e la nostra ‘arte’ è quella di lavorare con tutte le forze, spendendo tutti i nostri talenti, nella certezza che è sempre Lui che opera, è Lui che crea e il nostro agire è docilità, è strumento, è ‘canale’, riflesso, trasparenza”.
Da qui il mandato ad essere costruttori di pace: “Il mondo è ferito da conflitti, guerre, distruzioni, anche distruzione dell’ambiente, violenze contro la vita e la dignità umana, ideologie fondamentaliste e altre piaghe, tante. La pace è il grido della gente: ascoltiamo questo grido e diventiamo costruttori di pace!.. Portiamo a tutti la pace di Cristo, specialmente ai poveri, ai migranti (soffrono tanto!), alle donne discriminate, ai bambini, agli esclusi. Dio ha ascoltato il grido del popolo schiavo; non chiudiamo le orecchie al grido degli schiavi di oggi, e siamo creativi nel costruire la pace”.
Inoltre li ha invitati ad essere speranza per ogni cultura: “Voi dovete essere speranza per ogni cultura. Alla vigilia dell’anno giubilare, in un mondo ferito, le nostre comunità devono diventare segni di speranza. E questa è una profezia. Questo significa, prima ancora che dare speranza, essere speranza, esercitando il carattere che ci viene dal Battesimo, di essere speranza. Per voi, la consacrazione secondo il carisma originario viene a confermare e rafforzare il dono battesimale e diventa impegno di testimonianza, nei diversi contesti sociali e culturali in cui vi trovate”.
Infine un’esortazione ad essere missionari della sinodalità: “La Chiesa che ‘esce’ è aperta agli altri. E’ una comunità accogliente e avvolgente dove il Signore vive e lo Spirito è attivo. La Chiesa che esce è estroversa, invece una Chiesa settaria è introversa. Sempre aperti, con il cuore in mano! Oggi questa Chiesa deve crescere con un approccio sinodale, ascoltando tutti, dialogando con tutti e discernendo nello Spirito Santo quale sia la missione… Pertanto, vi incoraggio a promuovere la sinodalità in ogni aspetto della vostra vita: lasciate che ogni comunità cresca e goda di uno stile sinodale in cui tutti si sentano ascoltati e accolti. Infine, fate ciò che lo Spirito dice, ma è importante il processo in cui lo Spirito si muove in modo delicato, tra i popoli semplici e nei luoghi più lontani”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: Gesù è il cuore dell’ecumenismo

‘Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo’: citando la lettera ai Romani di san Paolo apostolo, papa Francesco ha incontrato la delegazione della federazione Luterana Mondiale con il nuovo presidente, il vescovo Henrik Stubkjær, e la segretaria generale, ormai da molti anni, la Reverenda Anne Burghardt, presente anche nel precedente incontro.
Durante l’incontro il papa ha ricordato il cammino intrapreso per celebrare insieme il Concilio di Nicea: “Già tre anni fa, quando un’altra delegazione della Federazione Luterana Mondiale è venuta a Roma, abbiamo riflettuto insieme sull’imminente anniversario del Primo Concilio di Nicea quale evento ecumenico. E l’anno scorso, in occasione dell’Assemblea generale della vostra Federazione a Cracovia, Lei, reverenda Burghardt, insieme al mio caro fratello il cardinale Koch, in una Dichiarazione comune ha sottolineato che ‘l’antico credo cristiano di Nicea, di cui celebreremo il 1700° anniversario nel 2025, crea un legame ecumenico che ha il suo centro in Cristo’. In tale contesto, Lei ha giustamente ricordato un bellissimo segno di speranza, che ha un posto speciale nella storia della riconciliazione tra cattolici e luterani”.
Ha ribadito, ancora una volta, che senza Cristo non può esistere l’ecumenismo, come ricordato dalla ‘Dichiarazione di Augusta’ avvenuta nel 1999: “Gesù Cristo è il cuore dell’ecumenismo. Egli è la misericordia divina incarnata, e la nostra missione ecumenica è quella di testimoniarlo. Nella ‘Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione’, luterani e cattolici hanno formulato come obiettivo comune quello di ‘confessare in ogni cosa Cristo, il solo nel quale riporre ogni fiducia, poiché egli è l’unico mediatore attraverso il quale Dio nello Spirito Santo fa dono di sé ed effonde i suoi doni che tutto rinnovano’.
Care sorelle e cari fratelli, sono passati 25 anni dalla firma di quella Dichiarazione ufficiale comune. Ciò che è accaduto il 31 ottobre 1999 ad Augusta è un altro segno di speranza nella nostra storia di riconciliazione. Conserviamolo nella memoria come qualcosa di sempre vivo. Che il 25° anniversario sia celebrato nelle nostre comunità come una festa della speranza”.
Ed ha concluso l’incontro con una riflessione sull’ecumenismo, che nasce dal Concilio di Nicea: “Ricordiamo che la nostra comune origine spirituale è ‘un solo battesimo per il perdono dei peccati’ (Credo di Nicea-Costantinopoli) e proseguiamo con fiducia come ‘pellegrini della speranza’. Che il Dio della speranza sia con noi e continui ad accompagnare con la sua benedizione il nostro dialogo della verità e della carità.
In questo cammino dell’ecumenismo mi viene in mente una bella cosa del caro Vescovo Zizioulas. Questo Vescovo ortodosso, pioniere dell’ecumenismo, diceva che lui conosceva la data dell’unione dei cristiani: il giorno del giudizio finale! Ma nel frattempo, diceva, dobbiamo camminare insieme: camminare insieme, pregare insieme e fare la carità insieme, in cammino verso quel giorno ‘iperecumenico’ che sarà il giudizio finale. Così diceva lui. Zizioulas aveva un bel senso dell’umorismo!”
Di seguito il papa ha ricevuto i partecipanti al secondo convegno della Specola Vaticana in memoria dello scienziato George Lemaître sul tema ‘Buchi neri, onde gravitazionali e singolarità dello spazio-tempo’, affermando che la Chiesa presta molta attenzione alla ricerca scientifica: “La Chiesa è attenta a tali ricerche e le promuove, perché esse scuotono la sensibilità e l’intelligenza degli uomini e delle donne del nostro tempo. L’inizio dell’universo, la sua evoluzione ultima, la struttura profonda dello spazio e del tempo pongono gli esseri umani di fronte a una ricerca affannosa di senso, in uno scenario vastissimo dove essi rischiano di perdersi…
E’ quindi chiaro come questi temi abbiano una particolare rilevanza per la teologia, la filosofia, la scienza e anche per la vita spirituale”.
Ed ha tracciato un breve ritratto del sacerdote e dello scienziato: “Il suo cammino umano e spirituale rappresenta un modello di vita da cui tutti noi possiamo imparare. Per assecondare la volontà paterna egli studiò ingegneria; fu arruolato nella prima guerra mondiale e ne conobbe gli orrori. Segue da adulto la sua vocazione sacerdotale e scientifica. Inizialmente è ‘concordista’, cioè crede che nella Sacra Scrittura siano depositate, in maniera velata, verità scientifiche.
Le sue esperienze umane e le conseguenti elaborazioni spirituali lo portano poi a comprendere che la scienza e la fede seguono due cammini diversi e paralleli, tra i quali non vi è conflitto. Anzi, tali cammini si possono armonizzare vicendevolmente, perché sia la scienza sia la fede, per un credente, hanno la stessa matrice nella Verità assoluta di Dio. Il suo cammino di fede lo conduce alla consapevolezza che creazione e big-bang sono due realtà distinte, e che il Dio in cui crede non può essere un oggetto facilmente categorizzabile dalla ragione umana, ma è il ‘Dio nascosto’, che rimane sempre in una dimensione di mistero, non totalmente comprensibile”.
(Foto: Santa Sede)