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Papa Francesco: la quaresima è un cammino verso la speranza

“Con il segno penitenziale delle ceneri sul capo, iniziamo il pellegrinaggio annuale della santa Quaresima, nella fede e nella speranza. La Chiesa, madre e maestra, ci invita a preparare i nostri cuori e ad aprirci alla grazia di Dio per poter celebrare con grande gioia il trionfo pasquale di Cristo, il Signore, sul peccato e sulla morte, come esclamava san Paolo: ‘La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?’ Infatti Gesù Cristo, morto e risorto, è il centro della nostra fede ed è il garante della nostra speranza nella grande promessa del Padre, già realizzata in Lui, il suo Figlio amato: la vita eterna”.
Con queste parole inizia il messaggio quaresimale di papa Francesco, intitolato ‘Camminiamo insieme nella speranza’, esortando i fedeli a confrontarsi concretamente con coloro che, nelle loro comunità, vivono in situazioni di vulnerabilità, fisica o spirituale, cioè a mettersi in cammino, che implica una conversione:
“E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione?
Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre. Questo è un buon ‘esame’ per il viandante”.
Quindi rispondere a tali domande è fondamentale per comprendere il significato di un cammino insieme: “Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi”.
Tale cammino implica una tensione verso l’unità: “Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio; significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza”.
Per questo il papa ha chiesto se nella vita si vive quotidianamente la sinodalità: “In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni… Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità”.
Infine è possibile intraprendere tale cammino se si è sorretti dalla speranza, riprendendo l’insegnamento di papa Benedetto XVI: “Lasperanza che non delude, messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale… Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto e vive e regna glorioso. La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!”
E’ un invito a credere che la speranza è ‘àncora’ dell’anima, proponendo per il periodo quaresimale la riflessione su alcune domande: “Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati?
Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?”
Da Trieste mons. Trevisi invita a curare la vita spirituale

“… si apre un anno ricco di prospettive. Qui ne tratteggio alcune, a partire dalla convinzione che il Signore ci accompagna. Che non siamo soli. Che guardiamo al futuro consapevoli di essere con lo Spirito Santo: e dunque di aprire cuore e intelligenza per cogliere una parola, anzi una Presenza che getta luce e speranza e che responsabilizza. Abbiamo bisogno di rielaborare quanto papa Francesco ci ha detto. Non possiamo archiviare il mandato ricevuto. Dobbiamo ripensare e rimeditare, anche con il supporto di quanto vissuto nella ‘Settimana sociale dei Cattolici in Italia’ che si è tenuta dal 3 al 7 luglio 2024. Siamo chiamati con la Chiesa universale a vivere il Giubileo del 2025: ‘Pellegrini di speranza’è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
E’ l’inizio della lettera pastorale (‘Io sono con te’) del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
Nella lettera il vescovo di Trieste ha evidenziato una realtà, quella che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore).
E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.
Partendo da questa evidenza gli abbiamo chiesto di raccontare la genesi di questa lettera: “La fede cristiana al suo centro ha Dio, come ci è rivelato in Gesù Cristo. Non una dottrina, non una serie di regole morali, ma Dio che ci viene incontro dentro una storia che ha il suo culmine nel Signore Gesù, il Figlio Unigenito che si fa carne umana e ci rivela il volto misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Nel mio motto episcopale (‘Admirantes Iesum’) ho invitato a guardare a Gesù con ammirazione, a tenere fisso lo sguardo su di Lui ma con meraviglia. La mia prima Lettera pastorale (da un versetto del Salmo 33) l’ho intitolata: ‘Guardate a Lui e sarete raggianti’. E già portava nella direzione di essere con lo sguardo su Dio, anzi su Gesù che ne è la Rivelazione compiuta. Da lì poi la declinazione dei vari cantieri sinodali, dei vari impegni di rinnovamento della nostra Chiesa.
Nella Lettera pastorale di quest’anno (‘Io son con te’) ho ancora riproposto di partire dalla presenza di Dio in ogni stagione della storia e della vita. ‘Io sono con te’ è un’espressione che (con le sue varianti) ritorna continuamente: inizio dalla trama di famiglia di Isacco e Giacobbe e colgo come questa promessa viene continuamente ripetuta. Ad Isacco: ‘Io sarò con te e ti benedirò’; ‘Non temere, perché io sono con te…’. A Giacobbe ‘Io sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai, non ti abbandonerò’.
E da qui sono partito a rintracciare che a Mosè, a Giosuè, a Gedeone, al popolo di Israele, a Geremia, fino ad arrivare a Maria e agli apostoli questa promessa viene ripetuta: talvolta al singolare, talvolta al plurale, talvolta al presente (sono con te/con voi) e talvolta al futuro (sarò con te/con voi)”.
E’ iniziato il Giubileo: come essere ‘pellegrini di speranza’ nella ferialità?
“Per me vivere la speranza significa camminare sapendo che Dio non ci abbandona ma ci protegge, è con me, con noi, ovunque ci accompagna. Dentro i vissuti concreti che ci contraddistinguono saper scorgere che Dio rimane con noi e ci consente di essere segno della sua misericordia: un anticipo rispetto alla pienezza che ci attende in Paradiso. E così in ogni nostro incontro, in ogni nostro giorno, noi possiamo restare stupiti che Dio passa anche attraverso la nostra piccolezza, il nostro essere ‘servi inutili’. E per mezzo dello Spirito saper dare la nostra adesione, come Maria, ad un Dio ricco di misericordia, ma che vede la nostra piccolezza, che però è preziosa, e dunque siamo chiamati ad amarlo nei nostri fratelli e sorelle, soprattutto nei più fragili”.
Perché non si deve temere di incontrare Gesù?
“Tutti noi conosciamo persone tristi, amareggiate, che hanno perso il gusto della vita. Io penso che con Gesù possiamo ritrovare la preziosità di quel che siamo. Noi siamo gli amati da Dio e la prova è che il suo Figlio per me si è dato totalmente, fino alla croce. E io posso (con l’aiuto dello Spirito Santo) dare l’occasione a Dio di mostrare la sua premura per ogni persona che incontro. La mia testimonianza è essere segno di Lui, della sua vicinanza a chiunque”.
In quale modo la preghiera può nutrire?
“Una ragazza diceva: ‘Mi avete insegnato a dire le preghiere ma non a pregare’. Penso questa sia una sfida urgente: vivere Gesù non come una dottrina o come una pagina di storia passata, ma come un tu con cui incontrarsi e vivere un’amicizia, una condivisione di speranze e progetti. Scrutare una pagina di Vangelo, fermarsi in silenzio ad adorare l’Eucaristia, ritornare come i due discepoli di Emmaus a raccontare che il cuore ardeva mentre quel viandante parlava (ed era Gesù). Tante le esperienze di preghiera che riaccendono entusiasmo e motivazioni per la vita concreta. Si tratta di una preghiera che non si riduce ad una formula, ma che è una relazione capace di illuminare la vita e le scelte da prendere”.
In quale modo è possibile nutrire una fede inquieta?
“Incontrando Gesù ed evitando che resti un personaggio da museo, ma un Qualcuno di vivo che mi porta a percorrere le strade delle mie responsabilità, anche passando attraverso il suo perdono. E farlo insieme, combinando momenti di solitudine e di silenzio con momenti comunitari (il nostro essere Chiesa) in cui usciamo da nostre autoreferenzialità e derive unicamente emotive”.
Quindi per quale motivo invita a prendersi cura della vita spirituale?
“Trovo strano che i genitori si preoccupino che i figli vadano a scuola o facciano sport (che alimentino la loro intelligenza e si prendano cura del loro corpo), ma che non si ingegnino ad aiutarli a prendersi cura della loro coscienza, del loro cuore e dunque della loro vita spirituale. L’aumento di giovani che hanno disturbi depressivi, alimentari, atti di autolesionismo… dovrebbe portarci a comprendere che oggi è indispensabile prendersi cura della propria vita spirituale: e lì si incontra il mistero di quello che siamo e speriamo, ma anche il mistero di un Dio che cerchiamo e che ci cerca”.
(Tratto da Aci Stampa)
A Camaiore i volontari vincenziani per essere pellegrini di speranza

Si svolgerà sabato 15 Febbraio nella Meeting Room dell’Hotel ‘Versilia Lido UNA Esperienze’ di Camaiore (LU), l’Assemblea regionale Toscana della Società di San Vincenzo De Paoli, dal titolo ‘Volontari Vincenziani: pellegrini di speranza?’ Il Giubileo 2025, con il suo motto ‘Pellegrini di speranza’, invita ogni uomo a sperimentare la speranza con autenticità. A mettersi in cammino mantenendo fisso lo sguardo sulla virtù teologale.
Soci e membri dei Consigli Centrali della Toscana si incontreranno per dialogare sulla forza della speranza che deve sempre accompagnare e sostenere i volontari della Società di San Vincenzo De Paoli, insieme all’amore per il servizio.
“Sull’esempio di San Vincenzo De’ Paoli, un pellegrino di speranza alla costante ricerca della volontà del Padre, il volontario è chiamato a mostrare la sua generosa dedizione ai più disprezzati con lo sguardo penetrante della fede, la forza invincibile dell’amore e l’orizzonte incoraggiante aperto dalla speranza”, esorta p. Francesco Gonella, assistente spirituale nazionale della Società di San Vincenzo De Paoli.
La sfida è quella di stimolare ogni volontario a non arrendersi. A essere dei rivoluzionari, rivoluzionari del bene. A mantenere vivo il carisma racchiuso nella frase latina ‘Serviens in spe – Al servizio, nella speranza’, riportata accanto al logo della Società San Vincenzo De Paoli: “La speranza racchiude quel senso di responsabilità che guida i volontari nel cammino di cura e aiuto verso le persone svantaggiate” dichiara la presidente della Federazione Nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Paola Da Ros.
L’evento è stato fortemente voluto da Giancarlo Salamone al termine del suo mandato di Coordinatore Regionale della Toscana. Salamone è tuttora Responsabile Nazionale del Settore Solidarietà e Gemellaggi nel Mondo: “Incontrarsi è un’opportunità per crescere, scambiarsi idee e buone pratiche. Così come a inizio mandato, ho voluto incontrare i confratelli e le consorelle della Toscana.
L’assemblea regionale sarà un evento per riflettere insieme sul volontariato, una preziosa risorsa al servizio del bene comune nel segno della gratuità”, dichiara e conclude Giancarlo Salamone: “Ogni volontario, con scelte di coraggio, lavora per la costruzione di un mondo migliore e risponde a continue sfide senza mai tralasciare la speranza”.
Interverranno Paola Da Ros, presidente della Federazione nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Padre Francesco Gonella, Assistente Spirituale Nazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, Monsignore Leonardo Della Nina, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Lucca, Anna Graziani, Assessore con Delega al Sociale del Comune di Camaiore. La giornata si concluderà con la celebrazione della messa.
La Società di San Vincenzo De Paoli, fondata a Parigi nel 1833 dal beato Antonio Federico Ozanam insieme ad un gruppo di giovani studenti, con più di undicimila e cinquecento volontari in Italia, distribuiti in 914 realtà locali, è accanto a chi vive in condizioni di disagio. Questo gli consente di seguire ogni anno 30mila famiglie. Con amicizia e vicinanza, in un cammino di crescita, i volontari combattono quotidianamente l’esclusione sociale.
Il teologo Brunetto Salvarani: il dialogo cristiano-ebraico, ‘un percorso difficile’

“In questi ultimi tempi, segnati dal tragico atto terroristico del 7 ottobre 2023, dalla guerra successiva e dall’escalation del conflitto in Medio Oriente, i rapporti tra cattolici ed ebrei, in Italia, sono stati difficili con momenti di sospetto, incomprensioni e pregiudizi. Ma il dialogo non si è interrotto. In Europa sono tornati deprecabili atti di antisemitismo e incaute prese di posizione, a volte anche violente. Proprio per questo il dialogo va rafforzato. Continuiamo a crederci”: così scrive la commissione episcopale per l’ecumenismo ed il dialogo nel messaggio ‘Pellegrini di Speranza’ in occasione della 36^ Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei in svolgimento oggi.
E nella prefazione al libro ‘Un percorso difficile anche per Dio. Sul futuro del dialogo cristiano-ebraico’, scritto dal teologo Brunetto Salvarani, docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna di Bologna, direttore della rivista ‘QOL’ e presidente dell’associazione italiana ‘Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam’, il presidente della Commissione Episcopale CEI per l’ecumenismo ed il dialogo, mons. Derio Olivero, vescovo della diocesi di Pinerolo, ha scritto:
“Consapevoli che il dialogo cristiano-ebraico sta attraversando una fase critica, è necessario conoscere quali siano state e siano le pietre d’inciampo più classiche, e anche quali siano le contestuali tracce di speranza, oltre che interrogarsi su come, con e dopo il 7 ottobre 2023, si sia aperta un’ulteriore crepa, che rimanda alla necessità di elaborare un paradigma inedito nel dialogo fra cristiani ed ebrei.
Tutto da pensare, tutto da costruire, e sul quale occorrerà esercitarsi a fondo da parte di chi intenda dedicarvisi. Noi non siamo ‘la sostituzione’ del popolo d’Israele, né il ‘vero Israele’. Siamo un ramo spuntato da un popolo che continua a esistere. Il dialogo con questo popolo concreto ci è essenziale per dire noi stessi. Gesù di Nazareth appartiene al popolo ebraico. Non possiamo comprenderlo negando tale appartenenza. Non possiamo comprenderci negando tale appartenenza”:
A Brunetto Salvarani abbiamo chiesto di spiegarci il titolo di questo libro: “Il titolo, volutamente paradossale, l’ho tratto da un testo che mi aveva donato Paolo De Benedetti, uno dei miei più cari maestri. Allude, evidentemente, alle difficoltà in cui opera chi si dedica al dialogo fra cristiani ed ebrei”.
Ed ha spiegato i passaggi della genesi del libro: “Come ogni libro, anche questo nasce da una passione, che viene da lontano. E’ lunga, ormai, la lista di maestri e maestre che hanno contribuito a maturare in me l’idea che il dialogo fra ebrei e cristiani risiede al cuore dell’identità delle Chiese e dei cristiani. Ora, è evidente che dal 7 ottobre scorso, data della mattanza di ebrei in Israele da parte di Hamas, i processi dialogici fra ebrei e cristiani si sono ulteriormente complicati, messi duramente alla prova, come mai finora, mostrando tutte le loro gracilità e vulnerabilità”.
Per quale motivo il dialogo tra ebrei e cristiani è difficile?
“A mio parere il dialogo cristiano-ebraico ha sofferto e soffre di una doppia, paralizzante asimmetria. La prima risiede nella constatazione che è esso necessario per il cristiano, ma non per l’ebreo. Ciò perché, mentre il cristianesimo senza rapporti con l’ebraismo manca di quelle radici e della linfa che gli consentono di vivere, l’ebraismo, in virtù del dono della Torah e dello speciale legame che lo stringe a Dio, non ha bisogno del cristianesimo per fondarsi e comprendersi. La seconda nasce dal fatto che tale dialogo dovrebbe derivare da un altro dialogo che lo precede, interno alle due fedi.
Il dialogo, infatti, non si dà tanto fra cattolici e rabbini, ma fra cristiani ed ebrei. Se così stanno le cose, è necessario un percorso ecumenico che metta a confronto, qui, le diverse confessioni cristiane, e là un dibattito fra ebraismo in terra d’Israele e diaspora, fra ebraismo laico e religioso. Senza tali presupposti, ogni forma di dialogo rischia di essere inconcludente, o di ridursi a dichiarazioni di principio sulla Shoah e sull’antisemitismo, fondate sulla retorica del mai più ma non finalizzate a costruire un cammino, anche solo in parte, comune e condiviso”.
Dopo il 7 ottobre quali difficoltà incontra questo dialogo?
“Con e dopo il 7 ottobre 2023, in effetti, si è aperta un’ulteriore crepa nel dialogo cristiano-ebraico, a partire dalla lettura che si è data a quella tremenda mattanza di ebrei da parte di Hamas, una crepa grave che rimanda alla necessità di elaborare un paradigma inedito nel dialogo. Tutto da pensare, tutto da costruire, e sul quale occorrerà esercitarsi a fondo da parte di chi intenda dedicarvisi.
In una manciata di ore è cambiato radicalmente lo scenario in cui si muove chi opera nel campo delle relazioni cristiano-ebraiche, tanto da richiedere un autentico salto di qualità rispetto al passato, a sei decenni dalla dichiarazione conciliare ‘Nostra aetate’: ma senza buttare via il grande lavoro fatto sinora”.
Perché è necessario il dialogo ebraico-cristiano?
“La necessità è fotografata appieno nel famoso incipit della Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane ‘Nostra aetate’ al n. 4: ‘Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo’. Siamo legati, dunque, a un livello molto profondo, e l’identità della Chiesa si intreccia inevitabilmente con quella di Israele (e anche questo dato, se vogliamo, è fra le ragioni delle difficoltà del dialogo)”.
Come è possibile rimuovere le ‘pietre d’inciampo’ per rivitalizzare il dialogo?
“Ci sarebbe bisogno di un impegno più costante e più approfondito, che favorisca la presa di coscienza della necessità del dialogo con Israele; di più studio, più informazione e più formazione… Conoscenza, stima e riconoscimento dell’altro: sono questi i presupposti del dialogo perché aprono alla collaborazione nella differenza. Cartina di tornasole della situazione attuale è quanto poco sia sentita, in genere, l’esperienza (benemerita) della Giornata del dialogo. Quanti, nella Chiesa italiana, sanno che esiste?”
Nel messaggio per questa Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei, ‘Pellegrini di speranza’, i vescovi italiani invitano a ‘ripartire dalla Scrittura’: è realizzabile?
“Mi auguro di sì! Certo, sono del tutto d’accordo! Ma anche qui, occorre un impegno maggiore e più capillare: dopo la fine dell’esilio della Parola di Dio, con la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione ‘Dei Verbum’, molto di quell’entusiasmo si è smorzato. Un esempio: quanti, nella Chiesa italiana, sanno che esiste una (pure benemerita) ‘Domenica della Parola di Dio’, giunta alla sua quinta edizione?”
In questo difficile percorso quanto è importante riscoprire il ‘sogno’ di p. Bruno Hussar?
“E’ molto importante! La presenza, oltre mezzo secolo dopo il suo sorgere, del ‘Villaggio della pace’ di ‘Neve Shalom- Wahat as Salam’ in Israele è il segnale che investire nell’educazione interculturale e interreligiosa, nell’educazione alla pace e alla gestione dei conflitti paga, e può rappresentare una scintilla di autentica profezia”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco invita a non perdere la speranza di ricominciare

“Molti di voi si trovano qui, a Roma, come ‘pellegrini di speranza’. Iniziamo questa mattina le udienze giubilari del sabato, che vogliono idealmente accogliere e abbracciare tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono a cercare un nuovo inizio. Il Giubileo, infatti, è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio. Col Giubileo si incomincia una nuova vita, una nuova tappa”: oggi papa Francesco ha iniziato le ‘Udienze giubilari’, che dureranno per tutto l’Anno Santo sul tema della speranza.
Per questo ha sottolineato che la speranza è una virtù teologale: “In questi sabati vorrei evidenziare, di volta in volta, qualche aspetto della speranza. E’ una virtù teologale. E in latino virtus vuol dire ‘forza’. La speranza è una forza che viene da Dio. La speranza non è un’abitudine o un tratto del carattere (che si ha o non si ha), ma una forza da chiedere. Per questo ci facciamo pellegrini: veniamo a chiedere un dono, per ricominciare nel cammino della vita”.
Il tema di questa sua catechesi è stato ‘Sperare è ricominciare – Giovanni Battista’, prendendo spunto dal Vangelo dell’apostolo Luca sul battesimo di Gesù: “Stiamo per celebrare la festa del Battesimo di Gesù e questo ci fa pensare a quel grande profeta di speranza che fu Giovanni Battista. Di lui Gesù disse qualcosa di meraviglioso: che è il più grande fra i nati di donna. Capiamo allora perché tanta gente accorreva da lui, col desiderio di un nuovo inizio, col desiderio di ricominciare. Ed il Giubileo ci aiuta in questo. Il Battista appariva davvero grande, appariva credibile nella sua personalità”.
La Porta Santa giubilare, quindi, è un’occasione per ricominciare: “Come noi oggi attraversiamo la Porta santa, così Giovanni proponeva di attraversare il fiume Giordano, entrando nella Terra Promessa come era avvenuto con Giosuè la prima volta, ricominciare, ricevere la terra da capo, come la prima volta. Sorelle e fratelli, questa è la parola: ricominciare. Mettiamoci questo in testa e diciamo tutti insieme: ‘ricominciare’… Ecco, non dimenticatevi di questo: ricominciare”.
Da qui l’invito di Gesù ad ascoltare la Parola di Dio: “Gesù però, subito dopo quel grande complimento, aggiunge qualcosa che ci fa pensare: ‘Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui’. La speranza, fratelli e sorelle, è tutta in questo salto di qualità. Non dipende da noi, ma dal Regno di Dio. Ecco la sorpresa: accogliere il Regno di Dio ci porta in un nuovo ordine di grandezza. Di questo il nostro mondo, tutti noi abbiamo bisogno!”
Gesù, di fronte alle domande della gente, mostra la strada delle Beatitudini: “Quando Gesù pronuncia quelle parole, il Battista è in carcere, pieno di interrogativi. Anche noi portiamo nel nostro pellegrinaggio tante domande, perché sono molti gli ‘Erode’ che ancora contrastano il Regno di Dio. Gesù, però, ci mostra la strada nuova, la strada delle Beatitudini, che sono la legge sorprendente del Vangelo”.
Da questo momento inizia la speranza, che consiste nell’originalità di Dio: “Da Giovanni Battista, allora, impariamo a ricrederci. La speranza per la nostra casa comune (questa nostra Terra tanto abusata e ferita) e la speranza per tutti gli esseri umani sta nella differenza di Dio. La sua grandezza è diversa. E noi ricominciamo da questa originalità di Dio, che è brillata in Gesù e che ora ci impegna a servire, ad amare fraternamente, a riconoscerci piccoli. E a vedere i più piccoli, ad ascoltarli e a essere la loro voce. Ecco il nuovo inizio, questo è il nostro giubileo”.
Al termine ha ricevuto ha ricevuto una delegazione della catena-cooperativa dei supermercati spagnoli ‘Virgen de las Angustias’ (Covirán) in occasione del 65° anniversario della sua fondazione: “Ho letto con interesse il lavoro che fate come azienda e come fondazione. Questo binomio mi sembra importante, poiché il primo aiuto che possiamo dare alla società è valorizzare il patrimonio di cui disponiamo, con un servizio professionale che risponda ai bisogni reali delle persone e consenta uno sviluppo sostenibile”.
Il tema è quello del lavoro: “La prima cosa è cooperare, lavorare insieme, unire le forze, formare un mosaico, dove tutti sono importanti, ma allo stesso tempo consapevoli che è nell’insieme dove si percepisce la bellezza dell’opera. In secondo luogo, la Vergine Maria, nostra Madre, motivo e modello di questo sforzo, ci affidiamo a Lei in questo tentativo con devozione, e insieme la imitiamo nello spirito che deve presiedere al nostro lavoro”.
E conclude con l’immagine che sta nella basilica della città: “Conoscete tutti bene l’immagine che presiede la Basilica della Carrera de la Virgen. Nostra Madre è davanti a Cristo sdraiata su una tavola, al posto della tradizionale rappresentazione della discesa dalla croce in cui Maria abbraccia suo Figlio. Quella tavola, dove giace Gesù, ci viene presentata come un compito, collocando sul banco del nostro stabilimento, nell’ufficio dell’ufficio, il dolore del mondo che Gesù ha portato al Calvario”.
(Foto: Santa Sede)
Giornata di dialogo tra cattolici ed ebrei: ripartire dalla Scrittura per essere pellegrini di speranza

A firma della Commissione episcopale ‘Ecumenismo e dialogo’ della CEI nei giorni scorsi è stato reso noto il messaggio per la 36^ Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei che si svolgerà il 17 gennaio del prossimo anno, dal titolo ‘Pellegrini di speranza’, che prende spunto da una frase di Etty Hillesum, scritta nel campo di concentramento:
“Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale.
Certo non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà”.
Secondo i vescovi la prospettiva di Hillesum è uno sguardo diverso sul mondo: “Una giovane donna ebrea, con tutta la vita davanti, non pensa innanzitutto alla sopravvivenza, ma al futuro della società. Lascia in secondo piano l’interesse personale, addirittura un proprio fondamentale diritto, per mettere al primo posto un bene collettivo. Sogna un ‘nuovo senso delle cose’ per un mondo impoverito.
Anzi sogna di contribuire a questo nuovo senso delle cose. In quel mondo dilaniato dalla violenza, ferito, carico di odio e di desiderio di vendetta, in quel mondo divenuto tremendamente povero, lei sogna di far germinare uno sguardo nuovo.
In questo modo suggerisce a tutte le religioni una strada su cui posizionarsi. Non si tratta di difendere la nostra sopravvivenza nella società occidentale, ma di lavorare per costruire un senso nuovo delle cose. La nostra missione è quella di far germogliare speranza e costruire comunità”.
Per questo il Giubileo è un tempo propizio: “Viviamo un tempo carico di minacce. Fatichiamo a guardare avanti con fiducia. Guerre, ingiustizie, crisi climatica, crisi della democrazia, crisi economica, aumento delle povertà… Per sperare abbiamo bisogno di tornare alla Parola di Dio…
Sicuramente il Giubileo sarà un tempo propizio per lasciar parlare la Scrittura, anche grazie all’ascolto della lettura dei fratelli e delle sorelle ebrei. Nella certezza che la speranza si genera innanzitutto stabilendo relazioni fraterne. Il Giubileo sarà un cammino di speranza se stimolerà vie di riconciliazione e perdono”.
Nel messaggio i vescovi hanno sottolineato che il dialogo tra ebrei e cristiani, dopo il ‘7 ottobre’ non ha subito interruzione, anche se sono aumentati episodi di antisemitismo, richiamando il pensiero del card. Martini: “Ma il dialogo non si è interrotto. In Europa sono tornati deprecabili atti di antisemitismo e incaute prese di posizione, a volte anche violente. Proprio per questo il dialogo va rafforzato. Continuiamo a crederci… E’ necessario che il dialogo non sia più una questione di nicchia.
Come Chiesa cattolica ci auguriamo che l’Anno Giubilare porti al rilancio e all’allargamento del dialogo. Non per ‘tirare avanti’, ma per approfondire… Su tale dialogo si gioca e si giocherà una partita tanto delicata quanto decisiva, anche per il futuro delle Chiese cristiane. Nell’anniversario del Concilio di Nicea come Chiese cristiane dobbiamo riscoprire che il rapporto con l’ebraismo e con le Scritture è fondamentale anche per il cammino ecumenico”.
Quindi è un invito a ripartire dalla Scrittura, come invita la Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’: “Il Giubileo è sempre un tempo di ‘ripartenza’, un tempo per fermarsi e ripartire guardando con speranza al futuro. Per fare questo è necessario fare teshuvah, cioè ritornare ad attingere alla sorgente.. Ci auguriamo che l’Anno Giubilare, alla luce dei tempi che stiamo vivendo, sia la rinnovata occasione per cristiani ed ebrei, di ritornare ai testi biblici letti insieme fraternamente secondo le proprie tradizioni”.
(Foto: CEI)
La bellezza dei Cammini Lauretani nel racconto della prof.ssa Francesca Coltrinari

Dalla fine del 1500 la principale via verso Loreto è stata la ‘Via Lauretana’, che, costruita come strada commerciale e postale, collegava Roma al porto di Ancona, e si impose come percorso privilegiato anche per i pellegrini che intendevano testimoniare la fede, unendo in un unico percorso i tre centri spirituali della cristianità: Roma, Loreto ed Assisi. Con la Via Francigena e la Via Romea, la Via Lauretana era il maggior itinerario di fede in Italia.
La Via Lauretana (https://camminilauretani.eu) non era l’unica via per raggiungere Loreto; da nord a sud, da est ed ovest, si intrecciava un fitto reticolo di connessioni, deviazioni e percorsi alternativi: i ‘Cammini Lauretani’. Itinerari di fede come la Via di Jesi, la Via Clementina, la Via Aprutina, la Via di Visso-Macereto, il percorso da Loreto ad Ancona, oltre alle connessioni con le vie del pellegrinaggio internazionale (Via Francigena, Via Romea), formavano con la Via Lauretana una grande rete di itinerari regionali ed interregionali, unendo sotto il segno di Maria le innumerevoli bellezze d’arte e storia, di fede e di paesaggio.
Alla prof.ssa Francesca Coltrinari, docente di storia dell’arte all’università di Macerata, chiediamo di raccontarci questi ‘cammini lauretani: “I Cammini Lauretani sono un itinerario turistico-culturale che intende far rivivere l’esperienza del pellegrinaggio fra Roma e Loreto. Propone di percorrere la ‘via lauretana’ che univa le due città passando per Assisi. Nel tratto marchigiano erano documentati due itinerari: uno più antico che passava per Camerino-Castelraimondo- Sanseverino-Treia e poi lungo l’attuale strada Regina conduceva a Recanati e Loreto e la via postale che da Colfiorito si dirigeva poi verso Tolentino, Macerata, Recanati e Loreto”.
Per quale motivi i Cammini lauretani attraggono i pellegrini?
“Per molti motivi; i principali sono l’attrazione della reliquia di Loreto (la casa di Nazareth dove avvenne l’Annunciazione), la bellezza artistica e paesaggistica del percorso. In linea generale il turismo religioso attrae a molti livelli, tra cui c’è chi lo fa naturalmente per un’esperienza spirituale, oppure prettamente culturale o di gusto culinario. Essendo una storica dell’arte la mia attenzione si focalizza sulla parte storica ed artistica del percorso, caratterizzato da tante presenze di immagine lauretane, oppure di altri santi come a Tolentino con la presenza di san Nicola”.
Allora quali sono le opere d’arte che si possono trovare nei cammini lauretani?
“Molte, perché anche nei centri minori lungo il percorso ci sono opere d’arte significative, mentre gli stessi centri urbani che si incontrano sono opere esse stesse. Volendo sintetizzare, per il tratto marchigiano, si possono indicare Tolentino, con la basilica di san Nicola che conserva il cappellone, un ambiente affrescato nel 1325 circa da pittori della scuola di Giotto, come Pietro da Rimini, con le storie della vita di san Nicola; Macerata, con il suo centro urbano racchiuso nelle mura cinquecentesche perfettamente conservate, la torre dell’orologio del XVI secolo, ripristinato nel 2018 con un carosello di magi e il Palazzo Buonaccorsi; Recanati, con le opere di Lorenzo Lotto e la stessa Loreto, arricchita da capolavori dei maggiori artisti italiani che avevano lavorato anche per i papi, fra il 1400 ed il 1700”.
Esiste un rapporto tra l’Abbadia di Fiastra e Loreto?
“La storia dell’Abbadia di Fiastra inizia nel XIII secolo ed è un’abbazia benedettina, i cui monaci hanno bonificato queste zone, che erano paludose, rendendole fertili ed ha conservato fino ad oggi il rapporto con la natura che è evidente per chi visita. Dal punto di vista artistico si può ammirare la chiesa medievale. Nel XVI secolo l’abbazia fu ‘amministrata’ dai Gesuiti, che stavano anche a Loreto. Quindi, essendo tappa fondamentale nella via lauretana, si è creato un collegamento tra i due luoghi”.
Tanto famoso, il Santuario di Loreto, che nel XVI secolo fu visitato anche dai giapponesi: per quale motivo?
“Perché Loreto era riconosciuta come il secondo luogo santo d’Italia, dopo Roma, ed anche per il motivo per cui i giapponesi erano stati evangelizzati dai gesuiti, che a Loreto si erano stabiliti fin dal 1554, considerandolo ‘il secondo occhio’ della Sede apostolica”.
In quale modo gli artisti erano ‘attratti’ dai cammini lauretani?
“Loreto offriva l’opportunità di lavorare per committenti importanti (papi, principi, alti prelati) e garantiva che le opere fossero poi viste da moltissime persone che venivano da ogni parte del mondo. Alcuni erano attratti anche dal santuario per cui ritenevano il loro contributo artistico anche un atto religioso. Fra questi il pittore veneziano Lorenzo Lotto (1480-1556) che scelse di farsi ‘oblato’, quindi offrendosi e dedicandosi completamente alla santa casa, a cui lasciò i suoi dipinti e in cui morì”.
Quindi è un percorso che può interessare tutti?
“Sicuramente, perché mettere valore per un turista vuol dire creare qualità per chi ci vive, che può diventare turista del proprio territorio”.
Infine, nel Rinascimento quale importanza ebbe la produzione artistica di Tolentino, prima grande città marchigiana per chi giunge da Roma?
“Tolentino ebbe importanti figure di livello internazionale nel campo della cultura e della politica; le principali sono l’umanista Francesco Filelfo, attivo nelle maggiori corti del 1400, come quella di Milano, ed il condottiero Niccolò Maurizi, che combatté per la Repubblica di Firenze e mandò a Tolentino il portale scolpito della basilica di san Nicola. Nell’arte, importante il santuario di san Nicola che conservava il corpo del primo santo dell’ordine agostiniano e quindi divenne un punto di riferimento per tutto questo ordine religioso”.
((Tratto da Aci Stampa)
Giubileo 2025: le istruzioni per l’uso

Nonostante manchino ancora diversi mesi all’apertura della Porta Santa, piovono nella capitale richieste di ogni genere alle strutture religiose e no-profit che si sono messe a disposizione per l’accoglienza dei pellegrini.
Per venire incontro alle esigenze di quanti arriveranno a Roma, l’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, che rappresenta questa particolare categoria ricettiva, ha pubblicato un Vademecum in 10 lingue con le “istruzioni per l’uso” per i pellegrini, in modo che prenotazioni, attività e permanenza siano le più agevoli possibile.
Oltre all’italiano e alle classiche lingue internazionali (inglese, francese, tedesco, spagnolo e, portoghese), sono state aggiunti i documenti anche in polacco, croato, ceco e filippino, così da coprire un più ampio spettro dei viaggiatori in arrivo.
Sui documenti, che verranno via via implementati con nuove informazioni, sono già accessibili le indicazioni per trovare un alloggio, noleggiare un’auto a tariffe convenzionate e, tramite il sito ufficiale del Giubileo, consultare il calendario degli eventi, richiedere la Carta del Pellegrino, prenotare la partecipazione agli eventi.
La consultazione delle informazioni è possibile sul portale ospitalitareligiosa.it nella sezione GIUBILEO, dove scegliere la lingua preferita e accedere poi a tutte le indicazioni.
L’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, tramite il suo presidente Fabio Rocchi, fa sapere che “le pre-condizioni di accesso all’anno giubilare sono essenziali per consentire ai pellegrini di programmare per tempo un momento così importante di riaffermazione della propria Fede, proponendo un supporto logistico in grado di creare le necessarie condizioni di serenità”.
Patriarca Moraglia: dalla misericordia nasce la salvezza

Domenica scorsa Venezia ha celebrato la festa del Santissimo Redentore a ricordo della fine dell’epidemia di peste del 1575-1577. Qualche giorno prima il patriarca Francesco Moraglia aveva inaugurato il ponte votivo, sottolineando le difficoltà naturali che in tale periodo ci sono, ma anche quelle causate dall’uomo, come le guerre:
Papa Francesco: verso il Giubileo come pellegrini di speranza

L’anno giubilare si sta avvicinando e, nella giornata in cui la Chiesa ha ricordato la festa della Madonna di Lourdes, papa Francesco ha inviato una lettera al presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella, nella quale ha tracciato le linee che caratterizzano il cammino giubilare, celebrato a 25 anni dal Grande Giubileo dell’anno 2000: