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‘Antiqua et Nova’: aprirsi all’Intelligenza Artificiale con l’Intelligenza Umana

Nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di san Tommaso d’Aquino (28 gennaio) il dicastero per la Dottrina della Fede ed il Dicastero per la Cultura e l’Educazione hanno pubblicato la nota ‘Antiqua et nova’ sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, ribadendo che l’intelligenza è un dono, che deve essere ‘coltivato’:

“Con antica e nuova sapienza siamo chiamati a considerare le odierne sfide e opportunità poste dal sapere scientifico e tecnologico, in particolare dal recente sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA). La tradizione cristiana ritiene il dono dell’intelligenza un aspetto essenziale della creazione degli esseri umani ‘ad immagine di Dio’. A partire da una visione integrale della persona e dalla valorizzazione della chiamata a ‘coltivare’ e ‘custodire’ la terra, la Chiesa sottolinea che tale dono dovrebbe trovare espressione attraverso un uso responsabile della razionalità e della capacità tecnica a servizio del mondo creato”.

La Chiesa, infatti, non condanna il progresso: “La Chiesa incoraggia i progressi nella scienza, nella tecnologia, nelle arti e in ogni altra impresa umana, vedendoli come parte della ‘collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile’… Le abilità e la creatività dell’essere umano provengono da Lui e, se usate rettamente, a Lui rendono gloria, in quanto riflesso della Sua saggezza e bontà. Pertanto, quando ci domandiamo cosa significa ‘essere umani’, non possiamo escludere anche la considerazione delle nostre capacità scientifiche e tecnologiche”.

Con questa nota la Chiesa vuole affrontare le ‘questioni’ antropologiche ed etiche che l’Intelligenza Artificiale pone: “Per esempio, a differenza di molte altre creazioni umane, l’IA può essere addestrata sui prodotti dell’ingegnosità umana e quindi generare nuovi ‘artefatti’ con un livello di velocità e abilità che spesso uguagliano o superano le capacità umane, come generare testi o immagini che risultano indistinguibili dalle composizioni umane, quindi suscitando preoccupazione per il suo possibile influsso sulla crescente crisi di verità nel dibattito pubblico.

Oltre a ciò, essendo una tale tecnologia progettata per imparare e adottare in autonomia alcune scelte, adeguandosi a nuove situazioni e fornendo soluzioni non previste dai suoi programmatori, ne derivano problemi sostanziali di responsabilità etica e di sicurezza, con ripercussioni più ampie su tutta la società. Questa nuova situazione induce l’umanità a interrogarsi circa la propria identità e il proprio ruolo nel mondo”.

La nota, innanzitutto, pone un chiarimento intorno all’Intelligenza Artificiale attraverso una breve digressione storica: “Il concetto di intelligenza nell’IA si è evoluto nel tempo, raccogliendo in sé una molteplicità di idee provenienti da varie discipline. Sebbene abbia radici che risalgono a secoli fa, un momento importante di questo sviluppo si è avuto nel 1956, quando l’informatico statunitense John McCarthy organizzò un convegno estivo presso l’Università di Dartmouth per affrontare il problema dell’ ‘Intelligenza Artificiale’, definito come ‘quello di rendere una macchina in grado di esibire comportamenti che sarebbero chiamati intelligenti se fosse un essere umano a produrli’. Il convegno lanciò un programma di ricerca volto a usare le macchine per riuscire ad eseguire compiti tipicamente associati all’intelletto umano e a un comportamento intelligente”.

Quindi molti ‘compiti’ sono stati affidati ad essa: “A causa di tali rapidi progressi, molti lavori un tempo gestiti esclusivamente dalle persone sono ora affidati all’IA. Tali sistemi possono affiancare o addirittura sostituire le possibilità umane in molti settori, in particolare in compiti specializzati come l’analisi dei dati, il riconoscimento delle immagini e le diagnosi mediche.

Sebbene ogni applicazione di IA ‘ristretta’ sia calibrata su un compito specifico, molti ricercatori sperano di giungere alla cosiddetta ‘intelligenza artificiale generale’ (Artificial General Intelligence, AGI), cioè ad un singolo sistema, il quale, operando in ogni ambito cognitivo, sarebbe in grado di svolgere qualsiasi lavoro alla portata della mente umana”.

E proprio intorno all’intelligenza è stato aperto un importante dibattito: “Alcuni sostengono che una tale IA potrebbe un giorno raggiungere lo stadio di ‘superintelligenza’, oltrepassando la capacità intellettuale umana, o contribuire alla ‘superlongevità’ grazie ai progressi delle biotecnologie. Altri temono che queste possibilità, per quanto ipotetiche, arrivino un giorno a mettere in ombra la stessa persona umana, mentre altri ancora accolgono con favore questa possibile trasformazione”.

La nota ribadisce che il pensiero è solo umano: “Le sue caratteristiche avanzate conferiscono all’IA sofisticate capacità di eseguire compiti, ma non quella di pensare. Una tale distinzione è di importanza decisiva, poiché il modo in cui si definisce l’ ‘intelligenza’ va inevitabilmente a delimitare la comprensione del rapporto che intercorre tra il pensiero umano e tale tecnologia. Per rendersi conto di ciò, occorre ricordare che la ricchezza della tradizione filosofica e della teologia cristiana offre una visione più profonda e comprensiva dell’intelligenza, la quale a sua volta è centrale nell’insegnamento della Chiesa sulla natura, dignità e vocazione della persona umana”.

In questo senso l’intelligenza umana è una facoltà della persona: “In questo contesto, l’intelligenza umana si mostra più chiaramente come una facoltà che è parte integrante del modo in cui tutta la persona si coinvolge nella realtà. Un autentico coinvolgimento richiede di abbracciare l’intera portata del proprio essere: spirituale, cognitivo, incarnato e relazionale”.

La nota specifica anche la visione cristiana come integrazione tra verità e vita: “Al cuore della visione cristiana dell’intelligenza vi è l’integrazione della verità nella vita morale e spirituale della persona, orientando il suo agire alla luce della bontà e della verità di Dio. Secondo il Suo disegno, l’intelligenza intesa in senso pieno include anche la possibilità di gustare ciò che è vero, buono e bello, per cui si può affermare, con le parole del poeta francese del XX secolo Paul Claudel, che ‘l’intelligenza è nulla senza il diletto’. Anche Dante Alighieri, quando raggiunge il cielo più alto nel Paradiso, può testimoniare che il culmine di questo piacere intellettuale si trova nella ‘Luce intellettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore’”.

E l’intelligenza umana non implica solo acquisizione di ‘dati’: “Una corretta concezione dell’intelligenza umana, quindi, non può essere ridotta alla semplice acquisizione di fatti o alla capacità di eseguire certi compiti specifici; invece, essa implica l’apertura della persona alle domande ultime della vita e rispecchia un orientamento verso il Vero e il Buono… Per i credenti, questa capacità comporta, in modo particolare, la possibilità di crescere nella conoscenza dei misteri di Dio attraverso l’approfondimento razionale delle verità rivelate (intellectus fidei)”.

Per questo esiste una responsabilità morale: “Questo principio è valido anche per le questioni riguardanti l’IA. In tale ambito, la dimensione etica assume primaria importanza poiché sono le persone a progettare i sistemi e a determinare per quali scopi essi vengano usati. Tra una macchina e un essere umano, solo quest’ultimo è veramente un agente morale, cioè un soggetto moralmente responsabile che esercita la sua libertà nelle proprie decisioni e ne accetta le conseguenze”.

E’ un invito ad usare l’Intelligenza Artificiale per il bene di ‘tutti’: “Nella misura in cui tali applicazioni ed il loro impatto sociale diventano più chiari, si dovrebbero cominciare a fornire adeguati riscontri a tutti i livelli della società, secondo il principio di sussidiarietà. E’ importante che i singoli utenti, le famiglie, la società civile, le imprese, le istituzioni, i governi e le organizzazioni internazionali, ciascuno al proprio livello di competenza, si impegnino affinché sia assicurato un uso dell’IA confacente al bene di tutti”.

Infine un appello particolare è rivolto ai credenti: “Nella prospettiva della sapienza, i credenti saranno in grado di operare come agenti responsabili capaci di usare questa tecnologia per promuovere una visione autentica della persona umana e della società, a partire da una comprensione del progresso tecnologico come parte del disegno di Dio per la creazione: un’attività che l’umanità è chiamata a ordinare verso il Mistero Pasquale di Gesù Cristo, nella costante ricerca del Vero e del Bene”.

Papa Francesco: una teologia aperta per tutti

“Sono contento di vedervi e di sapere che un numero così grande di docenti, ricercatori e decani, provenienti da ogni parte del mondo, si sono radunati per riflettere su come ereditare il grande patrimonio teologico delle generazioni passate e per immaginarne il futuro. Ringrazio il Dicastero per la Cultura e l’Educazione per questa iniziativa. E grazie di cuore a voi, care teologhe e cari teologi, per il lavoro che fate, spesso nascosto ma tanto necessario. Spero che il Congresso segni il primo passo di un fecondo cammino comune… Avanti, insieme!”

Con queste parole papa Francesco oggi ha salutato i partecipanti al Congresso Internazionale sul futuro della teologia a tema su ‘Eredità e immaginazione’ (promosso dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, che si svolge oggi e domani presso la Pontificia Università Lateranense), il quale ha parlato di luce:

“Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce. Infatti, grazie alla luce le cose emergono dall’oscurità, i volti rivelano i propri contorni, le forme e i colori del mondo finalmente appaiono. La luce è bella perché fa sì che le cose appaiano ma senza mettere in mostra sé stessa. Qualcuno di voi ha visto la luce? Ma vediamo ciò che fa la luce: fa apparire le cose”.

E la luce è grazia con l’invito a cercare la grazia di Cristo: “Adesso, qui, noi ammiriamo questa sala, vediamo i nostri volti, ma non scorgiamo la luce, perché essa è discreta, è gentile, umile e, perciò, rimane invisibile. E’gentile la luce. Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo.

Da questa osservazione deriva per voi una strada: cercare la grazia e restare nella grazia dell’amicizia con Cristo, luce vera venuta in questo mondo. Ogni teologia nasce dall’amicizia con Cristo e dall’amore per i suoi fratelli, le sue sorelle, il suo mondo; questo mondo, drammatico e magnifico insieme, pieno di dolore ma anche di commovente bellezza”.

Una serie di domanda per comprendere il ruolo della teologia nel mondo contemporaneo con un ‘rimando’ al Secondo libro dei Re: “E’ un cammino che siete chiamati a fare insieme, teologhe e teologi. Mi ricordo di quanto racconta il Secondo Libro dei Re. Durante il restauro del Tempio di Gerusalemme, viene ritrovato un testo; forse è la prima edizione del Deuteronomio, andata perduta.

Un sacerdote e alcuni studiosi lo leggono; anche il re lo studia; intuiscono qualcosa, ma non lo capiscono. Allora il re decide di consegnarlo a una donna, Culda, che immediatamente lo comprende e aiuta il gruppo di studiosi (tutti uomini) a intenderlo. Ci sono cose che solo le donne intuiscono e la teologia ha bisogno del loro contributo. Una teologia di soli uomini è una teologia a metà. Su questo c’è ancora parecchia strada da fare”.

Ecco il compito della teologia è fornire un nuovo modo di pensare: “La prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione. Infatti, la realtà è complessa, le sfide sono variegate, la storia è abitata dalla bellezza e allo stesso tempo ferita dal male, e quando non si riesce o non si vuole reggere il dramma di questa complessità, allora si tende facilmente a semplificare. Ma la semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.

Il desiderio del papa è quello di una teologia del fermento: “Si tratta di far ‘fermentare’ insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, secondo quanto dice anche l’apostolo Paolo: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?”

Ed ha ricordato due ‘grandi’ teologi: “Quest’anno celebriamo il 750° anniversario della morte di due grandi teologi: Tommaso d’Aquino e Bonaventura. Tommaso ricorda che non abbiamo un senso solo, ma sensi molteplici e differenti, affinché non ci sfugga la realtà (De Anima, lib. 2, lect. 25). E Bonaventura afferma che nella misura in cui si ‘crede, spera e ama Gesù Cristo’ si ‘riacquista l’udito e la vista […], l’odorato, […] il gusto e il tatto’ (Itinerarium mentis in Deum, IV, 3). Contribuendo a ripensare il pensiero, la teologia ritornerà a brillare come merita, nella Chiesa e nelle culture, aiutando tutti e ciascuno nella ricerca della verità”.

Infine l’invito a rendere una teologia ‘accessibile’ a tutti: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria…

! Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora. Preparatevi a questo. Immaginate cose nuove nei programmi di studio perché la teologia sia accessibile a tutti”.

(Foto: Santa Sede)

Un racconto personale del sacerdote Albino Luciani grazie a Don Pietro Paolo Carrer

La collana ‘Io sono polvere’ delle Edizioni Messaggero di Padova, dedicata ad Albino Luciani, si arricchisce di un nuovo libro:’Un cireneo per il vescovo Albino Luciani’, scritto dalla giornalista Romina Gobbo, che ha raccolto gli aneddoti di mons. Pietro Paolo Carrer, ‘cireneo’ del futuro papa con la prefazione del card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano e presidente della Fondazione Vaticana ‘Giovanni Paolo I’.

L’intervista esclusiva a don Carrer, che ha prestato servizio a mons. Albino Luciani dal 1961 al 1963, fissa con delicatezza e vivacità ricordi, memorie e pensieri, molti dei quali inediti, del giovane sacerdote segretario e autista dell’allora vescovo di Vittorio Veneto. ‘Cireneo’, appellativo dato da Luciani al suo fido compagno di viaggi e di viaggio, è un termine ricercato, in linea con la profonda erudizione del futuro papa, ma soprattutto è un termine evangelico, che rimanda a quel Simone di Cirene che aiuta Gesù a portare la croce.

Attraverso i due incontri con don Pietro Paolo Carrer, che ha percorso con il vescovo di Vittorio Veneto un pezzo di strada, l’autrice riesce a illuminare la figura di Luciani da un’angolazione originale, mettendo insieme un aneddoto dietro l’altro, come ha scritto l’autrice nell’introduzione:

“Della vita e delle opere di Albino Luciani sappiamo molto. Soprattutto da quando il 23 novembre 2003 iniziò l’inchiesta diocesana per la causa di canonizzazione del papa di origini agordine, le ricerche si sono intensificate, facendo emergere particolari inediti sulla sua vita e sul suo operato. Ma, quello che risultò poi essere fondamentale per la proclamazione delle virtù eroiche prima, e per la beatificazione poi, fu la presa di consapevolezza di quanto Luciani fosse amato dai cattolici di tutto il mondo.

L’uomo, il sacerdote, il vescovo, il patriarca, il papa, che aveva fatto dell’umiltà la cifra della sua vita, improvvisamente balzava agli onori della cronaca. Chissà se tutta questa popolarità gli avrebbe fatto piacere. E’ scaturita da questa domanda di don Pietro Paolo Carrer, che di Albino Luciani fu segretario, l’idea di tracciare un ritratto più intimo degli anni in cui fu vescovo di Vittorio Veneto. Mi resi conto che sarebbe stato possibile solo ascoltando il sacerdote che per due anni gli aveva prestato un servizio fedele, e anche affettuoso. La vicinanza con Luciani, la condivisione di spazi e impegni lo rendeva un osservatore privilegiato”.

Nella prefazione il card. Parolin ha sottolineato l’originalità del volume: “Da presidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, ho potuto rendermi conto del fatto che più si studiano i documenti di papa Luciani e più si comprende che l’importanza del pensiero del pontefice di origini agordine è inversamente proporzionale alla durata del suo pontificato. Ecco perché sono in molti (giornalisti e scrittori) ad averlo omaggiato con dei libri: alcuni dedicati alla sua vita, altri alla sua opera pastorale. Sono in numero minore quelli che contengono testimonianze di persone che lo hanno conosciuto e ne sono rimaste toccate. In questo sta l’originalità del libro della giornalista Romina Gobbo che, con la sua penna ormai consolidata, ama far emergere l’anima dei personaggi di cui scrive”.

Quindi dall’autrice ci facciamo spiegare il motivo per cui Albino Luciani chiese a don Carrer di essere il suo cireneo: “Albino Luciani, vescovo di Vittorio Veneto, chiese ad un sacerdote della diocesi, don Pietro Paolo Carrer, di essere il suo ‘cireneo’. Usò questa parola evangelica invece di ‘segretario’ perché stava chiedendo un impegno importante, di aiutarlo a portare la croce di un incarico, come quello di vescovo, che aveva accettato per obbedienza, ma che riteneva fin troppo impegnativo. Il 30 agosto 1978, qualche giorno dopo l’elezione al soglio pontificio, in un discorso ai cardinali elettori, disse: ‘Spero che i miei confratelli cardinali aiuteranno questo povero cristo, vicario di Cristo, a portare la croce con la loro collaborazione, di cui io sento tanto bisogno’. ‘Figuriamoci che cosa deve aver pensato quando è stato eletto papa’, dice don Carrer. Ed i vittoriesi, che avevano imparato a conoscere bene il loro vescovo, quando fu eletto al soglio pontificio, dissero: A furia di tirarsi indietro, è diventato papa”.

Quale è stata l’occasione per cui ha scritto questo libro?

“ Ho scritto questo libro, perché ho avuto il privilegio di incontrare don Pietro Paolo, per tutti don Paolino. Ed ho ritenuto che la sua preziosa testimonianza dovesse essere fatta conoscere. In questo libro-racconto di due anni di convivenza stretta, ci si accorge che protagonista e co-protagonista si assomigliano molto”. 

Quale figura di papa Luciani emerge dal racconto?

“Una figura sicuramente molto complessa. Fu un uomo umile, ma deciso, per niente incline alla carriera, ma con grandissime competenze e capacità. Quando assumeva un ruolo, si preparava per rispondere al meglio ai suoi doveri. Fu anche un uomo colto: leggeva libri e riviste, conosceva l’inglese, aveva una biblioteca vastissima. E scriveva per i giornali. Usava concetti chiari, diretti, per spiegare in modo semplice la dottrina ai fedeli. Così le omelie, così gli articoli. Il suo capolavoro resta ‘Illustrissimi’, dove dà voce a personaggi della storia. Ma era anche un uomo ironico. La sorella lo definiva un ‘burlone’. Don Paolino racconta di come Luciani facesse sorridere le suore raccontando barzellette e usando giochi di parola”.

Per quale motivo chiese ai cardinali elettori di aiutarlo a portare la Croce?

“Albino Luciani è passato alla storia con appellativi, quali il ‘Papa del sorriso’, ‘Il sorriso di Dio’, sicuramente vezzeggiativi dettati dall’affetto. Ed effettivamente nelle sue foto, il sorriso balza subito all’occhio. Non esiste una sua immagine senza quel sorriso. D’altra parte, quando si affacciò per la prima volta da papa dalla finestra che dà su piazza san Pietro, il suo sorriso parlò per lui, che invece non poté farlo per via del protocollo. Quel brevissimo mese di pontificato è stato chiamato ‘lo spazio di un sorriso’”.

Come arrivò Luciani a quell’Angelus, dove affermò ‘Dio è padre e madre’?

“Ce lo spiega don Paolino: ‘L’ambiente in cui visse Luciani era prevalentemente formato da donne, perché in quell’epoca gli uomini erano spesso emigrati all’estero per mantenere la famiglia. Quindi, il piccolo Albino aveva davanti a sé figure femminili importanti, in primis la madre, che lo formò alla fede. E fu sempre lei a convincere il marito a lasciare entrare il figlio in seminario’.

Non va poi dimenticato che quando nacque, Albino rischiò di morire per il cordone ombelicale attorcigliato attorno al collo; la levatrice che lo fece nascere in fretta, gli somministrò anche il battesimo. ‘C’è, poi, un altro elemento, ecco ancora le parole di don Paolino. In un’omelia, il parroco di Luciani ragazzo, don Filippo Carli, parlava dell’amore di Dio come fosse quello di una madre. Ed erano gli anni Venti. Io sono propenso a credere che Albino Luciani avesse raggiunto la sua consapevolezza di un Dio che è anche madre, grazie anche all’apertura mentale del suo parroco’”.

(Tratto da Aci Stampa)

Il difficile compito di crescere: siate comprensivi coi giovani!

Quante volte, guardando i giovani, risulta molto più spontaneo, immediato e semplice giudicarli che guidarli? Censurarli piuttosto che illuminarli? Imporre loro autoritarie, sterili e soffocanti proibizioni piuttosto che educarli?

I giovani vengono sempre sottoposti ad un’ingiusta e degradante narrazione profetica negativa e degenerativa; loro, i figli di un mondo superficiale, nonché vittime di una accelerata e nociva metamorfosi. Cari adulti, non è facile essere adolescenti e giovani. Non è facile, poiché neppure loro stessi si comprendono sino in fondo e perché crescere non è semplice. Ogni crescita ed evoluzione comporta e racchiude in sé una sorta di silente e dirompente dolore.

L’adolescenza in quanto tale implica necessariamente ed inevitabilmente una feconda sofferenza, racchiusa persino nella stessa etimologia del termine, il quale deriva da ‘adolescere’, ossia patire. Questa stagione della vita così delicata, affascinante e complessa nella quale concorrono significative metamorfosi fisiche, emotive, spirituali e psicologiche costituisce l’epoca di un disarmante ed improvviso straniamento, il quale scaturisce dalla mancata conoscenza di sé e dell’esperire sensazioni, emozioni e situazioni completamente nuove perciò destabilizzanti, in particolare per quanto riguarda la propria fisicità. 

È in questa fase, infatti, che si presentano in modo intenso e dirompente le prime forti pulsioni sessuali, come un fuoco che divampa e divora la carne fino ad ardere. È in essa, appunto, che si crede che tutto ciò che si sperimenta a livello affettivo o emotivo si possa chiamare amore: la necessità dell’altro, l’innamoramento e persino una dolorosa fitta di nostalgia. 

Essere giovani non è facile, poiché sono gli anni della speranza, della strenua ed indefessa lotta per raggiungere una libertà che non si conosce, non si comprende e della quale si ha paura. È anche l’epoca del respingere e rinnegare la propria fede ritenendo che essa confligga con la logica del pensiero. 

Non è facile provare sentimenti, emozioni e sensazioni ‘da adulto’ per le quali non si è preparati, come ad esempio: solidarietà e altruismo effimero, amore per la natura o le prime esperienze sentimentali. Questa è dunque l’età della prorompente forza fisica, ma anche della delicatissima e mutevole fragilità emotiva, del desiderio di cambiare il mondo cercando di preservare e di non ferire fatalmente l’apparentemente spavaldo ma realmente fragilissimo cuore.

Sono estranei soprattutto a se stessi e proprio per questo non hanno bisogno di efferati rimproveri, bensì di delicata ed attenta comprensione, non di un’impietosa censura, ma di sapiente ed illuminante guida, ed è lì che gli adulti possono e devono tendere la propria mano, al fine di rendere meno dolorosa e complessa la battaglia e la sfida del crescere.

Alla loro grazia e competenza educativa sono affidati i volti, le vite ed i destini delle nuove generazioni, le quali non hanno bisogno che riempiano loro le tasche o i portafogli di contraccettivi o banconote, la mente di severi ed aridi rimproveri, il cuore di altri insormontabili dubbi e tormentose insicurezze o l’ego di ferente e lacerante derisione.

Al contrario, hanno bisogno di genitori presenti e pazienti, i quali non abbiano scordato la stupenda ed ardua fase nella quale loro stessi hanno dovuto crescere, che sappiano quindi rispondere in modo opportuno ed adeguato ai loro quesiti, creando un clima di confidenza, libertà, serenità ed intimità, che sappiano rispettare i loro spazi e sapersi levare le scarpe per entrare nella primigenia e  segreta intimità della loro coscienza e del loro cuore, come colui che si toglie i calzari perché è in procinto di entrare in terra sacra ed al contempo, incarnare la ferma mitezza di un cuore che educa con amore, perché i giovani possano approdare ad un buon porto.

Hanno bisogno di amici della loro età per comprendere che non sono gli unici ad affrontare ed esperire tali complesse circostanze, ma anche di educatori e maestri spirituali, uomini e donne di Dio che mostrino loro che il Signore non viene a limitare o ad ostacolare, ma, al contrario, a conferire forma, senso e compimento al loro immenso orizzonte ed alla loro nostalgia di futuro.

Hanno bisogno di imparare ad essere pazienti e di sapere che tutto quel dolore passerà, di imparare a svolgere attività concernenti la loro età ed infine non devono mai dimenticare he non si è bambini per sempre, né adolescenti per sempre, né giovani per sempre e che non è certamente facile esserlo, ma tale stupendo e ripido itinerario costituisce la benedicente e profetica promessa di un nuovo principio.

Benedetto XVI in preghiera

Don Giovanni Antonazzi, amico di don Giuseppe De Luca e ben addentro alla curia romana, scrisse che il cardinale Paolo Giobbe (1880-1972) ebbe a dire: ‘Quando uno riconosce che a un certo momento deve dimettersi, vuol dire che ancora può stare al suo posto, perché, quando verrà il momento di dimettersi, non lo comprenderà più’. 

XXV Domenica Tempo Ordinario: i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri

Dio non ama l’uomo per i meriti acquisiti ma per quello che siamo: suoi figli.  La parabole che la Liturgia oggi ci presenta è molto significativa: Dio con essa non vuole darci una lezione di giustizia sociale o salariale, ma ha voluto mostrare l’agire divino verso gli uomini: un agire di vero Padre che ama i suoi figli. Protagonista della parabola è Dio stesso che non si lascia guidare dalla logica del profitto ma dalla logica dei bisogni dell’uomo.

Bolzano-Bressanone:i martiri risveglino la fede

Da quest’anno è cambiata la data di celebrazione della solennità dei patroni della diocesi di Bolzano-Bressanone, i martiri san Cassiano e san Vigilio, trasferita al 13 agosto,perché molti presbiteri e laici avevano fatto presente che la solennità, finora fissata il sabato della seconda settimana di Pasqua, non poteva più essere celebrata adeguatamente viste le mutate condizioni pastorali. Il vescovo Muser ha scelto il 13 agosto come nuova data per festeggiare i due patroni diocesani, in quanto la solennità di san Cassiano era fissata in questo giorno da tempo nell’allora diocesi di Bressanone.

Al Meeting di Rimini l’amicizia sociale

“I profeti non chiudono gli occhi per immaginare quello che non esiste. Nella confusione minacciosa e angosciante della storia, nelle onde brutali delle pandemie, che sono parte della vita stessa, ci aiutano a vedere e cercare oggi, quando ancora non c’è, il nostro futuro, perché ci sia e perché ci sarà. Dio è nella storia, non fuori. Il vero oppio sono le tante dipendenze distribuite largamente da un mondo che non sa ascoltare più la parola di Dio come parola di amore che cambia sia noi che la storia”: con la celebrazione eucaristica ieri a Rimini si è aperta la 44^ edizione del Meeting dell’Amicizia tra i popoli, intitolata ‘L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile’.

Rosmini e l’Italia: storia, cultura, religione

Si terranno dal 21 al 25 agosto 2023 al Palazzo dei Congressi di Stresa i ‘Simposi Rosminiani Straordinari’, organizzati dal Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa con il patrocinio e il sostegno di Regione Piemonte, Città di Stresa, Provincia del Verbano-Cusio-Ossola, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione Cariplo, Fondazione CRT, Rosmini International Campus e Rosmini Institute, Pastore Roberto (Financial Advisor) e Federici Attilio (Wealth Advisor).

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