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Papa Francesco invita a non perdere la speranza di ricominciare

“Molti di voi si trovano qui, a Roma, come ‘pellegrini di speranza’. Iniziamo questa mattina le udienze giubilari del sabato, che vogliono idealmente accogliere e abbracciare tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono a cercare un nuovo inizio. Il Giubileo, infatti, è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio. Col Giubileo si incomincia una nuova vita, una nuova tappa”: oggi papa Francesco ha iniziato le ‘Udienze giubilari’, che dureranno per tutto l’Anno Santo sul tema della speranza.
Per questo ha sottolineato che la speranza è una virtù teologale: “In questi sabati vorrei evidenziare, di volta in volta, qualche aspetto della speranza. E’ una virtù teologale. E in latino virtus vuol dire ‘forza’. La speranza è una forza che viene da Dio. La speranza non è un’abitudine o un tratto del carattere (che si ha o non si ha), ma una forza da chiedere. Per questo ci facciamo pellegrini: veniamo a chiedere un dono, per ricominciare nel cammino della vita”.
Il tema di questa sua catechesi è stato ‘Sperare è ricominciare – Giovanni Battista’, prendendo spunto dal Vangelo dell’apostolo Luca sul battesimo di Gesù: “Stiamo per celebrare la festa del Battesimo di Gesù e questo ci fa pensare a quel grande profeta di speranza che fu Giovanni Battista. Di lui Gesù disse qualcosa di meraviglioso: che è il più grande fra i nati di donna. Capiamo allora perché tanta gente accorreva da lui, col desiderio di un nuovo inizio, col desiderio di ricominciare. Ed il Giubileo ci aiuta in questo. Il Battista appariva davvero grande, appariva credibile nella sua personalità”.
La Porta Santa giubilare, quindi, è un’occasione per ricominciare: “Come noi oggi attraversiamo la Porta santa, così Giovanni proponeva di attraversare il fiume Giordano, entrando nella Terra Promessa come era avvenuto con Giosuè la prima volta, ricominciare, ricevere la terra da capo, come la prima volta. Sorelle e fratelli, questa è la parola: ricominciare. Mettiamoci questo in testa e diciamo tutti insieme: ‘ricominciare’… Ecco, non dimenticatevi di questo: ricominciare”.
Da qui l’invito di Gesù ad ascoltare la Parola di Dio: “Gesù però, subito dopo quel grande complimento, aggiunge qualcosa che ci fa pensare: ‘Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui’. La speranza, fratelli e sorelle, è tutta in questo salto di qualità. Non dipende da noi, ma dal Regno di Dio. Ecco la sorpresa: accogliere il Regno di Dio ci porta in un nuovo ordine di grandezza. Di questo il nostro mondo, tutti noi abbiamo bisogno!”
Gesù, di fronte alle domande della gente, mostra la strada delle Beatitudini: “Quando Gesù pronuncia quelle parole, il Battista è in carcere, pieno di interrogativi. Anche noi portiamo nel nostro pellegrinaggio tante domande, perché sono molti gli ‘Erode’ che ancora contrastano il Regno di Dio. Gesù, però, ci mostra la strada nuova, la strada delle Beatitudini, che sono la legge sorprendente del Vangelo”.
Da questo momento inizia la speranza, che consiste nell’originalità di Dio: “Da Giovanni Battista, allora, impariamo a ricrederci. La speranza per la nostra casa comune (questa nostra Terra tanto abusata e ferita) e la speranza per tutti gli esseri umani sta nella differenza di Dio. La sua grandezza è diversa. E noi ricominciamo da questa originalità di Dio, che è brillata in Gesù e che ora ci impegna a servire, ad amare fraternamente, a riconoscerci piccoli. E a vedere i più piccoli, ad ascoltarli e a essere la loro voce. Ecco il nuovo inizio, questo è il nostro giubileo”.
Al termine ha ricevuto ha ricevuto una delegazione della catena-cooperativa dei supermercati spagnoli ‘Virgen de las Angustias’ (Covirán) in occasione del 65° anniversario della sua fondazione: “Ho letto con interesse il lavoro che fate come azienda e come fondazione. Questo binomio mi sembra importante, poiché il primo aiuto che possiamo dare alla società è valorizzare il patrimonio di cui disponiamo, con un servizio professionale che risponda ai bisogni reali delle persone e consenta uno sviluppo sostenibile”.
Il tema è quello del lavoro: “La prima cosa è cooperare, lavorare insieme, unire le forze, formare un mosaico, dove tutti sono importanti, ma allo stesso tempo consapevoli che è nell’insieme dove si percepisce la bellezza dell’opera. In secondo luogo, la Vergine Maria, nostra Madre, motivo e modello di questo sforzo, ci affidiamo a Lei in questo tentativo con devozione, e insieme la imitiamo nello spirito che deve presiedere al nostro lavoro”.
E conclude con l’immagine che sta nella basilica della città: “Conoscete tutti bene l’immagine che presiede la Basilica della Carrera de la Virgen. Nostra Madre è davanti a Cristo sdraiata su una tavola, al posto della tradizionale rappresentazione della discesa dalla croce in cui Maria abbraccia suo Figlio. Quella tavola, dove giace Gesù, ci viene presentata come un compito, collocando sul banco del nostro stabilimento, nell’ufficio dell’ufficio, il dolore del mondo che Gesù ha portato al Calvario”.
(Foto: Santa Sede)
Aperte nel mondo le Porte sante per vivere un cammino di liberazione

Domenica scorsa sono state aperte nel mondo tutte le porte sante giubilari: nella diocesi di Napoli mons. Mimmo Battaglia ha aperto la porta santa al termine della processione aperta dalla Croce di Lampedusa, realizzata col legno delle barche dei migranti, indicando che essa è la porte del cuore di Dio: “Siamo qui, insieme, come comunità diocesana, perché si apre oggi una porta invisibile, la porta santa del cuore di Dio: una porta che invita, accoglie e abbraccia. In realtà è una porta sempre spalancata ma che spesso, distratti dall’ordinario, affaccendati dietro il tanto da fare, non vediamo. Guardarla insieme, incoraggiarci a vicenda nel varcare la sua soglia, è invece l’inizio di un cammino, di un respiro di grazia, di un tempo in cui le ferite possono divenire spiragli di luce, di un tempo che profuma di libertà, di guarigione, di perdono, di riscatto. Siamo qui perché questo Giubileo è l’eco di una promessa: nessuno è escluso dall’amore, nessuno è dimenticato dalla speranza”.
Ed ha sottolineato che il giubileo è un tempo di grazia: “E’ un tempo di grazia, un tempo di guarigione e di libertà, un tempo in cui il Signore, si piega sulle ferite del mondo, invitandoci a guardare oltre l’orizzonte delle nostre paure… Queste parole di Gesù, lette nella sinagoga di Nazaret, sono le parole di oggi, per questa Chiesa di Napoli, per i suoi vicoli, le sue piazze, i suoi cuori che cercano una luce nuova. Questo è il Giubileo della Speranza: il tempo in cui volgiamo lo sguardo ad un Dio vicino, che si fa medico e guaritore, che ci perdona, che si fa liberatore per ogni uomo e donna”.
Quindi il Giubileo è un invito alla speranza: “Il Giubileo è un invito a sperare. In un mondo spesso segnato dalla sfiducia, Dio ci chiama a guardare oltre, a credere che il futuro è nelle sue mani, che c’è ancora spazio per la speranza. E la speranza non confonde, la speranza non è un’illusione: è un cammino concreto, fatto di piccoli passi, di gesti semplici che costruiscono il Regno di Dio.
Ed allora, con i calzari necessari al cammino, con il camice del servizio e la cuffia del discernimento, entriamo in questo Giubileo con coraggio. Lasciamo che il Signore ci liberi, ci perdoni, ci guarisca, ci renda uomini e donne capaci di speranza. Che questo tempo santo ci trasformi e renda la nostra Chiesa e la nostra città un segno di risurrezione per il mondo”.
Da Palermo mons. Corrado Lorefice ha evidenziato che il giubileo serve a ‘riattivare’ la fede: “Un Anno Giubilare serve a questo: a riattivare in noi la fede, il dono che già Dio ci ha fatto: essere suoi figli, destinatari del suo amore. Essere figli di Dio e vivere da fratelli e sorelle in Dio. Rinsaldare la fede, avere «fiducia in Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato”.
E’ stato un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’, guidati dai Santi: “Sulle orme di Gesù, come Gesù. Sul solco dei martiri che, come ci ricorda il papa, ‘saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore. Essi sono presenti in tutte le epoche e sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine. Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza’.
Nel solco dei nostri martiri e dei nostri Santi: di Mamiliano e Giuseppe Puglisi, di Rosalia e di Benedetto il Moro (in questa Cattedrale noi custodiamo e veneriamo i loro corpi) e di tutti i creativi testimoni della carità di ieri e di oggi, fino a fratel Biagio Conte e a don Maurizio Francoforte che abbiamo appena riconsegnato all’abbraccio del Padre”.
Dalla diocesi di Trieste mons. Enrico Trevisi ha raccontato le difficoltà affrontate dalla famiglia di Nazareth: “Guardo a Maria e Giuseppe nella stalla di Betlemme e penso ai tanti genitori umiliati dalla vita per non aver saputo dare ai propri figli ciò che desideravano, ciò per cui tanto si erano impegnati, ciò che corrisponde al volere di Dio.
Guardo a Maria e Giuseppe mentre devono scappare profughi in Egitto o mentre a Gerusalemme cercano Gesù che si è trattenuto nel tempio e faticano a comprendere il mistero di quel Figlio. Oggi l’umiliazione di tanti genitori si ripete per i motivi più diversi. A volte il lavoro precario e poco retribuito; altre volte i limiti che la vita impone con malattie e fragilità, sia dei genitori come dei figli. Se poi è una famiglia numerosa i rischi di povertà aumentano”.
Nonostante tutto la santa famiglia non è mai stata ‘vagabonda’: “Con Maria, con Giuseppe e con Gesù noi siamo pellegrini di speranza. Ovunque, anche dentro le fatiche delle varie stagioni della vita: noi siamo in cammino, ma con la presenza rassicurante del Signore, che mai ci abbandona. In quest’Anno Santo invito ciascuno ad aprire il cuore al Signore, a coltivare il proprio personale rapporto con il Signore. Anche a te ripete: ‘Io sono la via, la verità e la vita’.
Tu hai il potere di aprigli il tuo cuore. Auguro a ciascuno un anno di ininterrotto pellegrinaggio interiore, in cui sempre ci rimettiamo dietro al Signore, con lo sguardo fisso su di Lui, Admirantes Jesum. E anche quando siamo stanchi impariamo a saperlo riconoscere al nostro fianco. E quando siamo caduti lui si fa cireneo e ci rialza”.
Quindi il giubileo è un pellegrinaggio impegnativo: “Il pellegrinaggio non ci esime, anzi ci sprona all’impegno per la giustizia, per una vita in comunione con il Signore ma che passa per la comunione con ammalati, disabili, vicini di casa, familiari, colleghi, poveri, profughi, scartati…. Moltiplichiamo i segni concreti che siamo nel cammino del Signore e non vagabondi pericolosi e inaffidabili”.
Anche a Nazareth il card. Pierbattista Pizzaballa ha aperto la porta santa con un invito a non perdere la speranza: “E’ molto difficile, infatti, parlare di speranza, credere che vi sia speranza, quando attorno a noi tutto parla di guerra, di violenza, di povertà e durezza di vita. Da troppo tempo ne facciamo esperienza qui in Terra Santa, soprattutto in questo ultimo anno.
Ma forse anche prima avevamo poca fiducia nel futuro, e avevamo poca voglia di metterci in gioco. La speranza, infatti è lo sprone e il fondamento di ogni iniziativa. Non iniziamo una nuova attività se non abbiamo fiducia di riuscire, se non accettiamo il rischio che ogni inizio comporta, se insomma non abbiamo speranza di fare qualcosa di bello e grande, di riuscire nell’impresa”.
Quindi la speranza si deve nutrire della fede: “La speranza, infatti, ha bisogno della fede. La fede in Dio, prima di tutto. Non si tratta di conoscere a memoria il Credo, ma di avere coscienza della presenza di Dio nella propria vita. La fede in Dio ci porta ad avere uno sguardo che va oltre se stessi, a credere nell’opera di Dio, che non è lontano o immutabile, ma che al contrario agisce nella vita del mondo e dell’uomo. Avere fede in Dio, significa non porre la propria fiducia solo nella propria azione e nelle proprie capacità, che spesso invece mostrano tutto il loro limite. Significa saper condividere e affidare a Dio la propria vita, la propria passione, nella consapevolezza che, in quell’amicizia divina, quella vita e quella passione diventeranno più luminose e complete”.
Il giubileo è necessario perché consente la liberazione: “Odio, rancore e paura ci tengono bloccati nelle relazioni, nella fiducia l’uno nell’altro. Siamo chiusi, imprigionati dentro le nostre paure, che non ci permettono di avere coraggio, di avere di uno sguardo di fiducia e quindi anche di speranza verso gli altri, verso il futuro. Verso Dio, come Colui che è capace di portare la vita anche dove tutto sembra morto e finito.
Abbiamo proprio bisogno di un giubileo, che Dio cancelli i nostri debiti, che ci tolga dalle spalle e dal nostro cuore il peso insopportabile dei nostri peccati, delle nostre paure, che riporti luce ai nostri occhi, per vedere il compiersi del Suo Regno, che non è di questo mondo, ma che dà senso al nostro stare nel mondo. In fondo è questo il senso dell’indulgenza, che durante questo anno potremo ottenere: ricevere da Dio il perdono, che ci riapra il cuore alla fiducia e alla speranza, che Lui dimentichi del tutto il nostro peccato, e ci consenta di riprendere il cammino verso il cielo con spirito nuovo, con cuore nuovo, e con lo slancio gioioso di chi ha ritrovato un tesoro perduto”.
Anche in Ucraina, altro fronte di guerra, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc), ha aperto le porte della Cattedrale Patriarcale della Resurrezione di Cristo a Kiev: “La nostra speranza è nel Signore Gesù, per questo ci rallegriamo oggi, andiamo avanti in questo Nuovo Anno, confidando nel nostro Signore Salvatore. Ti chiediamo, Gesù, che sei nato dalla Vergine Maria e riposi in pienezza nella tua Chiesa, apri le porte a tutte le benedizioni celesti in questo nuovo anno”.
Nel messaggio Sua Beatitudine ha affermato che la speranza può essere vista nei volti di chi ogni giorno muore: “Nella nostra storia moderna, la speranza cristiana si rivela in modo nuovo, talvolta addirittura eroico. Siamo testimoni della speranza cristiana quando vediamo i nostri eroi che ogni giorno vanno incontro alla morte in nome dell’amore per Dio e per la Patria: la speranza allora ha il volto di un soldato. Quando vediamo i nostri medici e paramedici che non si stancano di curare ogni giorno le ferite della nostra gente, pur sapendo che la guerra domani potrebbe causarne di nuove, la speranza qui ha il volto di un medico.
Quando vediamo operatori e soccorritori che ogni giorno smantellano macerie e lavorano per ripristinare le infrastrutture energetiche delle nostre città e villaggi, pur sapendo che domani, forse, un nuovo attacco missilistico distruggerà il loro lavoro, allora la speranza prende il loro volto. La speranza assume anche il volto della nostra gioventù, che in mezzo alla guerra sa amare, creare nuove famiglie e far nascere figli, pur consapevole di appartenere a una generazione che più probabilmente sarà presente ai funerali di loro coetanei che ai matrimoni.
La speranza cristiana è il segreto della stabilità e dell’invincibilità del nostro popolo, che in mezzo alla guerra sa difendere la libertà a costo della propria vita, sogna un futuro migliore e costruisce oggi un mondo migliore per i propri figli. E la fonte di questa speranza è Cristo risorto, che in questo regno della morte ci indica la fonte della vita eterna che pulsa dentro di noi”.
Mentre l’agenzia ‘Asia News’ ha riferito che a Shanghai la messa di apertura dell’Anno Santo è stata presieduta dal vescovo della città, mons. Shen Bin nella cattedrale di Xujiahui, che ha esortato tutti i sacerdoti e fedeli a mettere in pratica l’invito alla speranza: “Siamo pellegrini di Dio, ogni passo della nostra vita ci avvicina a Lui. Con il pellegrinaggio, ci convertiamo, rinnoviamo la nostra vita e approfondiamo la nostra relazione con Dio. Attraverso il pellegrinaggio, diventiamo strumenti dell’amore di Dio e, nella nostra ricerca di fede, speranza e salvezza, portiamo speranza a chi ci sta intorno”.
Anche nella capitale vietnamita Hanoi il Giubileo è stato aperto con una celebrazione eucaristica, presieduta dall’arcivescovo, mons. Joseph Vu Van Thien: “Ad Hanoi abbiamo designato sette grandi parrocchie come luoghi di pellegrinaggio per l’Anno Santo. Abbiamo anche un programma di catechesi per l’Anno Santo. In concreto, stiamo ponendo l’accento sulla riconciliazione e sulla carità: le attività caritative sono una condizione necessaria per contribuire all’evangelizzazione della società vietnamita. Ci auguriamo che l’Anno Santo sia fruttuoso per la comunità cattolica in Vietnam. Ci saranno certamente grandi eventi a livello nazionale e alcuni vietnamiti stanno preparando anche pellegrinaggi fuori dal Paese, a Roma. Sta diventando possibile per molti vietnamiti”.
A Tokyo il card. Tarcisio Isao Kikuchi ha presieduto la celebrazione di apertura del Giubileo nella cattedrale di Santa Maria: “La Chiesa apre con larghezza le sue porte, cercando di offrire pace ai pellegrini che continuano il loro cammino. Nel continuare il nostro cammino, siamo chiamati non solo a ringraziare per la presenza del Signore Gesù che cammina con noi, ma anche a condividere con gli altri la luce della speranza che Egli ci dona, una luce che brilla nell’oscurità”.
Nella Filippine il card. Pablo Virgilio David, vescovo di Kalookan e presidente della Conferenza episcopale, ha lanciato un appello per la liberazione almeno dei prigionieri: “Considererò un gesto meraviglioso da parte del governo se all’inizio dell’anno giubilare della speranza 2025, agli ultimi prigionieri politici che ancora languono in carcere dopo diversi decenni di attesa del processo, verrà concessa l’amnistia, l’indulto o la liberazione definitiva per motivi umanitari”.
Aperte le Porte Sante nelle diocesi: vivere il Giubileo da figli di Dio

Al termine della recita del l’Angelus papa Francesco ha preso lo spunto dal Vangelo odierno per raccontare le esperienze familiari, invitando al reciproco ascolto: “Oggi festeggiamo la Santa Famiglia di Nazaret. Il Vangelo racconta di quando Gesù dodicenne, al termine del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, fu smarrito da Maria e Giuseppe, che lo ritrovarono dopo nel Tempio a discutere con i dottori”.
Infatti è quotidiana vita familiare il confronto tra genitori e figli, che può essere superato attraverso il dialogo: “E’ una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo. Fermiamoci a guardare questa famiglia. Sapete perché la Famiglia di Nazaret è un modello? Perché è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice”.
E la Madre di Dio non ‘rimprovera’ Gesù, anche se mostra la propria preoccupazione: “E’ bello quando una madre non inizia con il rimprovero, ma con una domanda. Maria non accusa e non giudica, ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe ‘non compresero ciò che aveva detto loro’, a dimostrazione che nella famiglia è più importante ascoltare che capire. Ascoltare è dare importanza all’altro, riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente. I figli hanno bisogno di questo. Pensate bene, voi genitori, ascoltate i figli hanno bisogno!”
Per questo il papa ha ‘sollecitato’ il dialogo in famiglia allo stesso modo della Santa famiglia: “Parlare, ascoltarsi, questo è il dialogo che fa bene e che fa crescere! La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe è santa. Eppure abbiamo visto che anche i genitori di Gesù non sempre capivano. Possiamo riflettere su questo, e non meravigliamoci se qualche volta in famiglia ci succede di non capirci… Quello che oggi possiamo imparare dalla Santa Famiglia è l’ascolto reciproco”.
Ma oggi in tutte le diocesi del mondo sono state aperte le ‘porte sante’ giubilari; a Roma la Porta Santa di San Giovanni in Laterano è stata aperta dal vicario generale della diocesi, card. Baldassarre Reina: “Con grande gioia abbiamo vissuto il gesto dell’apertura della Porta Santa nella nostra Cattedrale; con esso abbiamo voluto rinnovare la professione di fede in Cristo, Porta della nostra salvezza, confermando il nostro impegno a essere per ogni fratello e sorella segno concreto di speranza, aprendo la porta del nostro cuore attraverso sentimenti di misericordia, bontà e giustizia”.
Nella domenica dedicata alla Santa Famiglia il vicario generale ha rivolto un invito ad essere una ‘comunità domestica specchio della comunione trinitaria’: “L’invito che si leva da questa celebrazione è quello di riconoscerci come famiglia di Dio, chiamata a crescere nell’unità e nella carità reciproca e di sostenere con la preghiera tutte le famiglie, in particolare quelle provate da difficoltà e sofferenze. Il gesto simbolico di alcune famiglie che hanno varcato la Porta Santa accanto ai concelebranti rappresenta un’eloquente testimonianza di questa missione, che avvertiamo particolarmente urgente nel nostro tempo”.
Ed ha sottolineato l’importanza di essere ‘figli di Dio’: “Essere figli di Dio è una realtà fondativa che ci introduce in una relazione viva e trasformante con il Padre. La fede si configura come un’esperienza profonda di relazione, che ci inserisce nella dinamica della figliolanza divina. Questa verità esige una continua riscoperta, un ritorno incessante alla sorgente dell’amore paterno di Dio, che illumina il senso autentico del nostro essere e del nostro agire. In questa luce, la parabola del Padre misericordioso si offre come uno specchio nel quale siamo invitati a riconoscerci”.
Questo è il significato di essere ‘pellegrini di speranza’: “Vogliamo diventare pellegrini di speranza, di questa speranza, di un amore che non si stanca, di una salvezza ritrovata, di una famiglia ricostituita. Da quelle braccia aperte impariamo a essere chiesa, a divenirne il sacramento, famiglia del Dio che libera la nostra libertà verso il bene. Non esitiamo a varcare la Porta che conduce al cuore di Dio, immagine viva delle sue braccia spalancate per accoglierci. Entriamo con fiducia, gustiamo e contempliamo quanto è buono il Signore; e una volta sperimentata la gioia di questa appartenenza filiale, diventiamo instancabili seminatori di speranza e costruttori di fraternità”.
Quindi la Porta Santa è un invito a vivere da ‘figli di Dio’, che accoglie tutti: “E’ un invito a rispondere alla grazia di Dio con un cuore aperto, lasciandoci riconciliare dal suo abbraccio che ci restituisce dignità e ci rende capaci di costruire relazioni di fraternità autentica…
Pensiamo ai malati, ai carcerati, a chi è segnato dal dolore, dalla solitudine, dalla povertà o dal fallimento; a chi si è lasciato cadere le braccia per sconforto o mancanza di senso; a chi ha smesso di cercare le braccia del Padre perché chiuso in se stesso o nella sicurezza delle cose del mondo. In questo mondo lacerato da guerre, discordie e disuguaglianze tendiamo le braccia a tutti; facciamo in modo che attraverso le nostre braccia spalancate arrivi un riflesso dell’amore di Dio”.
Anche a Milano mons. Mario Delpini ha aperto la porta santa, riprendendo un versetto del vangelo dell’apostolo Giovanni con l’invito ai fedeli di riflettere sulla promessa della luce che splende nelle tenebre: “Il Giubileo è l’anno di grazia per dire che le tenebre possono essere vinte, che i peccati possono essere perdonati”.
Con un chiaro riferimento ai tanti conflitti in corso nel mondo, mons. Delpini ha riflettuto sul valore della sapienza: “La sapienza visita la terra, cioè il Verbo di Dio si è fatto carne e ha offerto la sua gioia. La sapienza che giocava al cospetto dell’Altissimo è la rivelazione della gioia nel far risplendere la gloria di Dio che riempie la terra. Il Verbo di Dio rivela il senso di tutte le cose, perché tutto è stato fatto in lui e rivela che ogni libertà è destinata alla gloria, cioè all’amore che rende capaci di amare.
Perché non ti lasci convincere dalla promessa della gioia? L’anno del Giubileo può essere, infatti l’anno della gioia, nella contemplazione del mistero di Dio rivelato da Gesù, nello stupore per le grandi opere che il Signore ha compiuto, nel cantico che magnifica il Signore”.
Infine il Giubileo è un auspicio per la pace: “Professiamo di credere nella promessa della pace che realizza una nuova alleanza e perciò ci mettiamo incammino come pellegrini di speranza, per sanare i conflitti che ci vedono coinvolti, per un’opera di riconciliazione che offre e chiede perdono, che si propone percorsi di riparazione per rimediare al male compiuto e alle divisioni create dall’avidità, dalla prepotenza, dalla stupidità”.
A Torino il card. Roberto Repole ha sottolineato la vita familiare di Gesù: “Una bellissima occasione per continuare a scendere in profondità nel mistero del Natale. Gesù non è soltanto nato, ma ha avuto bisogno di un contesto familiare per ricevere tutto ciò che è necessario ricevere dalla consuetudine e dalla tradizione. Per ricevere quella grammatica della lingua, degli affetti, della religione che gli ha permesso di sbocciare e di vivere la sua missione. E noi ci specchiamo un po’ nella famiglia di Nazareth per cogliere come sia importante anche oggi nella crescita di qualunque fanciullo, di qualunque ragazzo, di qualunque giovane, che ci sia ancora un contesto familiare che consegna delle consuetudini e delle tradizioni, senza le quali non si può diventare adulti, autonomi, non si può sbocciare.
E per consegnare delle consuetudini e delle tradizioni, per consegnare una grammatica affinché i più giovani possano imparare a parlare in modo autonomo, ci va tutta la tenacia che occorre per vivere dei legami familiari. Un conto è innamorarsi, un altro conto è amare. Per amare e rimanere nell’amore ci va molta pazienza, ci va molta tenacia”.
Questo passo evangelico è un brano importante per vivere la speranza del giubileo: “Forse non c’era Vangelo migliore di questo per introdurci nell’Anno giubilare della speranza. La speranza non è né l’ottimismo né il pessimismo; non è né l’illusione e neppure la delusione. La speranza è ciò che scaturisce nella vita quando si abita e si sta con Cristo nelle cose del Padre.
Ed allora si percepisce che, comunque vadano le cose, sia che vadano secondo i nostri bisogni o i nostri desideri sia che vadano in maniera inversa rispetto ai nostri bisogni e ai nostri desideri, possiamo sperare. Possiamo sperare perché la nostra vita è saldamente ancorata con Cristo nelle cose del Padre, perché noi siamo con Cristo lì, collocati nelle cose del Padre, nel cuore del Padre. Ha ragione papa Francesco, indicendo questo Anno della speranza: ci ha invitati a coltivarla sapendo che niente e nessuno ci potrà mai separare dall’amore di Dio”.
(Foto: Diocesi di Roma)
Papa Francesco apre la porta santa nelle carceri: la speranza è un’àncora

“Ho voluto spalancare la Porta, oggi, qui. La prima l’ho aperta a San Pietro, la seconda è vostra. E’ un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere. Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude, mai! Pensate bene a questo. Anche io lo penso, perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai”.
Dopo la basilica di san Pietro, il papa ha compiuto il rito per il Giubileo nella chiesa del ‘Padre Nostro’ nel penitenziario romano di Rebibbia, accompagnato da mons. Ambarus, da detenuti e agenti, perché anche nel carcere può nascere la speranza: “A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma. Non perdere la speranza. E’ questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani … ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti”.
E’ stato un invito a spalancare le porte: “La corda in mano e, secondo, le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto la porta del cuore. Quando il cuore è chiuso diventa duro come una pietra; si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili (ognuno di noi ha la propria, più facile, più difficile, penso a voi) sempre il cuore aperto; il cuore, che è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa”.
E’ stato un augurio per vivere il giubileo anche nelle carceri: “Due cose vi dico. Primo: la corda in mano, con l’àncora della speranza. Secondo: spalancate le porte del cuore. Abbiamo spalancato questa, ma questo è un simbolo della porta del nostro cuore. Vi auguro un grande Giubileo. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me”.
Mentre al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha ricordato l’apertura della porta giubilare a Rebibbia: “Stamattina ho aperto una Porta Santa, dopo quella di san Pietro, nel carcere romano di Rebibbia. E’ stata come, per così dire, la cattedrale del dolore e della speranza”.
Ha anche ricordato ch giubileo consiste anche nella remissione del debito: “Una delle azioni che caratterizzano i Giubilei è la remissione dei debiti. Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Internationalis intitolata ‘Trasformare il debito in speranza’, per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo”.
Prima della conclusione il papa ha levato la sua voce contro il mercato delle armi: “La questione del debito è legata a quella della pace e del ‘mercato nero’ degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi! Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame, contro le malattie, contro il lavoro minorile. E preghiamo, per favore, per la pace nel mondo intero! La pace nella martoriata Ucraina, in Gaza, Israele, Myanmar, Nord Kivu e in tanti Paesi che sono in guerra”.
Mentre prima della recita dell’Angelus ha sottolineato la testimonianza di santo Stefano: “Oggi, subito dopo il Natale, la liturgia celebra Santo Stefano, il primo martire. Il racconto della sua lapidazione si trova negli Atti degli Apostoli e ce lo presenta mentre, morendo, prega per i suoi uccisori. E questo ci fa riflettere: infatti, anche se a prima vista Stefano sembra subire impotente una violenza, in realtà, da uomo veramente libero, continua ad amare anche i suoi uccisori e ad offrire la sua vita per loro, come Gesù; offre la vita perché si pentano e, perdonati, possano avere in dono la vita eterna”.
Santo Stefano è un testimone del perdono di Dio: “Stefano è testimone di quel Padre – il nostro Padre – che vuole il bene e solo il bene per ciascuno dei suoi figli, e sempre; il Padre che non esclude nessuno, il Padre che non si stanca mai di cercarli, e di riaccoglierli quando, dopo essersi allontanati, ritornano pentiti a Lui ed il Padre che non si stanca di perdonare. Ricordate questo: Dio perdona sempre e Dio perdona tutto”.
Infine ha ricordato i martiri cristiani: “Torniamo a Stefano. Purtroppo anche oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo. Anche per loro vale quello che abbiamo detto di Stefano. Non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un’ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo per il bene dei loro uccisori: per i loro uccisori … e pregano per loro. Ce ne ha lasciato un esempio bellissimo il Beato Christian de Chergé, che chiamava il suo uccisore amico dell’ultimo minuto”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco ha aperto la Porta santa: la speranza è per tutti

“Un angelo del Signore, avvolto di luce, illumina la notte e consegna ai pastori la buona notizia: ‘Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore’. Tra lo stupore dei poveri e il canto degli angeli, il cielo si apre sulla terra: Dio si è fatto uno di noi per farci diventare come Lui, è disceso in mezzo a noi per rialzarci e riportarci nell’abbraccio del Padre”.
In carrozzina questa sera papa Francesco ha aperto la Porta Santa, dando il via al Giubileo con l’impegno di portare speranza dove non c’è, come è stato annunciato dagli angeli: “Questa, sorelle e fratelli, è la nostra speranza. Dio è l’Emmanuele, è Dio-con-noi. L’infinitamente grande si è fatto piccolo; la luce divina è brillata fra le tenebre del mondo; la gloria del cielo si è affacciata sulla terra. E come? Nella piccolezza di un Bambino. E se Dio viene, anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre! La speranza non delude”.
La speranza consiste in Dio che si fa uomo: “Sorelle e fratelli, con l’apertura della Porta Santa abbiamo dato inizio a un nuovo Giubileo: ciascuno di noi può entrare nel mistero di questo annuncio di grazia. Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi. Ma non dimenticatevi, sorelle e fratelli, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre. Non dimenticatevi questo, che è un modo di capire la speranza nel Signore”.
Ma per ‘ricevere’ tale speranza occorre mettersi in cammino: “Per accogliere questo dono, siamo chiamati a metterci in cammino con lo stupore dei pastori di Betlemme. Il Vangelo dice che essi, ricevuto l’annuncio dell’angelo, ‘andarono, senza indugio’. Questa è l’indicazione per ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio. E ci sono tante desolazioni in questo tempo! Pensiamo alle guerre, ai bambini mitragliati, alle bombe sulle scuole e sugli ospedali. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia”.
Però la speranza cristiana non consiste in un lieto fine: “Senza indugio, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all’incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita. E questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme”.
Riprendendo un pensiero di sant’Agostino papa Francesco ha sollecitato all’indignazione: “Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede (direbbe sant’Agostino) di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.
In questo senso i pastori sono un esempio da seguire: “Impariamo dall’esempio dei pastori: la speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità (e tanti di noi, abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità); la speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; la speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità, e non solo, anche attraverso la nostra compassione”.
Il giubileo è una sollecitazione ad incontrare Gesù: “Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù”.
Quindi l’incontro con Gesù comporta l’impegno della speranza: “A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì”.
Riprendendo un’omelia natalizia del card. Martini papa Francesco ha chiesto di ‘stare’ in attesa contemplando il presepe: “Il Giubileo si apre perché a tutti sia donata la speranza, la speranza del Vangelo, la speranza dell’amore, la speranza del perdono… Sorella, fratello, in questa notte è per te che si apre la ‘porta santa’ del cuore di Dio. Gesù, Dio-con-noi, nasce per te, per me, per noi, per ogni uomo e ogni donna. E, sai?, con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude”.
(Foto: Santa Sede)
Presentati gli appuntamenti giubilari

“L’attesa per l’apertura della Porta Santa, il prossimo 24 dicembre, diventa ormai febbrile. E’ una scadenza che darà inizio a un Anno Santo che porterà a Roma milioni di pellegrini. La città si è preparata per offrire un volto ancora più bello di quanto Roma già lo sia e poco alla volta si vedranno scomparire i cantieri che in questi mesi hanno messo a dura prova la pazienza di tutti”: così ha esordito mons. Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, presentando gli eventi culturali, concerti e mostre, in programma a Roma prima dell’apertura ufficiale del Giubileo, il prossimo 24 dicembre, e del Padiglione della Santa Sede a Expo Osaka del prossimo anno.
Ed ha scadenzato gli appuntamenti per l’apertura della Porta Santa: “Alle ore 19.00 del 24 dicembre, papa Francesco presiederà la Santa Eucaristia in Piazza San Pietro e a seguire procederà con il rito per l’apertura della Porta Santa. Oltrepasserà per primo la soglia della Porta e inviterà a seguire il suo esempio a quanti giungeranno nel corso dell’Anno, per esprimere la gioia dell’incontro con ‘Cristo Gesù, nostra speranza’. L’annuncio dell’apertura della celebrazione sarà dato da un breve Concerto di campane a opera della Pontificia Fonderia di Campane Marinelli. Le campane sono il suono più caro al popolo e in questo caso diventano l’espressione dell’annuncio gioioso di un evento atteso da tempo e finalmente giunto”.
Mentre nella festa di santo Stefano, quindi il giorno dopo il Natale, papa Francesco si recherà a Rebibbia per aprirvi la Porta santa: “Papa Francesco per primo intende farsi “Pellegrino di speranza” e, in questo modo, come ha scritto nella Bolla, il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, sarà nel carcere romano di Rebibbia per aprire anche in quel luogo, simbolo di tutte le carceri sparse per il mondo, la Porta Santa, segno tangibile dell’annuncio di speranza… A partire da questo orizzonte, nelle scorse settimane, abbiamo firmato un’Intesa con il Ministro di Giustizia della Repubblica italiana, l’On. Carlo Nordio, e il Commissario Governativo, l’On. Roberto Gualtieri, per rendere effettive, durante l’Anno Giubilare, forme di reinserimento per diversi detenuti attraverso il loro impiego in attività di impegno sociale”.
Inoltre ha presentato altre iniziative culturali previste in queste settimane prima dell’apertura della Porta Santa: “L’avvicinarsi dell’apertura dell’Anno Giubilare ci spinge a presentare nuove iniziative che consentiranno di immettersi con maggior efficacia nel cammino dell’Anno Santo. Il primo evento sarà il concerto nella sede dell’Auditorium di via della Conciliazione, la prossima domenica 3 novembre, alle ore 18. Per l’occasione l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia eseguirà la Quinta Sinfonia del compositore russo Dimitri Shostakovich (1906-1975), diretta dal Maestro Jader Bignamini, attualmente direttore musicale della Detroit Symphony Orchestra. La Sinfonia, realizzata nel 1937, forse è poco conosciuta al grande pubblico, ma colpisce per la sua intensa drammaticità e apre a un orizzonte di speranza. Presenterà in modo più esteso questo evento il dottor Davide Mambriani.
Il 22 dicembre p.v., alle ore 18.00, presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, si potrà assistere al secondo evento musicale. A esibirsi sarà il Coro della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ che, sotto la guida del direttore, don Marcos Pavan, eseguirà diverse composizioni polifoniche di Palestrina (1525-1594; di cui il prossimo anno si celebreranno i 500 anni della nascita), Perosi e Bartolucci. Questo momento consentirà di vivere i giorni che precedono l’immediata apertura del Giubileo alla luce di una genuina contemplazione del mistero della fede”.
E dopo la musica anche l’arte: “Mi fa particolarmente piacere annunciare che oltre a questi due momenti musicali ci saranno altri tre eventi espositivi: il prossimo 27 novembre sarà aperta al pubblico, fino al 27 gennaio 2025, la mostra con la ‘White Crucifixion’ di Marc Chagall. Siamo riusciti a ottenere dal The Art Institute di Chicago l’opera così suggestiva e unica, che per la prima volta giunge in Italia, a Roma, e sarà ospitata nel nuovo Museo del Corso – Polo museale, nella sede di Palazzo Cipolla, con ingresso gratuito e libero, tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00. Sono particolarmente grato al Direttore James Rondeau per la sua piena disponibilità alla mia richiesta fatta nel giugno scorso e sono certo che troverà un grande riscontro di pubblico…
Il secondo evento vede l’esposizione di alcune rare icone di proprietà dei Musei Vaticani che saranno esposte nella magnifica sagrestia del Borromini nella Chiesa di sant’Agnese a Piazza Navona, dal 16 dicembre al 16 febbraio 2025. Perché un’esposizione di icone? Perché l’icona rappresenta non solo un dipinto. Essa diventa un’autentica scrittura dove leggere la storia della salvezza.
Il simbolismo dell’icona riflette la vita della Chiesa; una storia di tradizioni che di generazione in generazione ha saputo trasmettere non solo la fede, ma insieme ad essa la tecnica, i colori, le sembianze… e quanto serviva per rendere l’icona oggetto di preghiera, di culto e di venerazione. L’icona per questo diventa uno strumento di evangelizzazione universale, evocatrice di una santità che rimanda sempre al mistero centrale della fede. Era necessario che il Giubileo accogliesse anche questa esperienza che è il frutto di due anni di lavoro tra gli esperti.
Il terzo evento sarà la ormai tradizionale Mostra dei 100 Presepi in Vaticano. Nel suggestivo Colonnato del Bernini, sall’8 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025, troverà spazio l’VIII edizione dell’Esposizione internazionale che ogni anno si arricchisce di nuovi Presepi e sempre più numerosa partecipazione. Come si sa, ogni anno un Paese diverso, a seconda del momento storico, diventa partner di questa Mostra. Quest’anno, Anno del Giubileo, sarà Roma ad essere direttamente coinvolta perché per più di dodici mesi sarà al centro dell’attenzione del mondo”.
Infine ha sottolineato la partecipazione della Santa Sede all’Expò di Osaka, in Giappone nel prossimo anno: “Il tema del Padiglione della Santa Sede sarà: ‘La Bellezza porta Speranza’. rappresenta un messaggio universale che si intende condividere con tutti i visitatori. La bellezza è una forza che trasforma, è capace di toccare il cuore delle persone, di risvegliare il desiderio per un mondo migliore.
Abbiamo utilizzato intenzionalmente il verbo ‘porta’ che possiede in questo caso un duplice significato: da un lato, indica un movimento dinamico, perché trasmette l’accesso alla speranza; dall’altro, intende richiamare la Porta Santa del Giubileo, la ‘porta’ che si apre per accogliere chiunque cerchi la pace e la riconciliazione. Sappiamo che abbiamo giocato con un termine difficilmente traducibile in altre lingue; in ogni caso, almeno in italiano veicola il messaggio che si è voluto esprimere”.
Ed ad Osaka sarà esposta anche l’unica opera del Caravaggio presente nei Musei Vaticani: “E’ stato direttamente Papa Francesco a desiderare che l’opera rappresentativa dell’Expo fosse l’unica opera del Caravaggio conservata nei Musei Vaticani: La Deposizione del Caravaggio. Paradossalmente si intende veicolare un messaggio di speranza. Davanti al dramma della morte, sappiamo che esiste la fede nella risurrezione, vita vera e reale che viene donata ai credenti in Cristo”.
Mentre il dott. Davide Mambriani, curatore della rassegna culturale ‘Giubileo è cultura’, per i concerti e le mostre, ha illustrato con dovizia di particolari i concerti e le mostre del giubileo, soffermandosi particolarmente sull’opera artistica di Chagall: “Conservata all’Art Institute of Chicago negli States, la pittura del 1938 intitolata ‘Crocifissione Bianca’ rappresenta un punto di svolta fondamentale per Chagall: è infatti la prima di un’importante serie di composizioni che presentano l’immagine di Cristo come martire e richiamano drammaticamente l’attenzione sulla persecuzione e sulla sofferenza del popolo ebraico negli anni ’30”.
Il dipinto è l’emblema della sofferenza degli ebrei e di Gesù: “Vengono rappresentati conflitti violenti, come l’incendio delle sinagoghe. Al centro dell’immagine, Gesù è raffigurato, crocifisso e simbolicamente rappresentato come ebreo, ornato con uno scialle da preghiera. La Crocifissione Bianca rivela importanti influenze dell’arte italiana del XIV secolo e costituisce un elemento dal valore coloristico importantissimo. Questo dipinto ha legami tematici con la pittura religiosa del Rinascimento, in particolare con le opere di Michelangelo, ma porta anche riferimenti all’elezione della Croce di Rembrandt.
Nella ‘Crocifissione Bianca’, Gesù crocifisso è circondato da tre patriarchi biblici e una matriarca, vestiti con abiti tradizionali ebraici. Ai lati della croce, Chagall ha illustrato la devastazione dei pogrom: a sinistra, un villaggio è saccheggiato e bruciato, costringendo i rifugiati a fuggire in barca, mentre le tre figure barbute sotto di loro, una delle quali stringe la Torah, scappano a piedi. A destra, una sinagoga e l’arca della Torah sono in fiamme, mentre in basso una madre conforta il suo bambino”.
Ed ha concluso sottolineando che l’opera dell’artista russo è una delle più alte espressioni della pittura del secolo scorso: “Insieme a Guernica di Pablo Picasso, la Crocifissione bianca è una delle più eloquenti condanne della guerra e dell’odio del XX secolo ed il suo messaggio è ancora drammaticamente attuale. Il profondo significato spirituale dell’opera permette al visitatore di immergersi in un momento di straordinaria meditazione che renderanno la fruizione dell’opera un momento non solo di eccezionale valore artistico ma ancor più di introspezione e riflessione sul mistero della croce che è arbor vitae e portatore di speranza di redenzione, resurrezione dopo le atrocità e vittoria sulla morte”.
(Foto: Vatican Media)
Papa Francesco: l’autorità è servizio

“Penso con dolore ai fratelli e alle sorelle che soffrono per la guerra: pensiamo a tutte le popolazioni ferite o minacciate dai combattimenti, che Dio le liberi e le sostenga nella lotta per la pace. E rendo grazie a Dio per la liberazione dei due sacerdoti greco-cattolici. Possano tutti i prigionieri di questa guerra tornare presto a casa! Preghiamo insieme: tutti i prigionieri tornino a casa”: ancora una volta papa Francesco, al termine dell’Angelus per la festa dei santi Pietro e Paolo, ha rivolto un appello per la pace in Ucraina e la liberazione dei prigionieri, ribadendo che l’autorità è un servizio:
“Per questo vediamo spesso San Pietro raffigurato con due grandi chiavi in mano, come nella statua che si trova qui, in questa Piazza. Quelle chiavi rappresentano il ministero di autorità che Gesù gli ha affidato a servizio di tutta la Chiesa. Perché l’autorità è un servizio, e un’autorità che non è servizio è dittatura”.
Ed ha spiegato il valore dell’autorità: “Stiamo attenti, però, a intendere bene il senso di questo. Le chiavi di Pietro, infatti, sono le chiavi di un Regno, che Gesù non descrive come una cassaforte o una camera blindata, ma con altre immagini: un piccolo seme, una perla preziosa, un tesoro nascosto, una manciata di lievito, cioè come qualcosa di prezioso e di ricco, sì, ma al tempo stesso di piccolo e di non appariscente. Per raggiungerlo, perciò, non serve azionare meccanismi e serrature di sicurezza, ma coltivare virtù come la pazienza, l’attenzione, la costanza, l’umiltà, il servizio”.
La missione affidata da Gesù è quella di permettere l’entrata a tutti: “Dunque, la missione che Gesù affida a Pietro non è quella di sbarrare le porte di casa, permettendo l’accesso solo a pochi ospiti selezionati, ma di aiutare tutti a trovare la via per entrare, nella fedeltà al Vangelo di Gesù. Tutti, tutti, tutti possono entrare. E Pietro lo farà per tutta la vita, fedelmente, fino al martirio, dopo aver sperimentato per primo su di sé, non senza fatica e con tante cadute, la gioia e la libertà che nascono dall’incontro con il Signore. Lui per primo, per aprire la porta a Gesù, ha dovuto convertirsi, e capire che l’autorità è un servizio”.
Precedentemente nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, papa Francesco ha benedetto i palli, presi dalla confessione dell’apostolo Pietro e destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nell’anno, alla presenta di una delegazione del Patriarcato di Costantinopoli:
“E voglio dare, con fraterno affetto, il mio saluto alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico: grazie di essere venuti a manifestare il comune desiderio della piena comunione tra le nostre Chiese. Invio un sentito saluto cordiale al mio fratello, al mio caro fratello Bartolomeo”.
All’inizio dell’omelia papa Francesco ha invitato a guardare ai patroni di Roma: “Guardiamo ai due Apostoli Pietro e Paolo: il pescatore di Galilea che Gesù fece pescatore di uomini; il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla Grazia in evangelizzatore delle genti. Alla luce della Parola di Dio lasciamoci ispirare dalla loro storia, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita. Incontrando il Signore, essi hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e, davanti a loro, si sono aperte le porte di una nuova vita”.
Nell’omelia si è soffermato sul significato della Porta santa: “Guardiamo ai due Apostoli Pietro e Paolo: il pescatore di Galilea che Gesù fece pescatore di uomini; il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla Grazia in evangelizzatore delle genti. Alla luce della Parola di Dio lasciamoci ispirare dalla loro storia, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita. Incontrando il Signore, essi hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e, davanti a loro, si sono aperte le porte di una nuova vita”.
La Porta apre al Giubileo: “Il Giubileo, infatti, sarà un tempo di grazia nel quale apriremo la Porta Santa, perché tutti possano varcare la soglia di quel santuario vivente che è Gesù e, in Lui, vivere l’esperienza dell’amore di Dio che rinvigorisce la speranza e rinnova la gioia. Ed anche nella storia di Pietro e di Paolo ci sono delle porte che si aprono”.
Quindi la Porta apre alla Grazia: “Fratelli e sorelle, i due Apostoli Pietro e Paolo hanno fatto questa esperienza di grazia. Hanno toccato con mano l’opera di Dio, che ha aperto le porte del loro carcere interiore e anche delle prigioni reali dove sono stati rinchiusi a causa del Vangelo. E, inoltre, ha aperto davanti a loro le porte dell’evangelizzazione, perché sperimentassero la gioia dell’incontro con i fratelli e le sorelle delle comunità nascenti e potessero portare a tutti la speranza del Vangelo. Ed anche noi quest’anno ci prepariamo ad aprire la Porta Santa”.
(Foto: Santa Sede)