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In aumento la fame nel mondo

fame in Africa

Una persona su undici nel mondo, una persona su cinque in Africa: è il numero di quanti soffrono di insicurezza alimentare nel mondo, emergenza che eventi climatici estremi e guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in quattro anni. I progressi mondiali nella lotta alla fame stanno rallentando in modo preoccupante, allontanando sempre più l’obiettivo ‘Fame Zero’ entro il 2030, come ricorda l’Indice globale della Fame 2024 (Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide.

Nel 2023 sono state 733.000.000 persone hanno sofferto la fame; quasi 3.000.000.000 non hanno potuto permettersi una dieta sana a causa dell’aumento dei prezzi alimentari e della crisi del costo della vita. Secondo il GHI (Indice Globale della Fame) di quest’anno la fame risulta ancora allarmante o acuta in 42 Paesi. Quest’anno il punteggio GHI del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato. In 6 Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante i miglioramenti in alcuni di essi, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 36 un livello di fame grave.

Nello scorso anno si sono verificate 399 catastrofi naturali, più di 1 al giorno. Questi eventi hanno provocato 86.473 morti e colpito 93.100.000 persone, causando 202.700.000.000 di perdite economiche. Gli eventi meteorologici estremi, in particolare, nell’ultimo anno hanno peggiorato i livelli di fame in 18 Paesi, facendo precipitare in condizioni di insicurezza alimentare acuta oltre 72 milioni di persone, 15.000.000 in più rispetto al 2022.

A peggiorare la situazione alimentare mondiale anche le guerre e i conflitti armati, come dimostra il caso emblematico della Striscia di Gaza, che in meno di un anno ha visto il 96% della popolazione (2.015.000 persone) precipitare nell’insicurezza alimentare catastrofica o acuta.

Le operazioni militari hanno rapidamente devastato le infrastrutture agricole e di pesca del territorio e inferto un duro colpo anche all’allevamento in Terra Santa, secondo il racconto degli operatori del CESVI: “Quasi il 68% dei terreni agricoli di Gaza è stato danneggiato, riducendo drasticamente la produzione di cibo. Il 52,5% dei pozzi agricoli (1.188) e 44% delle serre sono stati gravemente compromessi, le attività agricole sono quasi totalmente interrotte e molte aree sono contaminate da ordigni inesplosi: si stima che ci potrebbero volerci fino 14 anni per eliminare tutte le minacce esplosive.

Le attività di pesca sono state gravemente compromesse a causa del blocco navale e degli attacchi alle imbarcazioni, riducendo notevolmente la disponibilità di pesce, una risorsa alimentare cruciale per Gaza. Gravissima anche la situazione degli allevamenti con il 95% del bestiame andato perduto. La distruzione di infrastrutture vitali come le riserve idriche e le strutture di trattamento dell’acqua ha ulteriormente aggravato la crisi: l’accesso limitato all’acqua potabile ha aumentato il rischio di malattie legate alla malnutrizione e alle condizioni igieniche carenti.

Inoltre nell’ultimo anno i conflitti armati hanno peggiorato i livelli di fame in ben 20 Paesi, trascinando quasi 135.000.000 persone nell’insicurezza alimentare acuta a causa della combinazione di scontri prolungati, blocchi economici e distruzione di terreni agricoli: “La situazione è poi particolarmente critica in Sudan, Paese che sta affrontando un’emergenza fame di dimensioni mai viste dai tempi della crisi del Darfur dei primi anni 2000: l’escalation del conflitto, la distruzione deliberata del sistema alimentare del Paese, la perturbazione dei meccanismi di adattamento della popolazione e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari hanno portato il Paese sull’orlo della carestia.

Attualmente sono oltre 20.300.000 le persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta, con un aumento di 8.600.000 in un solo anno. Qui CESVI sta intervenendo con l’obiettivo di fornire assistenza salvavita alle popolazioni vulnerabili colpite dal conflitto attivo garantendo sicurezza alimentare, nutrizione, acqua e servizi igienico-sanitari, oltre a fornire una programmazione integrata multisettoriale a lungo termine”.

Il devastante effetto dei conflitti sulla malnutrizione non risparmia l’Europa: anche l’Ucraina a causa della guerra nell’ultimo anno ha visto peggiorare il proprio punteggio GHI sulla malnutrizione.

Sant’Omobono ai cremonesi: un invito alla preghiera ed alla pace

“Carissimo Papa Francesco, ti scrivo insieme a tutta la Chiesa di Cremona, di cui da più di otto secoli sono il Patrono, ossia un suo figlio che in cielo continua ad amare tanto la sua gente. Mi chiamo Omobono Tucenghi, laico, sposo e padre, sarto e mercante di stoffe, sono vissuto nel XII secolo, e dicono che abbia illuminato questa terra con la mia fede, accesa da una preghiera incessante e testimoniata nella carità verso i poveri, oltre a spendermi per ricostruire la pace tra le fazioni che dividevano e insanguinavano la nostra comunità”.

Recuperando un altro tratto divenuto ormai tradizione per il solenne Pontificale per la festa del Santo patrono, nell’omelia il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha proposto ai fedeli una riflessione raccolta nella forma di una lettera scritta in prima persona dal Santo, ringraziando per quanto il suo magistero incontri i tratti della sua vita terrena, della vicenda storica e della spiritualità del patrono di Cremona, modello di una santità ‘in uscita’:

“Preghiera, poveri e pace: queste erano le passioni maturate giorno dopo giorno nel mio umile cuore di uomo concreto della piccola borghesia cremonese. Mi fa impressione che poi, nei secoli, sia cresciuta dietro di me una comunità che ha imparato ad ideare e attuare tante iniziative di solidarietà, forme di prossimità, che ancora oggi colpiscono e impegnano”.

Ed ha apprezzato il papa per l’impegno verso i poveri, meditando i brani biblici: “Tu, papa Francesco, anche se vieni da un altro continente, conosci l’operosa generosità della gente di Lombardia. E mi colpisce che tu oggi chieda a tutti di fare un passo in più, quello di ‘fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro… che hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio’…

Io imparai a vivere proprio così: meditavo la legge del Signore giorno e notte, alzandomi nel cuore della notte per lodarlo, pregavo incessantemente… arrivavo in chiesa molto tempo prima della celebrazione delle Ore, a meno che non fossi trattenuto dall’esigenza di riportare la pace in città o di procurare elemosine per i poveri. E a volte trovavo le porte della chiesa spalancate (anche se nessuno era ancora sceso ad aprirle): quella chiesa dalle porte aperte che anche a te piace tanto!”

Inoltre ha ‘elogiato’ il papa per aver ricordato che la povertà è anche spirituale: “Tu ci ricordi che i poveri non hanno bisogno solo di beni materiali essenziali, ma anche di attenzione spirituale, e aggiungi che “tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante, un cuore pronto a riconoscersi povero o bisognoso… perché il vero povero è l’umile, che non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio… il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l’umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta”.

Questo è un ritratto di un innamorato di Dio: “Senza saperlo, hai fatto il ritratto di un uomo innamorato di Dio, quale sentivo di essere: digiunavo, confessavo ogni settimana le mie colpe, preso da tanta preghiera in chiesa e fuori di chiesa, camminando, vegliando o dormendo! Durante la Messa mi prostravo a terra davanti alla Croce, e sempre durante l’Eucaristia quel 13 novembre spirai, al canto del Gloria, restando a terra in preghiera, come fossi ancora vivo”.

Una sollecitazione particolare è stata posta sul valore della preghiera: “Sono stato felice di vedere quest’anno, nel mese di ottobre, ogni martedì, tanti credenti della nostra città riuniti qui, in cattedrale, per un itinerario di preghiera ‘alla scuola di Maria’, come tu hai proposto loro in preparazione al prossimo Giubileo. E’ stato bello sentirli uniti, nell’adorazione e nella lode, nell’intercessione e nella supplica, cantando le parole e i sentimenti della fede in Cristo Signore. Ed il mio povero corpo era lì, sotto i loro piedi, nella cripta da dove cerco sempre di chiamarli alla mia stessa passione per la preghiera, per i poveri, per la pace”.

E la preghiera non deve essere disgiunta dalla responsabilità: “Guai a noi illuderci di avere ‘imparato a pregare’ solo in base all’emozione di qualche canto o alla cura delle nostre cerimonie! Ieri donne e uomini come me e tanti altri amici del Signore, e oggi come te papa Francesco, ci sentiamo spinti a uscire, ad andare (pregando incessantemente, nel cuore) incontro agli altri, agli emarginati e agli ultimi, alle tante storie di solitudine che si nascondono nelle case e nelle periferie, al disagio di piccoli e grandi che urla, disturba e invoca vero ascolto e concreti gesti di amore”.

Infine un pensiero per la pace: “Ma non basta chiederlo al cielo, tocca a tutti voi, farlo, subito, ovunque… per invertire la drammatica corsa all’odio, alle armi, alle guerre, che entra come un sottile veleno anche nelle vostre anime, vi fa dire parole come pietre, e compiere solo per paura scelte di cui dovrete amaramente pentirvi.

Tu, papa Francesco, indichi un metodo di vita diverso, costruttivo e rigenerante, semplice e praticabile da tutti: ’non dimentichiamo di custodire i piccoli particolari dell’amore: fermarsi, avvicinarsi, dare un po’ di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto’. I miei figli e fratelli della Chiesa di Cremona ti promettono di provarci ancora, ne sono sicuro. Ed io, che benigno proteggo Cremona da secoli, saprò ancora ispirare cristiani e cittadini così, attenti a rammendare le relazioni, a tessere l’armonia delle diversità, a pregare e lavorare per la giustizia e la pace”.

Giornata Nazionale della Colletta Alimentare: un impegno contro la povertà (anche) dei giovani

In vista di sabato 16 novembre, giorno in cui si svolgerà l’edizione 2024 dell’iniziativa, abbiamo intervistato il presidente del Banco Alimentare Giovanni Bruno per discutere del progetto DisPARI e di come si possono sostenere i giovani in difficoltà alimentare.

La povertà alimentare è un fenomeno complesso che non si limita alla sola carenza di cibo, ma riflette e amplifica profonde disuguaglianze sociali ed economiche, colpendo in particolare i più giovani. È infatti preoccupante notare come anche nelle economie avanzate il numero di persone in difficoltà alimentare continui a crescere, colpendo in particolare i minori che rappresentano uno dei gruppi più vulnerabili.

È in questo contesto che il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano e ActionAid Italia, con il sostegno di Fondazione Cariplo (Bando Inequalities Research 2023) e la collaborazione di Percorsi di secondo welfare, hanno avviato DisPARI, un ambizioso progetto di ricerca che intende analizzare i nessi tra povertà alimentare e disuguaglianze concentrandosi su una fascia d’età che finora è stata poco studiata: gli adolescenti.

Dopo il primo incontro del Comitato degli Stakeholder di DisPARI, e in vista della 28ª Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, è stato intervistato Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus e membro del Comitato di DisPARI:

Crediamo infatti che la Colletta Alimentare – che quest’anno si svolgerà in più di 11.600 supermercati in tutta Italia grazie al contributo di oltre 150.000 volontari che raccoglieranno cibo donato da chi va a far la spesa per sostenere i più poveri – rappresenti un’occasione importante per condividere riflessioni su come affrontare questa sfida cruciale.

Presidente Bruno, secondo lei qual è oggi la situazione della povertà alimentare nel nostro Paese? “La povertà alimentare riguarda tante persone in Italia, quasi una persona su dieci, molte delle quali sembrano condurre una vita apparentemente ‘normale’, ma che per la necessità del risparmio iniziano a tagliare proprio l’alimentazione, sacrificando quantità e qualità. I più colpiti sono in particolare i minori, uno su sette sempre secondo l’ISTAT, con conseguenze inevitabili sulla capacità di apprendimento e quindi di riuscita negli studi e, nel medio/lungo periodo, sulla salute nel suo complesso. In questo senso, il bisogno alimentare è il primo fattore di rischio di esclusione sociale. E’ un punto certamente non sufficiente per garantire l’inclusione, ma è certamente necessario partire da qui per realizzare qualsiasi intervento che abbia come scopo un’autentica inclusione”.

Quali sono, a suo avviso, le principali sfide che le organizzazioni devono affrontare per rispondere alle necessità alimentari di chi vive in condizioni di povertà?

“Occorre sempre più saper coniugare la dimensione caritativa e solidale, il desiderio di farsi carico di chi è in difficoltà, primo motore di tante iniziative, la spinta all’azione di tanti volontari, con competenze e professionalità ormai sempre più necessarie. Come ci ha ricordato il Papa durante l’udienza concessa alla Federazione Europea dei Banchi Alimentari già nel 2018 “…Nel mondo complesso di oggi è importante che il bene sia fatto bene: non può essere frutto di pura improvvisazione, necessita di intelligenza, progettualità e continuità. Ha bisogno di una visione d’insieme e di persone che stiano insieme…”.

Ci sono strade particolari per supportare i giovani che si trovano in questa condizione?

“Rispetto ai minori in generale, e agli adolescenti in particolare, è necessario che cresca negli adulti che condividono con loro diversi momenti, in particolare quello delle ore scolastiche, una attenzione e cura della persona che sappia guardare oltre le apparenze immediate così da saper cogliere, quasi sempre tra le tante diverse necessità, anche quella alimentare”.

In questo quadro, quali strategie posso essere più efficaci per intercettare e supportare i giovani a rischio di povertà alimentare?

“Non saprei indicare strategie particolari. Certamente però un insegnante che pensi solo allo svolgimento del programma o al voto, oppure un allenatore di una piccola squadra di calcio preoccupato solo di un risultato sportivo, difficilmente sapranno scorgere segnali di difficoltà nei “propri” ragazzi. E ancor meno, se non sensibilizzato al problema, come si diceva sopra, sarà in grado di cercarne le cause in una insufficiente o comunque cattiva alimentazione. Servirebbe più attenzione, che viene anche da una educazione adeguata per comprendere cosa sia la povertà alimentare e coglierne i segnali”.

Lei è membro dello stakeholder Committee del progetto DisPARI. Quale valore aggiunto vede in questa collaborazione, che punta propria a migliorare la comprensione e la risposta al fenomeno della povertà alimentare tra i giovani?

“Il problema di una corretta informazione e formazione è senz’altro cruciale. Occorre far crescere la consapevolezza del fenomeno a tanti diversi livelli. Una crescente conoscenza è fattore decisivo: cercare di ‘misurare’ non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi le tante facce del fenomeno della povertà alimentare e le tante possibili conseguenze nella vita soprattutto dei minori, diventa elemento imprescindibile per qualsiasi intervento. E questo non solo nelle diverse realtà del Terzo Settore che operano sul territorio, ma anche tra le persone a contatto coi giovani e i decisori politici.

Per questo va sviluppata una visione d’insieme, unitaria e di lungo respiro. Una insufficiente alimentazione, è stato dimostrato, ma poco forse documentato nel nostro Paese, porta, nel medio/lungo periodo, a un complessivo ritardo scolastico, alla conseguente perdita di competitività in tanti settori produttivi, al crescere delle spese sanitarie per le patologie conseguenti; solo per fare alcuni esempi di impatti pesanti e negativi per l’intera società. Conoscere e occuparsi del problema è segno di lungimiranza, non risposta immediata e basta”.

La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare del 16 novembre rappresenta un momento significativo per la vostra organizzazione. Quanto è importante questo evento per la sensibilizzazione della comunità e per il sostegno concreto alle persone in difficoltà alimentare?

“La Colletta Alimentare è per noi un momento di grande impegno e valore nell’attività di ogni giorno svolta dal Banco Alimentare che conta 21 Banchi regionali, con cui sono convenzionati oltre 7.600 enti che sostengono e aiutano ormai 1.800.000 persone su tutto il territorio nazionale. Il valore educativo del gesto per noi è fondamentale: sensibilizzare le persone sul fenomeno della povertà alimentare è possibile grazie innanzitutto agli oltre 150.000 volontari che vivono un gesto semplice di condivisione e carità proponendolo, in quasi 12.000 supermercati, ai tantissimi concittadini che quel giorno andranno a fare la spesa.

Stimiamo che complessivamente quest’anno saranno coinvolte circa 5 milioni di persone che durante la Colletta fanno una donazione piccola o grande che sia, che può andare da una scatola di legumi a una spesa completa. Questo sarebbe impossibile senza la capacità dei volontari di ogni estrazione e età, appartenenza, di mettersi insieme collaborando per un giorno a vantaggio di chi è in difficoltà. È un singolo giorno, in cui però si raccolgono circa 7/8mila tonnellate di alimenti che sono fondamentali per la nostra attività, E soprattutto è un segno importante, non solo per il Banco Alimentare e per le organizzazioni che sostiene, ma per la nostra società sempre più divisa e individualista”.

In che modo i giovani possono essere coinvolti attivamente nella Colletta Alimentare?

“Sono tante le iniziative di associazioni, enti, scuole, che propongono questo gesto ai giovani come momento concreto di aiuto agli altri. E abbiamo consapevolezza di quanto questa adesione possa essere importante per la crescita di chi dona tempo, come volontario, o alimenti agli altri. Ma c’è anche un grande lavoro meno noto, prima della Colletta, fatto di incontri di preparazione, che illustrano la situazione attuale della povertà in Italia, l’importanza del lavoro quotidiano del Banco Alimentare teso al recupero delle eccedenze per evitare che diventino spreco, del realizzarsi così di una corretta idea di economia circolare, con effetti benefici importanti anche per l’ambiente grazie al risparmio di CO2 immessa in atmosfera, il recupero indiretto di suolo e acqua, etc. Qui c’è proprio un pezzo di educazione importante fortemente in linea con gli obiettivi di DisPARI, in cui il Banco Alimentare utilizza tutta la sua esperienza per una autentica “educazione civica”.

(Tratto da Banco Alimentare)

Tre giovani maceratesi raccontano la loro missione nelle Filippine

Nello scorso luglio tre giovani dell’Azione Cattolica Italiana della diocesi di Camerino – San Severino Marche (Marta Antognozzi di San Severino, Maria Lucia Sargolini e Lorenzo Lucarelli, entrambi di Sarnano), guidati dall’assistente diocesana dell’Azione Cattolica, suor Cinzia Fiorini, appartenente all’ordine delle Sorelle Missionarie dell’Amore di Cristo (S.M.A.C.) hanno trascorso un periodo missionario nella Casa ‘Providence home of Saint Joseph’ di Davao, nelle Filippine, che accoglie bambini disabili od abbandonati.

Alcuni giorni precedenti la ‘missione il card. Edoardo Menichelli ha affidato i ‘missionari’ alla protezione della Madonna dei Lumi, chiedendo loro di vivere l’esperienza in costante atteggiamento di ringraziamento, pronti a riportare nelle proprie comunità il senso profondo di quanto vissuto in quelle terre lontane.

Le suore missionarie a Davao sono impegnate nell’aiuto ai bambini abbandonati od orfani, che vivono nelle strade di quella città, popolata da oltre 1.500.000 di abitanti per un’estensione di più di 2.400 chilometri quadrati. Quest’opera è rivolta a migliorare la qualità della vita di questi minorenni attraverso l’istruzione, ridandogli la loro dignità di esseri umani e offrendogli un tetto sotto il quale vivere sentendo amore e cura. I bambini ricevono anche una formazione spirituale e valoriale che possa rafforzare il loro sviluppo personale.

A questi giovani abbiamo chiesto di raccontarci la ‘nascita’ di questa ‘missione’: “Dobbiamo sicuramente ringraziare suor Cinzia Fiorini, della Congregazione delle Sorelle Missionarie dell’amore di Cristo. Lei è la nostra assistente spirituale in Azione Cattolica dei Ragazzi, nella Diocesi di Camerino. La loro congregazione gestisce due missioni, una in Filippine ed una in Burundi. E’ sempre stata testimone di grande gioia e fede. Dopo nostre numerose domande e curiosità, ha detto che sarebbe ripartita per le Filippine, nell’orfanotrofio ‘Providence Home of Saint Joseph’ a Davao; noi non abbiamo potuto che accettare”.

Lorenzo Lucarelli ha rivelato il suo stato d’animo prima della partenza: “Non so quanta consapevolezza ci fosse. Sicuramente c’era tanta gioia e tanta curiosità, tanta voglia di scoprire un mondo così diverso da quello a cui eravamo abituati. Mi sono interrogato molto prima di partire per il viaggio, su me stesso, sulle mie speranze, aspettative e paure; non sono però mai riuscito ad andare troppo nel profondo, avendo pensieri vaghi e approssimativi. Ora, con il senno del poi, sono contento di non essere partito con preconcetti, perché anche quel poco che avevo ragionato è stato completamente stravolto, ma stravolto in positivo.

Invece Maria Lucia Sargolini ha raccontato la ‘giornata tipo’ a Davao: “Non è facile trovare un aggettivo per la vita dei ragazzi là. Alle difficili condizioni in cui versano i ragazzi non si può non contrapporre l’amore e la devozione delle sorelle che stanno nella struttura.

La vita in Filippine comincia molto presto, alle ore 5 della mattina suona la campana della sveglia. Tempo per prepararsi e poi si va a messa nella vicina chiesa dell’Ordine dei Carmelitani, dove i ragazzi animano con canti diverse volte a settimana. Si torna poi in struttura per fare colazione e si parte poi per andare a scuola. I 29 ragazzi della struttura frequentano quasi tutti la scuola posta nelle vicinanze alla casa, qualcuno è ancora troppo piccolo per andare scuola, qualcun altro sta frequentando già il college in città per fare il lavoro dei loro sogni. Dopo gli impegni quotidiani, nel tardo pomeriggio in struttura tutti i ragazzi pregano insieme un rosario, nelle cui intenzioni non dimenticano i benefattori della struttura.

Nonostante le condizioni di povertà in cui vivono, le suore non fanno mancare nulla a nessun bambino. Secondo le diete filippine, riso e frutta a volontà; un letto dove dormire e quella quota di affetto che purtroppo molti di loro non hanno mai provato. Sicuramente loro ci hanno insegnato a vivere di semplicità e a riderne. Ci hanno trasmesso una gioia rara, una gioia che viene dall’apprezzare le poche cose che si hanno, ma di esserne profondamente grati”.

Ed ha descritto la struttura della Casa: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”.

Inoltre Marta Antognozzi ha riflettuto sulle parole ‘consegnate’ dal card. Menichelli (prendere, benedire, dare): “Prima di partire, il Cardinale Edoardo Menichelli ci ha consegnato tre verbi da custodire per il viaggio. Ci ha chiesto di prendere, rendere grazie e dare. Sicuramente abbiamo preso molto, relazioni, approccio alla vita, fede; sicuramente abbiamo reso grazie nella preghiera e nei gesti; ora stiamo cercando di dare qualcosa indietro”.

Ed ha descritto la Casa, che ospita ragazze e ragazzi, con il ‘lancio’ di una raccolta ‘fondi’: “La struttura ha ormai più di 25 anni e servono dei lavori per costruire il secondo piano, fino ad allora i ragazzi dormono in posti di fortuna, chi in cucina, chi sotto il terrazzo, molti in poche piccole stanze. Abbiamo deciso di far partire una raccolta fondi per velocizzare la fine dei lavori, affinché questi ragazzi possano avere uno spazio tutto loro sicuramente migliore di quello che avevano prima”

Nel messaggio per la Giornata missionaria di quest’anno papa Francesco ha invitato tutti al ‘banchetto’: cosa significa per Lorenzo?

“Penso che il papa abbia trovato le parole per spiegare la bellezza dell’andare in missione. Sento di essere un ragazzo che si è regalato una vacanza, che ha partecipato ad un banchetto, per tutto il cibo, non solo materiale, che ho ricevuto. Penso che sia nostro compito dover testimoniare con la nostra vita quello che abbiamo vissuto e dimostrare a tutti il bello del servire, del donarsi per il prossimo. Dobbiamo invitare più persone possibili a questo banchetto, affinché più persone possibili possano provare la gioia e la gratitudine che abbiamo provato noi”.

Maria Lucia: cosa vi ha lasciato questo viaggio?

“Questa esperienza è tra le migliori della nostra vita. Un insieme di meraviglia e gratitudine che ci portiamo nel cuore. Non possiamo non testimoniare la semplicità delle persone che abbiamo incontrato. Una semplicità che si fa accoglienza e condivisione, quando siamo andati nelle comunità in montagna. Lì le persone, pur non avendo nulla, hanno fatto il cibo da festa; molto diverso da noi, che a volte ci facciamo problemi nell’accogliere qualcuno in casa. Una semplicità che si fa genuinità nello stupore dei bambini, che si fa anche risata, e che si fa affidarsi a Dio”.

Marta: cosa avete fatto in quelle settimane?

“La prima settimana abbiamo organizzato attività e giochi che solitamente organizziamo ai campi scuola Acr, per iniziare a conoscere i bambini, e per lasciare che loro conoscessero noi. Abbiamo avuto la bellissima occasione di portarli al mare, un gesto che sembrerebbe scontato, ma a causa della difficoltà di raggiungere il posto con i mezzi e di quelle economiche per loro è un evento raro, ed è impressa nelle nostre menti la loro profonda felicità.

Durante la seconda settimana i bambini sono tornati a scuola, così noi abbiamo fatto visita alle diverse comunità base aiutate dalle Sorelle Smac in montagna nelle quali abbiamo portato i materiali della raccolta fondi effettuata a San Severino Marche prima della nostra partenza. Nella terza settimana siamo stati nella casa-famiglia, trascorrendo la maggior parte del tempo con le Sorelle ed i ragazzi, vivendo giornate tipiche filippine. L’ultima domenica abbiamo partecipato ai sacramenti di battesimo e comunione dei bambini”.

Ora siete nelle vostre città: come pensate di ‘agire’ per aiutare quei bambini?

“Per provare a ricambiare almeno una parte di tutto il bene ricevuto, abbiamo organizzato una raccolta fondi su GoFundMe (link: https://www.gofundme.com/f/providence-home-of-saint-joseph) per finanziare la costruzione della casa dove dormono i 30 ragazzi, ora sistemati in letti di fortuna. Per questo ci appelliamo alla comunità, chiedendo un contributo, che seppur piccolo, può fare una grande differenza”.

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco invita a ricucire lo strappo delle disuguaglianze di Roma

‘Ricucire lo strappo: oltre le disuguaglianze’: è stato il titolo dell’Assemblea della Diocesi di Roma che si è svolta oggi pomeriggio nella basilica di san Giovanni in Laterano, a due mesi dall’avvio del Giubileo, alla presenza di papa Francesco, richiamando il convegno svoltosi cinquanta anni fa sui ‘mali’ di Roma, in cui la Chiesa si è messa in ascolto della città:

“Si è trattato di un evento che ha segnato il cammino ecclesiale e sociale della Città e, in quell’occasione, la Chiesa di Roma si è messa in ascolto delle tante sofferenze che la segnavano, invitando tutti a riflettere sulle responsabilità dei cristiani di fronte ai mali della Chiesa, ai mali della Città, entrando in dialogo con essa e scuotendo la coscienza civile, politica e cristiana di tanti”.

Il papa ha seguito le tappe, che hanno condotto a questo evento conclusivo, in cui è stata esposta la situazione, in cui si trova la capitale: “Se da una parte tutto questo ci addolora, dall’altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga la strada da percorrere. Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono a trovare un lavoro o una casa, ammalati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in molte altre dipendenze ‘moderne”’ persone segnate da sofferenze mentali che vivono in stato di abbandono o disperazione”.

Tale situazione pone alcune domande fondamentali, su cui riflettere, partendo dalla necessità di portare ai poveri il lieto annuncio: “ I poveri saranno sempre con noi. I poveri sono la carne di Cristo e, come un sacramento, lo rendono visibile ai nostri occhi…

E la buona notizia da annunciare ai poveri è anzitutto dire loro che sono amati dal Signore e che agli occhi di Dio sono preziosi, che la loro dignità, spesso calpestata dal mondo, davanti a Dio è sacra. Ma tante volte, noi cristiani diciamo questo a parole, e poi non facciamo i gesti che lo rendono credibile”.

Per questo il papa ha sottolineato che il povero è ‘è carne della nostra carne’: “La Chiesa è chiamata ad assumere uno stile che mette al centro coloro che sono segnati dalle diverse povertà, i poveri di cibo e di speranza, gli affamati di giustizia, gli assetati del futuro, i bisognosi di legami veri per affrontare la vita. Rendiamoci presenti presso i poveri e diventiamo per loro segno della tenerezza di Dio! Dio è presente con tre atteggiamenti: la vicinanza, la compassione e la tenerezza. E un cristiano che non si fa vicino, che non è compassionevole e che non è tenero non è cristiano. Vicinanza, compassione e tenerezza. Così imitiamo Dio”.

Per questo occorre ricucire lo ‘strappo’ nella città: “Una città che assiste inerme a queste contraddizioni è una città lacerata, così come lo è l’intero nostro pianeta. Ecco che allora è necessario ricucire questo strappo impegnandoci a costruire delle alleanze che mettano al centro la persona umana, la sua dignità. Per fare questo occorre lavorare insieme, armonizzare le differenze, condividere ciascuno il dono e la missione che ha già ricevuto. E questo significa anche crescere nel dialogo: il dialogo con le istituzioni e le associazioni, il dialogo con la scuola e la famiglia, il dialogo tra le generazioni, il dialogo con tutti, anche con chi la pensa diversamente”.

E’ stato un invito ad uscire dall’indifferenza, che porta al disinteresse: “Per ricucire abbiamo bisogno innanzitutto di uscire dall’indifferenza e lasciarci coinvolgere in prima persona! Sarebbe bello se dall’incontro di stasera si uscisse con qualche impegno concreto, verificabile sulla linea di uno sforzo comune mirato ad azioni capaci di aiutarci a superare le disuguaglianze”.

Quindi il papa ha chiesto di non trascurare il pensiero sociale della Chiesa attraverso la formazione delle coscienze: “Ma, intanto, vorrei chiedervi questo: valorizzate di più, nella pastorale ordinaria e nella catechesi, il pensiero sociale della Chiesa. E’ importante infatti, formare le coscienze alla dottrina sociale della Chiesa, perché il Vangelo sia tradotto nelle diverse situazioni di oggi e ci renda testimoni di giustizia, di pace, di fraternità. E tessitori di una nuova rete sociale e solidale nella Città, per ricucire gli strappi che la lacerano”.

Questi due passaggi conduce alla semina della speranza, che non delude mai, ricordando mons. Di Liegro e molte altre persone: “Sorelle, fratelli, la speranza non delude! Non delude mai. Andiamo sulla strada della speranza. In questa Città hanno operato uomini e donne che davanti ai problemi non sono rimasti a guardare e nemmeno si sono limitati a dire o a scrivere tante cose.

Penso specialmente ad alcuni sacerdoti, veri uomini di speranza, come don Luigi Di Liegro; penso anche a tanti laici che si sono messi all’opera rispondendo al bisogno di gettare un seme di bene, di attivare processi nella speranza che qualcun altro si sarebbe preso cura di quel piccolo seme fino a farlo diventare un albero grande. Se oggi, ad esempio, è molto forte la spinta al volontariato è perché qualcuno ci ha creduto e ha iniziato con piccoli passi”.

Quindi il bene va contagiato: “Quel bene ha contagiato tanti altri fino a diventare stile condiviso. Oggi dobbiamo avviare nuovi processi, nuovi processi di speranza: sognare la speranza e costruire la speranza attraverso il nostro impegno, che è un impegno responsabile e solidale! Osate!

Tutti voi osate nella carità, non abbiate paura di sognare imprese grandi anche se queste iniziano con impegni piccoli. Il poeta Charles Peguy afferma così, e, a questo proposito, concludo con quanto diceva sulla speranza: ‘La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre. La Speranza è una bambina da nulla. Eppure è questa bambina che attraverserà i mondi’. Andiamo avanti con la speranza”.

(Foto: Santa Sede)

A Trieste mons. Trevisi lancia un appello: volontari ed offerte per aiutare i poveri

“La Fondazione Caritas (che è un ente operativo della Diocesi) e la Caritas Diocesana (espressione diretta della nostra Chiesa per alcuni progetti caritativi) stanno svolgendo una serie di attività e servizi nelle direzioni più disparate: si va dal Centro di ascolto (con sostegno a persone e famiglie in difficoltà varie) all’Emporio della Solidarietà; dal dormitorio per i senza fissa dimora (in convenzione con il Comune) all’accoglienza per altri soggetti fragili (famiglie e donne con bambini piccoli), dalla Mensa per i poveri (che nello scorso anno ha fatto più di 106.000 pasti), all’accoglienza dei Migranti con strutture convenzionate con la Prefettura e altre a totale carico della diocesi e di chi vuole contribuire (pensiamo al dormitorio di via S. Anastasio per i transitanti o coloro che ancora non sono stati accolti per le lungaggini burocratiche)”.

E’ l’inizio dell’appello del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, alla città, che ha elencato le attività portate avanti dalla Caritas diocesana: “Basti vedere caritastrieste.it dove si legge: 375 volontari; 124 persone operative; 13.810 persone aiutate e sostenute (di cui 861 minori); 19 progetti attualmente attivi… E poi c’è tutto il lavoro delle Caritas e delle San Vincenzo nelle parrocchie o la Mensa dei Cappuccini o di altre associazioni (pensiamo a S. Egidio…): un magma di iniziative, persone, accoglienze, ascolti, dopo-scuola, pacchi viveri, corsi di italiano”.

La situazione illustrata dal vescovo è causata anche da mancati pagamenti da parte delle Istituzioni pubbliche negli anni passati: “Da anni la Fondazione Caritas denuncia una fatica finanziaria, in parte dovuta ai ritardi dei pagamenti delle convenzioni per i migranti e in parte anche ad una fatica organizzativa che si è accumulata: prima che io arrivassi a Trieste i dipendenti accusavano notevoli ritardi nei pagamenti del loro stipendio e così pure i fornitori, nonostante gli elevati mutui e i fidi bancari. Il desiderio è che nella riorganizzazione di questi servizi i dipendenti siano maggiormente tutelati (e ora sono pagati sempre puntualmente) ma anche che possiamo raddrizzare la gestione”.

Quindi grazie all’apporto finanziario della Cei e della Caritas italiana, attraverso l’8Xmille, la diocesi triestina riesce ad aiutare i poveri: “Abbiamo ricevuto un consistente sostegno dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Caritas Italiana che attraverso i fondi dell’8Xmille ci hanno sostenuto in modo maggiore rispetto a quanto già ogni anno ci viene erogato. Anzi grazie di cuore a tutti coloro che firmano per l’8Xmille per la Chiesa cattolica. A Trieste molti sono i segni di questa carità che raggiunge migliaia di poveri.

Il desiderio è quello di continuare e anzi aumentare la nostra attenzione alle persone fragili, sia attraverso le strutture convenzionate ma anche attraverso quella gratuità che ci porta ad accollarci spese per far fronte ai bisogni di coloro che non sono tutelati dalle leggi e dai sistemi statali”.

Ed ecco l’appello in previsione della stagione invernale: “Servono volontari e servono risorse economiche per implementare questi aiuti. Presto arriverà il freddo e non possiamo restare a guardare e neppure restare a discutere e ritardare quello che la carità esige prontamente.

Da Dio saremo giudicati per come ci siamo comportati davanti ai poveri. Di fronte a problemi complessi ‘non lasciamoci ingannare da soluzioni facili’, ammoniva il papa in visita a Trieste il 7 luglio… Ci ha messo in guardia dal ‘cancro dell’indifferenza’. Per questo chiedo a tutti di lasciarsi coinvolgere e di partecipare. Abbiamo bisogno di volontari (e grazie a quelli che già si stanno spendendo in modo ammirevole) e anche di offerte”.

Per questo il Vangelo è scomodo ma bello, aveva detto nell’omelia in occasione della festa di san Francesco di Assisi: “Il Vangelo è bello: e san Francesco scrive tante pagine di vangelo bello. San Francesco lo vediamo e lo pensiamo in una comunione profonda con il Signore, conformato a Lui nel più profondo del cuore. Ma anche capace di baciare un lebbroso o di predicare alle folle o di scrivere i primi inni in italiano o ad affascinare folle e folle di giovani che si mettono al suo seguito…

San Francesco è il Vangelo bello di Cristo che torna ad essere vivo e ad attrarre tanti giovani che lasciano i desideri di successo attraverso le battaglie, che tralasciano l’esistenza frivola e godereccia che distraeva dal senso vero della vita. Ieri come oggi spesso si è ammaliati da strade che portano alla perdizione: l’onore delle armi, il successo della vittoria, il piacere e il divertimento come nuovi idoli, la ricchezza accumulata e ostentata… Idoli del tempo di Franceso e del nostro tempo! Francesco ci insegna, vivendolo, che c’è un Vangelo bello, di fraternità, di pace, di amicizia, di solidarietà, di incontro anche con il povero, con il ricco, con il musulmano, con il lebbroso di oggi… Seguire Gesù mi autorizza ad un Vangelo bello nella vita concreta”.

Il Vangelo è scomodo, perché interroga la vita di ogni persona: “Il Vangelo è scomodo, perché è vero e non una fiction: e san Francesco ha patito il rigetto di suo padre, l’incomprensione dei suoi frati, il fraintendimento nostro quando lo riduciamo ad un’icona dell’ecologia e del panteismo e di un pacifismo ingenuo.

Il Vangelo è scomodo perché è segno di contraddizione, è accettare persecuzioni e fraintendimenti anche dentro la Chiesa, anche tra i suoi fratelli. E’ anche accettare il silenzio di Dio, come Gesù sulla croce, come san Francesco con le stimmate. Il Vangelo è scomodo perché il mondo non lo riconosce e preferisce le tenebre alla luce, il peccato alla grazia, la violenza al perdono. Vivere le beatitudini, come Francesco le ha incarnate, è scomodo. E’ un modo scorretto di presentarsi al mondo, perché ci si espone o ad essere considerati ridicoli (ingenui, goffi, bizzarri) o ad essere presi come integralisti, come fanatici. Il Vangelo è scomodo perché è vivere nell’amore di Cristo, fino al dono di sé, e per chi ti offende e ti insulta e ti crocifigge”.

Il Vangelo è bello e scomodo, ma è la ‘nostra passione’, ha concluso l’omelia: “Il Vangelo è la nostra passione. Con san Francesco vogliamo che il Vangelo sia la nostra ostinata passione. Cioè come per Francesco deve diventare il desiderio estremo, che ci consuma nell’amore, nell’abbandono a Dio, come Gesù, che è abbandonato dagli uomini e si abbandona al Padre. Il Vangelo che appassiona è il bicchiere d’acqua dato ai fratelli, il restare inginocchiati davanti all’Altissimo Onnipotente buon Signore, la ricerca della pecorella smarrita e la gioia del sapersi cercati dal Signore quando ci siamo perduti, la verità che rende liberi anche di fronte ai prepotenti, il perdono che risana il cuore, la visita all’ammalato che ridà spessore alla vita, la mitezza nei confronti degli arroganti, il silenzio che ti fa sospirare la Parola di Dio e la musica con cui canti il suo amore, l’umile ricostruzione della Chiesa, la condivisione di quello che hai e che sei, l’onore dato ad ogni piccolo e ad ogni povero”.

(Foto: diocesi di Trieste)

Card. Parolin: santa Chiara ha scelto la spoliazione di sé

“Da Assisi, in occasione di questa festa, voglio lanciare una forte preghiera ed appello per la pace in tutto il mondo. Come più volte ha ribadito il Santo Padre, la guerra è una sconfitta per tutti e non porta benefici a nessuno”: lo ha detto domenica scorsa ad Assisi, celebrando la festa di santa Chiara, il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, che ha posto l’accento sulla scelta di povertà da parte dell’assisate “che si pone come scelta di vita nella nostra società, contrassegnata dal consumismo, ossia dalla sfrenata ricerca di soddisfare i bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e da fenomeni d’imitazione sociale, con gli inevitabili sprechi economici e l’inquinamento e l’edonismo, che considera il piacere come bene sommo dell’uomo ed il fine esclusivo della vita”.

Prima dell’inizio della cerimonia, il card. Parolin aveva ribadito la necessità di “spogliarsi di sé, come avevano fatto Chiara e Francesco: e non tanto dei beni materiali ma degli egoismi, delle proprie posizioni e pretese per aprirsi agli altri con un approccio fraterno e di pace”.

Mentre il ministro generale, p. Massimo Fusarelli, nella lettera inviata alle clarisse, aveva sottolineato il rapporto di san Francesco e di santa Chiara con Gesù: “Il fulcro è la relazione con il Signore Gesù. Se per Francesco l’incontro misterioso della Verna ha segnato un nucleo di fuoco che lo ha preparato a diventare conforme alla morte e risurrezione di Gesù Cristo nell’incontro con ‘sorella morte’, per Chiara l’incontro con il ‘suo’ Signore è stata la ragion d’essere di tutta la sua esistenza di donna, vissuta nel segno dell’appartenenza totale a Lui”.

Ed ha raccontato il silenzio sperimentato da san Francesco nel momento delle stimmate: “E’ proprio in questo contesto di silenzio e di orazione che riceve una visita misteriosa. Sulla Verna, il desiderio profondo del Poverello di seguire Cristo e di essere conformato totalmente a Lui, si compie nell’incontro con il Crocifisso. ‘Seguire le orme’ di Cristo giunge qui al culmine, sotto la spinta del ‘fervore di carità’ che infiammava ‘l’amico dello Sposo’… L’incontro con l’Amato diventa un canto di lode; perciò, Francesco, dopo l’incontro con il Crocifisso, compone le Lodi di Dio Altissimo, preghiera che sgorga da un cuore innamorato, interamente centrato nel Tu divino”.

Mentre santa Chiara ha vissuto il silenzio di Gesù nell’intimità della clausura: “Il silenzio ha avvolto la vita di Chiara con le sue sorelle e ne ha custodito la sequela di Cristo, da lei riconosciuto come il ‘Crocifisso povero’ da servire ‘con ardente desiderio’. La preghiera di Chiara si è nutrita di questa ‘visione’ interiore, maturando nella lode e nella gioia della contemplazione di Cristo, Sposo di chi ha scelto di seguirlo”.

Tali silenzi hanno creato una sintonia: “Possiamo dire allora che Chiara ha vissuto lungo tutta la sua vita il cammino di sequela che ha mosso il Poverello a ricevere il dono delle Stigmate nell’incontro di dolore e di amore con il Cristo povero e glorioso. E’ qui, credo, che lei ha potuto sperimentare una sintonia unica con il vissuto di Francesco. Certo, resta misteriosa questa corrispondenza e possiamo solo intuire qualcosa dai loro scritti”.

Di questa unione spirituale ha raccontato il ministro generale, prendendo spunto da una vetrata in una chiesa di Hong Kong: “Nella nostra chiesa parrocchiale di Hong Kong ho potuto vedere una vetrata che rappresenta Chiara mentre sorregge Francesco stimmatizzato, quasi come Maria riceve il corpo di Cristo crocifisso nella ‘Pietà’. Questa immagine mi ha interrogato sull’eco di questo evento della vita di Francesco in quella di Chiara e nella sua esperienza spirituale”.

E’ un sostegno reciproco che apre alla comunione: “Mi piace pensare che Chiara ha vissuto questa dimensione con Francesco, reso così debole dai segni misteriosi impressi nel suo fragile corpo. Oso pensare che la sorella ha sostenuto il fratello nello Spirito, anzitutto nel portare il carico di una comunione tanto unica con il Cristo crocifisso.

Che cosa avrà chiesto a Francesco e alla sua relazione di fede con il Signore un simile segno? Come sarà maturata di conseguenza la sua preghiera? Le Lodi e il Cantico ci fanno percepire qualcosa. Quale sofferenza ha vissuto per partecipare con Cristo alla riconciliazione e alla pace di tutte le creature? Come non pensare che Chiara, da parte sua, abbia sostenuto Francesco con la sua presenza discreta e la sua preghiera?”

In questo modo santa Chiara ha sostenuto san Francesco nel cammino di santità: “Credo che Chiara abbia intuito il travaglio pasquale di Francesco e vi abbia partecipato. Non a caso la sua malattia segue proprio questi eventi. Sarà stato anche questo il suo modo di sostenere Francesco e i frutti del dono di amore ricevuto? Care sorelle, vi saluto in questa memoria delle Stigmate, che ho cercato di leggere brevemente con voi sin nel cuore del vissuto di Chiara”.

(Foto: Vatican News)

Caritas: in Italia gli italiani sempre più poveri

“E’ compito statutario di Caritas Italiana realizzare studi e ricerche sui bisogni delle persone, per aiutare a scoprirne le cause, per preparare piani di intervento, soprattutto in un’ottica di prevenzione. Questo è l’intento del Report che presentiamo. Una raccolta di dati che è stata realizzata grazie all’impegno degli operatori e dei volontari dei nostri Centri di ascolto e con la collaborazione delle persone in stato di bisogno che ci hanno consegnato la loro situazione”: questa è la conclusione del presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, alla presentazione del report statistico nazionale 2024 sulla povertà in Italia.

 Tale report statistico valorizza le informazioni provenienti da 3.124 Centri di ascolto e servizi delle Caritas diocesane, dislocati in 206 diocesi in tutte le regioni italiane con una fotografia drammatica, come ha evidenziato il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello: “Questo secondo Report statistico si colloca in un tempo particolare, segnato da vicende che toccano le nostre comunità. Da un lato le crisi internazionali che condizionano pesantemente i rapporti tra i Paesi e lo sviluppo di percorsi di pace, dall’altro l’incessante aumento della povertà e la forte incidenza di situazioni di rischio e vulnerabilità. Di fronte a questi scenari la Chiesa continua a sognare e ad affermare un umanesimo autentico, secondo cui ogni essere umano possa realizzarsi pienamente, vivendo in un mondo più giusto e dignitoso”.

Dal Report risulta che nel 2023 cala la quota dei nuovi poveri ascoltati, che passa dal 45,3% al 41,0%, mentre crescono le persone con povertà ‘intermittenti’ e croniche, riguardanti in particolare quei nuclei che oscillano tra il ‘dentro-fuori’ la condizione di bisogno o che permangono da lungo tempo in condizione di vulnerabilità: una persona su quattro è infatti accompagnata da una Caritas diocesana da 5 anni e più. Sembra quindi mantenersi uno zoccolo duro di povertà che si trascina di anno in anno senza particolari scossoni e che è dovuto a più fattori; il 55,4% dei beneficiari nel 2023 ha manifestato contemporaneamente due o più ambiti di bisogno.

Si rivolgono alla Caritas, in maggioranza, donne (51,5%) ed uomini (48,5%), con un’età media che si attesta sui 47,2 anni (46 nel 2022). Cala l’incidenza delle persone straniere che si attesta sul 57,0% (dal 59,6%). Alta invece l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori. Oltre i due terzi delle persone in povertà, secondo i dati dei Centri di ascolto Caritas consultati, hanno livelli di istruzione bassi o molto bassi (67,3%), condizione che si unisce a una cronica fragilità occupazionale, in termini di disoccupazione (48,1%) e di ‘lavoro povero’ (23%).

Inoltre la percentuale dei percettori del Reddito di Cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà sostituita dall’Assegno di Inclusione, si attesta al 15,9%, dato in calo rispetto al 2022 e soprattutto al 2021: allora i beneficiari corrispondevano rispettivamente al 19,0% e al 22,3%.

In termini di risposte, le azioni della rete Caritas sono state numerose e diversificate: sono stati erogati oltre 3.500.000 interventi, una media di 13 interventi per ciascuna persona assistita (considerate anche le prestazioni di ascolto). In particolare: il 73,7% ha riguardato l’erogazione di beni e servizi materiali (distribuzione di viveri, accesso alle mense/empori, docce, ecc.); l’8,9% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 7,3% le attività di ascolto, semplice o con discernimento; il 5,2% il sostegno socio-assistenziale; l’1,7% interventi sanitari.

Dal report si evidenzia che la povertà è ai massimi storici: le stime preliminari dell’Istat rilasciate lo scorso marzo, e riferite all’anno scorso, attestano che il 9,8% della popolazione, un residente su dieci, vive in uno stato di povertà assoluta. Complessivamente risultano in uno stato di povertà assoluta 5.752.000 residenti, per un totale di oltre 2.234.000 famiglie. A loro si aggiungono poi le storie di chi vive in una condizione di rischio di povertà e/o esclusione sociale: si tratta complessivamente di circa 13.391.000 persone, pari al 22,8% della popolazione; dato che risulta in riduzione rispetto al 2022 quando si attestava al 24,4%. Il Mezzogiorno risulta l’area del Paese con la più alta incidenza delle persone a rischio povertà e/o esclusione sociale (39%) in linea con i dati della povertà assoluta.

La situazione appare ancora più controversa se si guarda alla grave deprivazione materiale che contrariamente al rischio di povertà e/o esclusione sociale tende a crescere (+4,4%). Le stesse stime preliminari Istat sui consumi delle famiglie, mettono in luce che nel 2023 si è registrata una crescita della spesa media delle famiglie (+ 3,9%) che però per effetto dell’inflazione si è tradotta in un calo dell’1,8%.

Nel 2023, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati (complessivamente 3.124 dislocati in 206 diocesi di tutte le regioni italiane) le persone incontrate e supportate sono state 269.689. Complessivamente si tratta di circa il 12% delle famiglie in stato di povertà assoluta. Rispetto al 2022 si è registrato un incremento del 5,4% del numero di assistiti; una crescita che si attesta su valori più contenuti rispetto a un anno fa, segnale di una progressiva distensione rispetto alle tante emergenze susseguitesi dopo lo scoppio della pandemia.

Alta come di consueto l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori. In alcune regioni l’incidenza dei genitori risulta ancor più elevata, ad esempio nel Lazio (91%), in Calabria (82,2%), Umbria (81,4%), Puglia (80,6%), Basilicata (79%) e Sardegna (75,3%).  Se si guarda alle famiglie con minori, queste rappresentano il 56,5% del totale; in valore assoluto si tratta di oltre 150.000 nuclei, a cui corrispondono altrettanti o più bambini e ragazzi in stato di grave e severa povertà.

Un altro fattore che accomuna la gran parte degli assistiti è la fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%). Non è solo dunque la mancanza di un lavoro che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro è un lavoratore povero. Tra i lavoratori poveri si contano per lo più: persone di cittadinanza straniera (65%); uomini (51,6%) e donne (48,4%); genitori (78%) e coniugati (52,1%); impiegati in professioni non qualificate; domiciliati presso case in affitto (76,6%).  Infine il 78,8% delle persone manifesta uno stato di fragilità economica, legato a situazioni di ‘reddito insufficiente’ o di ‘totale assenza di entrate’.

Il Banco Alimentare lancia un appello contro la precarietà

Nel mese scorso l’Istat ha presentato il rapporto sullo stato delle famiglie italiane in cui è stato sottolineato che nello scorso anni la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è stato pari ad € 2.728 in valori correnti, in aumento del 3,9% cento rispetto all’anno precedente, trainata dall’ulteriore aumento dei prezzi; in termini reali, la spesa media si riduce dell’1,8%. E la spesa media più elevata, pari ad € 2.967 euro, è nel Nord-ovest, quasi identica rispetto al Nord-est e al Centro (rispettivamente, € 2.962 ed € 2.953 mensili), ma del 28,2% e del 35,2% superiore rispetto alle Isole (€ 2.314) ed al Sud (€ 2.195).

Quindi dal 2014 al 2023, la spesa media mensile delle famiglie è cresciuta dell’8,3%. L’aumento è stato molto più accentuato nelle Isole (+23%), seguite dal Centro (+11,4%) e dal Sud (+10,2%). Nel Nord, invece, l’incremento è stato del 4,5% (+4,8% nel Nord-ovest, +4,1% nel Nord-est), poco più della metà del dato nazionale. Da ciò è evidente che in 10 anni, la distanza tra le diverse aree del Paese si è complessivamente ridotta: nel 2014, il divario maggiore, tra Isole e Nord-est, era di € 963, il 33,9% in meno; nel 2023, il più ampio, tra Nord-ovest e Sud, è di € 773, il 26% in meno.

Inoltre tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente, che permette di confrontare famiglie di diversa ampiezza, è cresciuta in termini correnti del 14%, con un andamento leggermente migliore per le famiglie più abbienti (+15,5%) rispetto a quelle meno abbienti (+14,2%):

“Depurando l’andamento delle spese da quello dei prezzi, la spesa media equivalente è caduta del 5,8%; il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione (-8,8% e -8,1% rispettivamente). Anche le famiglie del ceto medio e medio-alto hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3% il terzo e -7,3%). Solamente le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite (-3,2%)”.

Nel 2023 l’incidenza di povertà assoluta in Italia è pari all’8,5% tra le famiglie ed al 9,8% tra gli individui: “Si raggiungono così livelli mai toccati negli ultimi 10 anni, per un totale di 2.235.000 famiglie e di 5.752.000 individui in povertà”.

L’incidenza di povertà assoluta familiare è più bassa nel Centro (6,8%) e nel Nord (8,0% sia il Nord-ovest sia il Nord-est), e più alta nel Sud (10,2%) e nelle Isole (10,3%). Lo stesso accade per l’incidenza individuale: 8,0% nel Centro, 8,7% nel Nord-Est, 9,2% nel Nord-Ovest e 12,1% sia nel Sud sia nelle Isole. Di conseguenza nel decennio considerato, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2% all’8,5%, e quella individuale dal 6,9% al 9,8%. Rispetto al 2014 sono aumentate di 683.000 unità le famiglie in povertà (erano 1.552.000) e di circa 1.600.000 gli individui in povertà (erano 4.149.000).

Per questa ragione il presidente del Banco Alimentare, Giovanni Bruno, ha definito tali dati non rassicuranti, in quanto emerge che una persona su dieci vive sotto la soglia minima di povertà; e tra i minori sotto i 16 anni il 13,5% è in ‘deprivazione materiale e sociale’, mentre il 5,9 % in povertà alimentare:

“Più si è giovani, più è probabile avere difficoltà: i più colpiti sono le persone in età lavorativa per cui il reddito da lavoro è sempre meno in grado di proteggere sé e i figli da situazioni di disagio economico. Istat evidenzia un peggioramento rispetto al 2022 della condizione delle famiglie con persona di riferimento (quello che una volta si sarebbe detto ‘capofamiglia’) lavoratore dipendente: sono il 9,1%, dall’8,3% dell’anno precedente. Il ceto medio si è andato riducendo e impoverendo anche se le differenze ‘tra chi sta bene e chi sta male’ sembrano diminuire, ma al ribasso, perché la situazione economica è peggiorata per quasi tutti”.

A questi dati può essere legato anche un calo di partecipazione alla vita sociale da parte dei giovani: “Cala anche la partecipazione alla vita sociale in genere: nei giovani tra i 16 e i 24 anni, per esempio, l’attività di volontariato è scesa in 10 anni dall’11% all’8 %, come l’incontrarsi stabile tra amici ha visto una flessione dal circa 95% all’88%. In controtendenza invece su questo punto gli over settantaquattrenni che, per esempio, aumentano dal 5,4% al 7,1% la loro partecipazione ad attività di volontariato”.

Inoltre l’inflazione ha aumentato il costo della spesa familiare: “Tutto conferma e giustifica gli incrementi di richieste di aiuto che dalla pandemia in poi ci troviamo a registrare: in crescita il numero di enti che chiede di convenzionarsi con il Banco Alimentare: ora sono poco più di 7.600 ma con circa un 6-7% di enti in ‘lista di attesa’ in tutta Italia.

Le persone da questi sostenute sono già circa 1.800.000 e noi cerchiamo, con sempre più difficoltà, di rispondere in modo adeguato alle loro difficoltà. Questo desiderio, questo tentativo di riuscire a dare una risposta minimamente adeguata al bisogno incontrato è proprio ciò che ci costringe, con grande sofferenza a, non incrementare il numero degli enti convenzionati e quindi delle persone aiutate”.

Per questo il presidente del Banco Alimentare ha lanciato un appello a far crescere l’attenzione nei confronti di chi vive in stato di precarietà: “Consideriamo anche che l’aiuto alimentare ha come effetto quello di ‘liberare’ alcune risorse economiche che consentono altre spese, dalle cure mediche all’abbigliamento o ai bisogni educativi peri figli spesso costretti a rinunciare a momenti di socialità con tutte le conseguenze che questo può comportare per il loro futuro.

Questo è il momento, un momento in cui anche la pace è fortemente minacciata, in cui non possiamo dare nulla per scontato, in cui far crescere l’attenzione e, nelle tante persone che quotidianamente incontriamo sui tram, sui treni dei pendolari, per le strade dei nostri paesi e quartieri, imparare a scorgere il bisogno. Bisogno che è anche nostro e che si manifesta in un senso di insicurezza e di precarietà acuito dalla guerra che è così vicina a noi”.

Presentato il rapporto sulle povertà nella diocesi di Perugia – Città della Pieve: ‘catene spezzate’

E’ stato presentato mercoledì 5 giugno a Perugia il IX Rapporto diocesano sulle povertà e sulle risorse dal provocante titolo: ‘Catene spezzate’, curato dall’Osservatorio Caritas diocesana con gli interventi dell’arcivescovo diocesano, mons. Ivan Maffeis, il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, l’economista prof. Pierluigi Maria Grasselli, coordinatore dell’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale, l’assistente sociale Silvia Bagnarelli e lo statistico Nicola Falocci, componenti dell’equipe dello stesso Osservatorio.

Presentando il rapporto mons. Maffeis ha scandito il suo intervento in tre tappe: “La prima tappa va dai problemi alle persone: il Rapporto, mentre fotografa e documenta i problemi, guarda alle persone di cui la nostra Caritas si prende cura. E’ il primo modo per affrontare seriamente una carità che sia riflesso della carità di Dio e qualifichi anche il nostro rapporto con chi vive situazioni di povertà.

La seconda tappa va dalla società alle Istituzioni: i poveri non possono essere delegati ad addetti ai lavori. L’opera di ‘rete’ della nostra Caritas va nella direzione di una corresponsabilità e di una collaborazione che hanno a cuore il bene comune, il bene della città.

La terza è dalla denuncia delle ‘catene’ alla proposta di ‘liberazione’. Il Rapporto racconta di una comunità che sa rimboccarsi le maniche, che ci mette cuore, passione, intelligenza, perché la carità sia intelligente e sappia aprire piste percorribili”.

Il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, ha spiegato la scelta del titolo del IX rapporto: “Vedete in copertina questi piedi incatenati e le ‘Catene spezzate’ rappresentano il lavoro compiuto, la missione svolta con molto impegno dove tante famiglie sono tornate libere di poter camminare, sciolte da quelle catene che papa Francesco ci ricorda parlando della povertà… Essere nella condizione di povertà è una privazione di possibilità, è una privazione della libertà. Non avere la libertà di poter scegliere nel quotidiano e per il proprio futuro. La povertà è in aumento nella nostra diocesi con un dato importante, che ci dice che tante ‘catene’ sono state spezzate, ma che tante nuove ‘catene’ sono arrivate perché il 40% delle famiglie in difficoltà sono nuovi poveri nel rivolgersi per la prima volta alla Caritas nel loro cammino di vita”.

Infine il prof. Pierluigi Maria Grasselli ha presentato i punti salienti del rapporto diocesano: “Con riferimento alle attività del Centro di Ascolto della diocesi di Perugia-Città della Pieve, nel 2023, possono cogliersi aspetti dinamici e modificazioni qualitative nel complesso dei richiedenti aiuto. Prosegue nel 2023 l’aumento (+9,2%) del numero totale (1805) di questi presso tale Centro, anche se con una riduzione del tasso di crescita della povertà (nel 2022 segnava +12,7%). La quota degli italiani sale al 25,3% (con un aumento rispetto al 2022) e quella degli stranieri scende al 71,5%. Le persone con doppia cittadinanza il 3,2%. Prosegue la netta prevalenza degli stranieri (provenienti da Perù, Marocco, Ucraina, Nigeria ed altri Paesi)”.

Una particolare attenzione è stata posta sugli ‘utenti’: “Per classi di età, tra gli stranieri il peso dei giovani fino ai 34 anni è doppio di quello tra gli italiani, mentre quello degli anziani (65 ed oltre) è tra gli italiani quasi quattro volte quello degli stranieri. Tra i nuovi utenti si osserva un’incidenza molto maggiore delle classi più giovani, il che può indicare la loro sofferenza per le difficoltà della situazione attuale…

In termini di nucleo di convivenza, si evince, in continuità con il 2022, un cospicuo ulteriore aumento dell’incidenza di quelli che vivono soli, e una altrettanto forte diminuzione di quelli che vivono in un nucleo familiare. Tra i nuovi utenti, il marcato aumento della quota dei ‘soli’ risente dell’alto livello tra gli italiani (molto rilevanti i livelli assoluti: gli italiani passano da 123 a 181, gli stranieri da 200 a 292)”.

Per questo il numero complessivo degli interventi erogati tramite il Centro di ascolto diocesano nel 2023 è arrivato ad 85.049, con un aumento dell’11,6% rispetto al 2022, ed addirittura del 66,5% rispetto al 2020: “Al primo posto come quota di interventi sul totale di questi troviamo l’offerta di beni e servizi materiali, costituiti principalmente dai servizi di mensa, dall’attività degli Empori/market solidali, dalla distribuzione di pacchi viveri. Seguono i servizi di alloggio e quindi i servizi di ascolto, per lo più accompagnato da discernimento e progetto, nonché finalizzato ad attività di monitoraggio”.

Inoltre il rapporto ha evidenziato che le remunerazioni di stipendio in Umbria sono più basse rispetto a quelle di altre regioni italiane: “Per i suoi riflessi anche sulla povertà, risulta rilevante anche la presenza in Umbria, segnalata dall’AUR, di remunerazioni del lavoro dipendente più basse che in Italia; ciò a motivo, tra l’altro, di una minore presenza di figure ad alto profilo di qualificazione.

Le donne umbre, in particolare, guadagnano meno sia degli uomini umbri che delle donne italiane, anche per la diffusione del part-time, che riguarda la metà di esse. In ogni caso, le retribuzioni riflettono l’organizzazione del lavoro e la gestione delle risorse umane, e quindi la produttività media del lavoro, non elevata, delle imprese locali”.

(Foto: diocesi di Perugia – Città della Pieve)

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