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Papa Francesco invita ad essere pellegrini di speranza

“Mosso dallo Spirito, (Simeone) si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola”: anche oggi è stata pubblicata la catechesi dell’udienza generale che papa Francesco avrebbe dovuto tenere nell’Aula Paolo VI, annullata per il protrarsi del suo ricovero al Policlinico Gemelli.

Nel testo il papa ha sviluppato una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio con l’invito ad essere come i genitori di Gesù, obbedienti alla legge di Dio: “Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore ed ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa”.

Era un atto di affidamento a Dio: “Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore. Luca dunque racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi, andando incontro al compimento della sua missione”.

Però Maria e Giuseppe non affidano il proprio Figlio a Dio, ma Lo educano ed al contempo anche loro si educano: “Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga”.

Fecero ugualmente Anna e Simeone: “Nel Tempio, che è ‘casa di preghiera’, lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti.

Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi ‘nelle tenebre’ e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, ‘è nato per noi’, è il figlio che ‘ci è stato dato’, il ‘Principe della pace’, secondo la profezia di Isaia”.

In tal modo Simeone può ‘abbandonarsi’ nelle braccia di Dio attraverso la preghiera di lode: “Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata”.

Questo può avvenire perché egli è testimone della fede: “Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. E’ testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo.

Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come ‘sorella’ che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede”.

Lo stesso avviene per Anna: “Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo”.

Quindi il papa ha concluso il testo con l’invito ad essere ‘pellegrini di speranza’: “Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza. Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi ‘pellegrini di speranza’ che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno ‘fiutare’ la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle”.

Intanto oggi, con un chirografo firmato lo scorso 11 febbraio, il papa ha istituito la ‘Commissio de donationibus pro Sancta Sede’, una nuova commissione “il cui compito specifico è quello di incentivare le donazioni con apposite campagne presso i fedeli, le Conferenze episcopali e altri potenziali benefattori, sottolineandone l’importanza per la missione e per le opere caritative della Sede Apostolica, nonché reperire finanziamenti da volenterosi donatori per specifici progetti presentati dalle Istituzioni della Curia romana e dal Governatorato dello Stato Città del Vaticano, ferme restando l’autonomia e le competenze proprie di ciascun Ente, secondo la normativa vigente”.

Nell’adempiere le sue funzioni la Commissione, avrà la funzione di “strumento di coordinamento di altre modalità di raccolta di fondi, istituzionalizzate o meno, come i contributi ai sensi del can. 1271 oppure l’Obolo di San Pietro, rispettando la natura e la finalità dei singoli Istituti”.

I fedeli pregano per la salute di papa Francesco

Finestre del Gemelli con statua Giovanni Paolo II e foto di Papa Francesco

“La Parola di Dio e la preghiera raccoglieranno ed esprimeranno tutte le nostre parole, con pienezza, e ci aiuteranno a sentirci in comunione tra noi, con il Santo Padre e con le Chiese in Italia che si ritroveranno, nei prossimi giorni, nella dolce compagnia di Maria per intercedere per la salute del Papa”: lo ha affermato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, introducendo la preghiera del Santo Rosario dalla chiesa di San Domenico a Bologna.

Nella breve introduzione alla recita del rosario il presidente dei vescovi italiani ha sottolineato il valore della preghiera: “In tanti, nell’amicizia hanno affidato a noi la preghiera. Sono giunti numerosi attestati di riconoscenza e stima che presentiamo al Signore perché renda forte nella fede papa Francesco e gli doni la guarigione così che possa tornare al suo servizio per la Chiesa e per il mondo intero.

Farà piacere al papa il fatto che, insieme a lui, ricordiamo tutti gli ammalati, anche quelli dimenticati: le persone sole, quanti vivono la malattia segnati dalla violenza e dalla guerra. Gesù, nostra speranza certa, ascolti la nostra preghiera: ‘spes non confundit’, la speranza non delude”.

Quello di Bologna è stato il primo appuntamento che, da domani, unirà tutte le Chiese in Italia in un unico abbraccio orante. L’Ufficio Liturgico Nazionale ha predisposto due schemi, uno per la recita del Rosario e uno per l’Adorazione Eucaristica, che potranno essere adattati nei diversi contesti locali. A questi si aggiungono alcune intenzioni di preghiera che possono invece essere inserite nelle Celebrazioni Eucaristiche e nella Liturgia delle Ore.

E per rispondere a questo invito della Chiesa in Italia a intensificare la preghiera, la comunità del Policlinico Universitario A. Gemelli e della sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per “esprimere in maniera ancora più forte la vicinanza e il sostegno al Santo Padre Francesco in questo momento di prova e di sofferenza”, avvia da oggi una serie di iniziative spirituali ‘per tutto il tempo della degenza del Santo Padre nel nostro Policlinico’.

Infatti nella Cappella San Giovanni Paolo II, situata nella Hall dell’Ospedale, questa mattina si è svolta un’ora di adorazione, seguita dalla messa delle 13.05, mentre alle ore 16.30 con la stessa intenzione, si è svolta la recita del Rosario presso la statua di San Giovanni Paolo II nel Piazzale antistante il Policlinico Gemelli.

E da questa sera, i cardinali residenti a Roma, con tutti i collaboratori della Curia Romana e la Diocesi di Roma, ‘raccogliendo i sentimenti del popolo di Dio’, si ritroveranno in piazza San Pietro per la recita del Santo Rosario per la salute del papa, presieduta dal card. Pietro Parolin, segretario di stato vaticano.

Per questo la presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana aveva invitato tutti i ragazzi, i giovani e gli adulti dell’associazione a unirsi alla recita del Santo Rosario presieduto dal card. Matteo Zuppi: “Vogliamo stringerci al Santo Padre, chiedendo al Signore di sostenerlo in questo momento di sofferenza, perché trovi sollievo e possa ristabilirsi al più presto. Sarà un modo concreto per rinnovargli la vicinanza e l’affetto delle comunità ecclesiali italiane, che da giorni hanno intensificato la loro preghiera”.

Anche il presidente della fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, ha invitato a pregare per il papa “in questo momento per lui di fatica e di sofferenza, grati per come vive nella sua carne l’affidamento totale a Cristo, dandone testimonianza davanti a tutti secondo le parole di don Giussani.. In questi giorni offriamo il sacrificio di qualcosa di noi, affinché il Padre, per l’intercessione della Madonna, Salus Infirmorum, ci conceda la grazia della guarigione del Santo Padre”.

Gli auguri per una ‘pronta’ guarigione sono giunti anche dai musulmani italiani in una lettera inviata da Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii): “Abbiamo appreso con preoccupazione del Suo recente stato di salute e ci uniamo in preghiera affinché possa rimettersi in forma al più presto. Il Suo impegno per la pace e la giustizia nel mondo rappresenta un faro di speranza per molti. La Sua voce, che promuove il dialogo e la comprensione tra le diverse fedi e culture, è più che mai necessaria in questo momento storico. Le auguriamo una rapida e completa guarigione, affinché possa continuare la Sua dedizione nel promuovere fratellanza e solidarietà con la forza e la determinazione che La contraddistinguono”.

Infine anche il personale dell’ospedale di Mayumbé a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo esprime vicinanza a papa Francesco in questo momento delicato per la sua salute: “Le Sue parole hanno sempre illuminato il nostro cammino, ricordandoci l’importanza di ogni fase della vita. Come ha saggiamente affermato: “In una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte. Preghiamo affinché il Signore Gli conceda forza e pronta guarigione”.

Papa Francesco ai diaconi: perdono essenziale nella vita

“Cari fratelli Diaconi, voi vi dedicate all’annuncio della Parola e al servizio della carità; svolgete il vostro ministero nella Chiesa con parole e opere, portando l’amore e la misericordia di Dio a tutti. Vi esorto a continuare con gioia il vostro apostolato e, come ci suggerisce il Vangelo di oggi, ad essere segno di un amore che abbraccia tutti, che trasforma il male in bene e genera un mondo fraterno. Non abbiate paura di rischiare l’amore!”: anche oggi è stato pubblicato il testo preparato da papa Francesco per l’Angelus di questa domenica, al termine della celebrazione eucaristica del Giubileo dei Diaconi.

Nel testo papa Francesco ha ringraziato per l’affetto ricevuto in questi giorni di ricovero: “Da parte mia, proseguo fiducioso il ricovero al Policlinico Gemelli, portando avanti le cure necessarie; e anche il riposo fa parte della terapia! Ringrazio di cuore i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per l’attenzione che mi stanno dimostrando e per la dedizione con cui svolgono il loro servizio tra le persone malate…

In questi giorni mi sono giunti tanti messaggi di affetto e mi hanno particolarmente colpito le lettere e i disegni dei bambini. Grazie per questa vicinanza e per le preghiere di conforto che ho ricevuto da tutto il mondo! Affido tutti all’intercessione di Maria e vi chiedo di pregare per me”.

Ed infine ha chiesto di pregare per la pace nei Paesi in guerra: “Si compie domani il terzo anniversario della guerra su larga scala contro l’Ucraina: una ricorrenza dolorosa e vergognosa per l’intera umanità! Mentre rinnovo la mia vicinanza al martoriato popolo ucraino, vi invito a ricordare le vittime di tutti i conflitti armati e a pregare per il dono della pace in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu e in Sudan”.

Nella celebrazione eucaristica per il giubileo dei diaconi il Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell’Evangelizzazione nel Mondo, mons. Rino Fisichella, ha letto l’omelia del papa, basata su servizio disinteressato, comunione e perdono:

“L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana… Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.

Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere (ed ad insegnare agli altri a vedere) in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto”.

L’altro punto riguarda il servizio diaconale: “Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: ‘Fate del bene e prestate senza sperarne nulla’. Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, ‘scultore’ e ‘pittore’ del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità”.

E’ stato un invito ad accogliere con la carità: “Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra… Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio”.

Ed infine l’invito ad essere fonte di comunione: “Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: ‘Ecco i nostri tesori!’

E’ così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, colle parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: ‘per noi tu sei importante’, ‘ti vogliamo bene’, ‘ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita’. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete”.

Intanto dopo la crisi di ieri, che sembra superata, il bollettino medico dice che stamattina il papa, pure essendo vigile, è in uno stato maggiore di sofferenza, ma solo i risultati delle analisi e dei controlli diranno come sta davvero.

(Foto: Santa Sede)

7^ domenica del Tempo Ordinario: camminiamo in novità di vita!

Il brano del Vangelo non si ferma oggi con il dire ‘Non odiate i vostri nemici’ ma va oltre: ‘Ama i tuoi nemici … fai del bene a quelli che vi odiano!’ La morale cristiana non è un moralismo esagerato ma la conseguenza naturale dell’essere cristiani, cioè figli di Dio e perciò fratelli tra di noi,  tanto da pregare: ‘Padre nostro, che sei nei cieli’. L’etica è la conseguenza dell’essere: con il Battesimo ci siamo innestati a Cristo da costituire  con Gesù un unico corpo: il corpo mistico della Chiesa dove Cristo è il capo, noi le membra.

Il livello ontologico  deve precedere sempre quello etico; il nostro comportamento deve essere adeguato ed in sintonia con la realtà acquisita con il Battesimo. Da qui le parole di Gesù: ‘Rimanete nel mio amore ed osservate i miei comandamenti’; come vedi abbiamo due livelli: 1° sei cristiano se rimani nel mio amore; 2° se sei cristiano, discepolo di Cristo, ‘osserva i miei comandamenti’. Dio è amore, siamo allora chiamati ad amare; Gesù è morto in croce per tutti (amici ed avversari), allora ama tutti senza alcuna distinzione. L’amore o è altruismo o non è amore; vuoi sapere se qualcuno ti ama sul serio? Non fidarti delle sue parole, ma mettilo alla prova con il sacrificio: se non è capace di sacrificarsi per te, non ama te ma se stesso.

L’amore non è un divertimento; è una cosa seria perchè è qualcosa di divino. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana, va contro le logiche umane, rende vana la morale comune, polverizza le strategie del mondo. Non dimenticare: solo l’amore del nemico salverà l’umanità. Ti sembra cosa difficile? Un giorno anche l’apostolo Paolo, pieno di paura, elevò a Dio la sua preghiera; il Padre rispose: ‘Non temere, Paolo, ti basta la mia grazia; la mia potenza, dice il Signore, si manifesta pienamente nella debolezza’.

L’apostolo scriverà: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte!’ Beato l’uomo che confida nel Signore, maledetto l’uomo che confida nell’uomo.  Il Vangelo oggi ci propone l’insegnamento di Cristo: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano: chi ti percuote la guancia destra, porgi anche la sinistra. Ecco l’ideale della carità evangelica; potrebbe sembrare un paradosso, ma basta riflettere; secondo i parametri umani appare inconcepibile: amare i nemici, fare del bene a chi fa del male, ma Gesù non è venuto cento per collaudare il mondo egoista ed individualista, superbo ed orgoglioso.

Gesù conosce bene il comportamento umano: ‘Se amate quelli che vi amano, se fate del bene a chi vi ha fatto del bene … cosa avete fatto di straordinario? non fanno così anche i pagani?’ Tu sei figlio di Dio, Gesù è morto in croce per tutti e per ciascuno di noi e la sua preghiera è stata in favore dei suoi crocifissori: ‘Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno!’ Tutto quanto Gesù ci ha insegnato non è un optional, è un comando. Gesù conosce anche la nostra debolezza, per questo si è fatto uomo, è morto in croce e risorto è rimasto presente nell’Eucaristia: cibo, forza e nutrimento alla nostra debolezza.

La logica dell’amore è il distintivo della fede cristiana e ci spinge ad incontrare tutti con cuore di fratelli. Gesù ci ha dato l’esempio: oltraggiato, non risponde; ingiuriato perdona e prega: ‘Padre, perdona loro!’  Gli Apostoli, a partire dalla Pentecoste, saranno i primi testimoni dell’amore misericordioso di Dio; i nostri fratelli e sorelle, che chiamiamo ‘santi’, sono persone che hanno amato sino all’estremo sacrificio: ieri come oggi, vedi ad es. il beato Pino Puglisi, madre Teresa di Calcutta, san Pio di Pietralcina e quanti sanno amare e perdonare.

Diceva san Francesco: nessun fratello, che ha peccato, deve vedere i tuoi occhi e partirsene senza la certezza di essere stato perdonato. Amico, getta via allora l’aceto dal cuore e riempilo di miele: il miele del perdono, di dimenticare le offese ricevute, di benedire e mai maledire: la più bella vendetta è l’amore e il perdono. L’amore per il nemico è il nucleo della rivoluzione cristiana.

Nella Repubblica Democratica del Congo continuano le uccisioni contro i cristiani

“Il governo ruandese deve ritirare le sue truppe dal territorio della Repubblica Democratica del Congo e cessare la cooperazione con i ribelli dell’M23”, ha affermato il Parlamento europeo in una risoluzione non legislativa adottata con 443 voti favorevoli, 4 contrari e 48 astensioni, in cui i deputati hanno condannato l’occupazione di Goma e di altri territori nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) da parte dei ribelli dell’M23 e delle forze di difesa ruandesi in quanto violazione inaccettabile della sovranità e dell’integrità territoriale della RDC.

In tale ‘risoluzione’ i deputati hanno denunciato gli attacchi indiscriminati che coinvolgono armi esplosive, nonché uccisioni illegali, stupri e altri palesi crimini di guerra nelle aree popolate del Nord Kivu da parte di tutte le parti. Hanno anche deplorato il ricorso al lavoro forzato, al reclutamento forzato e ad altre pratiche abusive da parte dell’M23 con il sostegno dell’esercito ruandese e delle forze armate congolesi (FARDC).

Inoltre con l’invito a porre fine alle violenze, in particolare alle uccisioni di massa e all’uso dello stupro come arma strategica di guerra, il Parlamento europeo ha esortato la Repubblica Democratica del Congo ed il Rwanda a indagare e perseguire i responsabili di crimini di guerra, compresa la violenza sessuale, secondo il principio della responsabilità di comando. I deputati affermano inoltre che qualsiasi attacco alle forze delle Nazioni Unite è ingiustificabile e può essere considerato un crimine di guerra.

Per questo i deputati europei hanno criticato l’incapacità dell’Unione europea di adottare misure adeguate per affrontare la crisi e di esercitare pressioni sul Rwanda affinché ponga fine al suo sostegno all’M23 ed hanno chiesto alla Commissione europea, agli Stati membri dell’UE ed alle istituzioni finanziarie internazionali di congelare il sostegno diretto al bilancio per il Rwanda fino a quando non consentirà l’accesso umanitario all’area di crisi e romperà tutti i legami con l’M23.

La Commissione e i Paesi dell’Unione europea dovrebbero inoltre interrompere la loro assistenza militare e di sicurezza alle forze armate ruandesi per evitare di contribuire direttamente o indirettamente a operazioni militari abusive nella parte orientale della RDC.

Ma l’escaalation di violenza non si ferma in quanto a metà febbraio sono stati trovati almeno 70 corpi di cristiani decapitati in una chiesa protestante del Nord Kivu, una delle tre provincie orientali della Repubblica Democratica del Congo nelle quali decine di gruppi armati agiscono quasi incontrastati ormai da decenni, come ha sottolineato l’ong ‘Open Doors:

“Secondo alcuni media locali e internazionali, i 70 corpi sono stati trovati decapitati in una chiesa di Kasanga, in Baswagha. Le vittime erano probabilmente ostaggi dell’ADF e sono state trattenute per diversi giorni prima di essere uccise”.

Baswagha è una divisione amministrativa rurale della RDC. Si trova nel territorio di Lubero, nella provincia di Nord Kivu, a circa 100 km da Beni. Secondo i partner locali di Porte Aperte/Open Doors nella RDC orientale, Baswagha è un’area prevalentemente cristiana:

“La scorsa settimana, diversi attacchi dell’ADF hanno svuotato villaggi nel territorio di Lubero e molti dei corpi trovati nella chiesa sono stati identificati come quelli di persone disperse dopo questi attacchi. I nostri partner locali stanno lavorando per ottenere maggiori dettagli; tuttavia, l’attuale situazione della sicurezza nella parte orientale della RDC rende difficile e pericoloso viaggiare al momento”.

Per tale motivo l’ong ha chiesto ai cristiani la preghiera per le vittime: “Chiediamo alla comunità cristiana internazionale di rimanere in preghiera per i cristiani e le comunità vulnerabili nella parte orientale della RDC. Pregate per la fine della violenza e affinché il governo a tutti i livelli affronti diligentemente, imparzialmente e in modo trasparente la violenza e i suoi effetti. Pregate per la Chiesa nel Territorio del Lumbero mentre cerca di portare assistenza fisica e spirituale alle famiglie colpite”.

La Repubblica Democratica del Congo si trova alla posizione numero 35 della World Watch List: “In questo paese i cristiani affrontano gravi persecuzioni e violenze, spesso condotte da parte dei militanti islamisti delle Forze Democratiche Alleate (ADF). Connesse con lo Stato Islamico, le ADF rapiscono e uccidono cristiani e attaccano chiese, generando terrore diffuso, insicurezza e sfollamenti”.

Da Trieste mons. Trevisi invita a curare la vita spirituale

“… si apre un anno ricco di prospettive. Qui ne tratteggio alcune, a partire dalla convinzione che il Signore ci accompagna. Che non siamo soli. Che guardiamo al futuro consapevoli di essere con lo Spirito Santo: e dunque di aprire cuore e intelligenza per cogliere una parola, anzi una Presenza che getta luce e speranza e che responsabilizza. Abbiamo bisogno di rielaborare quanto papa Francesco ci ha detto. Non possiamo archiviare il mandato ricevuto. Dobbiamo ripensare e rimeditare, anche con il supporto di quanto vissuto nella ‘Settimana sociale dei Cattolici in Italia’ che si è tenuta dal 3 al 7 luglio 2024. Siamo chiamati con la Chiesa universale a vivere il Giubileo del 2025: ‘Pellegrini di speranza’è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.

E’ l’inizio della lettera pastorale (‘Io sono con te’) del vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, che invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.

Nella lettera il vescovo di Trieste ha evidenziato una realtà, quella che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore).

E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.

Partendo da questa evidenza gli abbiamo chiesto di raccontare la genesi di questa lettera: “La fede cristiana al suo centro ha Dio, come ci è rivelato in Gesù Cristo. Non una dottrina, non una serie di regole morali, ma Dio che ci viene incontro dentro una storia che ha il suo culmine nel Signore Gesù, il Figlio Unigenito che si fa carne umana e ci rivela il volto misericordioso di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Nel mio motto episcopale (‘Admirantes Iesum’) ho invitato a guardare a Gesù con ammirazione, a tenere fisso lo sguardo su di Lui ma con meraviglia. La mia prima Lettera pastorale (da un versetto del Salmo 33) l’ho intitolata: ‘Guardate a Lui e sarete raggianti’. E già portava nella direzione di essere con lo sguardo su Dio, anzi su Gesù che ne è la Rivelazione compiuta. Da lì poi la declinazione dei vari cantieri sinodali, dei vari impegni di rinnovamento della nostra Chiesa.

Nella Lettera pastorale di quest’anno (‘Io son con te’) ho ancora riproposto di partire dalla presenza di Dio in ogni stagione della storia e della vita. ‘Io sono con te’ è un’espressione che (con le sue varianti) ritorna continuamente: inizio dalla trama di famiglia di Isacco e Giacobbe e colgo come questa promessa viene continuamente ripetuta. Ad Isacco: ‘Io sarò con te e ti benedirò’; ‘Non temere, perché io sono con te…’. A Giacobbe ‘Io sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai, non ti abbandonerò’.

E da qui sono partito a rintracciare che a Mosè, a Giosuè, a Gedeone, al popolo di Israele, a Geremia, fino ad arrivare a Maria e agli apostoli questa promessa viene ripetuta: talvolta al singolare, talvolta al plurale, talvolta al presente (sono con te/con voi) e talvolta al futuro (sarò con te/con voi)”.

E’ iniziato il Giubileo: come essere ‘pellegrini di speranza’ nella ferialità?

“Per me vivere la speranza significa camminare sapendo che Dio non ci abbandona ma ci protegge, è con me, con noi, ovunque ci accompagna. Dentro i vissuti concreti che ci contraddistinguono saper scorgere che Dio rimane con noi e ci consente di essere segno della sua misericordia: un anticipo rispetto alla pienezza che ci attende in Paradiso. E così in ogni nostro incontro, in ogni nostro giorno, noi possiamo restare stupiti che Dio passa anche attraverso la nostra piccolezza, il nostro essere ‘servi inutili’. E per mezzo dello Spirito saper dare la nostra adesione, come Maria, ad un Dio ricco di misericordia, ma che vede la nostra piccolezza, che però è preziosa, e dunque siamo chiamati ad amarlo nei nostri fratelli e sorelle, soprattutto nei più fragili”.

Perché non si deve temere di incontrare Gesù?

“Tutti noi conosciamo persone tristi, amareggiate, che hanno perso il gusto della vita. Io penso che con Gesù possiamo ritrovare la preziosità di quel che siamo. Noi siamo gli amati da Dio e la prova è che il suo Figlio per me si è dato totalmente, fino alla croce. E io posso (con l’aiuto dello Spirito Santo) dare l’occasione a Dio di mostrare la sua premura per ogni persona che incontro. La mia testimonianza è essere segno di Lui, della sua vicinanza a chiunque”.

In quale modo la preghiera può nutrire?

“Una ragazza diceva: ‘Mi avete insegnato a dire le preghiere ma non a pregare’. Penso questa sia una sfida urgente: vivere Gesù non come una dottrina o come una pagina di storia passata, ma come un tu con cui incontrarsi e vivere un’amicizia, una condivisione di speranze e progetti. Scrutare una pagina di Vangelo, fermarsi in silenzio ad adorare l’Eucaristia, ritornare come i due discepoli di Emmaus a raccontare che il cuore ardeva mentre quel viandante parlava (ed era Gesù). Tante le esperienze di preghiera che riaccendono entusiasmo e motivazioni per la vita concreta. Si tratta di una preghiera che non si riduce ad una formula, ma che è una relazione capace di illuminare la vita e le scelte da prendere”.

In quale modo è possibile nutrire una fede inquieta?

“Incontrando Gesù ed evitando che resti un personaggio da museo, ma un Qualcuno di vivo che mi porta a percorrere le strade delle mie responsabilità, anche passando attraverso il suo perdono. E farlo insieme, combinando momenti di solitudine e di silenzio con momenti comunitari (il nostro essere Chiesa) in cui usciamo da nostre autoreferenzialità e derive unicamente emotive”.

Quindi per quale motivo invita a prendersi cura della vita spirituale?

“Trovo strano che i genitori si preoccupino che i figli vadano a scuola o facciano sport (che alimentino la loro intelligenza e si prendano cura del loro corpo), ma che non si ingegnino ad aiutarli a prendersi cura della loro coscienza, del loro cuore e dunque della loro vita spirituale. L’aumento di giovani che hanno disturbi depressivi, alimentari, atti di autolesionismo… dovrebbe portarci a comprendere che oggi è indispensabile prendersi cura della propria vita spirituale: e lì si incontra il mistero di quello che siamo e speriamo, ma anche il mistero di un Dio che cerchiamo e che ci cerca”.

(Tratto da Aci Stampa)

Ad Arezzo festeggiata la Madonna del Conforto: è un invito ad elevare una preghiera

“Dopo un cammino sinodale di un anno e mezzo, in vista di un più efficace annuncio del Vangelo e di presenza della Chiesa nel territorio, con il desiderio di promuovere la partecipazione di tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose e laici, alla vita della Chiesa, viene ristrutturata la suddivisione del nostro territorio chiudendo la realtà delle sette zone pastorali che confluiscono in otto vicariati che sostituiscono gli attuali ventuno.

Nei prossimi giorni verranno nominati anche i nuovi vicari foranei. Il cammino di revisione proseguirà ora con una rivisitazione delle unità pastorali. Si avvia anche un cammino di ripensamento della struttura della curia diocesana perché sia sempre più al servizio della diocesi, e possa essere strumento al servizio dell’annuncio del Vangelo, favorendo l’incontro con tutti”.

Così ha  comunicato al termine della celebrazione eucaristica, che ha concluso la festa della Madonna del Conforto, il vescovo di Arezzo–Cortona- SanSepolcro, mons. Andrea Migliavacca, che nell’omelia  ha immaginato di sentire le voci di supplica di un popolo in esilio: “Immagino la preghiera, l’invocazione, il grido magari del popolo Israele in esilio, rivolto al suo Dio, chiedendo di tornare, di ritrovare la libertà, di avere salva la vita propria e delle proprie famiglie… In fondo è così il Dio che Israele ha imparato a scoprire e di cui fidarsi e così ci ha rivelato il volto di Dio Gesù”.

E così ecco emergere le parole che scaturiscono dallo sguardo alla Madonna del Conforto verso Dio, che ascolta le suppliche di un popolo: “E questa pagina di vangelo ci porta a guardare a Maria, alla Madonna del conforto e scopriamo, anzi lo sappiamo bene, che lei ascolta, che lei ci ha accolti come figli, che lei sta con noi…, come ci dice questo vangelo.

Dio ascolta, Dio accoglie le nostre preghiere, Dio consola e dona speranza…, questo ci raccontano le Scritture questa sera e rinnova, rende vivo per noi questo ascolto e questa accoglienza grazie a Maria, la madre di Gesù, la Madonna del conforto che tutti noi ascolta e accoglie”.

Così ha immaginato, di nascosto, sentire le suppliche alla Madonna del Conforto da parte dei fedeli: “Sento la preghiera di una mamma che alla Madonna chiede di proteggere i propri figli che stanno diventando grandi e le affida le sue preoccupazioni. Ascolto anche la preghiera di un giovane che miracolosamente si è salvato da un incidente e viene qui a ringraziare Maria, da lei si è sentito protetto. Ma quante preghiere! Sono commosso da quella madre che affida alla Madre Maria il figlio prematuramente e dolorosamente scomparso.

Mi colpisce la preghiera di un imprenditore, mi pare di capire che sia del settore orafo, che confida a Maria le sue preoccupazioni per il lavoro che si è fatto più duro ed incerto, con il timore di non farcela a mantenere tutti i dipendenti e quindi la garanzia di sicurezza per le loro famiglie e chiede alla Madonna non un guadagno facile, ma un lavoro giusto per tutti”.

Davanti agli occhi del vescovo anche un bambini ed una coppia di fidanzati: E poi si fa avanti un bambino, simpatico… la sua preghiera è bellissima: Mamma di Gesù ti affido i miei genitori, mamma e babbo; fa che stiano bene, che si vogliano e bene e che abbiano tempo per stare un po’ con me e per giocare insieme.

Mano nella mano ci sono anche due fidanzatini, una coppia… e si vede che si vogliono bene. Passano davanti alla Madonna del conforto in silenzio, ma i loro occhi sono tutti un luccichio di preghiera e di affetto per lei, la Madre e tra di loro. Chissà che sogni portano nel cuore per il loro futuro”

Nel ‘sogno’ compaiono anche alcuni fedeli stranieri che invocano la pace: “Alcuni vengono dall’Ucraina, altri sono di Betlemme, di Hebron, anche da Gaza. Hanno tutti una preghiera comune: la pace. Non si fidano dei grandi della terra, di quelli che vogliono fare i loro sporchi affari sulla loro pelle. Chiedono a Maria, che quella è anche la sua terra, di proteggerli dal male, dalle persone cattive, dalla violenza della guerra, dalle ferite e dalla morte. Pregano per la pace e sembra che vogliano coinvolgere tutti noi, tutti quelli che sono qui dentro a pregare con forza, con loro, per la pace”.

Al termine del sogno mons. Migliavacca ha invitato tutti ad esprimere la propria preghiera: “E poi vorrei raccogliere le preghiere di tutti quelli che sono entrati qui per passare davanti alla Madonna del conforto e consegnargliele io, voglio chiedere a Maria che ascolti davvero tutte le preghiere che le sono state rivolte qui in questi giorni e oggi.

Ma manca ancora una preghiera… la tua. Anche tu che sei qui ora puoi entrare in quella cappella in cui veneriamo l’immagine più bella di Arezzo, Maria. E prega. Porta a lei la tua preghiera, la tua invocazione, il tuo ringraziamento e la tua lode. Ci stai anche tu. E ci ascolti Maria, ascolti noi e il nostro mondo, lei che è la Madonna del Conforto”.

Nella celebrazione eucaristica mattutina  mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo metropolita di Firenze, ha suggerito tre immagini, di cui la prima è l’abbraccio,come è raccontato dal profeta Isaia: “Nell’ultima parte del libro di Isaia il Signore invita il popolo di Israele a sperare presentandosi come un madre che allatta e accarezza il figlio tenendolo sulle ginocchia…

Leggendo questo testo del profeta alla luce del Nuovo Testamento il verbo ‘consolare’ ci fa pensare all’azione dello Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore che viene in aiuto alla nostra debolezza e che ci aiuta a riconoscere Dio come un padre con cuore di madre”.

Mentre l’ultima parola riguarda l’abbondanza: “Il Signore ama chi dona con gioia, ma potremmo aggiungere anche che Egli dona la gioia a chi ama. C’era una volta un beduino che possedeva 11 cammelli. Aveva tre figli. Alla sua morte i figli aprono il testamento e trovano queste disposizioni: ‘Lascio la metà dei miei cammelli al primo figlio; un quarto al secondo; un sesto al terzo’. Ma 11 non è divisibile per 2, così il primo figlio chiede di avere 6 cammelli. Ovviamente gli altri non sono d’accordo. Ed inizia una lite furibonda. Già stanno per tirare fuori i coltelli.

In quel momento passa di lì un beduino, sente le urla, si ferma, chiede spiegazioni. Sentiti i problemi decide di donare il suo cammello. Così 11+1 fa 12; 12 diviso 2 fa 6; 12 diviso 4 fa 3; 12 diviso 6 fa 2. 6+3+2 fa 11. Tutti sono soddisfatti. Il beduino si riprende il suo cammello e prosegue il viaggio. Il racconto ci insegna due cose: chi dona non ci perde e, soprattutto, ci vuole un dono perché la giustizia avvenga”.

(Foto: Diocesi di Arezzo-Cortona-SanSepolcro)

Papa Francesco alle confraternite di pietà popolare: non dimenticare la preghiera

“Sono molto lieto di accogliervi come pellegrini in questo Anno Giubilare. Sono venuti per ringraziare Dio per l’ultimo Congresso Internazionale delle Confraternite e della Pietà Popolare. Quando mi hanno detto che saresti venuto, ero un po’ preoccupato, perché nel messaggio ti avevo chiamato ‘pazzo’ e forse era per questo che eri interessato a incontrarmi. Ma mons. Saiz Meneses mi dice che questa iniziativa è stata una grazia i cui echi si possono ancora udire e che mi sento più a mio agio”: anche oggi papa Francesco, ancora non pienamente in forma, ha ricevuto in Casa santa Marta la Commissione esecutiva del II Congresso internazionale delle Confraternite e della pietà popolare.

Durante l’incontro ha ricordato un suo precedente messaggio: “Nel mio messaggio, se ricordate, ho proposto di vivere questo evento come una preghiera di lode, che accompagni il nostro cammino terreno come un pellegrinaggio verso Dio e verso i fratelli. In questo modo chiedeva loro di essere testimoni di un amore traboccante, al punto da sembrare pazzi, pazzi d’amore”.

Anche a loro ha ricordato il valore della preghiera: “Quanto sarebbe bello per noi se, al termine di questo evento, i primi echi si udissero soprattutto nelle famiglie. Si potrebbe udire come il silenzio fragoroso di una preghiera che giunge fino alle lacrime, perché viene dal cuore; sia davanti all’immagine del titolare della loro fratellanza, che presiede le loro case; sia davanti al Tabernacolo della parrocchia o del tempio, sia accanto al letto del malato o in compagnia degli anziani”.

Infine ha sottolineato la loro iniziativa di una casa per i ‘senzatetto’: “Il vostro Arcivescovo mi ha anche detto che un altro di questi echi, già realizzato, è una casa di accoglienza per i senzatetto, frutto della carità nascosta a cui ho fatto riferimento nel mio messaggio. Spero che in quest’opera potremo sempre sentire il battito di un cuore amorevole. Proponiamo che, attraverso ‘il rispetto, l’affetto e la cura’ in questa casa, la società e coloro che vengono accolti tornino a riconoscere la dignità unica di ogni persona”.

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco chiede impegno per debellare la tratta di esseri umani

“Sono felice di incontrarvi e di unirmi a voi che quotidianamente siete impegnati contro la tratta di persone. Ringrazio in particolare ‘Talitha Kum’ per il servizio che svolge. Grazie! Ci ritroviamo alla vigilia della festa di santa Giuseppina Bakhita, che fu vittima di questa terribile piaga sociale. La sua storia ci dà tanta forza, mostrandoci come, nonostante le ingiustizie e le sofferenze subite, con la grazia del Signore sia possibile rompere le catene, tornare liberi e diventare messaggeri di speranza per altri che sono in difficoltà”.

Pur non essendo in buona salute papa Francesco oggi ha incontrato a Casa Santa Marta una delegazione della rete contro la tratta delle persone, n occasione della XI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone (istituita nel 2015), la cui promozione è stata affidata alla stessa rete, all’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg) e all’Unione dei superiori generali (Usg), che si celebra domani, 8 febbraio, memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, vittima di questa piaga sociale:

“La tratta è un fenomeno globale che miete milioni di vittime e non si ferma davanti a nulla. Trova sempre nuovi modi per insinuarsi nelle nostre società, ad ogni latitudine. Di fronte a questo dramma non possiamo restare indifferenti e, proprio come fate voi, dobbiamo unire le nostre forze, le nostre voci e richiamare tutti alle proprie responsabilità, per contrastare questa forma di criminalità che guadagna sulla pelle delle persone più vulnerabili”.

Quindi ha esortato ad impegnarsi contro questo sfruttamento di milioni di persone: “Non possiamo accettare che tante sorelle e tanti fratelli siano sfruttati in maniera così ignobile. Il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna e una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali”.

E’ stato un ringraziamento per questa ‘battaglia’ di sensibilizzazione: “So che siete un gruppo internazionale, alcuni di voi sono arrivati da molto lontano per questa settimana di preghiera e riflessione contro la tratta. Vi ringrazio! In modo speciale mi congratulo con i giovani ambasciatori contro la tratta che, con creatività ed energia, trovano sempre nuovi modi per sensibilizzare e informare”.

Il richiamo del papa è un ulteriore incoraggiamento ad essere ‘ambasciatori’ di speranza: “Incoraggio tutte le organizzazioni di questa rete e tutti i singoli che ne fanno parte a continuare ad unire le forze, mettendo al centro le vittime e i sopravvissuti, ascoltando le loro storie, prendendovi cura delle loro ferite e amplificando la loro voce. Questo significa essere ambasciatori di speranza; spero che in questo Giubileo tante altre persone seguano il vostro esempio”.

E per tale occasione papa Francesco ha indirizzato un messaggio a questi nuovi ambasciatori di speranza: “Con gioia mi unisco a voi nell’undicesima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Questo evento ricorre nella memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, donna e religiosa sudanese, sin da bambina vittima di tratta, divenuta simbolo del nostro impegno contro questo terribile fenomeno. In questo anno giubilare camminiamo insieme, come ‘pellegrini di speranza’, anche sulla strada del contrasto alla tratta”.

Il messaggio papale offre una concreta risposta alle domande impellenti per la dignità umana: “Ma come è possibile continuare a nutrire speranza davanti ai milioni di persone, soprattutto donne e bambini, giovani, migranti e rifugiati, intrappolate in questa schiavitù moderna? Dove attingere sempre nuovo slancio per contrastare il commercio di organi e tessuti umani, lo sfruttamento sessuale di bambini e bambine, il lavoro forzato, compresa la prostituzione, il traffico di droghe e di armi? Come facciamo a registrare nel mondo tutto questo e a non perdere la speranza?

Solo sollevando lo sguardo a Cristo, nostra speranza, possiamo trovare la forza di un rinnovato impegno che non si lascia vincere dalla dimensione dei problemi e dei drammi, ma nel buio si adopera per accendere fiammelle di luce, che unite possono rischiarare la notte finché non spunti l’aurora”.

Per questo i giovani sono un bell’esempio: “Ci offrono un esempio i giovani che in tutto il mondo lottano contro la tratta: ci dicono che bisogna diventare ambasciatori di speranza e agire insieme, con tenacia e amore; che occorre mettersi a fianco delle vittime e dei sopravvissuti”.

E’ una richiesta a combattere contro ogni ingiustizia: “Con l’aiuto di Dio possiamo evitare di assuefarci all’ingiustizia, allontanare la tentazione di pensare che certi fenomeni non possano essere debellati. Lo Spirito del Signore risorto ci sostiene nel promuovere, con coraggio ed efficacia, iniziative mirate per indebolire e contrastare i meccanismi economici e criminali che traggono profitti dalla tratta e dallo sfruttamento.

Ci insegna anzitutto a metterci in ascolto, con vicinanza e compassione, delle persone che hanno fatto esperienza della tratta, per aiutarle a rimettersi in piedi e insieme con loro individuare le vie migliori per liberare altri e fare prevenzione. La tratta è un fenomeno complesso, in continua evoluzione, e trae alimento da guerre, conflitti, carestie e conseguenze dei cambiamenti climatici. Pertanto richiede risposte globali e uno sforzo comune, a tutti i livelli, per contrastarlo.

E’ un invito alla promozione della dignità umana: “Invito dunque tutti voi, in modo particolare i rappresentanti dei governi e delle organizzazioni che condividono questo impegno, a unirsi a noi, animati dalla preghiera, per promuovere le iniziative in difesa della dignità umana, per l’eliminazione della tratta di persone in tutte le sue forme e per la promozione della pace nel mondo…

Sorelle e fratelli, vi ringrazio per il coraggio e la tenacia con cui portate avanti quest’opera, coinvolgendo tante persone di buona volontà. Andate avanti con la speranza nel Signore, che cammina con voi!”

(Foto: Santa Sede)

Papa Francesco invita alla comunione tra Chiese

In mattinata papa Francesco ha ricevuto in udienza il personale sanitario degli ospedali di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia, a cui ah consegnato il discorso a motivo di problemi salutari, nel quale ha ‘esaltato’ la professione delle ostetriche e dei ginecologi: “In effetti, in Italia, e anche in altri Paesi, sembra si sia perso l’entusiasmo per la maternità e la paternità; le si guarda come fonte di difficoltà e di problemi, più che come lo spalancarsi di un nuovo orizzonte di creatività e di felicità”.

E’ stato un appello ad invertire la ‘rotta’ della denatalità, soffermandosi su tre parole: “E questo dipende molto dal contesto sociale e culturale. Per questo voi, come Ordine professionale, vi siete dati un obiettivo programmatico: invertire la tendenza della denatalità. Bravi! Mi congratulo con voi. E allora vorrei riflettere con voi su tre ambiti complementari e interdipendenti della vostra vita e della vostra missione: la professionalità, la sensibilità umana e, per chi crede, la preghiera”.

Per il papa, innanzitutto, è necessario essere professionali: “Il continuo miglioramento delle competenze è parte non solo del vostro codice deontologico, ma anche di un cammino di santità laicale. La competenza è lo strumento con cui potete esercitare al meglio la carità che vi è affidata, sia nell’accompagnamento ordinario delle future mamme, sia affrontando situazioni critiche e dolorose. In tutti questi casi la presenza di professionisti preparati dona serenità e, nelle situazioni più gravi, può salvare la vita”.

Però, oltre la professionalità, occorre possedere la sensibilità: “In un momento cruciale dell’esistenza come quello della nascita di un figlio o di una figlia, ci si può sentire vulnerabili, fragili, e perciò più bisognosi di vicinanza, di tenerezza, di calore. Fa tanto bene, in tali circostanze, avere accanto persone sensibili e delicate. Vi raccomando perciò di coltivare, oltre all’abilità professionale, anche un grande senso di umanità”.

Infine ha invitato anche a mettere al centro della professione la preghiera: “E veniamo al terzo punto: la preghiera. E’ una medicina nascosta ma efficace che chi crede ha a disposizione, perché cura l’anima. A volte sarà possibile condividerla con i pazienti; in altre circostanze, la si potrà offrire a Dio con discrezione e umiltà, nel proprio cuore, rispettando il credo e il cammino di tutti…

Vi incoraggio perciò a sentire nei confronti delle mamme, dei papà e dei bambini che Dio mette sulla vostra strada, la responsabilità di pregare anche per loro, specialmente nella Santa Messa, nell’Adorazione eucaristica e nell’orazione semplice e quotidiana”.

Inoltre ha incontrato anche i sacerdoti ed i monaci delle Chiese Autocefale Orientali, a cui ha detto (sempre nel discorso consegnato) di essere contento della visita: “Questa è la quinta visita di studio per giovani sacerdoti e monaci ortodossi orientali organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Visite simili per sacerdoti cattolici sono state preparate dal Catholicossato armeno di Etchmiadzin e dalla Chiesa Ortodossa Sira Malankarese. Sono molto grato per questo ‘scambio di doni’, promosso dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, perché permette di affiancare il dialogo della carità al dialogo della verità”.

Quindi ha ricordato l’importanza del Concilio di Nicea: “La vostra visita ha una rilevanza particolare nell’anno in cui si celebra il 17° centenario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, che professò il Simbolo della fede comune a tutti i cristiani. Vorrei quindi riflettere con voi sul termine ‘Simbolo’, che ha una forte dimensione ecumenica, nel suo triplice significato.

In senso teologico, per Simbolo s’intende l’insieme delle principali verità della fede cristiana, che si completano e si armonizzano tra loro. In questo senso, il Credo niceno, che espone sinteticamente il mistero della nostra salvezza, è innegabile e ineguagliabile”.

Ed ha spiegato il significato ecclesiologico di questo Simbolo: “Tuttavia, il Simbolo ha anche un significato ecclesiologico: infatti, oltre alle verità, unisce anche i credenti. Nell’antichità, la parola greca symbolon indicava la metà di una tessera spezzata in due da presentare come segno di riconoscimento. Il Simbolo è quindi segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti”.

Ecco l’importanza del Simbolo: “Ognuno possiede la fede come “simbolo”, che trova la sua piena unità solo assieme agli altri. Abbiamo dunque bisogno gli uni degli altri per poter confessare la fede, ed è per questo che il Simbolo niceno, nella sua versione originale, usa il plurale ‘noi crediamo’. Andando oltre in questa immagine, direi che i cristiani ancora divisi sono come dei ‘cocci’ che devono ritrovare l’unità nella confessione dell’unica fede. Portiamo il Simbolo della nostra fede come un tesoro in vasi d’argilla”.

Infine il terzo significato è quello ‘spirituale’: “Non dobbiamo mai dimenticare che il Credo è soprattutto una preghiera di lode che ci unisce a Dio: l’unione con Dio passa necessariamente attraverso l’unità tra noi cristiani, che proclamiamo la stessa fede. Se il diavolo divide, il Simbolo unisce! Come sarebbe bello che, ogni volta che proclamiamo il Credo, ci sentissimo uniti ai cristiani di tutte le tradizioni!”

Ed ha auspicato che tale ‘fede comune’ possa diventare comunione: “La proclamazione della fede comune, difatti, richiede prima di tutto che ci amiamo gli uni gli altri, come la liturgia orientale invita a fare prima della recita del Credo: ‘Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito, professiamo la nostra fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo’.

Cari fratelli, auspico che la vostra presenza diventi un ‘simbolo’ della nostra comunione visibile, mentre perseveriamo nella ricerca di quella piena unità che il Signore Gesù ha ardentemente desiderato”.

(Foto: Santa Sede)

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