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Per il Giubileo settimana di mobilitazione contro la tratta

‘Ambasciatori di speranza. Insieme contro la tratta di persone’ è il tema scelto, in continuità con il Giubileo in corso, per l’undicesima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che si celebra ogni anno l’8 febbraio, in occasione della festa di santa Bakhita, donna e suora sudanese vittima di tratta e simbolo universale dell’impegno della Chiesa contro questo fenomeno.
Giovani della rete globale contro la tratta, provenienti da tutti i continenti, sono giunti a Roma in occasione della Giornata, per una settimana di formazione e incontri, con un momento centrale di preghiera e riflessione insieme a papa Francesco, che ha istituito nel 2015 la Giornata, affidandone la promozione all’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) e all’Unione dei superiori generali (Usg) e il coordinamento a ‘Talitha Kum’, la rete internazionale anti-tratta che conta più di 6.000 suore, amici e partner in tutto il mondo.
Secondo le Nazioni Unite, sono 50.000.000 le persone vittime della tratta a livello globale. Coloro che ne soffrono maggiormente le conseguenze sono donne, bambini, migranti e rifugiati. Una vittima su tre è un bambino, mentre il 79% delle vittime dello sfruttamento sessuale a livello globale sono donne e ragazze. Le persone costrette alla migrazione forzata sono circa 120.000.000.
Guerre, conflitti, violenze, povertà e catastrofi ambientali li portano ad abbandonare le proprie case, rendendoli particolarmente vulnerabili alla tratta e allo sfruttamento per la pericolosità delle rotte e perché spesso si fa ricorso a trafficanti o al mercato nero per spostarsi da un Paese all’altro. A questo si aggiunge un’altra forma di tratta, che è lo sfruttamento online.
Oggi continuano le attività di formazione e sensibilizzazione sul tema della tratta; giovedì 6 febbraio, al mattino, pellegrinaggio dei giovani attraverso le Porte Sante, mentre il pomeriggio, dalle 17 alle 19, all’Università Pontificia della Santa Croce di Roma si svolgerà l’evento Appello alla speranza e alla guarigione, con le testimonianze di alcuni sopravvissuti alla tratta, giovani attivisti e la performance di artisti come la band Gen Verde.
La mattina di venerdì 7 febbraio papa Francesco incontrerà la delegazione dei giovani ambasciatori, i sopravvissuti e i rappresentanti della rete delle organizzazioni promotrici della Giornata. Subito dopo ci sarà il pellegrinaggio online di preghiera e riflessione contro la tratta, che attraverserà tutti i continenti e i fusi orari: dall’Oceania all’Asia, Medio Oriente, Africa, Europa, Sud America e, infine, il Nord America. L’evento sarà trasmesso in diretta streaming in cinque lingue (inglese, spagnolo, portoghese, francese, italiano) su www.preghieracontrotratta.org/yt/it.
Sabato 8 febbraio, i giovani ambasciatori si riuniranno per un giorno intero di dialogo e lavoro, che culminerà con il lancio della nuova chiamata all’azione globale contro la tratta, che diventerà un nuovo strumento di sensibilizzazione e mobilitazione da usare in tutto il mondo. Gli organizzatori invitano tutti a dedicare un post, un tweet e condividerlo il 7 e l’8 febbraio usando gli hashtag ufficiali #PrayAgainstTrafficking #iubilaeum2025.
Ed ecco la storia di Grace, raccontata nel sito della rete: “Grace è fuggita dai suoi trafficanti a Dubai e ha cercato subito aiuto in una chiesa locale. Lì ha incontrato un sacerdote e delle suore che l’hanno messa rapidamente in contatto con le Sorelle di Talitha Kum nel suo Paese d’origine, la Nigeria. Grazie al loro sostegno, ha potuto lasciare gli Emirati Arabi Uniti ed è stata accolta calorosamente dalle suore di Villa Bakhita all’aeroporto. Grace ricorda quanto siano state premurose mentre elaborava il trauma della sua esperienza, dandole modo di condividere la sua storia solo quando si fosse sentita pronta.
Durante il periodo trascorso al rifugio, Grace ha avuto la possibilità di andare regolarmente a Messa e ha instaurato un forte legame con le suore. Speranzosa e determinata a proseguire gli studi, le suore le hanno offerto corsi di informatica e una formazione pratica in cucina e pasticceria. Talitha Kum infatti mette a disposizione anche corsi di catering, sartoria e parruccheria per consentire ai sopravvissuti di recuperare l’indipendenza e reintegrarsi nella società.
La vicenda di Grace porta con sé un potente messaggio di speranza, non solo per i sopravvissuti, ma anche per chi li assiste. Una sorella di Villa Bakhita ha detto: Storie come la sua sono molto incoraggianti. Questo lavoro può essere impegnativo e frustrante, ma quando si è testimoni di persone che rispondono e collaborano, si rafforza la motivazione a continuare e ci si rassicura che c’è speranza. E’ un forte messaggio di speranza per tutti gli altri sopravvissuti”.
(Foto: Talitha Kum)
I vescovi della Puglia non legittimano la guerra

“Questa sera siamo qui, insieme, come Popolo di Dio, non semplicemente per pregare invocando il dono della pace, ma per celebrarla. In un mondo segnato dalla piaga delle guerre, noi celebriamo la pace, la pace con la ‘P’ maiuscola, quella vera, la sola in grado di trasformare nel profondo il cuore dell’uomo: Cristo Gesù! E’ Lui il vero nome della pace… Non è possibile legittimare la guerra neanche dinanzi a ingiustizie criminali. La guerra è sempre un tornare indietro e un aprire alla barbarie”: lo ha affermato mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pugliese (Cep), nell’omelia pronunciata nella celebrazione eucaristica nella basilica di San Nicola a Bari, durante l’assemblea ordinaria dei vescovi pugliesi, svoltasi fino al 15 gennaio presso l’Oasi francescana ‘De Lilla’ di Bari.
Nell’omelia l’arcivescovo di Bari ha invitato ad essere ‘servitori luminosi’ come il santo barese: “Da sempre il Signore ci ha pensati e plasmati come servitori luminosi della Sua Parola che arreca pace e salvezza, perché tale salvezza possa raggiungere tutti, ma proprio tutti, come afferma il profeta Isaia… San Nicola, con i suoi gesti, con la sua vita, ci richiama insistentemente al nostro essere servitori luminosi del Regno di Dio, un Regno che si va realizzando nella storia, nonostante a volte sembri che le tenebre dell’odio e della vendetta prevalgano, dissimulando la verità luminosa della pace e della salvezza”.
La Bibbia invita ad essere custode del ‘gregge’: “Custodire implica un amore unico e totalizzante nei confronti del Signore, nostra Pace, che ci chiede: ‘mi ami tu, più di tutto il resto?’. Solo un amore grande per il Signore può aprirci a un’alterità da custodire e non da manipolare in maniera dispotica e indegna, passando dalla logica mortifera di Caino a quella feconda di vita a cui Cristo ci orienta; dalla logica prepotente e omicida, alla pace di popoli fratelli che si riscoprono insieme eredi di un’unica Promessa di futuro, la quale si realizza nelle reciproche libertà”.
Un ‘appello’ alla pace ed alla custodia che è sfida evangelica: “Ecco la sfida evangelica: mettersi in gioco, sapendo rigenerare le relazioni, i valori del vivere, alimentando la cultura dell’incontro, perché da indifferenti e ostili si possa divenire ospitali. L’immagine dei pascoli, in cui il Signore desidera pascere il suo popolo, e che attraversa tutta la liturgia della Parola, accende la nostra fantasia, rievocando orizzonti ampi, profumi intensi che aprono a respiri profondi. ‘Inspirare’ la pace, accoglierla in noi, facendole spazio nei pensieri, nei sentimenti, nei gesti, nei linguaggi: questo ci aiuta a viverne la profezia”.
Tutto ciò si può ottenere attraverso la preghiera: “C’è una sottile operazione di discredito sul tema della pace che, come Chiesa, non possiamo sottacere e, dinanzi alla quale dobbiamo abbracciare con forza la risorsa della preghiera. La preghiera è patrimonio di tutti e, in particolare, la preghiera d’intercessione, vissuta da Gesù sulla croce, ha il sapore della misericordia e l’obiettivo della riconciliazione”.
La pace si ‘ottiene’ solo se uno è capace di viverla: “Non ci può essere pace nel mondo se prima non ci lasciamo abitare da lei, se non ci lasciamo rappacificare intimamente dalla voce del Signore che richiama ciascuno, con il suo amore impossibile, a realizzare tutto il bene possibile”.
Per questo ha chiamato gli operatori di pace ‘audaci’: “I veri audaci non sono quelli che in nome di una causa, giusta per quanto sia, uccidono i fratelli. Veri audaci sono piuttosto coloro che coltivano la pace come frutto della giustizia, secondo l’espressione del profeta Isaia. La non-violenza è l’unica scelta cristiana in linea con il Vangelo di Gesù Cristo”.
Quindi l’altro passo, che non può essere disgiunto dalla pace è la preghiera: “Il perdono di Cristo ci aiuta a trovare il pascolo comune dove possiamo condividere il cibo della pace con chiunque, con il povero e con il ricco, con l’amico e con il nemico, con il fratello e con lo straniero. Un pascolo comune dove approdare insieme, sapendoci fidare di quella parola perentoria e soave: Seguimi”.
Così ha fatto san Nicola di Mira: “Il Santo vescovo di Mira, nostro grande intercessore, ha seguito il Signore nella sua vita così da diventare egli stesso segno efficace del suo Amore, pastore vittorioso non nel potere o nel successo, ma in quella peculiare capacità di edificare il Regno di Dio in mezzo agli uomini. Da qui, da questo altare, da questa comunione vissuta, desideriamo implorare l’aiuto del Signore mediante l’intercessione di Nicola”.
Papa Francesco invita a celebrare la Pasqua unitariamente

“Gesù arriva nella casa delle sue amiche, Marta e Maria, quando il loro fratello Lazzaro è già morto da quattro giorni. Ogni speranza sembra ormai perduta, al punto che le prime parole di Marta esprimono il suo dolore insieme al rammarico perché Gesù è arrivato tardi… E’ quell’atteggiamento di lasciare sempre la porta aperta, mai chiusa! E Gesù, infatti, le annuncia la risurrezione dalla morte non soltanto come un evento che si verificherà alla fine dei tempi, ma come qualcosa che accade già nel presente, perché Lui stesso è risurrezione e vita… Soffermiamoci anche su questo interrogativo: ‘Credi questo? E’ una domanda breve ma impegnativa”.
Nella giornata conclusiva della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nel giorno della conversione di san Paolo, papa Francesco ha riletto la resurrezione di Lazzaro, affermando che la speranza non svanisce: “Questo tenero incontro tra Gesù e Marta, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci insegna che, anche nei momenti di desolazione, non siamo soli e possiamo continuare a sperare. Gesù dona vita, anche quando sembra che ogni speranza sia svanita.
Dopo una perdita dolorosa, una malattia, una delusione amara, un tradimento subito o altre esperienze difficili, la speranza può vacillare; ma se ciascuno di noi può vivere momenti di disperazione o incontrare persone che hanno perso la speranza, il Vangelo ci dice che con Gesù la speranza rinasce sempre, perché dalle ceneri della morte Egli sempre ci rialza. Gesù ci rialza sempre, ci dona la forza di riprendere il cammino, di ricominciare”.
Per questo la speranza non delude: “La speranza è quella corda alla quale noi siamo aggrappati con l’ancora sulla spiaggia. E questo non delude mai! Questo è importante anche per la vita delle Comunità cristiane, delle nostre Chiese e delle nostre relazioni ecumeniche. A volte siamo sopraffatti dalla fatica, siamo scoraggiati per i risultati del nostro impegno, ci sembra che anche il dialogo e la collaborazione tra di noi siano senza speranza, quasi destinati alla morte e, tutto ciò, ci fa sperimentare la stessa angoscia di Marta; ma il Signore viene”.
Quindi è stato un invito a credere che la speranza è nella resurrezione: “Questo messaggio di speranza è al centro del Giubileo che abbiamo iniziato… Tutti (tutti!) abbiamo ricevuto lo stesso Spirito, e questo è il fondamento del nostro cammino ecumenico. C’è lo Spirito che ci guida in questo cammino. Non sono cose pratiche per capirci meglio. No, c’è lo Spirito, e noi dobbiamo andare sotto la guida di questo Spirito”.
Ecco il motivo per cui ha ricordato l’importanza del Concilio di Nicea: “E questo Anno giubilare della speranza, celebrato dalla Chiesa cattolica, coincide con un anniversario di grande significato per tutti i cristiani: il 1700° anniversario del primo grande Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea.
Questo Concilio si impegnò a preservare l’unità della Chiesa in un momento molto difficile, e i Padri conciliari approvarono all’unanimità il Credo che molti cristiani recitano ancora oggi ogni domenica durante l’Eucaristia. Questo Credo è una professione di fede comune, che va oltre a tutte le divisioni che nel corso dei secoli hanno ferito il Corpo di Cristo”.
Quest’anno è data un’opportunità: “L’anniversario del Concilio di Nicea rappresenta dunque un anno di grazia; rappresenta anche una opportunità per tutti i cristiani che recitano lo stesso Credo e credono nello stesso Dio: riscopriamo le radici comuni della fede, custodiamo l’unità! Sempre avanti! Quell’unità che tutti noi vogliamo trovare, che accada. Non vi viene in mente quello che diceva un grande teologo ortodosso, Ioannis Zizioulas: ‘Io so quando sarà la data dell’unità piena: il giorno dopo il giudizio finale’? Ma nel frattempo dobbiamo camminare insieme, lavorare insieme, pregare insieme, amarci insieme. E questo è molto bello!”
Ma l’anniversario del Concilio di Nicea è anche una ‘sfida’: “L’anniversario, infatti, non deve essere celebrato solo come ‘memoria storica’, ma anche come impegno a testimoniare la crescente comunione tra di noi. Dobbiamo fare in modo di non lasciarcela sfuggire, di costruire legami solidi, di coltivare l’amicizia reciproca, di essere tessitori di comunione e di fraternità”.
Una ‘sfida’ che si può concretizzare nella celebrazione pasquale in un unico giorno: “In questa Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani possiamo vivere l’anniversario del Concilio di Nicea anche come un richiamo a perseverare nel cammino verso l’unità. Provvidenzialmente, quest’anno, la Pasqua sarà celebrata nello stesso giorno nei calendari gregoriano e giuliano, proprio durante questo anniversario ecumenico.
Rinnovo il mio appello affinché questa coincidenza serva da richiamo a tutti i cristiani a compiere un passo decisivo verso l’unità, intorno a una data comune, una data per la Pasqua; e la Chiesa Cattolica è disposta ad accettare la data che tutti vogliono fare: una data dell’unità”.
Ed ha concluso l’omelia con l’invito a confermare la propria fede in Gesù attraverso la professione di fede del Credo niceno: “In Gesù la speranza è sempre possibile. Egli sostiene anche la speranza del nostro cammino comune verso di Lui. E ritorna ancora la domanda fatta a Marta e stasera rivolta a noi: ‘Tu credi questo?’ Ci crediamo nella comunione tra di noi? Crediamo che la speranza non delude?
Care sorelle, cari fratelli, questo è il tempo di confermare la nostra professione di fede nell’unico Dio e trovare in Cristo Gesù la via dell’unità. Nell’attesa che il Signore ‘torni nella gloria per giudicare i vivi e i morti’, non stanchiamoci mai di testimoniare, davanti a tutti i popoli, l’unigenito Figlio di Dio, fonte di ogni nostra speranza”.
Fratel Chialà: l’unità dei cristiani riparte dal Concilio di Nicea

“Al centro della Settimana di quest’anno c’è la domanda che Gesù rivolge a Marta nel racconto della resurrezione di Lazzaro: ‘Credi tu questo?’ Riceveremo anche noi, insieme, questa domanda, la stessa per tutti e posta dall’unico Signore, e saremo chiamati insieme a riflettere sulla nostra fede, sulla nostra testimonianza e sul nostro servizio, e a rispondere, ognuno e tutti. Disponiamoci dunque a condividere la gratitudine per la vocazione che abbiamo ricevuto e a rispondere alla domanda di Gesù a Marta, chiedendo allo Spirito di allargare i nostri cuori, di aprire le nostre menti, di orientare i nostri passi e di farci vivere la realtà della fraternità che supera le nostre storie particolari. Che il nostro incontrarci provenendo da strade diverse possa anche essere una testimonianza in tempi sempre più conflittuali”.
E’ l’auspicio che chiude il messaggio che per la prima volta, tutti insieme, i rappresentanti delle Chiese cristiane in Italia rivolgono alle loro comunità per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra fino al 25 gennaio, firmato da mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, dal pastore Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, dal metropolita Polycarpos, della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, dal vescovo anglicano della diocesi in Europa (Chiesa d’Inghilterra), dai responsabili della Chiesa armena, della Chiesa copta di Roma e di Milano, dell’Esercito della Salvezza, dalla moderatora della Tavola valdese, dall’amministrazione delle parrocchie della Chiesa ortodossa russa (Patriarcato di Mosca) in Italia, dal Decano della Chiesa evangelica luterana in Italia, dal presidente dell’Unione Cristiana evangelica battista d’Italia, dal Coordinatore della Comunione delle Chiese libere, dal vescovo della diocesi ortodossa romena, dal presidente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia, dal rappresentante della Chiesa serbo ortodossa e dal vescovo Chiesa evangelica della Riconciliazione.
La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è animata dalla Comunità di Bose, sul tema ‘Credi tu questo?’. Al priore fratel Sabino Chialà, incontrato a Tolentino, nelle Marche, su invito del Sermit odv, chiediamo se questa domanda di Gesù è un interrogativo ‘pesante’:
“Sì! Lo spunto è venuto dal fatto che quest’anno ricorrono 1700 anni dal Concilio di Nicea, che è il primo Concilio ecumenico dove si definisce per la prima volta una ‘formula’ di fede, che poi è accolta da tutti i cristiani. Il comitato che organizza questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ha chiesto a noi di scrivere i testi. Quindi ci è sembrato bene ‘puntare’ sul tema della fede, iniziando a chiedere quale è l’essenziale di ciò in cui diciamo di credere. La domanda, tratta dal Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù rivolge questa domanda ad una delle sorelle di Lazzaro (‘Credi tu questo?’), cioè credi nel Figlio di Dio, interrogandola sulla qualità della sua fede”.
Per quale motivo Gesù pone questa domanda?
“In questo episodio Marta ha appena rivolto a Gesù la domanda sulla morte di suo fratello Lazzaro, e Gesù le dice se ella crede nella Resurrezione. La risposta: ‘Sì, credo che risorgeremo alla fine’; ma Gesù ribatte: ‘Io sono la resurrezione e la vita: credi tu questo?’. La richiama alla sua fede, non tanto nell’idea della Resurrezione, ma alla fede nel Risorto, cioè nell’uomo Gesù, destinato alla Resurrezione e che in Lui ciascuno di noi otterrà la consapevolezza di poter vivere aldilà della morte”.
Dopo 1700 anni quale significato assume il Concilio di Nicea?
“Questo è un grande problema, perché il Concilio di Nicea nasce in un contesto storico molto particolare ed è stato anche utilizzato dall’imperatore per poter creare un’unità all’interno del mondo politico del tempo; quindi può essere anche interpretato in maniera non proprio evangelica. Per i cristiani è per la prima volta il convergere sul fatto che in Gesù non riconosciamo non solo un profeta particolare, ma il Figlio di Dio, cioè quell’uomo che allo stesso tempo è pienamente uomo e pienamente Dio.
Questo è detto per la prima volta da tutti i cristiani, anche se quel Concilio ha avuto una ricezione difficile, in quanto esso è stato convocato per il fatto che alcuni negavano questa fede, in particolare Ario. Però, alla fine, tutte le Chiese cristiane, attraverso un lento cammino, arrivano ad accogliere questa fede ed a farne la base della loro comune fede in Gesù. Il nostro essere cristiani si basa su questa comune professione di fede”.
Quindi è possibile ‘mangiare e bere dallo stesso calice’?
“Per me sì; però, siccome ci sono alcuni elementi teologici, che le Chiese non condividono, purtroppo ancora oggi non è possibile. Ritengo che si potrebbe fare qualcosa in più da questo punto di vista, in quanto il cammino teologico ha portato a chiarire molti punti di discordia tra le confessioni di fede. E’ vero che ancora ci sono alcune questioni aperte e per alcune Chiese tali questioni sono dirimenti, cioè bisogna che prima si giunga ad una definizione chiara e poi si può partecipare allo stesso calice.
Da questo punto di vista le Chiese ragionano in modo molto diverso: per la Chiesa cattolica e per alcune Chiese protestanti sarebbe possibile, almeno secondo alcune condizioni, accedere ad una celebrazione eucaristica comune in vista di una unità; per le Chiese ortodosse, invece, è proprio la celebrazione eucaristica che sancisce l’unità. Quindi nella loro visione è un controsenso celebrare l’eucarestia, continuando ad essere disuniti. Sono due approcci diversi, entrambi rispettabili. In via ordinaria questo non è possibile, ma ciò non toglie che ci sono anche casi in cui questo accade in maniera profetica”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco richiama l’attenzione sull’Intelligenza Artificiale: cuore e comunità sono necessari

“Il tema dell’incontro annuale di quest’anno del World Economic Forum, ‘Collaborazione per l’era intelligente’, offre una buona opportunità per riflettere sull’intelligenza artificiale come strumento non solo per la cooperazione, ma anche per unire i popoli”: così inizia il messaggio di papa Francesco inviato a Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, per il raduno annuale a Davos, in Svizzera.
Nel messaggio il papa ha sottolineato che l’intelligenza è un ‘dono’ essenziale: “La tradizione cristiana considera il dono dell’intelligenza come un aspetto essenziale della persona umana creata ‘a immagine di Dio’… L’IA è destinata a imitare l’intelligenza umana che l’ha progettata, ponendo così una serie unica di domande e sfide”.
Ed ha chiesto attenzione nell’uso, in quanto potrebbe minare la nozione di ‘libertà’: “A differenza di molte altre invenzioni umane, l’IA è addestrata sui risultati della creatività umana, che le consente di generare nuovi artefatti con un livello di abilità e una velocità che spesso rivaleggiano o superano le capacità umane, sollevando preoccupazioni critiche sul suo impatto sul ruolo dell’umanità nel mondo. Inoltre, i risultati che l’IA può produrre sono quasi indistinguibili da quelli degli esseri umani, sollevando interrogativi sul suo effetto sulla crescente crisi di verità nel forum pubblico.
Inoltre, questa tecnologia è progettata per apprendere e fare determinate scelte in modo autonomo, adattandosi a nuove situazioni e fornendo risposte non previste dai suoi programmatori, sollevando così questioni fondamentali sulla responsabilità etica, sulla sicurezza umana e sulle implicazioni più ampie di questi sviluppi per la società”.
Per questo è necessaria la comunità: “I progressi segnati dall’alba dell’IA richiedono una riscoperta dell’importanza della comunità e un rinnovato impegno per la cura della casa comune affidataci da Dio. Per orientarsi nelle complessità dell’IA, governi e aziende devono esercitare la dovuta diligenza e vigilanza. Devono valutare criticamente le singole applicazioni dell’IA in contesti particolari per determinare se il suo utilizzo promuove la dignità umana, la vocazione della persona umana e il bene comune…
Oggi, ci sono sfide e opportunità significative quando l’IA viene inserita in un quadro di intelligenza relazionale, in cui tutti condividono la responsabilità del benessere integrale degli altri. Con questi sentimenti, porgo i miei migliori auguri di preghiera per i lavori del Forum e invoco volentieri su tutti i partecipanti l’abbondanza delle benedizioni divine”.
Mentre negli incontri odierni papa Francesco ha ricevuto i direttori della Federazione Automobile Club d’Italia con l’invito a mettersi in pellegrinaggio: “Il pellegrinaggio comporta il rischio di sbagliare strada, di trovarci in difficoltà o di sentirci perduti. Il Giubileo può essere allora per ciascuno l’occasione di una ripartenza, il momento giusto per ricalcolare il percorso della propria vita, individuando le tappe fondamentali da non perdere e quelle che invece potrebbero diventare un ostacolo per il raggiungimento della meta.
C’è una verità: noi non siamo fatti per stare fermi, ma siamo sempre in ricerca, in cammino verso la destinazione. E quello che rimane fermo, il cuore fermo, fa come succede con l’acqua: l’acqua ferma è la prima a imputridirsi”.
Per questo ha invitato a riflettere sulla relazione tra ambiente ed educazione: “C’è bisogno di una cultura del rispetto e della sicurezza stradale, a partire dalle scuole… Assumere comportamenti responsabili, rispettare le norme, essere consapevoli dei rischi aiuta la convivenza civile e il raggiungimento dell’obiettivo ‘zero vittime sulle strade’. Questo è un obiettivo chiaro, ed è un programma ma prima di tutto un dovere. Viaggiare fa rima con imparare, incontrare e non con soffrire, piangere o, addirittura, morire”.
Ad educazione si collega la parola ambiente per una maggiore qualità della vita: “Per questo è urgente lavorare per affrontare tali sfide con serietà e determinazione, anche attraverso la creazione di alleanze per incentivare la sostenibilità. In questo settore, la tecnologia offre già rilevanti opportunità e diversi strumenti, altri certamente verranno messi a disposizione. Occorre assumere una visione ampia, cercando (come già fate) collaborazioni e azioni comuni che vadano a vantaggio di tutti, rendendo la mobilità davvero sostenibile e accessibile”.
Proseguendo negli incontri della giornata il papa ha invitato i membri della ‘Fondazione Rete Mondiale di Preghiera del Papa’ ad approfondire l’enciclica ‘Dilexit Nos’: “In essa trovate il nutrimento sostanzioso che alimenta la spiritualità del vostro lavoro, del vostro apostolato. Mi piace che questa spiritualità voi la chiamiate ‘cammino del Cuore’. E vorrei leggere questa espressione in un duplice senso: è il cammino di Gesù, del suo Cuore sacro, attraverso il mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione; ed è anche il cammino del nostro cuore, ferito dal peccato, che si lascia conquistare e trasformare dall’amore… Non dimenticare questa parola: custodire. Questo è opera dello Spirito Santo: non c’è cammino del cuore con Cristo senza l’acqua viva dello Spirito Santo”.
Ugualmente ai dirigenti ed al personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza ‘Vaticano’ ha rivolto un invito ad attraversare la Porta Santa: “Vi invito ad approfittare della Porta Santa aperta nella notte di Natale nella Basilica di San Pietro, come pure di quelle aperte successivamente nelle altre Basiliche Papali di Roma. Attraversare la Porta Santa non è un atto magico; è un simbolo, un simbolo cristiano (Gesù stesso dice: ‘Io sono la porta’), un segno che esprime il desiderio di ricominciare, e questa è una bella saggezza: ricominciare, ogni giorno ricominciare”.
E’ stato un ringraziamento per il lavoro svolto: “Si tratta di un compito, il vostro, sempre esigente – lo so –, che necessita di prontezza e coraggio e che il più delle volte si svolge nella discrezione, senza essere notati, ma che presuppone abnegazione, cura di ogni dettaglio, pazienza e disponibilità al sacrificio. La sicurezza infatti è un bene invisibile della cui importanza ci accorgiamo proprio quando, per qualche ragione, essa viene meno, e che si costruisce nel continuo e intelligente impegno di sorveglianza, notte e giorno, per ogni giorno dell’anno”.
(Foto: Santa Sede)
Mons. Boccardo: il patrono san Ponziano dia un cuore ‘dilatato’ per vivere la speranza

“Noi ti benediciamo Signore, Padre buono, che hai dato al popolo di Spoleto il giovane Ponziano come testimone eroico del Vangelo di Gesù. L’esempio della sua vita costituisce per noi un prezioso patrimonio da custodire ed imitare. Accogli la preghiera fiduciosa che per sua intercessione ti rivolgiamo: donaci una fede ferma e gioiosa, una speranza salda, una carità sincera; conferma le nostre famiglie nell’amore e nella fedeltà; liberaci dai mali del corpo e dello spirito; guidaci nella costruzione della civiltà dell’amore, perché possiamo un giorno essere accolti nella tua casa e cantare per sempre la tua lode. Amen”: questa è la preghiera composta da mons. Renato Boccardo, vescovo della diocesi di Spoleto-Norcia, per il 1850° anniversario del martirio del patrono san Ponziano.
Ed in occasione della festa, celebratasi martedì 14 gennaio, mons. Boccardo ha inviato un messaggio alla città, invitando a non dimenticare l’identità ‘spoletina’: “In un’epoca di secolarizzazione spinta come quella che stiamo vivendo e nella quale sembrano venir meno i segni identitari, il Patrono è per tutti il ‘simbolo fondatore’ della memoria della comunità, la cui storia si è svolta tra passioni e lotte, tra ferite e vittorie, in un territorio che ha una sua propria identità ad un tempo civile e religiosa. Il civis (il cittadino) non è definito solo per l’uguaglianza dei diritti, ma anche e soprattutto per la diversità delle sue radici, che sono differenti tra Foligno, Terni, Perugia e Spoleto.
Spoleto è san Ponziano e san Ponziano è Spoleto. Con tutte le vicende che la storia ha visto scorrere in questi 1850 anni. Perciò bisogna parlare della ‘identità spoletina’ (qualcuno la definisce ‘spoletinità’), perché chi dimentica le radici perde il futuro. Un territorio è se stesso anche in virtù delle sue tradizioni e delle sue memorie: appunto perché non dimentica quello che è sempre stato, può affermare la sua tipicità e la sua consistenza pur nel continuo mutare delle forme politiche e sociali e delle condizioni di vita. Se non vogliamo perdere la nostra ricchezza umana e cristiana, cadendo in sterili campanilismi che dividono, dobbiamo ricuperare un’identità ricca capace di parlare agli altri. Parlare di san Ponziano, allora, è dire della memoria della nostra città e della nostra diocesi”.
Ed ha ricordato cosa significa ‘patrono’: “Il patrono è colui che ‘intercede’, cioè che ‘sta in mezzo’ e ‘cammina in mezzo’ al suo popolo, si prende cura della sua vita spirituale, ne sostiene la speranza, ne diffonde la carità, lo difende nel momento del pericolo, lo rincuora nel tempo della prova, lo sprona nel tempo delle passioni tristi”.
Mentre nell’omelia ha ricordato che la croce è la via della salvezza: “La croce è la chiave di volta della storia di salvezza e Gesù non può proporre altro; per questo pronuncia la parabola del chicco di grano che deve morire: il seme è Gesù che, con la sua morte di croce porterà frutto abbondante donando la vita a tutti gli uomini. Nasce da qui l’invito alla sequela: ‘Dove sono io, là sarà anche il mio servitore’.
San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, dice che quella comunità, suscitata dalla sua predicazione e dalla sua testimonianza, costituisce la sua vera lettera di presentazione, scritta con lo Spirito del Dio vivente. La lettera della Chiesa di Spoleto-Norcia è il martirio di san Ponziano, che l’ha battezzata nel sangue”.
E’ stato un invito a guardare alla vita del patrono: “Alla luce di questi insegnamenti, noi guardiamo oggi al giovane Ponziano come al discepolo che ha reso a Cristo la propria testimonianza pacifica con amore e inermità accettando il martirio…Con il suo sacrificio San Ponziano ci dice il primato assoluto di Cristo e del Vangelo; ci dice che solo nella croce si attua la piena liberazione dal male”.
E tutti possono vivere il martirio: “Non a tutti è dato il martirio di sangue, però a tutti i suoi discepoli Gesù chiede di donare la vita per amore del Padre e la salvezza dell’umanità. E’ dunque una forma di martirio anche la vita del discepolo che, accogliendo la legge della croce, si impegna a vincere ogni giorno il male con il bene, per annientarlo con il fuoco dell’amore e del perdono.
Tutti possiamo vivere così, in grazia del battesimo e della cresima che abbiamo ricevuto, lasciandoci raggiungere quotidianamente dalla luce del Vangelo e dal mistero dell’amore infinito della Trinità santa. E dall’Eucarestia possiamo attingere la forza e il nutrimento per ravvivare in noi e nelle nostre comunità questo mistero ineffabile che ci sospinge a fare della vita cristiana un dono per il mondo intero”.
Infine ha invitato a ‘coltivare’ un cuore ‘dilatato’ per generare speranza: “Oggi, anzi, ci dice una cosa nuova: se le nostre comunità vogliono guardare con fiducia e fierezza verso il futuro, lo potranno fare, anche in un tempo dove comunità religiosa e civile non si sovrappongono più, solo se sapranno farsi carico di tutti, se sapranno cioè custodire e coltivare quello che vorrei definire ‘un cuore dilatato’: dilatato per lo sguardo sulla vita delle persone e sui temi della convivenza civile; dilatato per la passione che promuove nuovi legami sociali;
dilatato per la cura del bene comune contro ogni particolarismo; dilatato per lo spirito di pace e di tolleranza; dilatato per il compito dell’educazione e del futuro dei giovani; dilatato per la carità rivolta verso tutti senza distinzione di provenienza, religione e appartenenze; dilatato per la condivisione del destino della città e del territorio; dilatato per il ‘supplemento d’anima’ di cui questo tempo, pieno di mezzi e povero di significati, ha estremamente bisogno non solo per star bene, ma per vivere bene.
Dobbiamo fare tutti insieme uno sforzo per rendere le nostre città e i nostri paesi belli, accoglienti, generosi e creativi. E così potranno ‘generare speranza’ anche in questo anno del Giubileo, attingendola alla certezza che ha sostenuto Ponziano nelle torture e nel martirio”.
(Foto: Diocesi Spoleto-Norcia)
Card. Zuppi ai vescovi: riscoprire la bellezza della preghiera

“Cari Confratelli, ci ritroviamo, pellegrini di speranza, all’inizio del 2025, ‘anno giubilare’, tempo davvero opportuno per capire la ‘Lectio’ che sono i segni dei tempi e trasformarli in segni di speranza. E’ un Giubileo ordinario che tuttavia assume per noi un valore speciale per via di una serie di congiunture storiche della nostra Chiesa e della società. E’ una provvidenza. Il suono dello Jobel, il corno di ariete, segnava l’inizio di una celebrazione religiosa, come appunto l’anno giubilare”: così è iniziata la prolusione del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, arcivescovo della diocesi di Bologna, che ha aperto la sessione invernale del Consiglio Episcopale Permanente.
La scelta di suonare lo jobel è compito dei ‘pastori’: “A noi, pastori e sentinelle del gregge, spetta il compito di suonare oggi idealmente questo strumento per richiamare l’attenzione sui segni di speranza già presenti nelle nostre comunità e che attendono di essere ulteriormente custoditi e sviluppati”.
Riprendendo l’omelia natalizia di papa Francesco il card. Zuppi si è soffermato sulla quotidianità dell’annuncio: “Quanto è importante fissare un nuovo ‘oggi’!.. E l’oggi si manifesta come un giorno diverso dagli altri, opportuno, che dobbiamo sapere contemplare per cambiare. Oggi! La scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del papa, hanno colto (mi pare) una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte”.
E si è soffermato sulle aspettative della gente: “Confrontandomi con alcuni di voi, ho avuto la chiara percezione che molta gente, più del consueto e delle nostre stesse aspettative, sia stata attratta dalla liturgia dell’apertura della Porta Santa, seguita con attenzione e partecipazione, bisogno evidente di sentire personalmente quel che ha detto il papa, eco della Parola di Dio: C’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi”.
Per questo il Giubileo è un’occasione: “Le porte delle nostre chiese sono sempre aperte a tutti, ma l’oggi del Giubileo ha creato un’occasione opportuna. Ci sono segni che hanno una grande capacità di comunicare e rompono il muro dell’indifferenza, del fatalismo, della rassegnazione che genera paura della vita. La vita sociale e la temibile logica del consumismo offrono tanti segni, spesso effimeri e ingannevoli perché facili e senza prezzo.
La speranza ha sempre un prezzo di pazienza e di sacrificio. La Chiesa, nei forzieri della sua tradizione e della sua preghiera, conserva tanti segni eloquenti, che non sono logori o d’altri tempi. In essi si esprime un messaggio forte, di cui essere gioiosamente consapevoli e che il Giubileo e il Sinodo ci stimolano a riscoprire”.
Tale speranza trova forza nella bellezza della preghiera: “C’è una forza attrattiva della bellezza della vita e della preghiera della Chiesa che chiede semplicemente di essere regalata, trasmessa, spiegata. Le Chiese dell’ex Unione Sovietica hanno resistito in decenni di terribile persecuzione antireligiosa e di dittatura comunista (con tanti martiri), solo celebrando la liturgia nello spazio delle chiese rimaste aperte. Padre Tavrion, un monaco russo che aveva passato tanti anni nel gulag sovietico ma che ha potuto finire la sua vita in monastero, ha espresso un segreto della liturgia conservato nella tradizione delle Chiese ortodosse: se noi non mostriamo la bellezza, la gente non verrà da noi”.
E’ un invito ad essere buoni amministratori: “Certo, bisogna essere amministratori consapevoli della ricchezza e della bellezza del messaggio della fede e di come questo si comunica al di là del nostro protagonismo. Non bisogna pensare che abbiamo poco da dare o da dire, talvolta finendo per celebrare con sciatteria o ricercando modalità da spettacolo, credendo che quel che diamo e diciamo alla fine interessa poco.
Ci si è riproposta la domanda di speranza, di qualcosa di nuovo in un mondo e in una vita vecchia; di pensarsi insieme, di essere perdonati e non sommersi da banali parole di benessere; di trovare una porta aperta che faccia entrare nella luce uscendo da un buio insopportabile e drammatico come quello della guerra, della solitudine, della violenza, dell’ombra di morte che avvolge l’anima. Nel deserto c’è più sete di senso e di Dio”.
Ma ha messo in guardia dalla falsa speranza, come il gioco d’azzardo: “Lo stesso gioco d’azzardo, in periodi difficili dell’esistenza, tra le fasce più fragili della popolazione, diventa una vera dipendenza con drammatiche conseguenze sulla vita delle persone, nell’illusione, purtroppo coltivata e perfino incentivata, di star meglio, di essere felici o di essere vincenti. Nel 2023 sono stati spesi quasi 150 miliardi nel gioco d’azzardo ed è una cifra sempre in crescita.
Occorre una forte azione educativa per liberare da quella che facilmente diviene una vera dipendenza: per questo, serve il coinvolgimento delle aziende dell’azzardo e anche lo Stato deve mettere sempre al primo posto la salute dei cittadini. La campagna ‘Mettiamoci in Gioco’ e la Consulta Nazionale Antiusura ricordano che è possibile affrancare da quello che non è un gioco, ma una schiavitù”.
Ha sentito anche la responsabilità di creare condizioni per l’ascolto della Parola di Dio: “Sento la responsabilità di creare o rafforzare percorsi che portino all’incontro con la Parola di Dio e con il Vangelo, favorendo l’ascolto e la lettura personale… Si deve diffondere la devozione alla sacra pagina del Vangelo e della Scrittura, in maniera larga, popolare, non elitaria. Non si tratta, infatti, di circoli ristretti, ma di dare la Bibbia al popolo e guidarlo alla sua lettura. Questo è alla base di un rinnovamento della spiritualità, di quella spiritualità di cui c’è la sete che ci pare di aver colto. Una spiritualità che, senza perdere il suo carattere popolare, non deve essere solo devozionale ma biblica. Questo comporta anche accompagnare nella ricerca di risposte sulla preghiera”.
Insomma ha chiesto che i fedeli siano accompagnati nella preghiera: “Bisogna accompagnare nella via della preghiera, insegnando come il Vangelo, i Salmi, la Bibbia siano essi stessi una grande scuola di preghiera. Questo vuol dire anche trovare nelle nostre parrocchie non solo sacerdoti, ma ministri come i Lettori, donne e uomini spirituali che aiutino in questa scuola di preghiera, e pure gli spazi necessari.
Significa, almeno un po’, santuarizzare le nostre parrocchie, non solo come centri di attività e luoghi di liturgia, ma anche come spazi di silenzio, di devozione e di preghiera. È una dimensione attiva della speranza. Di più: san Tommaso ricorda che la preghiera è l’autentica lingua e la credibile interpretazione della speranza”.
Ecco il motivo per cui il card. Zuppi ha chiesto di non stancarsi di annunciare il Vangelo: “Per questo, ci si preoccupa di far circolare, nei modi opportuni e possibili, sempre con tanta umanità e amabilità, senza proselitismo, il messaggio cristiano nell’umano discorso tra tutti. Questo interpella soprattutto i laici nella vita quotidiana, nell’amicizia con ognuno, nel relazionarsi quotidiano.
Coinvolge la Chiesa a intervenire nelle diverse occasioni di dibattito e di incontro. Tanta gente che cerca senso e risposte (una realtà grande che non va sottovalutata) ha bisogno di trovare interlocutori. E questi sono i laici nella vita quotidiana. E’ il loro grande compito”.
Citando Jean Guitton il presidente della Cei ha sollecitato i cattolici ad essere una ‘minoranza’ felice: “Mi piacerebbe che l’anno giubilare costituisse il tempo in cui riflettiamo e maturiamo insieme non la volontà di essere una ‘minoranza0 triste, ma il coraggio di diventare ‘minori’ felici, nel senso in cui la spiritualità francescana ci ha spiegato questa idea. Diventare ‘minori’, cioè piccoli, è la via evangelica per guardare il mondo come i piccoli, per riconoscere e legittimare i piccoli, per far crescere i piccoli per compiere le ‘grandi cose’ degli umili”.
E’ stato un invito alle diocesi a mettersi a servizio dei poveri: “Penso, quindi, al Giubileo come a un tempo in cui individuare i piccoli delle nostre Diocesi e metterci al loro servizio, perché cresca in loro la speranza e si prepari così anche il Regno di Dio. Penso alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Penso alle vittime di abusi, la cui sofferenza portiamo nel cuore e ci impegna con rigore nel contrasto e nella prevenzione. Penso ai carcerati”.
Per questo ha richiesto la remissione del debito dei Paesi poveri: “Il Giubileo può diventare una occasione per tornare a bussare alla porta dei Paesi ricchi, compresa l’Italia, perché rimettano i debiti dei Paesi poveri, che non hanno modo di ripagarli. Qui vivono milioni di persone in condizioni di vita prive di dignità. Si badi che i debiti degli Stati sono talora contratti con privati: la Chiesa non può non far sentire la sua voce perché si stabilisca una equità sociale e i pochi straricchi non profittino della loro posizione di vantaggio per influenzare la politica per i propri interessi”.
E la remissione del debito è collegata alla pace: “Strettamente intrecciato al tema dell’economia è quello della pace. Uno dei segni dei tempi più drammatico è infatti quello della guerra. La Chiesa italiana innalza a Dio la preghiera perché il Giubileo offra l’opportunità per raggiungere i tanti attesi e indispensabili negoziati che trovino soluzioni giuste e durature, con una forte ripresa della presenza della comunità internazionale e del multilateralismo e degli strumenti necessari per garantire il diritto e non il ricorso alle armi per risolvere i conflitti. La tregua raggiunta in Terra Santa ci auguriamo che rafforzi la pace e avvii un nuovo processo che porti ad un futuro concreto”.
E’ stato un invito preciso ad un percorso di riconciliazione in Terra Santa: “La Chiesa in Italia è vicina a Israele perché possa riabbracciare finalmente i propri cari rapiti, avere la sicurezza necessaria e continuare a lottare contro l’antisemitismo che si manifesta dentro forme subdole e ambigue. La recente Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei ha avuto come tema proprio il Giubileo, nella consapevolezza che solo l’amicizia e il dialogo continueranno a rendere saldo il nostro rapporto per quanto ci riguarda costante e affatto indebolito.
Già in passato sono intervenuto con chiarezza condannando fenomeni di risorgente antisemitismo, mai accettabili. La Chiesa in Italia è vicina ai palestinesi e alla loro sofferenza perché si possa finalmente avviare un percorso che permetta a questo popolo di essere riconosciuto nella sua piena dignità e libertà. Sono in gioco interessi sempre più elevati nella produzione e nel commercio di armi”.
Infine uno sguardo sui migranti con la valorizzazione dei corridoi umanitari: “E’ evidente la necessità di non indebolire la cultura dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, offrendo regole di diritti e doveri sicuri, flussi e canali che permettano l’ingresso dei necessari lavoratori, che non sono mai solo braccia, ma persone che richiedono politiche lungimiranti di integrazione. L’esperienza dei corridoi umanitari e lavorativi è da valorizzare perché garantisce dignità e sicurezza a chi fugge da situazioni drammatiche.
Le Diocesi italiane, con il loro impegno, sono un faro di accoglienza per oltre 146.000 persone di origine straniera. Accanto ai corridoi umanitari, lavorativi e universitari sono un esempio concreto di come sia possibile conciliare il diritto a migrare con l’integrazione e lo sviluppo locale. Negli ultimi anni, tra le molteplici esperienze di accoglienza, si è sviluppato un nuovo approccio che tiene insieme la richiesta di sicurezza, il desiderio di solidarietà e l’esigenza di andare incontro ai bisogni delle persone migranti. Insomma: liberi di partire, liberi di restare e liberi di tornare, uscendo finalmente da una logica esclusivamente di sicurezza, questione evidentemente decisiva, per rafforzare la cooperazione, in particolare con l’Africa”.
Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in Estonia, a fine dicembre, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.
Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese: “Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.
Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.
Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.
La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.
Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.
Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…
In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.
L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.
Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.
Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.
Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.
Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.
Il racconto è proseguito con la sua visita natalizia in Libano: “Ho trascorso la settimana scorsa in Libano. Con uno dei miei fratelli di quel Paese abbiamo visitato i cristiani in diversi luoghi per festeggiare con loro il Natale. Sapete che il Medio Oriente è attualmente dilaniato dalla guerra. Abbiamo tanti amici lì e la nostra visita è stata un piccolo segno di solidarietà nei loro confronti”.
Quindi ha raccontato l’accoglienza offerta dal popolo libanese: “La generosità dell’accoglienza in un Paese dove c’è stata tanta distruzione mi ha tolto il fiato. In molte parti del Paese gli edifici sono in rovina, ma le persone stanno dimostrando un’incredibile resilienza. Questa resilienza è un modo per resistere alla violenza che è stata scatenata. C’è tanta incertezza oggi. La guerra potrebbe tornare. Nonostante ciò, le persone che abbiamo incontrato hanno condiviso la gioia del Natale. La loro fede è la luce che splende nelle tenebre”.
Ma nonostante la guerra i giovani libanesi non hanno perso la speranza: “Abbiamo anche incontrato uno sceicco musulmano nel sud del Paese. La sua casa è stata distrutta e alcuni villaggi vicini sono ancora inaccessibili. Le bombe cadevano ancora quando seppellì anche i morti cristiani aspettando che il sacerdote venisse a compiere i riti necessari.
Quando ho parlato con i giovani libanesi durante i recenti bombardamenti, ho potuto percepire la loro speranza per un futuro di pace e giustizia. Il loro coraggio era palpabile, anche se la disperazione non era lontana… Questo è quello che ho sentito molto forte ascoltando questi giovani. Gli incontri della scorsa settimana hanno confermato ciò che avevo sentito in precedenza”.
Però l’invito del priore di Taizè è stato quello di non scoraggiarsi: “Gesù stesso è nato nella povertà, in un tempo in cui nulla era chiaro nel paese in cui avrebbe vissuto. Anche noi possiamo trovarci in situazioni in cui non vediamo la strada da seguire. Potremmo sentirci arrabbiati e impotenti riguardo a certe realtà, ma questo può spingerci all’azione?.. I gesti più semplici possono diventare indicatori del nostro desiderio di speranza”.
A tale meditazione è seguita la testimonianza di Marta ed Andriana, provenienti da Leopoli: “Sarò sincero, non è sempre facile mantenere la speranza quando vediamo questa ingiustizia che dura da così tanto tempo… Ma ciò che ci aiuta a non perderla è la fede. Crediamo che ciò che non è possibile per gli esseri umani sia possibile per Dio. C’è sempre l’alba dopo una notte buia. Crediamo che Lui sia sempre con chi soffre e che senta anche il nostro dolore. Sappiamo anche che Egli non ci lascia soli in questa difficile situazione”.
Mentre Marta ha chiesto di intensificare la preghiera: “Pregate per tutte le persone che hanno perso la vita a causa di questa guerra crudele e ingiusta, che hanno perso i loro cari e le loro case, per i nostri soldati che ci proteggono ogni giorno a rischio della loro vita. Possa ogni famiglia ritrovarli sani e salvi a casa. Per tutti coloro che sono stati catturati, feriti, dispersi, che provano dolore fisico o mentale, sofferenti e bisognosi. Grazie per le vostre preghiere, le sentiamo tutti!”
Le meditazioni di questo incontro europeo si sono basate sulla lettera scritta dal priore di Taizé, ‘Sperare oltre la speranza’: “In un tempo in cui è facile lasciarsi scoraggiare da ciò che vediamo nel mondo e nella società, siamo disposti ad ascoltarci gli uni gli altri e a scoprire cosa è stato depositato gli uni nei cuori degli altri? Per scrivere questa lettera ho passato molto tempo ad ascoltare i giovani che vivono in zone di guerra. Sono rimasto colpito dal loro coraggio e dalla loro resistenza. Molti dei miei interlocutori mi hanno raccontato l’importanza della loro fede di fronte alla dura realtà della loro esistenza”.
Perciò la riflessione si è concentrata sulla preghiera del Magnificat, in cui la Madre di Dio si trova ad affrontare una situazione, in cui è chiesto di dare una risposta: “Vivendo in un paese occupato, capì l’importanza della fede in Dio e seppe dire ‘sì’ a ciò che Dio le chiedeva. Va a trovare sua cugina Elisabeth, anche lei in attesa di un parto improbabile. Come Maria, ognuno di noi ha bisogno di persone come Elisabetta che confermino ciò che abbiamo capito che Dio ci chiedeva, ma non abbiamo osato credere”.
La Sua risposta è conseguenza di una ‘visione’ della realtà, che permette di vivere la speranza: “La conferma della cugina suscita in Maria il suo canto di lode. Vede che Dio esalterà gli umili e che i potenti saranno rovesciati dai loro troni. La sua visione è quella di un mondo che, sotto il segno dell’amore misericordioso di Dio, sia un mondo di giustizia e di pace dove a nessuno manca nulla. Quando sento queste parole, qualcosa in me osa credere che le situazioni possano cambiare e la mia speranza rinasce”.
Un’ultima sottolineatura; le decorazioni della pista di pattinaggio di Tondiraba, luogo delle preghiere serali, sono state ispirate dal lavoro dell’artista estone Anu Raud: “I formati e i motivi utilizzati per la decorazione ci immergono nell’inverno e nel freddo, riunendo diversi elementi della campagna e della cultura estone. Al centro di tutto c’è una scena semplice: la nascita di Gesù. Nel freddo e nella neve, una casa calda, una mangiatoia accogliente. La culla diventa il centro che ci riunisce per una preghiera comune, il calore che ci avvolge nel cuore dell’inverno. Siamo nel bel mezzo dei giorni bui di novembre in Estonia, e stiamo aspettando la luce, stiamo aspettando la nascita di un re, la nascita di Gesù”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco invita alla testimonianza

“In occasione del Suo insediamento come quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, porgo un cordiale saluto e l’assicurazione delle mie preghiere affinché Dio Onnipotente Le conceda sapienza, forza e protezione nell’esercizio delle Sue alte funzioni. Ispirato dagli ideali della Nazione, terra di opportunità e di accoglienza per tutti, spero che sotto la Sua guida il popolo americano prosperi e si impegni sempre nella costruzione di una società più giusta, in cui non ci sia spazio per l’odio, la discriminazione o l’esclusione. Allo stesso tempo, mentre la nostra famiglia umana affronta numerose sfide, senza contare il flagello della guerra, chiedo a Dio di guidare i Suoi sforzi nella promozione della pace e della riconciliazione tra i popoli. Con questi sentimenti, invoco su di Lei, sulla Sua famiglia e sull’amato popolo americano l’abbondanza delle benedizioni divine”.
Con un messaggio papa Francesco ha inviato al neo presidente degli USA, Donald Trump, gli auguri per il nuovo mandato presidenziale nell’auspicio che si faccia promotore di pace e di riconciliazione tra i popoli, mentre la giornata ha offerto incontri con una delegazione ecumenica dalla Finlandia, giunta a Roma in occasione della festa di Sant’Enrico con l’invito a camminare nella speranza:
“Come messaggero di pace, sant’Enrico ci esorta a non cessare mai di elevare le nostre preghiere per il dono tanto prezioso quanto fragile della pace. Dobbiamo pregare per la pace! Allo stesso tempo, il santo Patrono della Finlandia è simbolo dell’unità donata da Dio, perché la sua festa continua a unire i cristiani di diverse Chiese e Comunità ecclesiali nel lodare insieme il Signore”.
Inoltre ha sottolineato il valore del Credo niceno, dopo aver ringraziato i cantori della Cappella ‘Sanctae Mariae’: “Rimanendo in tema musicale, potremmo dire che il Credo niceno, che tutti condividiamo, è una straordinaria ‘partitura’ di fede. E questa ‘sinfonia della verità’ è Gesù Cristo stesso, il centro della sinfonia. Egli è la verità fatta carne: vero Dio e vero uomo, nostro Signore e Salvatore”.
Ha concluso l’incontro con l’invito a testimoniare la vocazione ‘ecumenica’ con la recita del Padre Nostro: “Chiunque ascolti questa “sinfonia della verità” – non solo con le orecchie, ma con il cuore – sarà toccato dal mistero di Dio che si protende verso di noi, pieno di amore, nel suo Figlio. E su questo amore fedele si fonda la speranza che non delude! Non dimenticare mai questo: la speranza non delude. Testimoniare questo amore incarnato è la nostra vocazione ecumenica, nella comunione di tutti i battezzati”.
Mentre alla comunità dell’Almo Collegio Caprinica di Roma, che prepara i diplomatici della Santa Sede, ma soprattutto dei sacerdoti, in occasione della festa di sant’Agnese, ha sottolineato la necessità di persone formate nella fede: “I vostri Vescovi vi hanno inviato a Roma per prepararvi al ministero ordinato o perfezionare la vostra formazione nei suoi primi anni.
Ho saputo che venite da trentanove diverse diocesi: ventisei italiane, quattordici non italiane, tra cui un’eparchia della Chiesa Siro-Malabarese. In questa varietà di provenienze e appartenenze si riflette qualcosa del volto uno e molteplice del santo Popolo fedele di Dio. Non dimenticare questo: il santo Popolo fedele di Dio, che siamo noi, la Chiesa. E non dimenticare quello che dice la teologia: il santo Popolo fedele di Dio è ‘infallibile in credendo’. Non dimenticatevi questo”.
Inoltre ha sottolineato il significato di ‘Almo’, dato al Collegio, riprendendo una citazione di Dante Alighieri: “Questo appellativo può essere tradotto, in italiano, con ‘che nutre’ o ‘che dà vita e mantiene in vita’… In un contesto come il vostro ci si può ‘nutrire bene’ se non si smarrisce la strada, ‘vaneggiando’, state attenti a questo! Quando è che si finisce per ‘vaneggiare’? Quando si trascurano le relazioni fondamentali, le ‘vicinanze’ che più volte ho avuto modo di richiamare parlando ai seminaristi e ai ministri ordinati”.
E’ stato un invito ad avere cura della missione: “Abbiate cura della missione alla quale Gesù chiama oggi la Chiesa, in tempi complessi ma sempre raggiunti dalla misericordia divina. Vivete questa missione con lo stile che opportunamente qualifichiamo come ‘sinodale’…
Vi invito calorosamente a sentirvi parte di questo cammino e a promuoverlo fin da ora: in Collegio, nelle Università Pontificie dove studiate, nelle parrocchie di Roma, nella Casa di reclusione di Rebibbia, all’Ospedale Bambin Gesù, luoghi in cui siete presenti per l’esperienza pastorale prevista dal cammino formativo. E’ stato il coraggio di san Paolo VI a mettere proprio la sinodalità alla fine del Concilio e aprire il cammino sinodale”.
Ed infine ha invitato a non trascurare le opere di carità: “La carità si esprime in modo concreto, non con parole, nel vostro Collegio, anche attraverso un piccolo ma prezioso servizio di assistenza a persone bisognose che sanno di poter trovare in voi un sostegno per affrontare con meno fatica il peso della vita. Vi aiuti anche questo servizio a non ‘vaneggiare’, come avviene quando si perde il contatto con chi si trova in situazioni di marginalità e di disagio… Non è tanto l’elemosina l’importante, ma quel rapporto con il povero, con Gesù povero lì presente. Guardare gli occhi, toccare le mani”.
(Foto: Santa Sede)
Don Giovanni Merlini è beato: seppe coniugare preghiera ed azione

“Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, stamani è stato beatificato Don Giovanni Merlini, sacerdote dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Dedito alle missioni al popolo, fu consigliere prudente di tante anime e messaggero di pace. Invochiamo anche la sua intercessione mentre preghiamo per la pace in Ucraina, in Medio Oriente e nel mondo intero. Un applauso al nuovo Beato!”: al termine della recita dell’Angelus domenicale papa Francesco ha ricordato la beatificazione di don Giovanni Merlini, presieduta dal prefetto del dicastero delle cause dei santi, card. Marcello Semeraro, nella basilica di san Giovanni in Laterano.
Giovanni Merlini nacque a Spoleto il 28 agosto 1795. Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1818, due anni dopo, partecipando ad un corso di esercizi spirituali predicato da San Gaspare del Bufalo (1786-1837), fondatore della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, colpito dal carisma del Santo, chiese di aderire alla sua opera.
Si dedicò con intensità al lavoro missionario e alla direzione spirituale di tante anime, in modo particolare quella di Santa Maria De Mattias (1805-1866), che guidò per ben 42 anni, insieme alla nascente famiglia delle Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Svolse il suo ministero nella zona pontina e marittima, in un contesto di forte resistenza sociale allo Stato pontificio.
Nel 1847 venne eletto Moderatore Generale della Congregazione del Preziosismo Sangue, incarico che mantenne fino alla morte. Conobbe personalmente Pio IX di cui divenne consigliere spirituale. Grazie a questo legame si deve la pubblicazione, il 10 agosto 1849, del decreto ‘Redempti sumus’ con cui si istitutiva a livello universale la festa del Preziosissimo Sangue. Morì a Roma il 12 gennaio 1873 a seguito di un incidente stradale occorso nei pressi di Santa Maria in Trivio. Il decreto sull’eroicità delle virtù venne promulgato il 10 maggio 1973.
Nell’omelia il card. Semeraro ha fatto il ritratto di questo nuovo beato della Chiesa, che è stato un uomo di preghiera, che ha saputo unire nella sua vita e nel suo apostolato la dimensione attiva e quella contemplativa, che ha saputo governare con la virtù della prudenza, che ha saputo relazionarsi con amicizia verso tutti:
“Dai racconti evangelici e specialmente dal vangelo secondo Luca sappiamo che per Gesù la preghiera è un atteggiamento abituale, il luogo privilegiato in cui egli vive il mistero della sua persona e della sua missione, lo spazio vitale in cui colloca le sue relazioni con il Padre e con i discepoli. Il Padre suo Gesù lo prega sempre; da ultimo nel Getsemani e sulla croce. Per i discepoli prega quando li sceglie e quando insegna loro a pregare”.
Ed è stato un ‘ottimo’ discepolo: “In questo (oggi lo riconosciamo con gioia) il beato Giovanni Merlini è stato suo ottimo discepolo. Le testimonianze raccolte nel Processo per la sua beatificazione e canonizzazione sono unanimi nel dirci che il Signore lo aveva arricchito del dono della preghiera: una preghiera che in lui diveniva abitualmente contemplazione”.
Però la preghiera conduce all’azione: “Egli, tuttavia, fu anche uomo di azione e di apostolato, in particolare nella predicazione missionaria (cosa per la quale era molto stimato da san Gaspare), e fu pure uomo dalle ottime capacità di governo e, soprattutto, arricchito dalla virtù della prudenza. E’ questa, difatti, tra le virtù cardinali quella più necessaria in chi ha responsabilità di guida: aspetto, questo, che san Tommaso d’Aquino sottolineava in particolare giacché (diceva) è prudente chi sa decidere il da farsi concretamente e sa farlo con sapienza.
Del beato Giovanni Merlini i testimoni del processo per la beatificazione dicono che esercitava la virtù della prudenza in modo veramente straordinario: studiava le situazioni, consultava e interveniva in forme adatte e questo, specialmente in decisioni difficili per le persone, con carità”.
Infatti, come hanno riferito i testimoni, seppe coniugare insieme ‘Marta e Maria’: “Sono questi, carissimi, alcuni aspetti della vita e della spiritualità del nuovo Beato che da oggi la Chiesa ci propone per la invocazione e per la imitazione. Ce n’è, però, un altro che non voglio omettere di richiamare ed è l’amicizia con cui egli è vissuto specialmente con i confratelli nella famiglia religiosa e con le persone a lui affidate per la guida e l’accompagnamento spirituale. I nomi di san Gaspare del Bufalo e di santa Maria de Mattias sono emblematici per il loro speciale legame con il beato Giovanni Merlini”.